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Autore: K anonima    23/02/2015    1 recensioni
Lui ha spazzato via tutto il mio passato.
Lui mi ha fatto credere in un futuro diverso.
Lui mi fece del male amandomi.
Ed io non potei farne a meno.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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"Caro Amico,

è passato molto tempo dall'ultima volta che ti ho scritto e non so perché io abbia aspettato così tanto prima di farlo.

Forse ho pensato che non ne avessi più bisogno, ma ho troppe cose da farti sapere.

Penso ancora molto alla nostra ultima discussione, ci penso talmente tanto che mi sembra di sentire la tua voce anche adesso.

Perchè mi hai lasciato qui? Perché mi hai lasciato ad affrontare la vita da sola?

Da quando non ci sei mi sento persa, qualcosa dentro di me è cambiata. Tu l'hai portata via con te.

Mi mancano i tuoi sorrisi, la tua risata e la tua presenza.

Mi manca l'effetto che facevi alla gente.

Mi mancano i giri in bicicletta d'estate e i film d'inverno.

Da quando non ci sei anche gli altri sono cambiati. Il mondo è diventato grigio e noi non siamo più gli stessi.

Ieri, per la prima volta, mi sono fatta coraggio e sono andata al cimitero. Mi ha messo ansia scegliere i fiori da portare sulla tua tomba. Quando sono arrivata ho incontrato tuo padre, piangeva.

Sulla lapide c'è la foto che ti ho scattato, quella che ti piaceva tanto. Mi ha fatto piacere, è giusto che le persone possano vederti così per sempre. Come sei.

Mi dispiace, ma non ce l'ho fatta. Essere forte non mi è mai riuscito bene. Ho pianto.

Ho pensato al fatto che io non ti abbia mai detto grazie. Eppure tu eri mio amico lo stesso, senza che ti fossero riconosciuti i meriti.

Grazie perché è merito tuo se adesso vivo la vita come voglio viverla.

Grazie perché quando ti penso, sorrido.

Grazie perché mi hai fatto amare.

Grazie perché nonostante tutto tu c'eri ed io, te lo assicuro, non ti dimenticherò mai.

Rammenta, questo non è un addio, è solo un arrivederci."

Posai la penna e fissando il vuoto aspettai che la sveglia suonasse .

Anche quella notte era passata insonne.

Mi trascinai verso lo zaino, ci infilai un tacuino, delle matite e scesi le scale. Creepers con la suola da 5 cm, pantaloni neri strappati e strettissimi, maglia degli Architects, felpa nera e via.

Ma chi cazzo me lo fa fare?

«Anna dove stai andando?»

«A scuola, come ogni fottuto giorno del cazzo»

«Quante volte ti ho detto che in questa casa le parolacce non sono ammesse?!»

«Fanculo»

Uscii di casa e con la mia solita lentezza mi incamminai verso quel luogo di tortura.

La terza liceo, decisamente ambientato nell'inferno di Dante. Forse è per questo che lo si studia proprio quell'anno.

Varcai il grande cancello che recintava quella prigione autoimposta e mi sedetti sotto un albero. Mi guardai intorno.

«Sfigata, ti ha aggredito un orso per caso? Quei pantaloni sono così chic». Francesca, colei che la mattina fa colazione con pane e cattiveria. Di ricca famiglia, bella e popolare. Chiunque avrebbe voluto essere sua amica, a parte me. All'età di sei anni eravamo inseparabili tanto che ci scambiavano per sorelle, ma questa è un'altra storia.

Feci una smorfia infastidita e tornai ai miei pensieri.

Se mangiasse un po' del trucco che si spalma sulla faccia sarebbe più carina dentro. O forse sarebbe colpita da un'intossicazione.

Scarabocchiai sul mio taccuino per qualche minuto.

«Amica, già nervosa stamattina?»

«Hai schivato l'incontro con madame perfidia, Andrea».

Lui, amico dai tempi delle elementari. Nonostante ascoltasse musica di merda, avevo apprezzato la sua compagnia dal primo incontro. Compagni di banco dalla seconda media, un'amicizia d'acciaio.

«C'è un novellino» mi disse facendo un cenno con la testa verso il cancello.

Davanti a quella visione sbarrai gli occhi.

Altro che novellino, un bronzo di Riace. Lo osservai attentamente: i lunghi capelli biondo cenere gli cadevano sulle spalle in modo perfetto, la maglietta nera era talmente attillata da lasciare poco all'immaginazione, i jeans neri e strettissimi e la giacca in pelle nera, la mascella squadrata e guance scavate.

«Anna, è suonata la campanella. Quando avrai finito di spogliarlo con gli occhi fammi un fischio»

«N-no aspettami arrivo. Non dire cazzate, stavo solo...»

«Ok ok è bello lo ammetto anche io»

«Sai di che anno è?»

«Non lo so, ma immagina se lo assegnano alla nostra classe. L'infarto di tutte le nostre compagne»

«Già, che cavolata.»

Arrivammo in classe e appoggiai lo zaino sul banco. "Oh no, la mia penna è in giardino".

Mi girai e mi misi a correre, sarei arrivata in ritardo alla lezione di nuovo.

"Ahi!", sbattei contro qualcosa. Una porta forse?

«Stai bene? Non ti avevo visto arrivare» mi disse una voce calda e virile.

«Coglione, dopati di meno. Non sei una persona, ma un muro» ero stesa per terra, il mio equilibrio era già abbastanza precario senza che mi imbattessi in armadi umani.

«Scusami ancora. Sai dov'è la 3^D?»

Alzai la testa e non potei credere ai miei occhi. Rimasi a bocca aperta. Da vicino era ancora più bello. Mi alzai e mi sentii affogare in quei grandissimi occhi blu.

«Mi sai rispondere o devo chiedere a qualcun'altro?» chiese alzando un sopracciglio.

Non feci a tempo ad aprire la bocca che un'altra voce esclamò «Te lo dico io, non badare a questa idiota. Metti gli occhi su di me, ti ci porto io in 3^D»

Francesca non si sarebbe fatta scappare l'occasione e il suo ghigno lo confermava.

Rimasi con gli occhi fissi su i suoi e lui ricambiò il mio sguardo.

La sua espressione sembrava serena e cortese, mi senti quasi imbarazzata. Sul mio viso apparve un piccolo, dolce sorriso.

«Sono Alex» disse piano porgendomi la sua mano.

Io la strinsi e risposi «Anna, piacere». La sua stretta era vigorosa e avvolgente, le sue mani, morbide e grandi.

«Bambolina stupida sei rossa come un pomodoro, non voglio vedere mentre te la fai addosso. Alex, io sono Francesca e sono sicura che diventeremo grandi amici o anche di più...» lo prese per un braccio e lo trascinò lontano.

Io distolsi lo sguardo, imbarazzata.

Di che classe aveva parlato prima? Non mi ricordo, caspita.

Recuperai la mia penna e tornai in classe.

«Signorina, non può continuare ad arrivare tardi alle mie lezioni» disse la professoressa di italiano vedendomi entrare.

«Scusi, cause di forza maggiore» risposi a testa bassa.

Prima di sedermi al mio posto alzai lo sguardo e lui era lì, un po' spaesato e stretto in mezzo a Francesca e le sue oche da compagnia.

Cercai non pensarci, ma mi fu difficile.

Stupida, stupida, stupida.

L'incognita che ormai abitava la mia mente era riguardo il suo carattere. Bello avevo appurato che lo fosse, ma come era nel profondo? I tempi in cui ero una ragazza superficiale erano finiti da molto tempo. Ero più spensierata, ma molto più sciocca.

Appoggiai la testa sul banco e mi lasciai cullare dalle onde dei miei pensieri.

«Anna, sono passate tre ore. Se sei viva dammi un segno» bisbigliò Andrea.

«Sì. Cosa. Che c'è?» chiesi... troppo forte.

«Voi due. State zitti per favore, non potete disturbare sempre le mie spiegazioni» esclamò la prof.

Feci una smorfia e tornai a navigare in un grande mare desolato.

   
 
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