«Me
miserevole! Per quale varco potrò mai fuggire
l'ira infinita e l'infinita disperazione?
Perché dovunque fugga è sempre l'inferno; sono io
l'inferno…»
(John Milton, “Paradise
Lost”)
Non riesco a fermare le lacrime, continuano
a solcarmi il viso. Copiose e inutili. Non mi sono di alcun conforto,
alimentano soltanto il vuoto in me. Mi scavano dentro, acuendo il dolore e il
senso di colpa. D’altronde come potrebbe essere diversamente? È
troppo facile pentirsi adesso, dovevo essere forte allora. Ho buttato
all’aria tutto il bene fatto, gli insegnamenti di mio padre. Mi sono
comportato come le cose cui do la caccia, né più né meno.
Dean Winchester, da salvatore a carnefice. Sembra il titolo dell’ennesimo
blockbuster, solo che è di me che si parla. Di me e delle azioni
terribili che ho commesso… La cosa tremenda è che persino in
questo momento una parte di me non riesce a biasimarsi. Una vocina fredda,
lucida non fa che ripetere che si trattava di me o loro, che chiunque avrebbe
fatto lo stesso. Già, chiunque. Peccato che io non sia chiunque, peccato che io sia stato
tirato su per salvarle le persone… E poco importa che tutti mi dicano che
dovrei perdonare me stesso e che Sam aggiunga che nessuno avrebbe resistito
così tanto. Nessuno di loro era lì, nessuno ha visto cosa ho
fatto e come. E non perché io
sia un dannato professionista e tenda a compiere alla perfezione il mio lavoro,
no. Perché se il lavoro non fosse stato impeccabile, se la tortura non
fosse risultata un’opera d’arte, allora il malcapitato di turno
avrebbe avuto la possibilità di cambiare i nostri ruoli e insegnarmi un
paio di trucchetti. E io non volevo, non potevo sopportare altro. C’erano
alcuni che riuscivano a tollerare il dolore fisico; non importava quanto mi
impegnassi: scorticarli, bruciarli, farli a pezzi, tutto si rivelava inutile.
Mi riservavano lo stesso sguardo sprezzante che avevo avuto io fino a qualche
tempo prima. Quelli sono stati i più sfortunati. Potevo intravedere
frammenti dei loro ricordi, sentire le loro paure e quelli che erano stati i
loro sogni; di molti conoscevo persino il motivo che li aveva condotti sin
lì. Inutile dire che mi bastavano poche parole per distruggerli. Dopo
qualche ora la maggior parte delle anime era completamente annientata. Anche se
fossero state miracolosamente strappate all’Inferno –ad esempio
grazie all’intervento di un angelo- in nessun modo sarebbero state le
stesse. Per ognuna di esse ricordo ancora il preciso istante in cui si sono
perse. Qualcosa nei loro occhi cambiava. Il dolore, la paura, il rimorso,
venivano sostituiti da un profondo e impenetrabile nulla. Dopodiché
venivano gettate nell’abisso nell’attesa di trasformarsi, di
diventare nuovi demoni. Spesso in quei momenti arrivava Alastair, mi guardava
con occhi in cui scorgevo qualcosa di simile ad orgoglio paterno e sorrideva
dicendomi quanto fosse fiero dei miei “progressi”. Ero
l’anima con più potenziale che avesse mai visto,
nato per quello. Ogni volta che sentivo parole simili il mio desiderio di dimostrargli
tutta la mia abilità saliva esponenzialmente; avrei dato qualsiasi cosa
pur di mettergli le mani addosso, anche solo per cinque minuti. Lui questo lo
sapeva: immancabilmente rispondeva “magari un giorno”, riservandomi
poi uno sguardo impenetrabile e sparendo nuovamente.
Vorrei dire anche questo a Sam,
ma ho paura di avvelenare irrimediabilmente la sua anima così come
quello che è successo là ha fatto con la mia. In ogni caso, pur
volendolo, non riuscirei più ad articolare qualcosa di sensato: gola e
polmoni sono troppo impegnati a cercare di ispirare aria, attraverso i
singhiozzi e gli spasmi che mi scuotono, per permettermi di parlare. Non mi
accorgo di aver cominciato a tremare finché la mano di Sam non mi
stringe la spalla. Tento di riprendere il controllo, ma non riesco a calmarmi.
Respiro in singulti sempre più convulsi, rischio di iperventilare,
quando la stretta di Sam si fa più decisa e lui mi spinge lontano
dall’Impala. Lo stato in cui sono e lo shock improvviso mi prendono di
sorpresa; trovatomi di colpo senza l’appoggio della macchina finisco per
rovinare a terra. Mi guardo intorno allarmato, cercando di scorgere una
possibile minaccia. Nulla. Poso allora lo sguardo su Sam che è ancora
seduto sul cofano dell’auto. Ho smesso di singhiozzare, ma non mi fido
ancora abbastanza della mia voce per parlare. L’interrogo con gli occhi:
che diavolo è successo?! Mio fratello si alza,
lentamente. Un ghigno sulle labbra, sul viso un’espressione di disgusto
e… odio? Non ho mai visto Sam guardare qualcuno in quel modo, tantomeno
me. Un orribile pensiero comincia a serpeggiare nella mia testa, provo a
scacciarlo ma è inutile: quello che ho fatto è talmente
spaventoso d’aver spinto anche il mio stesso fratello ad odiarmi.
Nonostante non abbia ancora confessato tutto, Sam deve aver intuito qualcosa.
Adesso anche lui mi vede per quello che sono veramente e non riesce a
tollerarlo. Ma dopotutto non era difficile da immaginare: io mi odio,
perché Sammy dovrebbe pensarla diversamente?
Distolgo lo sguardo, incapace di
sostenere il suo. È solo quando mi parla che sono costretto a rialzare
gli occhi su di lui.
-“E
così Dean è questo il modo in cui hai passato il tuo soggiorno
all’Inferno… Io ero qui disperato, alla ricerca di un modo
qualsiasi per farti uscire di lì mentre tu ti divertivi a fare a pezzi
delle anime. Devo ammettere che sono sorpreso, non mi aspettavo avessi
il fegato per certe cose; valutare te stesso al di sopra di qualcun altro,
torturare per non essere torturato... Il mio integerrimo fratellone che passa
al lato oscuro, che fa comunella coi demoni. Questa sì che è una
notizia! Ma immagino che l’Inferno possa fare questo
effetto alle persone… Sai, sono contento di non essere riuscito a tirarti
fuori, averlo fatto avrebbe aggiunto un’ulteriore macchia alla mia di
certo non limpida coscienza…” Si interrompe, il suo sorriso si
allarga mentre aspetta che il peso delle sue parole mi colpisca appieno.
Ormai non posso fare altro che fissarlo, non riesco a pensare a nulla da dire.
Adesso finalmente capisco cosa facevo a quelle anime usando contro di loro le
loro azioni, l’odio che provavano verso se stesse, i loro pensieri
più segreti. Solo che questo è molto peggio: io ero il loro
aguzzino, un estraneo, un essere che disprezzavano e odiavano; invece nel mio
caso è il mio
stesso fratello a dirmi certe cose, la persona che più amo
al mondo, quella per cui morirei senza pensarci due volte, persino in questo
esatto momento… ed è proprio quello che vorrei che accadesse;
neppure all’Inferno sono mai stato ferito in maniera così profonda
e crudele. Sam però sembra avere altri piani. Infatti
continua, imperterrito: -“Perché vedi Dean, io magari avrò
sangue di demone in me ma tu, TU sei davvero un mostro e vorrei tanto che fossi
ancora a marcire laggiù! Ma dopotutto a questo posso
sempre porre rimedio…” La sua voce si fa sempre più dolce,
quasi un sussurro. Stende poi una mano verso di me, chiude gli occhi e
comincia a concentrarsi. Lo guardo senza capire, sembra stia cercando di
esorcizzare un demone... improvvisamente mi manca il respiro, comincio a
tossire e mi afferro la gola nel tentativo di riprendere a respirare
normalmente. Sento un tuono in lontananza e subito dopo lo scroscio della
pioggia. Piccole macchie nere mi danzano davanti agli occhi, mi sento scivolare
via quando un nuovo orrore mi restituisce alla realtà: la pioggia
toccando il terreno si trasforma in sangue. Ormai sono immerso in una vasta
polla di liquido rosso, un puzzo nauseabondo mi invade le narici e devo
trattenere i conati di vomito. Tutto ad un tratto riesco a respirare
nuovamente, qualsiasi cosa stesse facendo Sam ora ha finito. Cerco di
rialzarmi, ma sono inchiodato a terra. Una mano venuta fuori dal sangue e
composta della stessa materia mi stringe la caviglia. Presto viene raggiunta da
un’altra mano che mi afferra la gamba, poi da un’altra che mi
ghermisce il polso. Osservo queste figure liquide formarsi per poi avvinghiarsi
disperatamente al mio corpo. Sono disgustose ed emettono dei fiochi lamenti, la
maggior parte di loro ripete incessantemente il mio nome. Lancio un urlo e
cerco di liberarmi, ma la loro morsa è ferrea. Vengo
preso dal panico ed in quel momento Sam riprende a parlare: -“Ho pensato
fosse una cosa simpatica farti trascinare nuovamente all’Inferno dalle
anime che hai torturato. Non pensi anche tu che sia in qualche modo
poetico, Dean? Chissà se anche stavolta Alastair sarà lì
pronto ad occuparsi del suo pupillo, ne dubito fortemente comunque. Lo show di
poco fa deve averti fatto perdere parecchi punti…”
Ormai sono completamente terrorizzato.
Vorrei ragionare con Sam; fargli capire che ho commesso azioni terribili e che
sì, merito l’Inferno, ma che lui è pur sempre mio fratello
e che anche se non riesce a perdonarmi, non merito che sia proprio lui
–la persona per cui sono passato attraverso tutto quello- a punirmi; ma
riesco ad articolare soltanto una flebile supplica: -“Ti prego,
Sam…”
-“Perché non preghi Dio, Dean? Può darsi che mandi di nuovo i suoi angeli a salvarti, anche se credo che persino lui si sia finalmente reso conto che non sei altro che un patetico figlio di puttana che non merita alcuna pietà…” Sorride nuovamente ed è questa l’ultima cosa che vedo, perché in quel momento le mani cominciano a trascinarmi verso il basso e non posso scorgere altro che il rosso del sangue e il nero del nulla.