Era avvolto
dal buio. Che bella e,
allo stesso tempo, strana sensazione. Di pace, mai provata, e
tranquillità.
Steso a terra, iniziò lentamente a riprendere consapevolezza
del proprio corpo.
“È
dunque questo che si prova,
quando si muore?” mormorò a se stesso.
“Spero
di no!” si sentì
rispondere e sobbalzò, credendo di essere solo.
Voltò
la testa e, abituandosi un
po’ al buio, riuscì a scorgere un viso familiare.
Una figura gli stava stesa
accanto. I due si fissarono, riconoscendosi.
“Athena
ci aveva promesso
qualcosa di ben diverso. Spero non sia questo ciò che lei
considera il paradiso
per i suoi cavalieri” parlò ancora la figura.
“Oh,
Arles! Tu ti lamenti
sempre!”.
“E
tu sei sempre troppo buono,
Saga”.
Arles si
alzò a sedere, scuotendo
la testa. Era un po’ intontito. Però quel posto
buio aveva un odore familiare.
“Dove
siamo?” domandò Saga,
rimanendo steso a terra.
“Non
ne ho idea. Però…io e te
siamo separati. Due entità diverse. Se è davvero
il paradiso dei cavalieri,
come spero non sia, allora…sei morto anche tu!”.
“Eh
già”.
“E
come?”.
“Mi
sono sacrificato assieme agli
altri cavalieri d’oro per aprire un varco nel muro del
pianto”.
“Lo
sapevo che tu te ne andavi a
morire in un qualche modo stupido!”.
Saga
aprì la bocca per ribattere
ma non ebbe il tempo di dire nulla, perché Arles si era
alzato ed allontanato
in fretta. Nel buio, ora non riusciva più a vederlo.
“Sento
lo strusciare della tua
veste” commentò “ma non ti vedo.
Aspettami!” parlò, alzandosi a sua volta.
“Sì,
son vestito, per una volta”
ridacchiò Arles, camminando verso un piccolo spiraglio di
luce che intravedeva
in lontananza.
Sentiva la
mancanza della luce e
del calore del sole, sempre se quella luce quella del sole fosse! I
due, fianco
a fianco, spinsero assieme la pesante porta che si ritrovarono davanti,
dietro
la quale si intravedeva la luce.
Accecati,
portarono le mani agli
occhi per qualche istante e poi si guardarono attorno.
“La
tredicesima casa” la
riconobbe Saga “Eravamo nella sala del Gran
Sacerdote!” e guardandosi vide che
addosso portava proprio la veste dell’occupante di quella
casa.
“La
tredicesima si è aperta!” si
sentì una voce “Ciao!”.
In un lampo,
Aphrodite della
dodicesima casa stava abbracciando Saga, che si divincolò
con fastidio.
Muovendosi alla velocità della luce, tutti i cavalieri
d’oro ora salutavano i
due appena destati. Indossavano le loro armature lucenti, che parevano
non aver
mai affrontato battaglie e conflitti.
“Mancava
solo il cavaliere dei
gemelli! Ne abbiamo ben due” commentò Milo dello
Scorpione.
“Ben
svegliati, belle
addormentate!” sfotté Death Mask “A
quanto pare, Saga, sei di nuovo Gran
Sacerdote”.
Saga si
osservò le vesti. A
quanto pare era così.
“Dove
siamo?” domandò.
“Al
grande tempio. Non sappiamo
ancora il perché” gli rispose Aiolos.
“Ci
siamo tutti” annuì Ioria “E
allora perché le nostre armature non sono in risonanza?
Arles! Se Saga è Gran
Sacerdote, spetta a te indossarla! Richiamala!” lo
esortò il leone.
“Sì,
fallo! Noi ci siamo
svegliati con l’armatura già indosso
ma…” iniziò a parlare Mur, e Arles lo
interruppe con un gesto della mano.
“Quell’armatura
non mi
appartiene” spiegò con tono solenne.
“È di Saga, non mia. Ed è giusto che
non
voglia essere indossata da me, dopo tutto ciò che ho fatto.
Athena deve aver
deciso diversamente”
Il gruppo
rimase in silenzio per
un po’. Arles, in effetti, non era abbigliato da guerriero,
bensì con una
semplice veste stile Grecia antica di colore chiaro. E
l’armatura dei gemelli
non voleva avvicinarsi.
“Tu
non puoi non essere cavaliere
d’Athena! Il tuo cosmo è forte! Non può
andare sprecato!”.
Era stato
Saga a parlare, ma non
molti erano d’accordo, ricordando i trascorsi di Arles.
“Forse
Athena lo considera ancora
un traditore. Noi ci siamo redenti, morendo per la Dea, ma lui
no” fu l’ipotesi
di Shura.
“Scempiaggini!”.
“Saga!
Calmati! Stanno parlando
di me, non di te” sorrise Arles.
“Dobbiamo
trovare Athena, dunque”
riprese Saga, dopo essersi calmato “Dato che non abbiamo idea
del perché siamo
qui! Lei lo saprà di certo e saprà anche per
quale motivo io e Arles ci siamo
divisi. E perché l’armatura di gemini pare non
voglia un padrone”.
“A
me pare solo che voglia un
padrone diverso” concluse Milo, a bassa voce.
Saga
ignorò quella frase e si
guardò attorno. Non vedeva solo il tempio di Athena da
lì, ma ne scorgeva molti
altri. Li notava solo ora o si erano mostrati da poco? E
perché, dopo il loro
sacrificio al muro del pianto, erano tornati tutti in quel luogo?
“Dobbiamo
trovare Athena”
insistette Saga “Spero siate tutti
d’accordo”.
I cavalieri
annuirono, tranne
Arles che sospirò. Che seccatura era quella
divinità!