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Autore: Akemichan    22/02/2015    4 recensioni
"Per gli Alleati e per la Germania, sarà il giorno più lungo." E. Rommel.
Il 6 Giugno 1944 è il giorno che ha cambiato le sorti della Seconda Guerra Mondiale, permettendo agli alleati di sbarcare in Francia ed iniziare la controffensiva contro la Germania. Tuttavia, è stato anche il giorno che ha cambiato le sorti di molti soldati presenti, sia i morti e i sopravvissuti.
Come Sabo, nobile francese, che si è ritrovato a fare i conti fra il suo sogno, la sua famiglia e un paese invaso da liberare. Come Ace, che è diviso tra il desiderio di vendicare un fratello e il dovere di proteggere l'altro, senza dimenticare la promessa che ha fatto ad entrambi. E assieme a loro le storie delle persone che amano, dal fratellino Rufy con il sogno di diventare campione olimpico a tutte quelle persone che hanno caratterizzato la loro vita fino a quel fatale 6 Giugno.
Questa è la loro storia, la storia di tutti loro.
1° Classificata al Contest "Just let me cry" indetto da Starhunter
2° Classificata al Contest "AU Contest" indetto da Emmastar
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ace/Marco, Koala, Marco, Monkey D. Rufy, Sabo, Sabo/Koala, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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1941 - Parte I
 
 
National Training Center Fort Irwin, 15 Febbraio
 
Odr Junior era uno dei fortunati finiti nella lista degli estratti per il Servizio di Leva Obbligatorio post-1940. Nonostante fosse alto più di due metri e con le spalle di un nuotatore, non si sentiva affatto adatto alla vita del soldato. E a suo modo gli addestramenti che facevano lo dimostravano, perché il suo nome finiva sempre in fondo alla lista dei risultati ottenuti.

L'ansia da prestazione era particolarmente forte durante gli esami di controllo, quando le prove da sostenere aumentavano di livello, e a ciò imputava le sue cattive prestazioni. Normalmente sarebbe riuscito a superare la parete dell'arrampicata, con difficoltà, certo, ma ce l'avrebbe fatta. Invece era lì da cinque minuti e non riusciva a salire per quella dannata corda per più di due metri e gli erano passati praticamente davanti tutti quelli dei turni di partenza successivi. Non aiutava il fatto che l'istruttore continuasse ad urlare che avrebbero dovuto completare il percorso in un tempo prestabilito, pena corse supplementari.

Riprovò per l'ennesima volta ad arrampicarsi su quella corda, con le braccia che ormai gli facevano male. Sentì le mani che scivolavano e capì che sarebbe caduto, ma poi la sua corsa si arrestò e lui istintivamente strinse maggiormente la corda e puntò i piedi sulla parete di legno che stava cercando di scalare.

Poi si rese conto che c'era qualcuno che lo stava sostenendo, perché avvertì una presa ferrea sul gomito. Si voltò: accanto a lui un altro ragazzo stava scalando la parete e riusciva a tenersi in equilibrio sfruttando la forza delle gambe; in questa maniera era in grado di sostenere il peso di entrambi.

Gol D. Ace. Nonostante fossero nella stessa unità ed avessero iniziato l'Addestramento Individuale Avanzato assieme, Odr non ci aveva mai scambiato una parola. Il nome di suo padre lo precedeva e per questo erano tutti un po' diffidenti, se non apertamente ostili, nei suoi confronti. E lui stesso sembrava non essere interessato a nessuno.

«Spingiti coi piedi e non mollare la presa» gli disse Ace. Strinse maggiormente le gambe attorno alla corda, tolse la mano ed in un istante la riafferrò cinque centimetri più in alto. Poi si appoggiò per un piede contro una parete e lo usò per darsi una spinta più in alto. Ripeté l'operazione un paio di volte, poi strinse la presa contro il braccio di Odr, che non aveva lasciato, e praticamente lo sollevò fino a fargli raggiungere la sua stessa altezza.

Odr cercò di aiutarlo come poteva spingendosi con i piedi, ma non osava lasciare la presa sulla corda quando Ace saliva per paura di cadere e trascinarli a fondo assieme. Finì quindi per farsi sollevare come un peso morto fino sulla cima, dove praticamente si gettò sul parapetto, felice di avere di nuovo i piedi su una superficie solida.

«Grazie» mormorò ad Ace, che dopo avergli fatto raggiungere la cima l'aveva raggiunta un attimo dopo. Lui alzò le spalle.

«Figurati.» E senza aggiungere altro si gettò per lo scivolo che c'era dall'altra parte della parete per proseguire il percorso di guerra.

Solo in quel momento Odr si ricordò che dovevano concludere in un certo tempo prestabilito e si affrettò a seguirlo. Fece appena in tempo, anche se l'occhiata che l'esaminatore gli aveva lanciato non era delle più esaltanti.

Non riuscì a rivedere Ace fino alla sera, perché le prove avevano occupato tutta la giornata e passò il tempo a mensa con gli altri ragazzi con cui aveva legato. Quando furono tutti riuniti nella camerata comune per il tempo libero prima dello spegnimento della luce, ognuno occupato con le proprie faccende, decise che un ringraziamento era d'obbligo.

Ace era seduto sul suo letto e usava un libro come tavolo per scrivere una lettera, per cui Odr si sentì in imbarazzo a disturbarlo, limitandosi a stare in piedi e a pensare a come introdurre l'argomento. Fu Ace che avvertì la sua presenza ed alzò la testa. «Ehi.»

«Ciao.» Odr fece un timido sorriso. «Grazie ancora per oggi, mi hai davvero salvato.»

«Non è stato niente.»

«Niente? Io ancora mi chiedo come tu abbia fatto a tirare su questo bestione!»

«Vero! Quanto peserà, centoventi chili?»

Odr, a mensa, aveva raccontato quello che era successo ai ragazzi dell'esercito con cui aveva fatto amicizia più profondamente, Squardo e MgGuy, che avevano fatto l'Addestramento di Combattimento Basilare con lui a Fort Benning. I due erano rimasti molto impressionati.

«Non è stato davvero niente» ripeté Ace. Sebbene fosse soddisfatto che il suo talento venisse riconosciuto, ormai si era abituato ad essere il disadattato della compagnia e quella situazione era quasi strana. «Mio nonno mi faceva sollevare di peggio.»

«Aspetta, vuoi dire che tuo nonno era persino peggio del nostro istruttore? Com'è possibile?» domandò Squardo.

«È possibile se ti chiami Monkey D. Garp, credimi.»

I tre soldati lo fissarono: ovviamente era un nome molto conosciuto in America, visti i meriti ottenuti durante la Grande Guerra.
«Non sapevo che l'Eroe della Marina e Gol D. Roger fossero parenti» commentò Squardo, infine.

Odr lo notò subito, il cambiamento d'espressione di Ace. Prima era abbastanza tranquillo, ma non appena era stato fatto il nome di suo padre si era praticamente paralizzato, con gli occhi fissi in avanti. Quasi non respirava.

«Infatti non lo sono» rispose fra i denti, con fatica. «Garp si è preso cura di me, ma non è davvero mio nonno.»

«Ah! Perché anche tua madre è morta, vero...» Squardo non sembrava affatto essersi accorto di quello che aveva scatenato. «Ma perché proprio Garp? Insomma, è praticamente l'opposto di Roger...»

Ace si alzò di scatto. «Vado a pisciare» annunciò. Poi si fermò a metà strada verso il bagno, si voltò e aggiunse: «Io non ho mai incontrato mio padre e non me ne fotte nulla di lui, per cui vi sarei molto grato se evitaste di nominarlo in mia presenza».

«Sei stato poco delicato» commentò Odr, una volta che fu rimasto solo con i suoi due amici.

«Che?» Squardò alzò un sopracciglio, scrutandolo. «Ho solo fatto delle domande. Non c'è niente di male.»

«A dire la verità, pareva anche a me che non ne volesse parlare» intervenne McGuy.

«Sì, ma abbiamo il diritto di sapere, no?» Squardo era convinto di non essersi comportato scortesemente. «Insomma, Gol D. Roger è stato giustiziato per aver disertato. Non esattamente un'accusa leggera per un soldato. Sinceramente io vorrei sapere se mi posso fidare di qualcuno sul campo di battaglia, e come inizi non sono incoraggianti, ecco.»

Odr sapeva che i pensieri di Squardo erano condivisi dalla maggior parte dei soldati della compagnia, era il motivo per cui praticamente nessuno aveva cercato di avvicinare Ace nei primi mesi d'addestramento. Non importava che fosse praticamente l'unico volontario del gruppo, se suo padre aveva disertato non c'era motivo di credere che lui non l'avrebbe fatto.

«Non sono incoraggianti i suoi inizi?» ripeté Odr. «Se non fosse stato per lui, io oggi non avrei passato il test. Voi dove cazzo eravate, esattamente?»

McGuy e Squardo rimasero interdetti: era raro che lui esprimesse così veementemente i suoi sentimenti e che prendesse posizione. Non risposero alla domanda, perché sapevano che era retorica: durante i test di solito erano tutti ognuno per sé. Tranne Ace, a quanto sembrava.

«Io ho ascoltato attentamente il discorso che il Generale Newgate ci ha fatto quando siamo arrivati qui tre mesi fa. Ha detto che non importava chi eravamo, ci avrebbero formato loro se gliene avessimo dato la possibilità» proseguì allora Odr. «E io ho intenzione di dare una possibilità ad Ace. Lui non è suo padre e lo giudicherò per quello che è. Finora, ho visto solo un soldato che è meglio di chiunque altro qui dentro.» Dopo averlo aiutato, infatti, era riuscito comunque a terminare il percorso di guerra con il miglior tempo.

Ace tornò dal bagno e si riaccomodò sul suo letto, recuperando la lettera. Si era calmato, ma aveva evitato di guardare i tre uomini affinché capissero che non era una buona idea parlare di quell'argomento. Già odiava suo padre, e detestava ancora di più il fatto che fosse obbligato ad usare il suo cognome invece che quello di sua madre, ma nei documenti ufficiali era così. Introdurre l'argomento madre avrebbe potuto essere potenzialmente pericoloso per chiunque.

«A chi scrivi?» domandò Odr gentilmente.

«A mio fratello.» Ace apprezzò il cambio nella conversazione. «È un miracolo che non abbia ancora combinato qualche grande casino senza di me» aggiunse, perché parlare di Rufy lo metteva sempre di buon umore. «È un impulsivo, ingenuo e non si ferma davanti a niente, sono sempre molto preoccupato per lui...»

E Odr notò di nuovo un cambio d'espressione netto: spesso e volentieri Ace era serio, o semplicemente annoiato. Invece, mentre parlava di suo fratello, gli occhi gli brillavano ed improvvisamente ci si chiedeva perché non avessero notato prima quant'era simpatico.

«Ehi, volete fare una partita a briscola, mentre aspettiamo che spengano la luce?» domandò McGuy. «Ho bisogno di distrarre la mente dopo i test di oggi.»

«Idem» annuì Squardo. Non sembrava ancora convinto della situazione, ma non aveva aggiunto altro. Odr guardò Ace.

«Massì, tanto se Rufy incendierà Boston stasera non è che io ci possa fare molto.» Ripose libro e lettera nel baule dei suoi averi personali ai piedi del letto e raggiunse gli altri tre soldati.

 
National Training Center Fort Irwin, 3 Marzo
 
Il Colonnello di Brigata Marco bussò all'ufficio di uno dei responsabili del National Training Center di Fort Irwin, suo diretto superiore, il Generale Edward Newgate. Quando non ricevette risposta, aprì ugualmente la porta e lo vide seduto alla scrivania, al telefono. Poiché gli aveva fatto segno, entrò e si accomodò su una delle sedie, in attesa.

«Bene, allora cortesemente fatemi il favore di andare tutti al diavolo!» Così terminò la conversazione telefonica, con la cornetta sbattuta con forza.

Marco non era estraneo a comportamenti del genere, per cui ridacchiò. «Prima o poi si stancheranno di sentire lei che li manda a quel paese.»

«Nah, finché gli sarò utile sopporteranno» ribatté Newgate, accomodatosi meglio sulla sua enorme poltrona.  «È così che funziona questo paese. Uno scandalo può distruggerti, un atto eroico esaltarti per sempre e far sopportare qualsiasi eccentricità. E poi se lo meritavano» aggiunse.

«Non lo metto in dubbio» disse Marco gentilmente.

«Avanti, ragazzino, dimmi tutto.» Non importava che fossero passati anni e promozioni, gli uomini che aveva allenato personalmente rimanevano sempre dei ragazzini, per lui. E per loro lui era sempre il loro comandante, quasi più di un padre.

«Volevo parlarle a proposito di uno dei soldati della compagnia che sto addestrando io da dicembre.»

«Gol D. Ace» intuì immediatamente Newgate.

Marco spalancò gli occhi per un attimo: non era facile stupirlo, ma il generale ci riusciva sempre, soprattutto per come anticipava le sue mosse. «Vedo che sa tutto, come sempre» commentò.

«Devo essere informato di quello che succede nella mia base» fu la replica, soddisfatta. «Ma non so esattamente tutto. Per esempio, non so perché sei preoccupato.»

«Sembro preoccupato?»

«So che lo sei.»

Marco sorrise, un accenno appena a ricordo di quanto l'uomo davanti a lui lo conoscesse bene e da anni. «Sarò molto franco, allora. Gol D. Ace è il miglior soldato che mi sia mai capitato di addestrare. Ha delle mancanze a livello teorico e spesso è impulsivo, ma il suo istinto in guerra è ottimo e i suoi risultati impressionanti.»

«Ho letto le valutazioni. Non ero rimasto più così colpito da quando ho addestrato te e gli altri, lo ammetto.» Naturalmente, non aveva mai nascosto le sue preferenze ed era stata una sua decisione tenere con sé quegli uomini, senza considerare che aveva fatto pressioni perché ottenessero le promozioni che riteneva meritassero.

«Non credo ci sia bisogno di specificare chi sia suo padre.»

Newgate sbuffò. «È un problema per gli altri soldati?»

«Lo era, ma non più. È riuscito a conquistarli tutti» spiegò Marco. Era preoccupato all'inizio, doveva ammetterlo, perché notava la diffidenza con cui gli altri fissavano Ace e l'ostilità con cui lui li ricambiava, ma alla fine le acque si erano calmate. «Durante uno dei test, ha aiutato un altro soldato. Piano piano, si sono affidati tutti a lui per migliorare. Se la cava come leader.» Certo, c'erano ancora dei problemi, ma nulla che non si verificasse normalmente. Era impossibile evitare antipatie in gruppi così grandi ed eterogenei.

«Meglio così. Sarebbe stato seccante che pagasse per un errore giudiziario.»

«Lei è ancora convinto che sia stato un errore.» Quella storia Marco la conosceva. Be', la conoscevano tutti in America, aveva fatto scalpore vent'anni prima poiché essere un disertore era forse la cosa peggiore per i patrioti degli Stati Uniti. Però si era informato meglio quando aveva scoperto che avrebbe avuto il figlio di Roger come allievo e solo in quel momento si era reso conto che le connessioni con il suo Generale erano più profonde di quello che credeva.

«Non ne sono convinto, lo so» sbuffò Newgate. «Roger, con il suo comportamento, aveva messo in luce tutte le mancanze dei nostri superiori. Nessuno era stato contento, e così l'hanno fatto tacere» spiegò. «Era una testa calda, è stato facilissimo trovare degli episodi ambigui e girarseli come volevano loro. Io non ho potuto farci niente» aggiunse, con mestizia. «Ah, naturalmente anche Garp lo sapeva. Loro due si conoscevano da anni. Tutte le persone intelligenti d'America lo sapevano, e sono sempre state molto poche.»

Questo spiegava il perché Garp avesse allevato Ace: Marco se l'era effettivamente chiesto, quando l'aveva scoperto. Tuttavia, stavano divagando dall'aspetto principale della conversazione, perciò per quando avesse voluto sapere di più sull'intera questione e sul rapporto che intercorreva tra tutte quelle personalità dell'esercito e della marina, riportò la conversazione sui binari corretti.

«Crede che la vicenda di suo padre abbia influenzato la vita di Ace?» domandò.

«Difficile pensare il contrario. È rimasto orfano sia di padre sia di madre. È cresciuto con un unico parente, un nonno. Impossibile che non abbia influito» commentò Newgate, dopo un attimo di riflessione. «Ma se mi stai chiedendo quanto abbia influito anche nella sua decisione di entrare nell'esercito... Non te lo so dire. So che è motivato, questo sì. Ma quale sia la motivazione, dovresti dirmelo tu.»

Marco sospirò. «Non ne ho idea. Gol D. Ace è un autentico mistero, per me.» Newgate aveva alzato leggermente le sopracciglia e l'aveva fissato intensamente, ma non aveva aggiunto altro: aspettava. Per cui Marco decise di proseguire: «La prima volta che l'ho visto, pensavo fosse un tipo introverso. Vista la sua storia, sarebbe stato naturale. Poi l'ho visto sorridere con altri soldati ed era come vedere una persona completamente diversa: aperta, divertente».

Fece una pausa, cercando di richiamare alla memoria degli episodi che potessero servire a spiegare meglio il suo problema. «Durante le azioni di lotta è preciso, letale, quasi crudele, ma poi si gira e sarebbe disposto a dare un braccio per un altro soldato. Fa discorsi maturi per un ragazzo della sua età, poi si irrita e compie le peggiori stupidaggini.» Sarebbe potuto andare avanti ad oltranza con gli episodi, per cui fu grato quando Newgate stesso lo interruppe.

«A te piace questo ragazzo.»

«Be', sì» ammise Marco, un po' stupito dalla frase. «Come le ho detto, è il miglior soldato che mi sia mai capitato.»

«Quanti anni hai detto che ha?»

«Dovrebbe averne compiuti diciannove quest'anno, dovrei controllare nel fascicolo...» E poi capì che quella domanda aveva ben altre implicazioni, e non erano innocenti. «Generale, sono offeso da questa insinuazione. Sono venuto per un consiglio professionale, nulla più.»

Newgate scoppiò a ridere. «Dio, non ti vedevo così imbarazzato da anni!» Ci mise un attimo a calmarsi da quello scoppio d'ilarità. «Scusami, ma parlavi davvero come una ragazza del suo fidanzatino, non ho resistito. Spiegami ancora qual è il problema professionale

«Il punto è che non lo capisco,  non so cosa aspettarmi da lui e questo mi preoccupa.» Marco decise di ignorare completamente quella parte della conversazione. «Ho l'impressione che sia disperato per qualcosa e che pensi che essere un soldato lo faccia sentire meglio, per qualche motivo.» Anche se, come sempre, il Generale ci aveva preso in pieno: gli piaceva anche come persona, non solo come soldato. Gli piaceva il suo comportamento verso i compagni, la sua voglia di vivere e il suo sorriso.

«E ho l'impressione che questa disperazione avrà la meglio su di lui, prima o poi» concluse.

«Ho capito» annuì Newgate, che rifletteva con gli occhi chiusi. «Pensi che la disperazione possa derivare dal fatto che vuole dimostrare di essere meglio di suo padre.»

«Esatto» confermò Marco. «Speravo che quando gli altri lo avessero accettato, avrebbe capito che era diverso da suo padre. Ma vedo ancora quella disperazione, a volte. Ho paura che finisca per esplodere.»

«La mela non cade mai lontano dall'albero. Tale padre tale figlio. Proverbi cretini, se vuoi la mia, ma non sarebbe strano un sentimento del genere.» Newgate si alzò in piedi, ergendosi in tutta la sua spropositata altezza. «Non voglio perdere un ragazzo promettente per una colpa che non ha.»

«Nemmeno io» dichiarò Marco. Per rispetto, decise di alzarsi, ma era molto difficile guardarlo negli occhi da quella posizione e capire che cosa pensava. «Che cosa posso fare?»

«Non introdurre l'argomento padre, questo di sicuro. Ma so che non l'hai fatto.» Entrambi erano uomini abbastanza intelligenti e sensibili da capire che sarebbe stato peggio prendere il toro per le corna. «Tienilo d'occhio più che puoi. Se quello che temi deve succedere, succederà. Assicurati solo di essere lì a spegnere l'incendio prima che si propaghi.»

«Sissignore.»

Quando Marco uscì dall'ufficio, non era sicuro di sentirsi più rilassato. Newgate aveva capito bene la situazione, ma, come lui, sapeva che non c'era altro da fare che aspettare. I loro timori erano solo sensazioni, dopotutto. Potevano anche non avverarsi, ma ne dubitava. Se erano bravi come comandanti era anche perché prevedevano i problemi fra i soldati.

Non voleva perdere Ace, né come soldato né come persona. Newgate aveva ragione a dire che gli piaceva, anche se non nel modo in cui aveva insinuato scherzosamente. Era semplicemente un apprezzamento per qualcuno che aveva tante qualità positive.

Marco era certo che se Ace avesse fallito come soldato, se avesse fallito nel dimostrare quello per cui si impegnava tanto, avrebbe perso una parte di sé, forse quella che lo rendeva così speciale. Marco era intenzionato a non farlo succedere, in alcun modo.
 

 
National Training Center Fort Irwin, 11 Maggio
 
Ciao Ace!
Ho ricevuto il tuo regalo di compleanno, grazie mille. In realtà è arrivato qualche giorno prima, ma ho aspettato ad aprirlo che fosse il giorno giusto. È stato il migliore, come sempre. Il nonno invece mi ha regalato un libro sulla storia della marina militare in Italia, una noia pazzesca. L'ho messo in camera tua perché non posso buttarlo, non ti dispiace, vero?
 
Ace ridacchiò. Le lettere di Rufy lo mettevano sempre di buon umore, sia per la loro totale mancanza di stile, sia perché raccontavano sempre avventure idiote. Non che l'idea di regalo di Garp fosse nuova, ogni singolo anno doveva essere qualcosa di legato alla marina. Era una specie di tentativo di lavaggio del cervello, ma senza successo.
 
Questo è il primo compleanno in cui non c'eri ed è stato un po' triste. Ma non preoccuparti, ho invitato tanta gente e ho fatto una festa fighissima in stile hawaiano. Mi sono anche ubriacato, quello è stato meno bello. Pensavo di aver vomitato anche le budella. Ah, e mi ricordo la metà delle cose che sono successe a quella festa, ma non importa.
 
Ace roteò gli occhi. Rufy aveva appena compiuto sedici anni, non era una buona ragione per farlo ubriacare. Cosa aveva in mente quel pazzo di suo nonno? Conoscendolo, avrebbe detto che un vero marine doveva imparare anche ad affrontare le sbronze. Anche se Rufy sembrava tranquillo, gli dispiaceva non esserci stato.
 
A te come va? Sai, in realtà ero un po' preoccupato quando il nonno mi ha detto che il Generale della base era un vecchio amico di tuo padre. Scusa, so che non ne dovrei parlare, però ero davvero preoccupato. Le tue prime lettere dalla California mi sembravano un po' strane. Ma adesso sembra che le cose vadano meglio. È successo qualcosa? Forse è una mia impressione... Fammi sapere se va davvero tutto bene. Sono grande adesso, posso aiutarti!
 
Rufy era stupido e poco accorto nella maggior parte degli avvenimenti e dei comportamenti, ma a volte era davvero, davvero empatico per quanto riguardava i suoi sentimenti. Questo gli faceva piacere e lo irritava alla stessa maniera perché non avrebbe mai voluto che il suo fratellino si preoccupasse per lui. Era il fratello maggiore, a lui spettava portare il peso delle situazioni. Eppure, spesso, capitava che fosse Rufy la sua ancora.

E aveva azzeccato anche questa volta. Ace non era stato felice di dover utilizzare il cognome di suo padre, a differenza di quello di sua madre con cui si presentava di solito. Ma erano documenti ufficiali, e ufficialmente non aveva mai chiesto il cambio. Finire nella base di un conoscente di Roger aveva solo peggiorato le cose. Ma il National Training Center di Fort Irwin aveva il tipo di addestramento avanzato che voleva e rinunciarci avrebbe davvero significato permettere a suo padre di influire ancora sulla sua vita.

I primi tempi erano stati difficili, perché non riusciva a fidarsi degli altri soldati. Aveva paura che lo vedessero non per quello che era, ma per quello che rappresentava. Anche a Fort Jackson, per l'Addestramento di Base per le Reclute, era stato così, ma almeno erano state solo dieci settimane, sapeva che difficilmente avrebbe rivisto i suoi compagni oltre quel tempo.

Il National Training Center di Fort Irwin era totalmente diverso, perché era dove aveva intenzione di passare almeno l'anno dell'addestramento obbligatorio, prima di una possibile entrata in guerra. Stare così a lungo con persone diffidenti senza poter condividere nulla era stato frustrante. Inoltre, era l'unico volontario della sua compagnia, di fronte agli altri che erano obbligati e non condividevano il suo entusiasmo. Perciò si limitava a fare il suo dovere e lo faceva al meglio.

Però poi Odr era venuto a parlargli e da quel momento era iniziato tutto. Era il migliore del corso, lo sapeva e lo sapevano tutti. Piano piano, si erano affidati a lui per migliorare ed Ace era ben contento di poter essere d'aiuto e di sentirsi importante. E di avere un gruppo con cui condividere la vitaccia da soldato. Non si era accorto di quanto evidentemente fosse stato rilassante per lui avere delle persone che poteva davvero considerare amici in quella base, lontano da Boston e da suo fratello. Rufy l'avevano notato anche prima che lo facesse lui.
 
Ma veniamo alle notizie positive. Tre giorni fa ho fatto un torneo di pugilato, una specie di audizione per un torneo più grande. E ho vinto! È stata una figata perché c'erano avversari davvero fortissimi provenienti da tutto lo stato.
Ma ce l'ho fatta! Sono stato scelto e andò a fare le selezioni per i nazionali! Ovviamente le Olimpiadi sono lontane, soprattutto adesso che c'è la guerra, ma in ogni caso sto iniziando a farmi conoscere! Te l'avrei detto prima e ti avrei chiesto se volevi venire, ma è stata una cosa improvvisa. Non importa, ci saranno altre occasioni per farmi delle foto. Magari potresti avere una licenza per i nazionali, sarebbe bello! Ti farò sapere. In ogni caso devi impegnarti all'addestramento perché se la guerra continua addio Olimpiadi. Conto su di te!
Ah, ti allego un articolo che hanno stampato sul torneo, parlano di me! È una cosa fighissima. Adesso il mio pugno è davvero forte come un colpo di pistola!
 
Ace frugò nella busta e ne estrasse l'articolo tagliato da uno dei giornali principali di Boston. A quanto pare Rufy non esagerava, era davvero l'occasione che aspettava per iniziare la sua carriera. Certo, era un articolo molto breve, ma si trattava comunque di un torneo giovanile, era una soddisfazione notevole. La scuola che Rufy frequentava non era famosa per aver creato dei campioni, probabilmente cercavano di spingere su un cavallo vincente.

Avrebbe voluto esserci a vedere Rufy vincere. Però aveva una missione da compiere, se voleva rispettare le ultime volontà di Sabo la prima cosa da fare era fermare la guerra in modo che le Olimpiadi riprendessero. E l'avrebbe fatto.

«Ehi, ragazzi!» chiamò. L'interno dormitorio si voltò nella sua direzione. «Guardate qui.» Alzò il ritaglio di giornale davanti a sé. «Mio fratello ha vinto un torneo e andrà ai nazionali. Hanno scritto di lui sul giornale!»

La stanza si riempì di  applausi e fischi d'approvazione. Ace parlava spessissimo del fratellino, molto più di quanto parlava di se stesso, e lo conoscevano tutti. Da amici, condividevano la sua soddisfazione per i successi di Rufy.

«Be', mi venga un colpo se non è una cosa di famiglia» commentò McGuy. «Volete lasciare qualche vittoria anche a noi oppure no?»

«Se lo chiedi gentilmente, ti manderò un biglietto per la cerimonia di premiazione» rispose Ace, guardandolo divertito.
«Mi pagherai anche il viaggio?»

«Adesso non allarghiamoci!»

Sentendo la confusione nel dormitorio, il Sottotenente Doma aprì la porta e tossì per attirare l'attenzione. «Stiamo per spegnere le luci» avvertì truce. «Non è il momento di fare confusione.»

Ace alzò gli occhi. Tra lui e Doma, che apparteneva ad un'altra compagnia ed era più anziano in termini di servizio, c'era stata subito rivalità, forse perché erano entrambi volontari ma i suoi risultati erano decisamente superiori, nonostante il minor tempo trascorso ad allenarsi. E Doma era uno dei pochi che considerava ancora importante chi fosse suo padre e glielo faceva presente ad ogni occasione.

Siccome era felice per i risultati ottenuti da Rufy, Ace era in vena di fare polemiche.  «Mi scusi, Sottotenente, potrebbe voltarsi un attimo?» domandò. Allo sguardo stupito che ricevette, spiegò: «Vogliamo vedere chi ha ragione qui, se lei è davvero così o ha una scopa su per il culo».

La scena era già abbastanza divertente in sé, ma i soldati cercavano di trattenersi. Era difficile farlo se si guardava la faccia di Doma, che era passata dalla sorpresa all'arrabbiatura, gonfiandosi nel tempo di tre secondi netti. Ace decise di aggiungerci un carico da undici. «Sa, non ci ho fatto caso perché non passo il tempo a guardarle il deretano, tanto per quello basta la sua faccia.»

L'intero dormitorio scoppiò a ridere, coprendo le grida di Doma che cercava di farli smettere promettendo terribili punizioni che non poteva mantenere, perché non aveva l'autorità per farlo. Ace rise compostamente. Considerava la serata decisamente riuscita, fra le buone notizie da Rufy e la soddisfazione che s'era preso nei confronti di Doma.

I soldati capirono che non era il caso di irritarlo più del necessario e, una volta che si furono calmati, si prepararono ordinatamente prima che arrivasse l'orario stabilito per lo spegnimento delle luci. Ace ripose la lettera di Rufy assieme al pacco delle altre precedenti, ma decise che l'articolo meritava un posto più speciale. Aveva portato con sé la foto di Sabo, per ricordarsi in ogni momento perché era nell'esercito e che sopportava le privazioni per una buona ragione. La teneva avvolta in una busta di stoffa affinché non si rovinasse e nello stesso posto ripose anche l'articolo, piegato accuratamente.
 
  
National Training Center Fort Irwin, 9 Giugno
 
Turno di guarda alla base. Due ore di ronda al buio attorno ai dormitori. Era impossibile che succedesse qualcosa e lo sapevano tutti, serviva solo per addestrare i soldati. Ace consciamente lo capiva, ma il suo corpo protestava per il fatto di doversi svegliare per due ore nel cuore della notte e di restare comunque inattivo. Fortunatamente nella base si trovavano abbastanza uomini per fare in modo che il proprio turno accadesse solo una volta a settimana e, se era fortunato, divideva il tempo con qualcuno di simpatico di qualche altra compagnia.

Quella sera non era stato fortunato, dato che gli era capitato Doma come compagno di turno. Il grado di Sottotenente non lo risparmiava da certi tipi di dovere. Però le due ore stavano per scadere e Ace riteneva una vittoria essere riuscito ad evitarlo fino a quel momento. Poiché mancavano pochi minuti, decise di finire il turno vicino al suo dormitorio, dove avrebbe dovuto chiamare il suo cambio se quest'ultimo non si fosse svegliato per tempo, cosa che succedeva spesso.

Girò l'angolo e si ritrovò faccia a faccia con Doma. «Mi stai evitando?»

«Non sufficientemente bene, a quanto pare» sospirò Ace. C'era fin troppo astio fra di loro per nasconderlo. Almeno avrebbe dovuto sopportarlo per pochi minuti.

«Oh, be', la cosa non mi stupisce.» Doma non sembrò impressionato dalla cosa. «Alla fine la codardia è di famiglia.»

Ace odiava che si facessero insinuazioni su suo padre e lo detestava soprattutto quando non avevano fondamento. Lo evitava per resistere alla tentazione di spaccargli la faccia, non per paura. Si limitò a scoccargli un'occhiata seccata e a cercare di superarlo per raggiungere il suo dormitorio, ma Doma gli sbarrò la strada.

«Codardo.»

«Dillo un'altra volta e forse rimpiangerai che non lo sia davvero» mormorò Ace pericolosamente.

«Ehi, che cattiveria. E io che volevo fare solo un attimo conversazione.» Ace lo guardò con uno sguardo da “non me la bevo” e tentò nuovamente di proseguire. «Soprattutto su questa foto.»

Era buio, ma per Ace fu immediatamente chiaro a che fotografia si riferisse. Il solo pensiero che l'avesse in mano lui era insopportabile. Sapeva che c'erano rischi di furti nei dormitori, motivo per cui non aveva portato con sé la sua macchina fotografica, ma non aveva mai pensato che si potessero attaccare a qualcosa di così poco valore. Anche se per lui aveva un valore inestimabile. «Ridammela.»

«Mi stavo chiedendo perché la conservassi con tanta cura» continuò Doma, facendo un passo indietro per mettersi lontano dalla portata del suo braccio. «Non è tuo fratello, no?» Come osava. «Allora chi è? E mi pare un po' piccolino per, insomma... Ho visto soldati tenere così solo le foto delle proprie ragazze.» Come osava.

«Ridammela.» Il tono di Ace si era fatto basso. E parlava lentamente. Doma poteva non conoscere la storia che intercorreva fra lui e il soggetto nella foto, ma avrebbe dovuto essere più sensibile e attento alle reazioni che stava causando. Invece non riuscì a prevedere quello che sarebbe successo: sorrise e strappò la foto a metà.

I due  pezzi non fecero in tempo a cadere a terra che Ace gli era già addosso. Lo gettò a  terra, si sedette su di lui e lo prese a pugni finché  non avvertì il sangue sulle nocche delle mani. Allora si alzò e quando vide che cercava di rimettersi in piedi lo colpì ancora, al torso. Doma alzò le braccia per proteggersi, ma arrivò il punto in cui non ce la fece più. Gli stava pregando di smetterla piangendo.

Il sangue che era affluito alla testa lentamente tornò a scorrere normalmente ed Ace fissò quello che aveva fatto con distacco. Non era stata una buona idea, una cosa del genere poteva costargli il congedo dall'esercito con disonore. Credeva di essere diventato più paziente durante l'addestramento, ma bastava che qualcuno gli toccasse la famiglia e non riusciva più a ragionare. Forse era davvero come suo padre, dopotutto.

Raccolse le due parti della fotografia strappata e lasciò Doma lì, senza aggiungere una parola. Girò l'angolo per il suo dormitorio e si ritrovò davanti a Squardo. Lo sguardo terrorizzato gli fece immediatamente capire che aveva visto tutto.

«Che cosa hai fatto?» esalò.

«Mi ha provocato.» Ace sapeva che come giustificazione suonava debole, anche se era la verità. Avrebbe dovuto addentrarsi in maggiori spiegazioni riguardo al perché si fosse arrabbiato, ma non voleva farlo. «Non lo dirai a nessuno, vero?»

Squardo deglutì. «Ma... Anche se non lo faccio, lui sa che sei stato tu e... e...»

«La sua parola contro la mia. E tutti sanno che mi odia.» Ace gli diede una leggera pacca sulla spalla e lo superò. «Conto su di te.» Era di certo più sicuro di quanto appariva, perché sapeva di essere stato stupido.

Lasciò Squardo al suo turno di guardia, rimise la foto strappata al suo posto, sollevato che l'articolo di Rufy fosse ancora integro all'interno, e si sdraiò a letto. Non riuscì a dormire, però. Maledisse se stesso e il suo atteggiamento: per proteggere un pezzo di carta poteva aver perso l'occasione di vendicare sul serio suo fratello.
   
 
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