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Autore: _Wonderwall_    24/02/2015    2 recensioni
Lysander Scamander, oramai arrivato al suo ottavo anno ad Hogwarts, poteva affermare che aveva tutto e che, molto probabilmente, era la persona più felice in quel dannatissimo castello.
Lorcan Scamander era tutto quello che non voleva essere.
Ted Lupin era soddisfatto della sua vita.
Alice Paciock era diversa. Era totalmente diversa da suo padre sia per aspetto fisico che per carattere e sua madre le aveva conferito giusto qualche tratto del viso.
James Sirius Potter era stanco. Era stanco ed aveva cominciato a stancarsi alla tenera età di quattordici anni.
Axel Lovegood era strano. Era tutto ciò che ci si potesse aspettare da qualcuno appartenente a quella famiglia.
Louis Weasley era normale.
***
Una generazione che ha avuto tutto senza dover fare nulla, figlia di eroi, ma normale, dannatamente umana.
E se si trovasse davanti ad un pericolo peggiore del precedente? Una generazione senza eroi sarà in grado di vincere o perlomeno sopravvivere?
“Ognuno di noi è un eroe”
“Gli eroi non esistono”
“Vedi, Lily, in una guerra non ci sono né vincitori né vinti, solo morti e sopravvissuti”
“Vivere senza di te è come morire”
(Nella mia storia gli anni passati ad Hogwarts non sono più sette, ma nove)
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alice, Paciock, Alice, Paciock, Jr, James, Sirius, Potter, Lorcan, Scamandro, Louis, Weasley, Lysander, Scamandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 15

 
 
 
Ronald Weasley credeva veramente che tutto fosse finito quella dannata notte.
Aveva perso suo fratello, conquistando un buco dentro di sé che mai sarebbe guarito, ma aveva cercato di consolarsi dicendo che quella era finalmente la fine. Che avrebbero avuto tutta la vita per onorare a dovere la morte di Fred, tutti insieme. Senza problemi.
Ma quando mai Ronald Weasley aveva avuto ragione? Quando mai le cose andavano come ci si aspettava che andassero?
Facile: mai.
Dopotutto avrebbe dovuto aspettarselo. Mica aveva chiesto lui di essere su un cavallo decapitato al primo anno e di certo si sarebbe risparmiato di seguire i ragni al secondo –andiamo, a quale stupido verrebbe mai in mente di seguire i ragni (a quanto pare al suo migliore amico)- , avrebbe fatto volentieri a meno di farsi quasi staccare una gamba al terzo anno o irrompere nel ministero al quinto, per non parlare della ricerca degli Horcrux.
Ma l’aveva accettato perché poi era tutto finito. Nella sofferenza sì, ma era riuscito a rialzarsi e non poteva davvero credere che quella non fosse stata la vera fine.
<< Lumus >> sussurrò, portando la bacchetta davanti agli occhi.
Di colpo la casa si illuminò, lasciandolo di sasso.
Tutto era perfettamente al suo posto. Niente era stato toccato, la casa era in perfetto ordine, niente ad indicare che probabilmente era stato commesso un omicidio lì. Ma c’era qualcosa che non quadrava e Ron se ne accorse subito.
Era troppo scuro, troppo silenzioso. E quell’odore. Lui lo conosceva bene, sapeva di morte.
Sentì i passi leggeri dei suoi colleghi alle sue spalle e deglutì, pensando ad Hermione. Aveva una brutta sensazione e, anche se raramente aveva ragione, quando sentiva che qualcosa di non troppo buono sarebbe successo quello, beh, accadeva.
Poi vatti a spiegare perché.
Che ironia che ha la vita.
Distolse i pensieri da casa sua dove probabilmente sua moglie lo stava aspettando in piedi, nonostante fosse l’una passata, davanti a una tazza di thè, preoccupata come ogni volta.
Lei non si era mai abituata a quelle ronde notturne. Hermione era pronta sempre a rischiare la vita, ma quando era Ron a farlo non poteva far a meno di preoccuparsi con tutta se stessa.
Ronald fece qualche passo avanti seguito dalla sua squadra. Dean Thomas lo seguiva a un passo di distanza e quello lo confortava.
Dean era un ottimo auror e, in caso di battaglia, avrebbero avuto buone possibilità. Erano nove, tutti preparati, tutti pronti a rischiare la vita.
Il salotto si presentò davanti ai loro occhi come il più normale dei salotti. Un divano grigio, un tappeto antico, una televisione a plasma e un tavolino in legno dove erano posati degli occhiali e un libro ancora aperto.
Un pianoforte era poco distante e la lampada appesa al soffitto spenta.
Normale. Se non fosse stato per la donna che tranquilla era in piedi in mezzo al salone, con la bacchetta, illuminata da un incantesimo, puntata contro il proprio viso.
Ron la riconobbe. Non avevano mai parlato tanto ed erano passati anni, ma Ron la riconobbe.
<< Cho >> disse, rilassandosi.
Cho Chang sorrise e l’ex Grifondoro ricambiò senza accorgersi di quello che sarebbe successo di lì a poco. Abbassò la bacchetta nello stesso momento in cui Cho puntò la sua verso di loro.
Ron non l’aveva notato, ma Dean sì. Aveva visto gli occhi di Cho e li aveva trovati vitrei, come se dentro di lei non ci fosse niente.
Prima che la donna pronunciò l’incantesimo Dean spinse l’amico di lato, facendolo cadere sul pavimento con un tonfo.
Un lampo di luce verde fuoriuscì dalla bacchetta di Cho e colpì Dean Thomas in pieno petto.
L’uomo guardò Ron per un ultima volta e poi cadde a terra. Gli occhi spalancati, la bocca aperta come per dire qualcosa che non sarebbe mai più riuscito a pronunciare.
Dean Thomas cadde a terra, morto.
Cho puntò la bacchetta verso di sé, sulla fronte. Non pronunciò alcun incantesimo e con un sorriso fece apparire un Marchio Nero. La maglia che indossava venne ridotta a brandelli da un altro incantesimo, lasciandola in reggiseno ed un altro Marchio Nero comparve sul petto.
Uno degli auror si avvicinò a lei con la bacchetta sguainata, ma fu sbattuto all’indietro da uno schiantesimo tanto forte da farlo svenire.
Tutti la guardavano ipnotizzati. Provarono ad avvicinarsi e a lanciare qualche incantesimo per fermarla, ma ogni cosa veniva fermata da un protego così potente da nemmeno scalfire la donna di mezz’età.
Ron non poté far altro che guardarla, come tutti, sapendo già quello che sarebbe successo tra poco. Osservò il viso calmo e rilassato e quegli occhi che finalmente aveva notato essere vuoti e si accorse che Cho era sotto imperio. Osservò le poche rughe che erano apparse sul viso ancora giovanile, guardò le onde dei capelli scure arrivare fino alla vita, il corpo magro.
Cho era così simile a tanti anni fa che gli risultò difficile riuscire a credere a quello che stava accadendo.
Sentì la paura farsi strada dentro di sé, insieme alla consapevolezza di non poter fermare quello che sarebbe successo e ai sensi di colpa per Dean. Dean, uno dei suoi più cari amici era morto, e Cho lo avrebbe seguito in breve tempo.
Tutti osservarono il punto interrogativo, seguito dalla fatidica frase ‘chi sarà il prossimo?’, comparire sulla pancia piatta della donna.
Lei sorrise, come in pace con se stessa, ignorando il sangue che colava dalla testa, dal petto e dallo stomaco, dove già esistevano delle cicatrici.
Puntò la bacchetta alla testa.
<< Avada Kedavra >>
Il corpo di Cho cadde a terra.
 
 
 
È giusto spendere due parole in memoria di chi ci ha lasciati.
Dean Thomas aveva combattuto coraggiosamente al fianco di Harry Potter durante l’ultima battaglia contro Voldemort. Aveva finito gli studi e poi era entrato all’accademia degli auror dove aveva incontrato una brillante strega, sposandola dopo cinque anni di fidanzamento.
A trent’anni aveva avuto una bambina, Madison Thomas, e solo due anni dopo si era aggiunto alla famiglia Mark Thomas.
Dean Thomas era un uomo coraggioso, un marito dolce, un padre amorevole, un amico fidato.
Dean Thomas non sarebbe mai stato dimenticato.
 
Cho Chang era stata una studentessa intelligente, una ragazza caritatevole e una combattente coraggiosa. Non si era sposata, ma aveva dato alla luce una bambina, Sonja Chang, a soli venti anni. Lavorava al ministero all’ufficio misteri e passava i week end con i suoi bellissimi nipotini.
Cho Chang era stata una brava persona e non sarebbe stata giudicata per quella fine.
 
 
 
 
 
 
 
Hermione Granger aprì la porta di casa sua, trovando davanti a sé suo marito. Ron era sconvolto.
Entrò in casa senza dire una parola, si lasciò abbracciare e circondare dall’amore e dal sollievo di Hermione, sapendo che, se non fosse stato per Dean, lui non sarebbe stato lì. Non l’avrebbe mai rivista. Non avrebbe mai rivisto i suoi bambini.
Dean. Dean era morto. Dean era morto per colpa sua. Dean era morto per salvarlo.
Ron restò in silenzio per ore, fissando senza muoversi la tazza di thè sul tavolo ed Hermione gli fece compagnia senza chiedere niente, senza forzarlo a parlare. E Ron gliene fu grato.
Passarono le tre e poi le quattro, le cinque e le sei. E Ron non aveva ancora parlato, non si era ancora mosso, non aveva spostato lo sguardo.
Hermione guardò l’orologio e capì di dover fare qualcosa.
<< Ron >> lo chiamò, sussurrando.
E le sembrò di essere tornata a più di venti anni prima, quando erano alla ricerca di quei dannati Horcrux e Ron non faceva altro che ascoltare la radio e fissarla senza parlare, senza guardarla davvero.
E le sembrò di essere tornata alla fine di quella battaglia, quando Ron si era buttato piangendo sul corpo di Fred, senza lasciarlo andare. Senza riuscire a credere alla sua morte, urlandogli di alzarsi, di aprire gli occhi, di dire qualcosa.
E le sembrò di essere tornata a quando avevano visto il corpo di Harry e tutti avevano creduto che fosse morto e Ron lo aveva fissato colpevole di non essere riuscito a fermarlo.
E le sembrò di essere tornata al funerale di Fred e ai mesi successivi, quando Ron non parlava e non mangiava.
Le sembrò di essere una ragazzina senza il potere di cambiare le cose, inutile. Si sentì piccola e indifesa.
Strinse le braccia intorno al busto come a consolarsi e si avvicinò a suo marito, poggiandogli una mano sulla spalla.
<< Ron >> ripeté con più decisione << Cosa è successo? >> gli chiese.
Ma lei non era più una ragazzina e si ricordò che avevano superato tutti quei momenti. Si ricordò di essere una donna forte e che molte volte era stata lei a far risollevare Ron. Si ricordò che inutile non lo era mai stata, non si era permessa di esserlo. E non lo sarebbe stata nemmeno quel momento.
Non era lei ad aver bisogno di consolazione, non ne aveva mai avuto bisogno.
Circondò le spalle di Ron in un abbraccio e lui si lasciò andare, posando la testa sulla sua spalla, stremato.
Non lo sentì singhiozzare, ma si accorse che stava piangendo.
<< Dean è morto e Cho Chang si è uccisa >>
Hermione non commentò e lo strinse di più, chiudendo gli occhi a sua volta e sentendo che si inumidivano ad ogni sussurrò di Ron.
<< Dean è morto per colpa mia >> disse Ron. << E’ morto per colpa mia >> ripeté.
Ron continuò a piangere sulla spalla di Hermione, ripetendo quella frase come se non riuscisse a crederci.
 
 
 
 
 
 
<< Le regole le conoscete. Niente maledizioni senza perdono, ma è un duello a tutti gli effetti e quindi dovete provare a vincere e non essere troppo gentili con l’altro >>
Ted ripeté comunque le ‘famose regole’, guardando i due contendenti sul palco nella stanza di Difesa Contro Le Arti Oscure.
Filip Karante e Ivan Rontik si fronteggiavano, uno davanti all’altro, bacchette alla mano e sorrisi spavaldi.
Tutta la sala era riempita da studenti di ogni scuola, dal primo all’ultimo anno, che fissavano la scena cercando di non perdersi nemmeno un particolare di quello scontro. Finalmente il giorno della prima sfida tra i due campioni scelti dal calice era arrivata e tutti non aspettavano altro che l’inizio di quell’incontro.
I professori e i tre presidi erano nelle prime file, seduti su una panchina fatta apposta per loro. Il preside di Dumstrang guardava con orgoglio i suoi studenti, mentre la gigantessa, preside di Beauxbatons, li fissava con sguardo divertito e incuriosito. La McGrannit invece sorrideva tranquilla, con le mani giunte sul grembo e le gambe accavallate in una posizione elegante.
Teddy fissò i due e scese dal ‘campo di battaglia’, sedendosi sulla panca alla destra di Lumacorno, che fissava i ragazzi con le mani sulla pancia e le labbra piegate in un sorriso.
La preside di Hogwarts si alzò e lanciò delle scintille verso il soffitto incantato.
<< Che il primo duello abbia inizio >>
Filip si avvicinò al suo avversario. Fecero entrambi un inchino e si allontanarono di tre passi l’uno dall’altro.
Uno.
Due.
Tre.
Dei lampi rossi uscirono dalla punta delle bacchette nello stesso identico momento e si infransero l’una contro l’altra rendendo i colpi innocui.
Filip fu il primo ad attaccare di nuovo, mancando però il bersaglio che si spostò leggermente di lato. L’altro rispose con un incantesimo di disarmo che venne bloccato da un protego ben eseguito.
I duelli erano la specialità di Filip. Quando aveva saputo che il campione si sarebbe deciso con un duello era stato molto più che contento e quando era venuto a conoscenza che il suo avversario sarebbe stato Ivan aveva quasi fatto i salti di gioia.
Si potevano dire tante cose su Ivan Rontik, che fosse coraggioso, intelligente, bravo in quasi tutte le materie, discreto giocatore di quidditch, bel ragazzo, buon partito. Ma di certo non ci sapeva fare con la bacchetta. Almeno non quanto Filip.
Si era davvero impegnato durante quelle settimane. Ci aveva davvero provato, si era allenato e aveva duellato tutti i giorni, cercando di raggiungere un livello accettabile. Cercando di avere almeno una possibilità di vincere.
Ma il duello finì dopo nemmeno dieci minuti.
Ivan fu scaraventato violentemente contro la parete. Svenne per il colpo e la bacchetta cadde accanto al corpo senza sensi.
Un boato di esclamazioni e incitazioni si sollevò nella sala, facendo sorridere il campione di Dumstrang.
 
 
 
 
Dire che Laila fosse preoccupata era decisamente un eufemismo. Non che fosse male con la bacchetta, ma i duelli la innervosivano. Era sempre stato così e sempre lo sarebbe stato.
Senza contare che l’unico posto dove aveva avuto la possibilità di duellare era tra le mura rassicuranti della sua scuola, sotto lo sguardo attento dei professori e con ragazze che si preoccupavano anche delle minima unghia rotta. Roberta era una di quelle e questo consolava un po’ la bionda.
Diede una veloce occhiata alle sue unghie. Erano corte, prive di smalto e decisamente poco curate. Non ci aveva mai pensato più di tanto, succedeva ogni tanto che passasse dello smalto dai colori pastello quando era in compagnia delle sue amiche, ma per lei non erano mai state niente di importante.
Ci aveva anche provato a portarle lunghe per un certo periodo di tempo, periodo che era durato a malapena una settimana, dopo la quale aveva cominciato di nuovo a morderle.
Il corridoio che portava alla Sala Grande si riempì di mormorii eccitati e subito dopo decine e decine di studenti si riversarono nello spazio. A Laila piacevano i posti affollati perché non le davano la possibilità di rimanere sola. Odiava stare sola.
Anche solo essere circondata da persone che ridevano e parlavano, anche se non con lei, le dava un senso di benessere, la faceva sentire parte del mondo.
Se puoi sentire le loro parole, se puoi sentire le loro risate, se avverti il loro profumo, se li vedi allora significa che sei viva.
Se sei da sola cosa ti impedisce di pensare che in realtà tu non esisti? Che in realtà non sei morta?
Quella era la sua più grande paura. Non la morte, perché dopo essere morta per lo meno non avresti sentito niente, non te ne saresti accorta. Ma la solitudine.
La spaventava a morte restare da sola.
Quel giorno le lezioni era state cancellate e Laila non poteva esserne più contenta, il tempo libero le avrebbe dato la possibilità di esplorare un po’ il castello, fare una passeggiata in riva a quel lago che le era sembrato un paradiso e magari farsi un giro per il prato immenso di Hogwarts. Sarebbe andata volentieri anche nella Foresta Proibita, aveva sempre amato passeggiare nei boschi, ma sarebbe sicuramente stata sola se fosse andata lì e, come diceva il nome, era proibita. Il che voleva dire che non avrebbe potuto avventurarsi.
Aveva un grande rispetto per le regole, Laila. Non aveva mai passato quella fase di ribellione che, come secondo una legge non scritta, doveva appartenere a tutti gli adolescenti e soprattutto a tutti quelli della sua famiglia. Sua cugina era stata davvero un problema per i suoi genitori: feste, fughe di casa con i vari ragazzi, fumo, alcol, droga.
Ma a diciannove anni aveva messo la testa a posto ed adesso, al contrario di tutte le aspettative, era entrata all’università di medimagia ed era anche piuttosto brava.
Ma la peggiore era stata, ed era ancora, sua sorella maggiore. Ventuno anni e ancora con lo spirito ribelle di una ragazzina.
Lei no. Non era mai stata così e mai lo sarebbe stata. D’altronde qualcuno di responsabile in famiglia doveva anche esserci.
Lei era sempre stata l’orgoglio dei suoi genitori, non perché fosse la figlia perfetta, era molto lontana dall’esserlo, ma perché non avevano nient’altro a cui aspirare.
Quando avevano scoperto la sua omosessualità erano stati costretti a chiudere un occhio in confronto all’overdose che aveva rischiato di uccidere Eve, sua sorella maggiore.
Si arrotolò la sciarpa intorno al collo e uscì all’esterno del castello.
Quasi ogni studente di ogni scuola era lì. Chi da solo, chi in gruppetti, tutti si godevano la giornata libera e l’aria decisamente rigida, essendo ormai novembre, non impediva loro di divertirsi. O leggere un semplice libro. O cantare una qualche canzone.
Laila sorrise e si strinse maggiormente nel cappotto. Nel chiacchiericcio concitato degli studenti si avvicinò al Lago Nero, dove un paio di coppiette erano abbracciate o qualche amico scherzava, cercando di buttare l’altro in acqua.
Inciampò su qualcosa e cadde a terra, fermando la caduta con le mani appena in tempo per impedirsi di battere la testa, ma si ritrovò ugualmente qualche filo d’erba in bocca.
<< Oh, ti sei fatta male? >> disse un voce femminile.
Laila alzò la testa e si girò incontrando uno sguardo chiaro su di lei. Si mise a sedere, ripulendosi ancora la bocca dalla terra e scrollandosi i vestiti.
Non era inciampata su qualcosa, ma su qualcuno. Guardò la ragazza davanti a sé e le sorrise come a rassicurarla.
<< No. Scusa se ti sono venuta addosso, non ti avevo visto >> rispose.
Lei alzò le spalle con noncuranza.
<< Figurati >>
Laila la guardò. I capelli rossi erano lunghi e lisci e le arrivavano fino sotto la vita, il viso era un ovale, le guance leggermente paffute, la pelle candida, il naso piccolo, la bocca rosea e dei grandi e limpidi occhi celesti, circondati da folte ciglia.
Il corpo esile e una generosa spruzzata di lentiggini sul naso, sulle guance e sparse per il viso.
Sorrise di nuovo e si accorse che i denti davanti avevano un piccolo difetto, essendo leggermente separati, ma era un bel sorriso. Esprimeva gioia.
<< Io sono Lucy Weasley >> si presentò, tendendole una mano.
Lei la strinse a sorrise a sua volta.
<< Laila Scerlì >>
 
 
 
<< Di solito vado in biblioteca nei giorni di pausa >>
Laila rise, girandosi a guardare la ragazza stesa al suo fianco.
<< Studi sempre? >> chiese.
Lucy scosse la testa.
<< La biblioteca mi rilassa, è l’unico posto dove sai troverai solo Rose >>
<< Chi è Rose? >>
<< Mia cugina >>
Erano sdraiate sull’erba oramai da mezz’ora, chiacchieravano, ridevano e scherzavano come due amiche di vecchia data. Laila aveva scoperto che Lucy era più piccola di lei di tre anni. Frequentava il quinto anno di Hogwarts. Aveva però problemi a memorizzare ogni incantesimo ed era sicura che l’unico motivo per cui i professori la mandavano avanti era che la sua famiglia era famosa.
<< Sai anche mia cugina parteciperà al Torneo? >> disse la rossa, tornando a guardare le nuvole.
Il cielo cominciava a farsi scuro e osservandolo attentamente potevano distinguersi un paio di stelle e la luna che aspettava di brillare.
Forse erano le sei. Tra un’ora ci sarebbe stata finalmente la cena. Era così affamata.
<< Rose? >>
<< No, Lily >>
<< Ma quanto cugine hai? >>
Lucy rise, dandole uno schiaffetto leggero sul braccio e contagiando anche l’altra.
Continuarono a parlare per una decina di minuti, di tutto o di niente. Laila le disse che era nervosa per il duello e Lucy le aveva raccomandato di stare tranquilla e limitarsi a dare il meglio.
<< Lucy, andiamo dentro? >>
Una voce maschile interruppe le ragazze ed entrambe si voltarono per guardare il nuovo arrivato.
Laila si trovò di fronte un ragazzo alto, con la pelle mulatta, i capelli scuri così come gli occhi. Le fissava stranito, ma ricambiò il sorriso che la bionda gli rivolse.
Lucy si alzò, sorridendo al ragazzo e scrollandosi la gonna della divisa che aveva indossato anche quel giorno.
<< Certo Fred >> poi si rivolse alla sua nuova conoscenza ed agitò la mano << Ci vediamo, Laila. È stato un piacere conoscerti >>
Lei annuì e le sorrise, salutandola a sua volta.
 
 
 
Il piatto che aveva di fronte scomparve appena Laila pensò di essere arrivata al suo limite.
Quel giorno era decisamente affamata. O meglio, era nervosa. E quando era nervosa mangiava.
Forse però non era stata una grande idea. Tra solo un’ora avrebbe avuto il suo duello e forse andarci così pesante l’avrebbe svantaggiata.
Se devo perdere è meglio farlo a pancia piena. Pensò, alzandosi dalla tavolata.
Quei cinque giorni erano stati decisamente divertenti. Aveva incontrato un’altra volta Lucy, questa volta in biblioteca (ok, forse l’aveva cercata lì) e avevano studiato insieme quel giorno. L’aveva aiutata con la trasfigurazione e si era accorta che la ragazzina aveva uno sviluppato talento in erbologia dove lei, invece, non eccelleva.
Dopo si erano viste ogni giorno e avevano studiato insieme o semplicemente chiacchierato di qualcosa di stupido.
Aveva incontrato un paio di volte anche il ragazzo con la carnagione mulatta, ma si erano a malapena salutati e sapeva il suo nome solo perché aveva sentito Lucy chiamarlo. Fred. O Freddy, dipendeva dall’umore della ragazza. 
Era probabilmente il suo ragazzo, aveva ipotizzato Laila. E questo un po’ la disturbava. A lei Lucy piaceva. Cioè, non provava emozioni forti per lei, a malapena la conosceva, ma c’era alchimia tra loro e Laila sapeva che sarebbero potuto essere buone amiche.
E poi era attratta da lei. Lucy era molto carina. Non sexy, non provocante, ma attraente. I lineamenti erano dolci, esattamente come lei, e a volte la facevano sembrare più piccola di quella che in realtà era. E a Laila piaceva.
Si diresse verso l’esterno, cercando un posto dove avrebbe potuto provare a calmarsi. Si sedette sugli scalini e poggiò il viso sulle mani, sbuffando aria condensata per quanto fosse freddo.
Anche quel giorno avevano avuto la possibilità di indossare vestiti normali, essendo state sospese le lezioni per il secondo duello. Il suo.
Laila aveva scelto qualcosa di semplice, dei leggins pesanti, un maglione largo e delle scarpette da ginnastica. Non molto elegante, ma decisamente comodo e confortevole.
Avvertì qualcuno sedersi accanto a lei e si girò incontrando gli occhi scuri di Fred che la osservavano.
<< Ciao >> sorrise lei.
<< Ciao >>
Entrambi rimasero in silenzio e la ragazza spostò lo sguardo verso il panorama. Non sapeva cosa dire. Non era poi così brava nella conversazione, a volte troppo timida per iniziare a parlare.
Fortunatamente ci pensò lui perché a Laila non piaceva il silenzio.
<< Senti, tu sembri una brava ragazza, ma questa cosa non può funzionare >>
Lei aggrottò le sopracciglia.
<< Quale cosa? >>
<< Tu e Lucy >>
Laila aprì la bocca e lo guardò negli occhi senza sapere bene cosa rispondere. Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe e strusciò tra di loro le punte dei piedi, tanto per tenersi occupata.
<< Non sto cercando di rubarti la ragazza >> borbottò, continuando a guardare il terreno.
Okay, forse, e solo forse, ci aveva pensato un paio di volte. Ma questo non significava che ci avrebbe davvero provato. Una cosa che avrebbe sempre rispettato erano i legami tra le persone e lei non avrebbe mai diviso qualcuno di sua spontanea volontà, non si sarebbe mai permessa. Non le piaceva giocare con i sentimenti.
Quel pensiero le fece tornare in mente un paio di occhi celesti e una folta chioma nera, accompagnata da un viso e da un corpo perfetto.
Scosse la testa, cercando di liberarsi dell’immagine di Arielle. Non si erano più parlate.
Lei non le si era più avvicinata e Laila si era guardata bene dal farlo. Standole lontano avrebbe avuto più possibilità di dimenticarla.
Ma Laila lo sapeva che non era facile. Credeva di averlo fatto, di essersela finalmente tolta dalla testa, ma poi l’aveva rivista e le sue certezze erano crollate.
Perché Arielle era bellissima.
La risata di Fred interruppe i suoi pensieri, cogliendola di sorpresa. Laila alzò il viso e cercò gli occhi dell’altro che però non riuscì ad incontrare. Il ragazzo era piegano, con gli occhi chiusi ed una mano sulla pancia, cercando di fermare la risata.
Ha una bella risata, pensò Laila, è divertente.
Il Grifondoro si asciugò gli occhi con la t-shirt che aveva indossato sotto il cappotto e guardò nuovamente la bionda ancora con un sorriso divertito stampato in viso.
<< Lucy non è la mia ragazza, è mia cugina >>
Laila spalancò gli occhi e lo fissò stupita.
<< Ma non è questo il punto >> riprese lui, tornando serio << Lucy ha problemi di memoria >>
La bionda sorrise e scosse le spalle, rilassata.
<< Oh, lo so, mi ha detto di avere problemi a ricordare gli incantesimi >>
Fred sospirò e si passò una mano sul viso.
<< I suoi problemi sono leggermente più gravi di così >> spiegò, evitando il suo sguardo << Lucy non si ricorderà di te, fra meno di un mese >>
Laila fece per parlare, ma lui la interruppe.
<< Ha avuto un incidente più o meno un anno fa ed è ferma a quel giorno. Vive un mese e poi torna indietro dimenticando tutto l’accaduto >>
<< E’-è impossibile. Insomma lei sa di essere al quinto anno e sa ciò che succede >>
Fred la guardò di nuovo e Laila sperò di leggere nei suoi occhi una bugia che, però, non riuscì a trovare.
Il colore scuro degli occhi della ragazzo era caldo e dentro quel calore si nascondeva solo la verità. Gli occhi di Fred sembravano incapaci di mentire. Lui sembrava incapace di mentire.
<< Questo perché le racconto tutto. Ogni volta. Ogni ventisettesimo del mese dimentica tutto. E dimenticherà anche te. Non è facile, Laila. Non sei pronta >>
Fred si alzò e si spolverò i jeans. La salutò con un mano e se ne andò, lasciandola sola.
 
 
 
 
L’intero corpo studenti esultò e Laila si guardò intorno, sorridendo felice. O almeno, cercando di apparire felice.
Aveva vinto. Finalmente aveva vinto.
Era la campionessa di Beauxbatons.
Osservò la folla, incontrando lo sguardo di Arielle che le sorrise maliziosa. Continuò la sua ricerca e finalmente trovò lo sguardo scuro di Fred, vicino a lui Lucy sorrideva e batteva le mani.
Osservò il ragazzo. Aveva ragione, quello non era affatto facile e mai lo sarebbe stato.
Era pronta?
Laila non lo sapeva.
 
 
 
Angolo Autrice
Eccomi dopo una settimana a pubblicare il quindicesimo capitolo di questa storia!
Allora comincio con il dire che il primo ‘libro’ avrà 18 capitoli quindi ne mancano solo tre. Devo ancora finire di scrivere il diciassettesimo, a cui manca una piccola parte e tutto il diciottesimo che non credo sarà lungo come gli altri perché è una specie di epilogo!
Ora chiedo: come si fa a creare una serie? Perché io non lo so ahah
Comunque passiamo al capitolo: allora riguardo alla pria parte non ho molto da dire solo che mi trovo sempre in imbarazzo a scrivere della vecchia generazione. Nemmeno per le altre parti ho molto da dire e lascio commentare voi!
Grazie a tutte, ci sentiamo presto!
  
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