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Autore: Paperback White    27/02/2015    4 recensioni
"Is there anybody going to listen to my story
All about the girl who came to stay?
She's the kind of girl you want so much it make you sorry
Still you don't regret a single day
Ah girl, girl"
Chi era questa misteriosa ragazza cantata da John, su un testo scritto insieme a Paul? E se fosse stata una presenza importante nella loro vita?
Questa è la storia del più grande gruppo rock degli anni sessanta, osservata attraverso gli occhi di una ragazza ai più sconosciuta, e di cui la cronaca non lascia alcun ricordo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon, Nuovo personaggio, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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3. I PRIMI ANNI: 1951-1954 PART.2
(Julia)

 
Half of what I say is meaningless
But I say it just to reach you, Julia
 
Julia, Julia, oceanchild, calls me
So I sing a song of love, Julia
Julia, seashell eyes, windy smile, calls me
So I sing a song of love, Julia
 
Her hair of floating sky is shimmering, glimmering
In the sun
 
Julia, Julia, morning moon, touch me
So I sing a song of love, Julia
 
Nel settembre del 1952 John fu iscritto ad un ginnasio locale, la Quarry Bank High School (1), scuola che un anno dopo avrebbe frequentato anche il nostro Pete (2). Era il classico tipo di istituto dove ti obbligavano ad indossare una divisa (nel loro caso giacca nera, berretto, calze e cravatta a strisce nere e oro), dove gli insegnanti mettevano la toga e si usavano ancora le punizioni corporali. Insomma il tipo di scuola che un uno come John poteva odiare con tutto se stesso. Degli anni di John alla Quarry Bank ho alcuni ricordi, quasi tutti legati a quei racconti sulle straordinarie imprese che lui e Pete commettevano insieme, finendo in punizioni diverse: c’erano state le sospensioni, l’essere trattenuti a scuola oltre l’orario scolastico e persino la fustigazione nell’ufficio del preside. Avevano anche raggiunto una certa nomea all'interno dell’istituto e si divertivano a farsi chiamare Shennon and Lotton o Lotton and Shennon, con i loro due nomi mischiati. Mi divertivo a leggere quei resoconti sulle loro avventure (che potevano variare dal fumare in bagno al portare delle riviste pornografiche a scuola) mentre stavo sdraiata sul mio letto, cercando di immaginare visivamente quei due ragazzini alle prese con le loro attività criminali. Devo ammettere che in alcuni casi provavo una certa malinconia e un forte impulso a voler essere là insieme a loro, con l’adrenalina che scorre veloce dentro il corpo, saggiando quel piccolo senso di pericolo che potevano provare trasgredendo il regolamento scolastico.
E chi se non John, era il tipo capace di influenzarti a fare qualsiasi cosa? Persino una ragazzina timida e pacata come me, attenta a seguire norme e regole imposte, sentiva questo nuovo impulso a lasciarsi andare, a commettere qualche piccola follia.
Questo era il motivo per il quale la maggior parte dei genitori detestava John, non volendo che i propri figli frequentassero un tipo simile. Ed era la stessa identica paura che aveva mia madre, timore che da figlia non riuscivo proprio a comprendere. Credo che quello fosse lo scopo che volesse raggiungere John; sicuramente a causa della gelosia che provava nei confronti degli altri ragazzi, tutti cresciuti con i propri genitori, un diritto che gli era stato negato. Ma il suo scopo principale era quello di dimostrare che lui non era come tutti gli altri, facendo diventare quella sua diversità un vanto. Visto che ne sua madre ne suo padre stavano interferendo con la sua crescita, lui sentiva di avere una mente libera e non condizionata da nessuna figura superiore, capace di superare qualsiasi paletto che veniva imposto ai suoi coetanei.  Persino io che avevo perso il papà riuscivo a capire solo metà di quello che passava per la sua mente. Ma l'altra metà aveva un fascino irresistibile. Era qualcosa di insolito che non potevi vedere o sentire in nessun bambino, pensieri a cui non mi ero mai nemmeno avvicinata. Perché nonostante i continui sforzi di Mimi, nessuno poteva fermare quello sviluppo incondizionato nella testa di John.

Mentre lui vagava sovrano per quei lunghi corridoi, beandosi del ruolo che stava conquistando dentro quelle mura, io iniziavo a vedere dei piccoli e tenui cambiamenti nella mia vita. Avevo cominciato a guardarmi intorno, a provare a parlare e ad avvicinarmi agli altri ragazzi, accantonando i miei timori. Agendo in questo modo ero finalmente riuscita a relazionarmi con qualcuno, iniziando quelle prime amicizie scolastiche che mi aiutarono a non sentirmi sola ed a soffrire meno la lontananza da Liverpool. Distanza che veniva comunque attutita dalle continue lettere di John. In quel primo anno di scuola alla Quarry Bank, il mio amico finì una raccolta iniziata quasi un anno prima: A Treasury of the Art and Poetry (3). Ricevetti l’intero racconto per lettera e ne rimasi entusiasta, trovandola così originale e innovativa. In precedenza me ne aveva mandato alcuni stralci e io l’avevo aiutato ben volentieri nella correzione di quel testo, indicandogli le parti che meno mi piacevano. Ed ora si poteva ammirare il risultato finale, un racconto dalla spiccata e intelligente comicità. Mi congratulai con John per quella raccolta che tanto mi aveva colpita ma non volevo fosse una lettera banale, per cui mi impegnai a scrivergli una degna risposta. Tra i vari complimenti, mi lasciai scappare una piccola annotazione, volendolo stuzzicare un po:

Ti sembra giusto aver messo come sottotitolo -solo opere di J.W. Lennon, con ulteriori contributi di J.W. Lennon e la collaborazione di J.W. Lennon, senza dimenticare J.W. Lennon-?
Scusa e il mio grandissimo contributo nel corregge ogni tuo orrore grammaticale (perché di orrori si parla, altroché!), a leggere ogni singola pagina e a supportarti moralmente: quello dove lo metti? Che poi, chi sarà mai questo J.W. Lennon?!

Il mio commento ironico fece scattare qualcosa in lui. Mi scrisse, in risposta:

Sapevo perfettamente che avresti rotto con questa storia (senza un reale motivo, tra le altre cose). Ma va bene piccola scocciatrice, eccoti accontentata nei ringraziamenti del mio racconto
“Il signor J.W. Lennon ci tiene a sottolineare a quella rompiscatole di F. Auster Martini che non dovrebbe chiedere alcun ringraziamento visto che ha avuto l'onore di ammirare il suo manoscritto in anteprima. Ma se proprio ci tiene, ricorda ai suoi lettori che essa ha contribuito, a suo modo, al titolo completo dell'opera”.
Infatti, alla fine dell'elencazione di tutti quei J.W. Lennon vari che si erano occupati del testo, aveva aggiunto un'ultima frase. 

Chi è questo J.W. Lennon?.
 
***
 
Mimi non era assolutamente contenta di quello che faceva il nipote. Voleva che diventasse un medico, oppure un farmacista, o un avvocato: qualsiasi tipo di attività che non concedesse spazio a "simili sciocchezze". E ovviamente mi detestava sempre di più, visto che quella continua attività tra me e il nipote proseguiva senza dar segni di cedimento.
 A tal punto che un giorno, arrabbiata per una nota che John aveva preso (e che non era riuscito a tenergli nascosta), distrusse gran parte delle nostre lettere e dei nostri racconti. Appena lui lo scoprì si infuriò come una belva e litigarono violentemente, urlandosi in faccia cattiverie per ben tre giorni. A Mendips aleggiava un aria ostile anche dopo la sfuriata, e immagino che il povero signor Smith abbia sprecato tutto il suo tempo per far ragionare quei due capoccioni della moglie e del nipote. Era la sua presenza ad equilibrare quella casa, ponendosi da filtro tra quelle due forti personalità. Non che John e Mimi non si volessero bene, solo che erano in un certo qual modo troppo simili e troppo diversi, e questo li portava a scornarsi spesso. Io cercai attraverso l'inchiostro di consolarlo, trascrivendo da capo tutto il nostro materiale e rimandandolo nuovamente al suo proprietario.

Potevo capire perfettamente cosa aveva provato John: il solo pensiero che mia madre potesse buttare tutti i miei ricordi con lui mi faceva infuriare come una bestia. E al tempo ero ancora una bambina ubbidiente, comportamento che cercavo di attuare anche per difendere quei miei tesori dalla sua severa analisi. Anche lei infatti si lamentava del fatto che passassi troppo tempo a scrivere e disegnare, come se quei passatempi potessero arrecare solo problemi al mio rendimento scolastico. Per mia fortuna me l’ero sempre cavata bene a scuola, e potevo in questo modo ribattere a quelle sue accuse. Dal suo punto di vista la mia non era un'espressione artistica degna di nota e queste parole avevano un suono abbastanza ridicolo, dette da una persona che aveva sempre esaltato l’arte del nostro paese. Ulteriore motivo per cui non era favorevole al mio hobby era che, secondo lei, quelle pagine scritte su un quaderno non potevano darmi un futuro stabile. Rosa aveva una sua idea su cosa avrei fatto nella mia vita: lo studio mi sarebbe servito per fare qualche lavoro accettabile per una donna, ad esempio l’infermiera, ma avrei dovuto puntare a trovare un uomo buono e ricco, un dottore oppure un avvocato, sposarmi e vivere una vita felice e piena di figli. In questo progetto, diventare una scrittrice non era minimamente contemplato.
Nonostante possa capire che lei voleva per me ciò che considerava il meglio, con il tempo quel suo modo di pensare divenne troppo antiquato e inadatto alla mia persona, e non mi impegnai mai per soddisfare quelle aspettative. Insomma dopo averti premesso tutto ciò, puoi accorgerti tu stesso di come io e John vivessimo due situazioni simili, con due donne che volevano spronarci a farci realizzare quel convenzionale progetto di vita che non era assolutamente il nostro.

Qualche tempo dopo quella litigata, Mimi trovò una poesia sotto il cuscino di John, di quelle oscene che andavano di moda tra noi giovani. Anche in quell’occasione venne subito stracciata, ma non prima che avesse interrogato il nipote al riguardo di quella cosa. Non so in che modo, ma John riuscì a persuaderla che fosse stata solo trascritta per un suo amico e nascosta a casa sua per non farla scoprire. Ma comunque Mimi lo punì per aver tenuto una simile porcheria a casa sua. Invece quel pezzetto di carta era tutto farina del suo sacco, e ne andava fiero. Ne aveva trascritta una copia che Mimi non aveva scoperto e potè mandarla per lettera anche a me, curioso di avere una mia opinione. Lessi quelle poche righe in bagno, unico luogo in cui mi era concesso potermi chiudere grazie alla serratura protettiva. Appena la finii di leggere arrossii vistosamente. In una scuola maschile era più facile e frequente parlare e vedere quelle cose scritte nei bagni (4), ma io mi trovavo in un'ambiente più protetto ed ancora piuttosto "pura", lontana da quel mondo. La poesia di John fu il primo passo che mi fece avvicinare a quella realtà, provocando varie e confuse emozioni in me, al limite tra la repulsione e l'attrazione. Cercai di scrivergli una risposta senza far trasparire tutto questo, mostrando che non ne ero affatto estranea. Temevo di sfigurare e apparire una ragazzina davanti ai suoi occhi, ma comunque mantenni un certo tono per non passare per una maniaca.
Scrisse molte poesie di quel tipo e altre che parlano di emozioni e sentimenti e che potei sicuramente apprezzare molto di più. Usò una calligrafia particolare, che solo lui poteva leggere. Ma questo non le salvò dalla furia di Mimi, che passava spesso a "ordinare" le cose di John, gettando tutto quello che considerava robaccia.
-Quando sarò famoso ti pentirai di averlo fatto!- era solito urlargli lui.
 
***
 
Giunse l'estate e tornai nuovamente dai miei amici.
Era il 1953 e la mia cotta per Ivan non era ancora passata. Il rivederlo mi diede un groppo allo stomaco, facendomi capire che non erano ancora svaniti tutti quei sentimenti. Pensavo che non frequentandolo per ben un anno mi sarei dimenticata di quel ragazzino, ma stando a quanto mi comunicava il cuore, battendo con forza dentro di me, la cosa non aveva funzionato.
Decisa a non farmi più prendere in giro da John cercai di far finta di nulla davanti a lui, sapendo che avrebbe fatto come l'estate scorsa. Non avrei commesso lo stesso errore, quindi tentai in tutti i modi di persuaderlo che mi fosse passata, ma lui non sembrava esserne convinto. L’unica cosa che potevo fare era quella di apparire il più distaccata possibile e per questo chiesi aiuto a Vicky, mia sola fonte di sfogo, protettrice del mio segreto e sempre pronta a sostenermi.
Gli confidai che la mia infatuazione per il nostro amico non era scomparsa, e tutte le mie paure verso il comportamento di John. Era una mattina piovosa, pochi giorni dopo il mio arrivo. Ci trovavamo nella sua cameretta, dove le pareti azzurro pallido avevano assunto un tono scuro, a causa della poca luce della giornata. Eravamo sdraiate sul suo lettone comodo e Vicky aveva ascoltato per filo e per segno tutto quello che le avevo confidato, annuendo alla fine del mio discorso.

-Insomma dopo un anno sei ancora invaghita di Ivan. Ti sei presa una cotta con i fiocchi mia cara!- mi disse lei.
-Già, ma lui non mi nota. Di nuovo- replicai, affondando poi la faccia nel suo cuscino.
-Uhm si, in effetti sembra proprio preso da altre cose- mi confermò lei.
-Non sei d'aiuto- le dissi, con la voce attutita da quel morbido oggetto.
-Non sono tipo da dirti bugie, lo sai- poi rifletté un momento, prima di aggiungere -Posso solo dirti di continuare a parlarci, e pian piano avvicinarti sempre di più a lui-
-Se non ha funzionato lo scorso anno perché dovrebbe funzionare ora?- voltai la testa, per poterla guardare.
-Magari è cambiato qualcosa... bah, sinceramente io non lo so. Non ho mai avuto un ragazzo- disse, impacciata da quella situazione che non poteva davvero capire.
-Siamo in due- sbuffai. -Se diventassimo zitelle magari potremmo andare a vivere insieme no?-
-E allevare una colonia di gatti?- rise lei.
Mi unii alla sua risata e mi sollevai, sedendomi di fronte lei. Quella piccola complicità tra noi due mi piaceva molto, ed aveva avuto il potere di lenire almeno un poco quelle mie preoccupazioni.
-Hai fatto bene a nascondere a John il fatto che ti piacesse ancora Ivan- mi disse con decisione.
Vicky non aveva una grande considerazione per il mio amico. Non lo odiava, ma non gli era particolarmente simpatico.
-E' vero- dovetti annuire.
-Su certe cose è proprio un cretino!- continuò lei.
-Già... e poi lo sai com'è fatto, è tipo da fare scherzi idioti- sospirai.
-E ti avrebbe preso in giro davanti a tutti-
-Si... E poi...- mi fermai e arrossii leggermente -Mi avrebbe consigliato di buttarmi addosso a lui a fare... quelle cose lì-
Divenne rossa anche lei, capendo a quali cose mi riferissi.
 -Questo è tipico di Lennon!-
 
***
 
Quell'estate conobbi per la prima volta Julia Lennon, la madre di John. Lui me ne aveva parlato spesso, accennando ai loro brevi incontri e cercando di nascondere quanto sentisse la sua mancanza. Forse era riuscito a convincere altre persone, ma con me non poteva riuscirci. Potevo intuire la sua sofferenza quando parlava di lei, notanto il lieve calo nella sua voce, accompagnato da una certa luce che cupamente risplendeva in quelle iridi color del miele. Tutti chiari segni di quel sentimento, generato dal fatto che non potesse stare con sua madre. A differenza di Alfred, aveva frequentato Julia ad intervalli irregolari e si era creato un rapporto che stava in precario equilibrio tra la sola conoscenza e quel legame biologio che doveva naturalmente unirli. John sapeva chi era Julia, e fu proprio questo a fargli più male. Era un sentimento diverso rispetto a quello che potevo provare io per Simone o lui per Alfred: erano due nomi, due figure su una foto, due racconti diversi che venivano riportati alla memoria da altre persone. Ma non erano i nostri papà. Perché avvertivamo quel distacco? Non sapevo rispondere a quella domanda e anzi, mi sentivo sbagliata anche solo a provare quella freddezza, quando qualcuno pronunciava il nome Simone Martini. Eppure quel personaggio aveva tolto qualcosa nella mia vita, potevo avvertirlo da quello spazio vuoto dentro di me, dove si annidavano domande su domande su quella persona. E nonostante tutto sentivo il bisogno di quella presenza immaginaria. Ma come potevo sentire la mancanza di qualcuno che nemmeno conoscevo?

Julia invece, c’era.

Fu intorno al 1952-53 che lei iniziò ad essere più presente nella vita di suo figlio. Si era trasferita vicino a Mendips e questo le permise di andare a trovarlo più spesso, oppure al contrario, era John a passare a casa sua, appena scoprì dove vivesse la madre (5).
Era un pomeriggio di Luglio ed io ero molto annoiata. Stavo da sola nella mia stanza, leggendo per l’ennesima volta lo stesso libro. Sembrava che tutti avessero di meglio da fare: zia Maggie stava prendendo un tè con la vicina di casa e Vicky era a lezione di danza. E John… lui cosa stava facendo? In realtà non gli avevo chiesto nulla, chissà magari era libero. Decisi di passare da lui, sperando di non trovarlo impegnato a fare altro. Scesi da casa e mi avviavi verso Vale Road, seguendo l’ampia curva che la collegava con Menlove Avenue. Giunsi davanti alla bifamialiare e superai il cancelletto, arrivando direttamente davanti all’ingresso. Stavo per bussare quando notai diverse figure che si muovevano davanti alla finestra. Potei contare almeno quattro figure muoversi da una parte all’altra, probabilmente intente a chiacchierare allegramente. Gli Smith dovevano avere ospiti, e questo implicava che John saebbe stato costretto a rimanere a casa con loro. Delusa, abbassai il pugno che era pronto per essere sbattuto sulla porta e mi voltai indietro. Mi incamminai di nuovo per quel vialetto, ormai arresa a quel lungo pomeriggio che mi attendeva. Improvvisamente sentì la porta spalancarsi alle mie spalle e d’istinto mi nascosi dietro al muretto protettivo. Non so perché l’avessi fatto visto che non stavo facendo nulla di male, però sentivo forte dentro di me il desiderio di non farmi vedere. Mi chinai e iniziai ad allontanarmi piano, quando un pensiero mi bloccò. Se la porta era stata aperta significava che quegli ospiti se ne stavano andando e che John era di nuovo libero. Sorridendo, decisi di allontanarmi quanto bastava per non farmi vedere, e di aspettare qualche minuto prima bussare a Mendips. Si, era decisamente un piano geniale.

-Mi raccomando Julia, non fate tardi!- salutò la signora Smith.
-Non preoccuparti Mimi, andiamo a prendere un gelato e torniamo- rispose una voce giovanile.
Vi erano solo due "Julie" tra i parenti di John: Julia Baird, sua sorella e Julia Stanley, sua madre. E di certo quella non era la voce di una bambina. Sentendo la confidenza e la sottile dolcezza con cui le parlava Mimi, capì che poteva trattarsi solo di lei. Julia Stanley Lennon.
Perché John non ci aveva detto che si vedeva con lei? Non ci trovavo nulla di male, anzi sarei stata più che felice per lui e non mi sarei mai nemmeno avvicinata a Mendips.

Un altro sentimento si fece largo in quel momento: la curiosità. Io non avevo mai visto Julia, né dal vivo né in foto, e in quel momento era a pochi metri da me, a portata del mio sguardo. Ero davvero curiosa di vedere la signora Lennon, donna che avevo sempre solo immaginato. Nella mia testa aveva le fattezze di John al femminile, e non era decisamente un bello spettacolo. Quindi, alzai la testa e diedi una rapida occhiata a quella scena che si stava svolgendo davanti a me. John e sua madre avevano appena salutato Mimi e stavano uscendo dal giardino. Fissai Julia: era una donna minuta con i capelli mossi di un bella sfumatura ramata, dal viso dolce e sorridente. Indossava un bel cappello di paglia e un vestito leggero, che le stava perfettamente addosso. Pensai che fosse una delle donne più affascinanti che avessi mai visto, di quelle che bastava un solo sguardo per perdere la testa. Insomma, decisamente più bella di come l’avevo disegnata nella mia mente. Poi il mio sguardo si spostò poi su di John che sorrideva a sua madre in un modo decisamente speciale, come non gli avevo mai visto fare. Un John davvero felice, che mi lasciò una tenue sensazione nel mio corpo. Quegli sguardi e quei sorrisi riempivamo di calore il mio cuore, e non riuscivo a staccare gli occhi da quel delicato quadretto familiare, appoggiando le mie mani a quella muro di protezione fatto di assi di legno.
Rimasi sin troppo a lungo ad osservarli, ed ovviamente non potevo sperare che non si sarebbero accorti di me. Come se si fosse sentito osservato, John si voltò e io feci appena in tempo ad abbassarmi dietro lo steccato. Sperai con tutto il cuore non mi avesse visto: che figura avrei fatto davanti a Julia? Tentai di sgusciare via, sperando di girare in tempo l’angolo prima che lui mi avesse raggiunta.

-Ferma li!- la sua voce mi inchiodò, impedendomi di fare ulteriori passi.
Mi voltai verso di lui, guardandolo con un’aria colpevole, di chi era stato appena beccato a fare qualcosa di sconveniente.
-Ma guarda un po chi abbiamo qui… hai perso qualcosa?-
-Tu devi essere tutto scemo! Cavolo, comparire a quel modo… mi hai fatto quasi prendere un infarto- dissi, alzandomi in piedi e portandomi una mano sul cuore. Speravo in questo modo di sviare a quello che stavo facendo.
Lui ridacchiava, soddisfatto dello spavento che mi aveva fatto prendere.
-Colpa tua che mi stavi spiando. Che c’è, ti mancavo troppo?-
-No. Passavo di qui per caso…- tentai di giustificarmi.
-Oh e casualmente ti sei ritrovata qua davanti a Mendips proprio mentre io uscivo di casa? E per di più nascosta detro lo steccato? Wow, com’è piccolo il mondo!- fece il finto sorpreso.
-Senti è una strada pubblica questa, passavo per caso te l’ho detto- gli ripetei.
Penso che in quel momento il mio colorito stava variando da un bianco pallido a un bel rosso acceso, che di sicuro non aiutava a sostenere le mie parole. Tutta colpa della mia curiosità che mi aveva fatto fare capolino da dietro la mia postazione!
Julia si era avvicinata anche lei, cercando di capire cosa stesse accadendo.
-John mi presenti la tua amica?- gli chiese.
-Mamma, questa piccola spia è Freddie, lei inv- aveva iniziato lui le presentazioni, prima di venire bruscamente interrotto da lei.
-La famosa Freddie!- gridò lei con entusiasmo –Era da tanto che volevo vederti-
Julia mi strinse con forse a sé, mentre un largo sorriso si faceva spazio sul volto. Tutto quel suo calore improvviso mi imbarazzò ancora di più, ma in un modo piacevole. Mai mi era capitato che uno sconosciuto dimostrasse tutta questa contentezza nel fare la mia conoscenza.
-Grazie per aver interrotto le mie presentazioni…- fece John, leggermente indispettito.
-Scusami caro, mi parli così tanto di lei che ormai mi sembra di conoscerla da una vita!- disse, sciogliendosi dal nostro abbraccio.
-Ah si?- guardai John con aria interrogativa.
-E’ solo capitato il tuo nome in alcuni episodi che le ho raccontato… non ti entusiasmare troppo- fece lui, con un gesto che voleva sminuire le parole della madre.
-Non dargli retta, è solo un timidone- mi sussurrò, avvicinandosi di nuovo a me.
-Non è vero- protestò il figlio.
-Si che lo sei, ti vergogni persino di girare con la tua giovane e simpatica mammina- gli rispose lei, ironica.
-E’ solo che non vedevo il motivo per cui dovevavo uscire per forza…- adesso era lui che cercava di giustificarsi. Era divertente il modo in cui Julia aveva rigirato tutta la situazione, e il vedere John così imbarazzato lo era ancora di più. Di sicuro lui non era abituato a queste attenzioni, e quei gesti di Julia dovevano lasciarlo leggermente a disagio. Ma credo fosse un disagio in un certo qual modo piacevole.
-Per gustarci un bel gelato, perché sennò?- gli rispose lei, toccandogli la punta del naso.
Poi si girò verso di me, con un’espressione buffa sul volto – Mi è venuta un’idea! Freddie ti va di venire con noi?-
Sino a quel momento mi ero divertita a sentirli discutere amorevolmente tra loro, ma ora ero di nuovo in mezzo. Guardai John, pensando ai pochi momenti che passava da solo con sua madre e non volevo davvero rovinare quella loro giornata.
-La ringrazio signora Lennon, non vorrei disturbare… ho altro da fare- tentai una scusa.
-Cosa? Spiare il mio John?- rise lei.
Sgranai gli occhi, non aspettandomi quella risposta. Ero appena stata colpita e affondata, e non potevo replicare in nessun modo.
John mi diede una leggera schicchera sulla fronte, guardandomi con gli occhi socchiusi.
-Se qualcuno ti chiede di uscire è perché gli fa piacere no? Smettila di fare le tue solite seghe mentali e vieni con noi-
-Ahi! John sei un cretino!- dissi portandomi la mano sul punto dove mi aveva colpito.
Si mise a braccia conserte, guardandomi male.
-Non quanto te, scema. Vieni senza far altre storie e basta!-
-John, non devi trattare così una tua amica!- lo rimproverò dolcemente lei, ridendo davanti alla nostra scenetta comica.
-Non farti alcun problema perché davvero mi farebbe piacere conoscere uno dei migliori amici di mio figlio. Quindi ti prego, accetta il nostro invito- concluse Julia, con un tono di voce molto dolce.
Non avrei mai potuto rifiutare il suo cortese invito, e il sorriso che lanciò John mi spronò a farmi avanti. La mia curiosità nei confronti di quella donna stava crescendo sempre di più, e volevo davvero conoscerla e capire che tipo fosse.
-Va bene- risposi contenta.

Ci incamminammo tutti insieme verso il centro della città, diretti verso una gelateria che Julia definì “a dir poco fantastica”. Ma l’unica cosa che trovavo davvero fantastica era la sua compagnia. Aveva il dono di saper parlare con tutti e di riuscire a mettere chiunque a proprio agio, facendo passare ore piacevoli in sua compagnia. Parlammo di tutto, delle nostre vite e dei nostri impegni e Julia fu più che curiosa di sapere tutto su di me, riempiendomi di domande. Durante quel pomeriggio cercai di catturare la presenza di Julia non solo con le orecchie, ma anche con gli occhi. Mentre ascoltavo i suoi racconti sull’infanzia di John, osservai con attenzione i due Lennon. Notai alcune somiglianze tra Julia e John, anche se fisicamente John aveva una vaga impronta della madre, erano molto simili sul piano caratteriale. Subito vidi che avevano lo stesso modo di scherzare, un’ironia irriverente che colpiva diritta il bersaglio, come se a parlare fosse sempre la stessa persona. Sorrisi quando mi accorsi che avevano lo stesso modo di mangiare il gelato, di ripulirsi la bocca con il bordo della mano e poi fingere di non aver fatto nulla di sbagliato. Era proprio la madre di John, su questo non vi erano dubbi. Quelle ore passarono veloci, e arrivò il momento di salutare Julia.

-Grazie per la giornata- le dissi, sorridendo. Ero stata davvero bene in loro compagnia, e ormai adoravo quella donna.
-Grazie a te Freddie. E mi raccomando, ti voglio presto a casa mia. Ho intenzione di preparare le tortine alla vaniglia che piacciono tanto a John- disse, facendomi l’occhiolino.
Poi salutò con affetto suo figlio, dandogli un bel bacio sulla guancia.
-Buona serata tesoro mio!-
-Madre evita di sbavarmi addosso! E poi mi macchi con il rossetto!- John era in evidente imbarazzo, il che lo rendeva davvero adorabile ai miei occhi.
-Così puoi dire di aver rimorchiato una bella tipa, no?- concluse lei salutandoci con la mano, mentre si allontanava verso casa sua.
-Tua madre è proprio una forza!- gli dissi con entusiasmo, una volta che sparì dalla nostra vista.
-Lo so, dopotutto buon sangue non mente. E sicuramente gli sei piaciuta anche tu, piccola guardona!- mi rispose, prendendomi in giro.

Nonostante la battuta di John, nulla tolse l’entusiasmo che mi aveva dato la conoscenza di Julia e con gli anni strinsi un bel rapporto con lei. La vidi spesso, ogni qual volta che passavo a trovare John a casa sua, oppure durante feste in cui era presente anche lei. Era sempre sorridente, spiritosa e gentile, e vedevo il volto di John illuminarsi quando si trovava con noi. Vi era un piccolo cambiamento in lui che non avrebbe mai ammesso, ma la presenza della madre era qualcosa che ovviamente lo faceva star bene. Perché riempiva il vuoto della sua mancanza, vuoto che sperai con tutto il cuore sarebbe scomparso, occupato da quel rapporto ricostruito dopo anni di lontananza.

Ne parlai con entusiasmo anche a zia Maggie, la sera dopo il nostro primo incontro.
-E' davvero una forza!- dissi, senza aver ancora ingoiato il boccone -per certi versi mi ricorda te!-
Lei rise coprendosi con la mano, per non mostrare quello che stava ancora masticando -Prima ingoia il boccone e poi parlami Fede, non credo che la signora Lennon ti voglia sulla coscienza!-
Io ingoiai il boccone bevendo un bel bicchierone d'acqua, mentre lei mi guardava divertita.
-In cosa ti ricorda me?-
-E’ una donna bellissima, indipendente e spiritosa come te!-
-Ti ringrazio piccola mia- mi disse lei -Mai ho ricevuto complimenti più belli!-
Io le sorrisi di rimando, contenta di sapere che fosse felice delle mie lusinghe.

Ma non sapevo che in realtà Julia non era così solida come si mostrava: aveva un lato debole molto evidente. Riflettendo sulle vicende che avevano caratterizzato la sua vita me ne accorsi io stessa: aveva lasciato John con sua sorella, si era gettata tra le braccia di diversi uomini ed infine era sempre stata manipolata dai suoi parenti e dal suo compagno. Julia non era indipendente, era solo una donna fragile che cercava la libertà, che amava la vita ma che non riusciva a combattere contro le avversità che le riservava. Julia nascondeva la sua insicurezza dietro ad un bel sorriso e una battuta, cosa che faceva anche John, imitando la madre in questo comportamento.
Una volta che mi trovavo a casa sua, mi mostrò delle foto di John da piccolo, raccontandomi i primi anni della sua vita. Fortuna volle che il diretto interessato non fosse presente, ancora in giro con dei suoi amici. Durante quel pomeriggio fatto di foto e tè caldo, Julia decise di aprirsi con me, e mi raccontò alcune vicende della sua vita. Mi narrò del suo grande amore per Alfred, del suo sogno di diventare un'attrice e di come, purtroppo, non ci fosse riuscita (6). Mi mostrò una foto di lei e Fred da giovani, sospirando sonoramente, forse a voler gettare via quei ricordi che erano ancora così fastidiosi. Concentrai la mia attenzione su quell’immagine, ora finalmente pronta a dare un volto a quell’uomo da cui derivava il mio soprannome. Mentalmente, mi misi a contare le somiglianze che John aveva con l'uno e con l'altra, per vedere chi dei due vincesse: senza dubbio, sul piano fisico John era la copia di Alfred. Oltre agli evidenti tratti fisici, la cosa che maggiormente mi colpì fu il sorriso di Fred, che era così simile a quello di John. Quello era il sorriso dei Lennon.
Mi accennò all'episodio avvenuto a Blackpool, dove John aveva visto Alfred per l'ultima volta. Avrei voluto tante volte chiederle il perché, perché Alfred se ne era andato senza più cercarlo, perché lei non vivesse con John, perché fosse andato tutto a finire in quel modo. Chissà quante volte John si era fatto quelle domande, e chissà se avesse avuto il coraggio di esprimerle ad alta voce. Il mio buonsenso mi fermava, facendomi capire che non potevo chiedere più di quanto mi veniva detto, nonostante la curiosità si dimenava nel mio stomaco, chiedendo di essere sfamata con delle risposte.
Julia rimarrà per sempre nel mio cuore, e lo dico con tutta la sincerità possibile. Chi ha avuto la fortuna di conoscerla comprende bene questo mi sentimento, verso una donna a cui non puoi evitare di affezionarti. Nei momenti migliori era allegra, spiritosa e dolce, un incrocio tra una madre e un'amica. E penso che questo fosse lo stesso pensiero che aveva John e che generava in lui una grande confusione sul ruolo di quella donna, anche perché aveva Mimi che si imponeva come un genitore nella sua vita.
 
***
 
Durante quegli anni, io e John non ci eravamo ancora avvicinati alla musica. A Mendips si poteva sentire solo la classica e alcuni programmi radiofonici che ci piacevano molto, come il Goon Show (7). Di jazz o country nemmeno a parlarne: Mimi non voleva nemmeno sentirle nominare. E anche a casa mia le cose non erano molto diverse visto che i miei non era appassionati di musica, quindi eravamo sprovvisti di collezioni musicali. Giusto la radio passava ogni tanto qualche canzone che mi piaceva, ma non potevo stare tutto il tempo ad ascoltarla. Nonostante tutto questo, forse per merito della moda o anche solo per la voglia di qualcosa di nuovo, ma successe qualcosa di inaspettato. Fu John a fare un primo passo verso quel mondo fatto di note e ritmo, mostrandomi l'armonica che aveva appena comprato. Era uno strumento piatto dalle decorazioni in rosso e arancio con alcune parti metallizzate ben lucide, una Hohner Super Chromonica (8). Mi disse che l'aveva comprata insieme a suo zio George e che zia Mimi non era molto d'accordo con la decisione del marito. Preso dall'entusiasmo del nipote, zio George si era anche offerto di aiutarlo ad esercitarsi. Julia era contenta del nuovo hobby del figlio, come me del resto. Mi sembrava una cosa divertente ed infatti non mi sbagliavo: mi piacque fin da subito ascoltare John suonare quello strumento. Aveva imparato a memoria alcuni motivetti senza in realtà conoscere veramente la teoria musicale, ma ricopiando solo i movimenti che suo zio gli aveva fatto vedere. Tra quelli che maggiormente suonava vi erano Rapsodia svedese, Moulin Rouge e Greensleeves (9). Il mio preferito era il Moulin Rouge e chiedevo spesso a John di rifarmela, costringendolo a ripeterla infinite volte, sempre pronto a lustrarsi le penne ad ogni mio complimento. Ma a quel tempo era solo un semplice gioco, un passatempo divertente per due bambini ancora ignoranti di cultura musicale.

In una lettera John mi raccontò di un avvenimento divertente: era in viaggio per andare a trovare sua zia Mater, che abitava vicino ad Edimburgo, tragitto che avrebbe dovuto affrontare da solo su un pullman. Era salito sopra il veicolo, pronto a rilassarsi durante il viaggio, con l’intento di passarlo maggiormente ad occhi chiusi. Ma i sedili erano scomodi, l’odore forte del mezzo lo nauseava e gli scossoni della strada avevano messo alla prova i suoi nervi, facendolo desistere dal suo intento originale. Si stava annoiando a morte e nemmeno la lettura riusciva a distrarlo dal lungo viaggio. Provò a fare qualche gioco da solo, contanto le macchine chiare contro le macchine scure, ma anche quell’attività non potè entusiasmarlo per più di due minuti. Così si mise a frugare nella borsa in cerca di qualcosa da sgranocchiare e mentre affondava la mano dentro lo zaino alla ricerca di qualcosa gli capitò sottomano il profilo freddo della sua armonica. La recuperò da quel mare di oggetti e la osservò, indeciso se suonarla o desistere da quel proposito. Pensò che al massimo gli avrebbero detto di smetterla con quel frastuono, nulla di troppo grave. Provò quindi ad intonare una melodia, per tenersi occupato per qualche minuto: il risultato fu che suonò per quasi tutto il viaggio, senza che nessuno potesse disturbarlo. Anzi gli altri passeggeri canticchiavano con lui, entusiasti di quell'intrattenimento inaspettato. Il più contento fu l'autista del pullman che si congratulò con quel ragazzino, lieto di aver potuto passare un viaggio con un’atmosfera meno pesante del solito. Decise quindi di fargli un regalo: gli diede appuntamento il giorno dopo, deciso a donargli un'armonica più bella di quella che aveva. John l’accettò volentieri, era felicissimo di quel premio inaspettato (10). Ma quell'episodio servì anche a rafforzare l’ego del mio amico, di misura già molto più grande rispetto alla media. Suonò con maggiore frequenza rispetto a prima e con un entusiasmo nuovo. Mi raccontava che spesso i ragazzi lo pregavano di piantarla, con le orecchie stanche di quel sottile suono che andava avanti da troppo tempo. John aveva sempre la risposta pronta, vantandosi del suo talento e additandoli come ignoranti. Perché loro non potevano capire: non erano come quel famoso autista, che aveva dimostrato di avere buongusto non solo in fattore musicale ma anche dal punto di vista estetico. E mentre ripeteva queste parole, sventolava la sua armonica in aria, mostrando orgoglioamente quanto fosse bella.
 
NOTE
(1)= La Quarry Bank High School si trovava in Harthill Road, a circa un miglio da Mendips. Era stata fondata nel 1922 con il supporto finanziario di un industiale di legname locale. L'avevano frequentata due ministri di un gabinetto socialista, Peter Shore e William Rodgers, e per questa ragione era conosciuta come l’«Eton del partito laburista» (L'Eton College è una scuola superiore privata situata ad Eton, nel Berkshire. È considerata la più famosa e prestigiosa scuola del Regno Unito, di antichissime tradizioni).
(curiosità: il primo preside della Quarry Bank si chiamava George Harrison)

(2)= Dopo un primo anno senza scossoni, Lennon era stato risucchiato nella sezione C col gruppo degli alunni scadenti, assieme al suo amico e compagno di bravate Pete Shotton.

(3)= A Treasury of Art and Poetry - This book contains only the work of J.W. Lennon, with additional work by J.W.Lennon, and a helping hand given by J.W.Lennon, not forgetting J.W. Lennon. Who is this J.W. Lennon? è il titolo dell'opera ispirata a dei racconti letti a scuola alle lezioni di inglese e da lui elaborati quando aveva all'incirca undici anni.

(4)= E' John che parla di questa poesia e di come lui avesse imparato moltissime cose sul sesso verso gli otto-dieci anni, leggendo quello che trovava scritto nei bagni della scuola.

(5)= Mimi all'inizio aveva tenuto nascosto a John che Julia si era trasferita vicino a lui, al 1 di Blomfied Road, sperando che non lo scoprisse e che continuasse a vederla solo in quelle poche occasioni in cui veniva a Mendips. John iniziò a frequentare spesso casa della madre appena scoprì dove si trovasse, andando persino a dormire da lei.
Per quanto riguarda l’anno in cui i rapporti di John e Julia ripresero in modo più frequente, diciamo che ho deciso io stessa di collocarlo in questo periodo. Persino nei racconti di John è difficile dedurre quale fosse l’esatto periodo in cui finalmente i due si riavvicinarono (Nelle interviste, John spesso ricordava che si sono frequentati per circa 3-4 prima della sua morte, ma poi smentiva questa dichiarazione affermando che è da dopo i 16 anni che ha iniziato a rivederla, ma questo avrebbe implicato che non si sarebbero frequentati per nemmeno 2 anni).

(6)= Julia e Alfred si sposarono il 3 dicembre del 1938 e trascorsero la luna di miele al cinema Trocadero a Londra dove Julia, sognando di diventare attrice, passava gran parte del suo tempo lavorando come maschera. Poco dopo Alfred aveva ripreso a fare la sua vita da marinaio mentre lei era tornata a casa dai suoi genitori, non vedendolo più una volta che scoppiò la guerra, poco prima che John nascesse.

(7)= The Goon Show, programma radiofonico britannico, trasmesso dal canale BBC Home Service dal 1951 al 1960. La prima serie, fino al 20 settembre del 1951 si intitolava "Crazy People", mentre le successive si chiamarono "The Goon Show", forse ispirato dal personaggio a fumetti di Braccio di Ferro (Popeye).
Principale autore ed ideatore dello show fu Spike Milligan. I copioni delle varie puntate furono scritti da lui con la collaborazione di Larry Stephens, Eric Sykes, Maurice Wiltshire e John Antrobusper, mischiano comicità e humour surreale, tormentoni e bizzarri effetti sonori. Era un varietà comico, che durava 30 minuti ad episodio, con vari siparietti musicali alternati alle vicende dei personaggi messi in scena, interpretati dai quattro Goons (Spike Milligan, Peter Sellers, Harry Secombe, Michael Bentine). John era un grande patito di questo show, tanto che ripeteva a scuola gli sketch che sentiva ogni puntata.

(8)= Hohner Super Chromonica è la prima armonica posseduta da John, un regalo dello zio.

(9)= Tre motivetti che John era solito suonare.

(10)= L'episodio dell'autista che regala l'armonica a John è vero, ed è stato solo da me un pochino colorato nel raccontare i momenti che trascorse John sopra il pullman.

ANGOLO DELL'AUTRICE: Stavolta sono stata puntualissima e mi fa piacere di averlo fatto. Ammetto che l'assenza di commenti mi aveva buttato giù di morale e non sapevo se continuare o meno, temendo che non potesse piacere: potete ringraziare Anya e Giulia per avermi risollevata, sennò ora non sarei qui!
Diciamo che voglio provare con questo cap a vedere se qualcosa cambia! Conto su di voi, anche commenti negativi per capire se sto scrivendo una schifezza.
Comunque, torniamo al cap, che trovo più interessante del precedente perché ho avuto più spazio per potervi raccontare piccole caratteristiche di John, e sopratutto finalmente ho introdotto Julia! Quanto mi piace quella donna! Mi diverto moltissimo a scrivere di lei, e vi giuro riempirei pagine solo con le sue avventure.
Comunque pazientate che le cose stanno iniziando a farsi sempre più interessanti man mano che vado avanti... fidatevi di me <3
Già l'ho ringraziata, ma cito di nuovo Anya che è davvero una persona speciale, che ha accolto tutte le mie crisi in questi mesi senza tirarsi indietro, sostenendomi davvero molto in questa storia.
Spero che le cose si smuovano su EFP, intanto vi do appuntamento a venerdì 6 marzo.
Un bacione
White
  
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