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Autore: Blacket    22/02/2015    7 recensioni
[...]Rompendo la monotonia del chiacchiericcio provinciale, un ragazzo bruno si fece avanti- nella sua acuta provocazione, i suoi gesti ed il suo fare chiedevano luce ed attenzioni. Era sicurezza e genuina gloria quella di cui si vestiva, e nel suo passo fluido si ricalcava il superiore condottiero.
Fu vicino ad Ariovisto, ed il suo fiato sapeva d’oro.
-Visto da lontano, somigliavi ad una donna.- scherno, mostrò i denti felini con un sorriso accomodante, lo scrutò da sotto i ricci scuri- mostrandosi poi incredibilmente padrone delle proprie parole, sfiorò incauto i suoi capelli biondi. [...]
|Audace AU in un minestrone di antichi. OC!Gallia, OC!Aestii, OC!Scandinavia, OC!Celt, OC!Britannia|AU- start 1755, Torino|
Genere: Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Antica Grecia, Antica Roma, Germania Magna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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tempo antico due questo Note: in questo capitolo introdurrò un personaggio particolare, parecchio difficile da trattare.
Rappresenta il popolo celta, ed è stato magnificamente creato da Kochei, che grazie alla sua arte e al suo talento, quanto la sua precisione, mi ha concesso di usarlo per questa storia. Potete trovarlo su ask-the-celts, soprannominato come papa Celt (è, tra l'altro, un ask blog divertente e dinamico, lo consiglio!).








Vi era un sentore dolce di zuccheri, un amaro mascherato dalla chimica più nuova- fastidioso ed acuto, tappava le narici e indolenziva gli umori.
Esso, prepotente, copriva l’umidità nascosta sugli alti soffitti, che pacata rimirava uno dei suoi figli accucciato e guardingo ed intimorito, livido nella sua folle anima quanto sul volto pallido.
Ariovisto teneva le mani strette e convulse, il viso stropicciato nel suo ribelle essere e nella bruciante sconfitta- giovane come lui, fiammeggiava indomita.
-Sei un cretino.- la pronuncia impura e sibilante, nuova derisione unita ad una sana curiosità, fastidiosa quanto bastava per non darle adito.
Il rosso, quel leone, lo affiancava iroso per i fatti suoi, spesso in movimento, inacidito ma compiaciuto dell’avvilente stupidità del tedesco; alzare le mani su uno studente dell’accademia militare! Sfidare rabbiosi un più che benestante dalle larghe vedute, dal potere di interessante portata.
-Si chiama Lucio, ricordati il suo nom-..- e rise di nuovo, disturbante, scuotendo la chioma rossa e folta e ribelle, sbarazzina e acuta come il suo animo.
Il suono strideva minaccioso, ed Ariovisto potè solo volgere uno sguardo eloquente alla rubiconda figura rossa di quel ragazzo che in poche parole avrebbe dovuto spiegare le sue mansioni- ed erano così simili, sotto gli sguardi beccati e la pelle e le ossa.
Vi era in lui l’essenza concentrata di isolamento e rabbia, tanto forte e odorosa da farla percepire ad Ariovisto, altro malato del vizio chiamato orgoglio. S’insinuava serpentino fra le fessure della loro corazza, e sibilante annunciava il proprio cammino- così possessiva e sicura, l’indole selvatica di entrambi chiama la terra lontana, ne ulula il nome piangendo di quei capelli e tratti diversi che l’ambiente par rigettare.
Il biondo lo aveva percepito nel passo pesante ed il borbottio di fondo, l’etichetta che solo le umili genti portavano, forse pregne d’ignoranza- si era presentato con il ghigno di una volpe, e rosso e bruno era entrato nella stanza facendo vacillare la sua solitudine vaneggiando di come e perché  “hai tentato di dare un pugno a Lucio, a quel bastardo!”.
Ignorando il compagno, Ariovisto tastò grave la luminosità scarsa della stanza, così fioca e breve, così veloce e fallacea; la candela che aveva a disposizione era un moccio consumato, e la fiammella rimaneva accucciata innanzi alle finestre e scoppiettava sull’occhio nero del ragazzo- sciocco, credere che quel lupo, quel Lucio, non avrebbe risposto alla sua provocazione- e fu un bene preoccuparsi del male e della sua vergogna, della sua becera stanza e dell’umido forte, degli occhi fugaci di quell’italiano riccioluto, poiché al loro posto vi sarebbe stata l’immagine sorridente della sua casa in territorio Austriaco, il grembo materno ed il dover lavorare a schiena curva fra borghesi e militanti.
Tastò insicuro la pelle molle e dolorante dell’occhio destro, si morse le labbra subito dopo.
-Bionda, capisci il mio tedesco?- serio, Connell, come disse di chiamarsi, volse lo sguardo ad Ariovisto; e non vi erano lampi iracondi o meschini, quale semplice e devastante normalità.
-Mi irriti.- ed ora il giovane biondo, sebbene nel suo fastidio, mostrò coinvolgimento che in effetti piacque all’altro, che sottolineò becero il “bionda”, prima di lasciargli una risata sommessa. Accennando poi ad andarsene, si alzò malamente, trascinando un fisico fin troppo alto e dal portamento contadino.
Tutto in lui era riflesso d’una natura indomita: portò fugace una mano ai pantaloni, alleviando fastidiosi pruriti e abbattendo feroce il termine di grazia, cercando un varco per uscire dalla stanza scura.
Ed il buio, tanto suadente, sussurrava rimorsi all’udito teso di Ariovisto, di nuovo malandato e goffo nella sua inadeguatezza.
Respirò per la prima volta sul guardo alto delle stelle, e la loro piccola luce intermittente- ora il volto rilassato, gli occhi stanchi nella scura immensità del vuoto, coscienti di aver cambiato vita ma non cielo.

L’accademia si svegliò su giri di valzer, vorticosi e letali nel saluto dei cadetti, brulicante d’aspettativa fra le menti acute di futuri intellettuali; dirigente, l’austero edificio si sottoponeva al principio di massima economia, quale il controllo delle attività, compartimentazione e collocamento- rigido nei costumi, pretendeva la presenza di buonsenso e dovere, intenta com’è a farsi vanto di lei stessa.
Saluta il sole in anticipo, nella pallida bruma d’un autunno malato- danza il velo di nebbia basso a terra, le divise blu ed i gesti indaffarati di chi s’è alzato presto, tanto da poter salutare con riguardo la luna.
Ariovisto stesso le fece cenno, impastato dal sonno e dall’inevitabile dolore al volto, iniettato di stanchezza, ammaccato, seguì il suo spaesamento sul pavimento liscio dei corridoi, legato ora ai suoi doveri.

S’intese presto- menagramo a chi disse il contrario- che Lucio non mosse dito o parola per aggravare la condizione del tedesco; lasciò cadere il fattaccio e non si prodigò per raccoglierlo, peggio ancora per l’orgoglio smisurato di Ariovisto, ora a testa china e traboccante di repulsione.
L’italiano giocava con carte diverse dalle sue, e parevano assai più complete e complesse, preparate ad essere utilizzate per gonfiarsi di vittorie fisiche e mentali. Lucio era un lupo, ed era più furbo di lui.
Null’altro che la solitudine, per il biondo, fu rasserenante quanto un medicinale. Ringraziò d’aver avuto un compito facile, e la mente guizzava dispettosa sia alla voce secca di Connell  “Archivia le armi bianche, biondina!” ed il fratello.
Per quanto infantile, Ariovisto sperò nella totale ignoranza di Diederik sull’accaduto, e forse di vederne la figura; non per consolarsi, quanto averla vicina.
Il giovane aveva sempre avuto una mente sensibile e felina, incontrollabile a differenza del fisico già stranamente maturo per un quindicenne, confusionaria e audace. Il pensiero si articola in più rami, e questi diventano folti e scuri, per quanto spinosi e carichi di rovi s’intrecciano, e fan fiorire preoccupazione.
Ariovisto li analizza e scruta, e non fa che paragonarli alla pianta complessa dei primi piani dell’Accademia, sì bella e pulita, quanto persa e grande.
Il salone da scherma occupava uno spazio ovale e caloroso, chiuso quanto ampio; lasciava trapassare la luce livida da piccole arcate e sapeva di polvere. Questa defluiva in spirali veloci, fendendosi attorno ai gesti rapidi degli allievi, ora spadaccini.
Portavano l’abito bianco del mestiere muovendosi secondo tecnica- eppure, curiosi, si affollavano nei dintorni di una figura particolare, che pareva dar prova della sua particolare bravura.
Il lupo non arricciava il pelo furente, piuttosto serbava controllo e forza, per poi agire guidato da istinto e acume; la marcia perfetta di una bestia letale, indomita e padrona.
Ariovisto osservò i suoi muscoli guizzare all’improvviso, ed essere precisi e delineati. Guardò con un tuffo al cuore –furioso!- il fisico prestante allungarsi e schivare e muovere passi contati, sino alla vittoria.
Lucio accoglieva sornione sia applausi che invidia, divertito dalla sua bravura.
Ed Ariovisto ora era al lato della sala in compagnia di una morsa furiosa allo stomaco, un digrignare seccato dei denti, un pulsare frenetico del suo occhio malandato.
Il fastidio di aver un tale personaggio lì innanzi ad acclamare gli applausi, quando lui doveva pulire ed accatastare spade e fioretti- un divario abissale fra alta borghesia ed umile persona, ingiusto quanto sofferente.
Il biondo fece scivolare un panno sull’elsa dell’arma più vicina, temerariamente concentrandosi su di lei e la sua linea.
-Tu, Barbaro!- la voce sonora e forte di Lucio implose, s’adornò di malizia e superiorità –Ti ho fatto troppo male ieri?- iniziò ad avvicinarsi a grandi falcate, di nuovo gli occhi scuri divennero un pozzo fondo e pieno della sua personalità. Luccicarono curiosi sulla figura del tedesco, accoppiati ad un’espressione ora torva e lunatica.
Ariovisto divenne rigido ed il cuore impazzì di conseguenza, allarmato dal pericolo ed animato dall’onta subita precedentemente. Incontrò il suo sguardo con coraggio, sapendo di non possedere null’altro di più eloquente che le iridi chiare, innaturalmente mutevoli.
-Sei stato stupido a volermi colpire, ieri.-
L’italiano sorrise ora, buono, accompagnando nel suo gesto anche i ricci scuri- e tutto in lui era un movimento armonioso ma ridondante. Lucio era padrone e soldato di una terra sconosciuta e lontana, calda e vivace e la teneva stretta a sé e cucita sottopelle come uno dei ricordi più cari.
-Io ho il dovere di farti capire quanto pericoloso tu possa essere.- mosse nuovamente il corpo verso di lui, intrappolato nella divisa, ed Ariovisto l’osservò con titubante pazienza. Ogni cosa dell’italiano era diversa e affascinante, perciò la detestava.
Il lupo concluse la sua recita indicando serio la spada che Ariovisto teneva stretta in pugno, chiamandolo guerriero, sfidandolo, facendo scivolare sulla sua lingua il tedesco con una terribile morbidezza.
-Ti sfido! Afferra la spada, sei hai coraggio!-

Il più giovane lo vide posizionarsi deciso, forte e calcolatore, e fece lo stesso di rimando. Gli aveva appena offerto una trappola, puntando dritto sul suo sentimento ferito, perché se Lucio era addestrato e talentuoso, Ariovisto ricordava l’istinto grezzo: l’uno adornato da divisa, l’altro da stracci; l’uno sorrideva sbieco, l’altro mostrava prorompente uno sguardo selvatico.
Senza un vero e proprio maestro a sorvegliare la sfida ma con occhi curiosi di pettegoli astanti, il tedesco afferrò stretto l’elsa ruvida, ad una maniera tale che Lucio rise per la sua stranezza.
Respirarono l’aria legnosa e ferrigna, prima di liberare la mente e muovere entrambi il primo passo.
Il primo di quei borghesotti intenti a parlare sommessi, non si stupì nel constatare che il bruno parava con disinvoltura gli attacchi ricevuti, mentre il secondo, non più sveglio del primo, seguiva interessato la figura del biondo sconosciuto, che ancora non era stato sconfitto.
Si agitavano in una sfida che pian piano diveniva sentita ed ansante, cambiando piedi e posizione, negli umori fragorosi che agitavano i due ragazzi.
Lucio si confermava un canide dal pelo irsuto e dal pensiero profondo- poiché Ariovisto ancora non aveva decifrato la sua decisione, non ne aveva tempo, e non aveva scorto il genunino interesse che lo aveva portato a voler dichiarare controllo su di lui, per quanto ambiguo.
L’italiano, quel gran filosofo, nel suo straparlare teneva in considerazione l’ambiente di cui era circondato, e non era intenzionato a convivere con pericoli quali un biondo giovane e rabbioso e violento, dagli occhi smeraldini e lo sguardo triste.
Continuarono quella danza sudata ed aggressiva per poco tempo, si presero tempo per conoscersi in un modo anticonvenzionale e fraintendibile; ciò prima del veloce scarto destro di Lucio, della mancina immobile e la sua lama puntata alla gola di un barbaro caduto a terra, ansante e nuovamente sconfitto.
Ariovisto tremò di nuovo, iracondo, osservando lo sguardo schifosamente benevolo dell’avversario, e percepì gli applausi di poi come sberle.
La sua netta inferiorità lo incupiva, la sua incapacità intaccava un umore che riusciva a controllare pian piano- e sperò fortemente di affinare col tempo quella sua tecnica.
Eppure aveva innanzi un ragazzo dai particolari pensieri, ed ora dalla fronte sudata, che si affrettò a smorzare la reazione della piccola folla, cacciandola con un gesto di cortesia.
- Sei stato bravo.-
Tese poi la mano, con l’intenzione di offrire aiuto- regalo che Ariovisto rifiutò, ignorandola ed alzandosi, paonazzo per la fatica e l’indignazione, eppure serissimo. Odiava mostrare una simile debolezza, e tentò, scostando lo sguardo, di camuffarla.
- Mi piaci, sei interessante.- Lucio figurò mollemente un sorriso, pungendo l’occhio già livido dell’altro con il suo sguardo felino. Ed Ariovisto, a quel tragico e terribile punto, non riuscì a reggere più la sua presenza, ed irritato, frustrato, calpestato come lui pensava d’essere cercò l’uscita, non riuscendo però ad evitare l’insistenza incredibilmente benigna del romano.
-E qual è il tuo nome?- si fece silenzio, in un trepidante attendere; una scena tanto banale quanto stupida, che pure tale, diverrà un germoglio sano ed incredibilmente potente dei loro ricordi.
-Ariovisto.-
Il biondo non si voltò, eppur ricevette, suo malgrado, un’ultima stoccata, una risata piena ora confusa dalla polvere e dalla luce, -Che nome ridicolo!-

Solo poi, nel tornare a pulire, si notò un inaspettato e forte odore di legno, ed esso sgusciava lento da travi scaffali, incredibilmente dolce, incredibilmente piacevole.








Ringraziamenti dovuti:
Grazie a H2o, Adeline_Mad, McBlebber, Aranciata_, GrandeMadreRussia, Il_Signore_di e Cosmopolita che hanno recensito. Grazie per i vostri pareri e per la vostra attenzione, risponderò in privato a qualsiasi altra domanda vogliate farmi!
Grazie infinite a Kochei e al suo meraviglioso talento, che mi ha permesso di inserire un bellissimo personaggio nella mia storia;
e grazie a te, lettore, che hai avuto buon cuore di leggere il tutto.

Baci, Blacket.
  
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