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Autore: Mattia_Brambilla    22/02/2015    0 recensioni
Pindarico viaggio alla ricerca di una musa in un borgo medievale.
Genere: Mistero, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BREVE INTRODUZIONE: ritorno a pubblicare su EFP dopo essermi dedicato ampiamente alla filosofia e allo studio, così da ampliare lessico e strutture letterarie. Spero che a qualcuno oltre me piacerà questa inezia appena scritta. Vi prego di lasciare qualche commento o un opinione (possibilmente con all'interno un forte senso critico) così da poter migliorare. Ve ne sarei molto grato.
Una volta 
una musa
mi ha cantato Baudelaire.

Parole melliflue
che dalle sue labbra smorte, ondeggianti,
giungevano a me,
scivolando per gli afflati
del suo respiro,
per la dolce pietra
serena 
del borgo,
in sul calar delle tenebre.

Non mi sussurrò che seguirla

e per le vaste vie vuote,
illuminate solo dalla luna,
le corsi dietro
tentando invano di essere la sua coda
raggiante e soffice.

Passo una via, poi un'altra,
poi svolto sbattendo i piedi,
battendo il tempo dei suoi passi di rugiada
mentre lei, muta, non faceva rumore,
quasi si preoccupasse
di non svegliare alcun chi.
Non ostentava nel suo leggiadro fluttuare
alcunché di superiore,
alcunché di divino,
se non che lei lo fosse.

Al primo lampione 
irradiante una luce rosso
sangre, vivida per l'abbraccio
moribondo degli ultimi istanti
di giorno,
sparì, 
voltandosi però prima 
per mostrarmi un sorriso.

Ah, musa dalle bianche gote,
fosti tanto crudele ad abbandonarmi per il borgo sconosciuto,
a incantarmi con quelle parole leggiadre,
con quel francese leggero, 
con quegli occhi chiari.

Sparisti dietro una fitta coltre 
mattutina
l'indomani del nostro primo incontro.
Io ti scorsi
mentre le strade non pulsavano ancora
di genti,
mentre la notte consegnava pace
al dedalo che mi intrappolò 
nella ricerca di te.

Una sillaba mia
tu non ti voltasti
e sparisti
dopo un passo.

Non ti corsi dietro 
quel giorno.
Stremato com'ero
m'accascia su un'arrugginita panchina
e mi addormentai.

Credo che ti sognai poiché al mio risvegli ti volli ricercare.

Ma per le vene della città
i globuli rossi, quelli bianchi,
le piastrine e quel che vuoi
si addensavano formando grumi,
accalcandosi agli snodi principali,
impedendomi di vedere a oltre un metro
dai miei occhi scuri.

Mi immisi nell'arteria principale e tornai a casa.

I giorni si accatastarono uguali
in quel paesotto bruno,
finemente medievale.
Non ebbi più il coraggio di discendere
le scale asimmetriche
e immergermi nella masnada fervente.

Preferii sorella miseria.

Al dì prima della sera d'addio
andai per gli scarni porti.
Odori di pesce morto e lavoro
mi ricondussero nella sfavillante 
via 
dove t'incontrai.
Lontana omai quella notte
ornata di ghirlande e spine
ove m'immersi nei tuoi larghi occhi
perdendomi.

Non ti ripensai fin la sera.

La notte è brigante 
e il treno non volle giungere,
'sì che io mi detti ai bagordi come altri mille
come me, ma con qualcosa in meno (tu).
Ti incontrai! -Che Dio mi sia testimone, che Ei mi fu
testimone- ti incontrai.
Ma dov'era il tuo sorriso?
La tua dolce voce suadente?
E quegli occhi chiari, 
perché ora trasalivano di spietata
durezza? 
Perché le tue gote ora s'inasprivano di un'acre giallo?
E i tuoi capelli sparsi e oro
perché erano attorti e consunti?
Perché le tue labbra -barca dei miei sogni-
ora parevano ebbre donne di provincia
pulsanti di cocktails e amaro sale?

Ebbi in mente il tuo viso dolce,
ora scarno,
i tuoi fianchi scabri e ossuti,
il tuo corpo ossuto, ora, deperito,
come se la nostra distanza ti avesse transumata 
in un mostro.

E il tuo francese?
Morto nella volgarità di uno stretto dialetto
sillabico, straziato da un accento tutt'altro che naturale,
lacerato e poi sparso in rivoli di parole tronfie.

Eri nata e morta in una notte, cara musa.
  
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