Never again
Il suo eroe sei tu
Sentiva la
testa scoppiarle e ogni
muscolo farle male fino a farle lacrimare gli occhi.
Cercò
di aprirli ma le sue palpebre
erano più pesanti di quanto si aspettasse.
Sentiva delle
voci in lontananza,
toni famigliari, caldi e rassicuranti, come quello di Oliver.
Ma
c’era qualcun altro con lui,
qualcuno che non era né John né Roy né
nessuno che sarebbe potuto essere al
covo.
Perché
era lì che si trovava, no?
Non ne era
così sicura.
Sentiva solo il
collo bruciare, come
se gli avessero fatto un’iniezione o un prelievo del sangue.
E lei odiava i
prelievi. Odiava gli aghi, anzi in realtà detestava tutto
quello che era
appuntito. Tutto tranne le frecce. Quelle non le odiava, anzi aveva
imparato ad
amarle.
Interruppe il
flusso sconnesso dei
suoi pensieri concentrandosi su quella voce.
E fu allora che
capì.
Ray.
Ma che cosa ci
faceva il suo nuovo
capo al covo?
Piccoli ricordi
iniziarono a
riaffiorare: Oliver che non rispondeva, la paura che aveva provato, lei
sul
marciapiede e le botte che aveva ricevuto.
Era tutto
così confuso.
Mentre tentava
di ricostruire gli
avvenimenti le parve di sentire Oliver dire: “La
amo”
Forse stava
ancora sognando. Forse
non stava parlando di lei.
Ma poi
aprì gli occhi.
La luce a neon
del covo la colpì
fastidiosamente costringendola a strizzare gli occhi più
volte per farli abituare.
Percepì il freddo del metallo sotto la sua schiena, in
contrasto con il calore
della coperta in cui era avvolta.
Si mise seduta
ma il dolore ai
muscoli la fece sospirare, mentre la testa pulsava come un martello
pneumatico.
“Felicity”
la sua voce sorpresa fu
la più dolce delle melodie per le sue orecchie.
Un istante dopo
lui la stava
sorreggendo, chiedendole come stava, tentando di convincerla a
sdraiarsi, per
riposare.
Sentì
un gemito e si voltò, trovando
Felicity seduta sul tavolo in metallo, la coperta che prima
l’avvolgeva era
scivolata lungo il petto lasciando visibili le sue esili braccia.
Erano ricoperte
di lividi, segni
violacei affiorati sulla sua pelle dopo le botte che aveva ricevuto da
Miller.
Oliver corse
subito vicino a lei,
cercando di ignorare l’odio che provava nei confronti di
quell’uomo che aveva
osato alzare le mani su di lei.
Era fortunato
ad essere morto.
“Come
ti senti?” le chiese
accarezzando con le dita il viso della donna.
Felicity si
appoggiò alla mano che
era sulla sua guancia, sorridendo stanca.
Si sentiva
intontita, confusa e intorpidita.
La testa
continuava a farle male e faticava
a mettere a fuoco la stanza, ma questo era dovuto almeno in parte alla
mancanza
dei suoi fidati occhiali sul naso.
“Mi
fa male la testa” si lamentò “mi
sembra di essere stata investita da un tir”
“Starai
bene, vedrai” la rassicurò
“ma devi riposare perciò è meglio se ti
stendi”
“Uhmm”
mugugnò chiudendo gli occhi e
beandosi di quel caldo contatto con la mano di Oliver.
Ray si
avvicinò ai due, palesando la
sua presenza con un finto colpo di tosse.
“Ray”
Felicity lo salutò senza
capire perché fosse lì “Come mai sei
qui?”
Poi
notò che Oliver indossava ancora
il costume di Arrow e spalancò gli occhi scioccata.
“Tranquilla.
Lui sa” rispose Oliver.
“Come?”
“Ha
assistito a quello che è
successo con Miller” spiegò “e mi ha
aiutato a portarti qui”
“Non
me lo ricordo … è tutto
piuttosto confuso”
“Non
ricordi nulla di quello che è
accaduto?”
“Mi
ricordo di Miller e che sono
finita a terra. E visto il dolore che sento a tutti i muscoli credo di
non
essere riuscita a difendermi tanto bene”
“Sei
stata drogata” disse Oliver con
quanta più dolcezza possibile “vertigo”
“Sì
questo lo ricordo. E poi Miller
mi ha picchiato”
“Sono
arrivato il prima possibile e
l’ho fermato ma … non sono stato abbastanza veloce
per evitare che si accanisse
su di te”
Oliver sentiva
il dolore e la rabbia
dentro di lui, il senso di colpa che accresceva, la paura che aveva
provato per
la sua incolumità.
“Poi
ti abbiamo portato qui”
“E
perché sei venuto anche tu?”
chiese riferendosi al suo nuovo capo.
“Perché
lui voleva portarti in
ospedale” la voce del vigilante lasciava trasparire il suo
astio nei confronti
di Ray “Ma non ho potuto permetterglielo. Avrebbero fatto
troppe domande”
“Non
capisco … Perché hai rivelato
la tua identità quando avresti potuto semplicemente portarmi
tu qui? Da solo?”
“Perché
tu non volevi venire con me”
Oliver prese un respiro profondo, sapendo che il peggio doveva ancora
arrivare.
“Questo
non ha senso. Perché avrei
dovuto …” Felicity s’interruppe vedendo
lo sguardo afflitto sul viso di Oliver.
Poi
ricordò. Miller, la vertigo e
ciò che aveva visto. La sua paura più grande e le
parole che gridava contro
Oliver mentre lui cercava di salvarla.
Ora tutto aveva
senso, ogni pezzo
del puzzle combaciava perfettamente ma avrebbe preferito continuare a
non
ricordare. Forse avrebbe fatto meno male.
“Ray”
parlò lei dopo qualche attimo
di silenzio “Potresti lasciarci parlare in privato per
qualche minuto?”
Palmer non
rispose, si limitò ad
annuire ed uscire dalla porta secondaria che dava sul vicolo dietro il
Verdant.
Oliver aveva
preso a camminare
nervosamente per la stanza, la testa china, evitando lo sguardo di
Felicity.
“Oliver?”la
bionda lo richiamò
sperando che si avvicinasse a lei “Che cosa è
successo davvero? Credo … credo
di ricordare qualcosa ma non ne sono così sicura”
Dopo qualche
secondo di silenzio
Oliver si decise a parlare: “Non so che cosa sia realmente
successo. Stava
inseguendo Miller e quando l’ho trovato ti stava
…”
Non riusciva
neanche a dirlo tanto
lo faceva star male. Strinse i pugni lungo i fianchi e si
avvicinò a lei,
distendendo poi le braccia sul tavolo di metallo, appoggiando i palmi
ai lati
delle gambe della donna.
Felicity si
ritrovò bloccata fra le
sue braccia, il corpo di Oliver più vicino di quanto
credesse, i suoi occhi
tristi che la scrutavano.
“Ho
tentato di prenderti in braccio
per portarti via da lì ma tu ti sei allontanata. Dicevi che
non dovevo
avvicinarmi, che …” sorresse il suo sguardo mentre
parlava, nonostante facesse
male al cuore “che non avrei dovuto toccarti. Pensavo fosse
la vertigo, ho
creduto che tu non mi riconoscessi ma non era così. Sapevi
perfettamente chi
ero e non ti fidavi più di me. Poi Palmer è
arrivato e ti sei lasciata cullare
dalle sue braccia”
“Io
non …”
Oliver la
fermò, volendo prima
concludere il suo discorso: “Lui voleva portarti in ospedale
ma quando gli ho
detto che conoscevo un posto sicuro dover poterti curare ha insistito
per
venire anche lui. Non ti avrebbe lasciata e ho dovuto portarlo
qui”
“E
come ha capito chi eri realmente?
Glielo hai detto tu?” domandò.
“No,
lo ha capito da solo”
l’espressione dubbiosa di Felicity lo spronò a
continuare “continuavi a
chiamarmi Oliver mentre ti allontanavi da me e lui ha messo insieme i
pezzi”
“Mi
dispiace, io … “ Felicity non
poteva credere di aver compiuto una tale leggerezza
“è colpa mia, non …”
“No”
Oliver la bloccò sorridendole
rassicurante “Eri sotto effetto della vertigo, non potevi
sapere quello che
stavi dicendo. Non è colpa tua”
Lei chiuse gli
occhi prendendo un
lungo respiro.
“Io
non pensavo davvero quello che
ti ho detto. Non ti avrei mai allontanato se fossi stata lucida. Io mi
fido
ciecamente di te ma …” il ricordo
dell’allucinazione che la droga aveva causato
pesava come un macigno sul cuore e faceva male, anche se sapeva che non
era
reale.
“Quello
che ho visto …. Sembrava
così reale” si bloccò sentendo la sua
voce incrinarsi.
“Ehi”
Oliver cercò di
tranquillizzarla mentre vedeva i suoi occhi farsi lucidi “So
quello che la
vertigo può fare, l’ho sperimentato in prima
persona e non è affatto piacevole”
Spostò
le mani dal tavolo di
metallo, raggiungendo quelle di Felicity che si stavano torturando a
vicenda
sul suo grembo.
Lo sguardo
della ragazza cadde sulle
loro dita intrecciate e Oliver notò il piccolo sorriso che
si era dipinto sul
suo viso.
La bionda
tirò su con il naso,
impedendo alla lacrime di cadere dai suoi occhi chiari.
“Quando
mi ha drogato Miller si è
trasformato in qualcun altro” cercò di farsi
coraggio mentre stringeva più
forte le mani di Oliver che le infondevano sicurezza “ed era
quel qualcuno che
mi picchiava, non Miller. Insomma so che in realtà era
Miller ma a me sembrava
realmente un'altra persona”
Oliver
annuì comprensivo: “Chi? Chi
hai visto, Felicity?”
“Tu”
sussurrò lei “Eri tu che mi
picchiavi”
Oliver si
allontanò lasciando la
presa sulle mani della ragazza, come se avessero improvvisamente
iniziato a
scottare.
Le diede le
spalle cercando di
metabolizzare quello che aveva appena scoperto.
“Io?”
la sua voce tremava, cosa che
non accadeva molto spesso ad Arrow “Io sono la tua paura
più grande?”
Si sentiva
male. Gli mancava il
fiato, come se non riuscisse a respirare. Faceva dannatamente male, al
petto.
Non si era mai
sentito così.
“No,
non tu” la voce di Felicity
rimbombò nel covo stranamente silenzioso “insomma,
non eri realmente tu, eri
diverso. L’Oliver che conosco non mi avrebbe mai detto quelle
cose”
“Quali
cose?”
Felicity scese
dal bancone su cui
era seduta, ignorando le vertigini che l’assalirono una volta
in piedi.
Si
avvicinò a lui facendolo voltare,
per guardarlo negli occhi.
Non
l’aveva mai visto così.
Nemmeno quando
era morta Sara, né
quando aveva scoperto che Thea era diventata un’assassina,
né quando era
tornato dal duello contro Ra’s Al Ghul.
Sembrava distrutto.
“Che
cosa ti ho detto?” la sua
sembrava più una supplica piuttosto che una domanda.
“Mi
hai detto che non contavo nulla
per te …” iniziò titubante
“… che ero solo un burattino nelle tue mani, utile
a
raggiungere i tuoi scopi”
Felicity
cercò di arginare il dolore
che provava ma parlare ad alta voce di quello che era successo non
aiutava.
Chiuse gli occhi mentre le prime lacrime solcavano le sue guancie.
“Mi
hai detto che ero una povera
illusa perché ho davvero creduto che tu potessi”
le lacrime sul suo viso
raddoppiarono “potessi innamorarti di me”
Oliver si
impose di respirare,
cercando di non farsi sopraffare da quel turbinio di emozioni che lo
stava
distruggendo a poco a poco.
“Ridevi.
Ridevi di me e intanto mi
picchiavi. E quando sei arrivato per salvarmi, pensavo che avresti
continuato
ad umiliarmi. Non ho realizzato che eri davvero tu e non volevo
sentirmi più
così male, mai più”
La voce di
Felicity si spezzò e il
pianto prima silenzioso si trasformò in singhiozzi sempre
più forti, fino a
farle mancare l’aria.
Sentì
il calore del corpo di Oliver
contro il suo mentre le sue braccia la cingevano in un abbraccio
protettivo.
Sentì
le sue mani carezzarle la
schiena, scivolando su e giù, per tentare di calmarla.
“Non
ero io, Felicity. Non ti avrei
mai detto quelle cose”
“Lo
so” rispose tra un singhiozzo e
l’altro, mentre si aggrappava a lui e affondava il viso nel
suo collo.
“Sei
importante per me, Felicity” le
sussurrò dolcemente “Lo sarai sempre”
Sciolse
l’abbraccio ma solo per
guardarla negli occhi, per farle capire che era sincero e che non le
avrebbe
mai mentito: “Non c’è nulla al mondo che
conti più di te. Nulla che abbia il
tuo stesso valore, nulla che sia più bello del tuo
sorriso”
Erano ancora
abbracciati stretti,
quando Diggle fece il suo ingresso nel covo.
Si staccarono
improvvisamente,
aumentando la distanza tra loro.
“Scusate,
non volevo interrompere
nulla” disse “Comunque sono felice che tu stia
bene, Felicity”
“Grazie
John” rispose lei, ancora
frastornata da quanto successo.
Le parole di
Oliver risuonavano
ancora nella sua mente, distraendola.
“Io
vado” annunciò Diggle “Volevo
solo accertarmi sulle tue condizioni”
E
così come era arrivato sparì.
Felicity
asciugò le ultime lacrime
dal viso e tornò a sedersi sul suo letto improvvisato.
“Va
tutto bene?” chiese Oliver
vedendola allontanarsi.
“Sì.
Mi gira solo un po’ la testa,
ma sto bene”
Restarono in
silenzio, ognuno perso
nei propri pensieri.
Fu Oliver a
parlare per primo: “C’è
una cosa che non mi spiego in tutto questo”
“Che
cosa?”
“Come
tu potessi essere là. Come abbia
fatto Miller a trovarti. Dovevi essere qui, al covo, al
sicuro”
Felicity sapeva
che prima o poi
sarebbe dovuto succedere. E temeva quel momento, la discussione che
avrebbe
scatenato, il male che avrebbe comportato per entrambi.
Ma non poteva
mentirgli. Non avrebbe
avuto alcun senso.
“Non
è stato Miller a trovarmi. Sono
io che ho trovato lui” rispose.
Oliver
s’irrigidì.
Forse Diggle
aveva ragione, forse
lei l’aveva fatto davvero.
Non poteva
crederci.
“Le
comunicazioni con John e Roy
erano disturbate. Non riuscivo a parlare con loro e non so il
perché. Ho visto
che ti allontanavi dal magazzino e ho capito che stavi inseguendo
Miller. Eri
solo e quando non mi hai risposto … io ho avuto paura. Non
c’era nessuno che
poteva correre in tuo aiuto e temevo che Miller ti avesse drogato, che
la
vertigo avrebbe potuto indebolirti, metterti in pericolo, renderti
vulnerabile.
Avevo il terrore di poterti perdere” Felicity si
fermò, cercando di capire la
reazione di Oliver ma lui rimaneva fermo di fronte a lei, immobile,
senza dire
nulla.
“Così
ho pensato che avrei potuto
aiutarti io. Sapevo che eri sotto il grattacielo dell’azienda
e non era
pericoloso come un magazzino abbandonato. Sono salita in auto e ti ho
raggiunto. Ho visto Miller e l’ho colpito ma non è
bastato e … il resto lo sai”
cercò di non scoppiare di nuovo a piangere, non voleva
mostrarsi debole. E
soprattutto non si era pentita di quello che aveva fatto, non aveva
dubitato
neanche un secondo della decisione presa.
Quello che
successe dopo la
terrorizzò.
Si aspettava
una reazione da parte
di Oliver ma questa non arrivò. La guardava da lontano senza
proferire parola.
“Oliver
… di’ qualcosa, ti prego”
Quel silenzio
la stava uccidendo.
“Non
l’hai fatto davvero. Non puoi
averlo fatto”
Oliver si
avvicinò di qualche passo,
contrariato.
Lei non rispose.
“Hai
lasciato il covo, ti sei messa
in pericolo, hai rischiato di morire, hai abbandonato la tua
postazione, hai …”
la raggiunse e Felicity notò che era più che
contrariato.
Era furioso.
Arrabbiato, sconvolto,
deluso.
“Hai
mandato all’aria tutto ciò che
ho fatto per tenerti al sicuro! Come hai potuto fare una cosa simile?
Perché,
Felicity? Perché?”
Ora non stava
più parlando, aveva
iniziato ad urlare.
“Perché
volevo aiutarti!” gli rispose, a sua volta
arrabbiata “Volevo solo
proteggerti”
“Tu
non devi proteggermi! Sono io
che tengo al sicuro te, non il contrario. E con la tua
irresponsabilità hai
rovinato tutto quello che avevo faticosamente fatto
…”
“Fatto
cosa, Oliver?” urlò lei a sua
volta, cercando di ignorare la fitta di dolore lancinante che le
attraversava i
muscoli “Sai che cosa c’è? Io non voglio
essere protetta da te!”
Respirò
a fondo mentre sosteneva lo
sguardo dell’uomo di fronte a sé.
“Volevo soltanto che tu mi stessi accanto ” ricacciò indietro le lacrime “Voglio soltanto te”
Il cuore di
Oliver fece una capriola
nel petto ma lui lo ignorò, troppo arrabbiato per potersi
fermare a dargli
ascolto.
“Tu
non capisci …”
“Non
capisco? Che cosa non capisco,
Oliver?” chiese sempre più frustrata
“Non capisco perché ti ostini a dirmi che
vuoi solo proteggermi! Hai ragione, non lo capisco”
“Non
capisci quello che ho dovuto
sopportare per tenerti al sicuro, quanto è stato difficile
riuscire a …”
“Riuscire
a fare cosa?”
Lo
guardò negli occhi, attendendo
una risposta.
“A
starti lontano,
maledizione!”
Oliver
annullò la poco distanza che
ancora li separava, intrappolandola con il suo corpo, fino a che i loro
volti
furono così vicini da potersi quasi sfiorare.
“Non
immagini quanto mi sia costato
fare finta che non mi importasse, che tutto questo non mi ferisse, che
non mi
desse fastidio vederti uscire a cena con Palmer, che vederti baciare il
tuo
nuovo capo non mi avesse distrutto. Non sai quanto autocontrollo mi ci
vuole
per resisterti, per evitare di lascarmi andare”
“Allora
non lo fare. Lasciati
andare” lo supplicò con tutta sé
stessa.
Felicity
respirò a fondo sentendo
solo il profumo di Oliver riempirle le narici.
Sentiva il
calore che emanava il suo
corpo, così vicino al suo da scatenarle lunghi brividi lungo
la schiena.
Non aveva mai
visto i suoi occhi da
così vicino, azzurri, profondi e tormentati.
Gli occhi di un
eroe. Il suo eroe.
Gli si
avvicinò ancora, facendo
scontrare il profilo dei loro nasi.
Inalò
altra aria e il suo respiro si
infranse sulla pelle di Oliver, a pochi millimetri dalla sua.
Voleva le sue
labbra, così morbide
ed invitanti, ad un soffio dalle sue.
Posò
le piccole mani sul suo viso,
accarezzando la barba ispida che cresceva sulle guance e gli ricopriva
il
mento.
“Felicity”
la voce di Oliver era
ridotta ad un sussurro “non farlo … non farebbe
altro che peggiorare le cose”
“Smettila!
Io ho scelto questa vita,
con i suoi rischi, con i suoi pericoli. Ma voglio viverla, non
sprecarla. E
dovresti farlo anche tu. Smettila di combattere per tutti e contro
tutti.
Meriti di essere felice pure tu”
Oliver chiuse
gli occhi cercando di
non pensare a quanto lei gli fosse vicino, al suo profumo, alle
sensazioni che
gli faceva provare.
Sentiva il
cuore galoppargli nel
petto, pompando il sangue nelle vene, facendolo sentire vivo
più che mai.
La voleva.
La desiderava
più di ogni altra cosa
al mondo e non poteva più resistergli.
Quando
riaprì gli occhi, Felicity si
stava allontanando da lui, un velo di tristezza nel suo sguardo.
La
bloccò, prima che fosse troppo
tardi.
Gli occhi
chiari di lei si
incatenarono ai suoi, di nuovi pieni di speranza.
Le sue mani
scattarono verso quel
viso gentile, spinte dalla irrefrenabile voglia di accarezzarla.
“Non
lo fare mai più” fu lui a
supplicarla questa volta “mai più”
Ad ogni parola
che usciva dalla sua
bocca si avvicinava sempre di più, sfiorando la pelle del
suo viso con la punta
del naso.
“Mai
più” accarezzò gli angoli della
sua bocca ricevendo come risposta solo il respiro ansante di Felicity.
“Non
devi più rischiare così per me.
Promettimelo” fermò un istante quella dolce
tortura, aspettando una sua
conferma.
“Te
lo prometto” disse flebilmente.
“Mai
più” sussurrò Oliver per
l’ultima volta, in un soffio sopra le sue labbra.
Catturò
la sua bocca con la propria,
cogliendola di sorpresa, le sue labbra ancore socchiuse per lo stupore.
Non
c’era nulla di lento in quel
bacio, la passione così a lungo repressa aveva preso il
sopravvento. Le loro
lingue si rincorrevano mentre le mani di Oliver premevano sulla nuca di
Felicity, avvicinandola ancora di più a sé.
I loro corpi si
scontrarono
facendoli gemere, eccitandoli fino a far perdere loro il controllo.
Oliver le
torturò il collo di baci,
stringendola a sé il più delicatamente possibile.
Aveva paura di farle male,
nei punti in cui Miller l’aveva picchiata.
Miller.
Non doveva
pensare a lui. Al rischio
che aveva rappresentato per lei.
Ai pericoli che
correva a causa sua.
Sentì
le mani di Felicity
aggrapparsi alla giacca del suo costume e aprire velocemente la zip,
infilarsi
sotto la stoffa verde e accarezzare le cicatrici sul petto, scendendo
pericolosamente verso il basso.
Bloccò
le sue mani, ormai giunte all’elastico
dei pantaloni, lì dove in realtà la desiderava di
più.
“Fel
… aspetta” la allontanò quel
poco che bastava per guardarla negli occhi.
“Che
succede?” domandò con il respiro corto.
Lui
esitò, non sapendo realmente
cosa dire.
Aveva paura e
non poteva riuscire a
superarla da sola.
Voleva
Felicity, voleva una
relazione con lei, voleva vederla sorridere e impegnarsi sul serio.
Per lei.
Ma aveva
bisogno di aiuto, del suo
aiuto.
E per un eroe,
per l’uomo che salva
la gente della sua città, era difficile ammettere di averne
bisogno.
“Ma
certo” la voce di Felicity
lasciava trasparire la sua delusione “Mi sembrava troppo
bello per essere vero”
“Felicity
…” la richiamò ma lei si
era già messa in piedi e si stava allontanando “
… non è come pensi”
“No,
non lo è mai” rispose
arrabbiata “sono stanca di sentire le tue scuse, Oliver. Di
sentirti dire
sempre le stesse cose”
“Ascoltami”
la implorò lui.
“No.
Basta, Oliver. Non voglio più
sentire nulla” si voltò prendendo la sua borsa e
il cappotto ma Oliver la
trattenne per un braccio.
Solo quando lei
si lamentò per il
dolore, lui capì quello che aveva fatto.
Aveva stretto
con troppa forza, lì
dove Miller aveva infierito su di lei.
“Scusami, io non
…”
“Non
importa. Almeno questo non è
colpa tua” disse, guardandolo per un istante prima di
sfuggire alla sua presa.
Oliver rimase
in silenzio ed incassò
il colpo, incapace di dire qualunque cosa.
“Dove
vai?” le chiese appena riuscì
di nuovo a parlare.
“A
casa” rispose quando ormai era
già lontano da lui.
“Non
puoi andarci da sola, potresti
aver bisogno di aiuto”
“Non
preoccuparti” disse scandendo
bene le parole “Sono sicura che Ray sarà felice di
accompagnarmi”
Voleva ferirlo,
quasi come lui aveva
fatto con lei, e dall’occhiata furtiva che aveva lanciato
alle sue spalle era sicura di esserci riuscita.
Strinse i
pugni, maledicendosi tra
sé e sé.
Come aveva
potuto lasciare che
accadesse tutto questo?
Sentiva ancora
il sapore delle
labbra di Felicity sulla bocca, il desiderio che gli bruciava dentro,
la voglia
che aveva di lei.
Ma aveva
rovinato tutto, ancora una
volta.
E ora lei era
con Palmer.
Se lo meritava,
era solo colpa sua.
Si diresse a
grandi passi verso la
stanzetta del covo che usava come spogliatoio, per togliere la tuta
verde che
aveva ancora indosso, dopo aver agganciato l’arco al suo
supporto nella teca.
Si
cambiò i pantaloni, sostituendo
quelli attillati del costume di Arrow con un paio di comodi jeans, e
infilò
velocemente una t-shirt.
Andò
a sciacquarsi il viso prima di
indossare il maglioncino e quando si vide nello specchio sopra il
lavandino
quasi si spaventò.
Aveva un
aspetto terribile.
Ma in fondo
rifletteva il suo stato
d’animo.
Era svuotato,
come se non sentisse
più nulla, come se non ci fosse più nulla da
sentire.
Sferrò
un pugno sul muro in un
improvviso impeto di rabbia.
Ci mise qualche
istante ma alla fine
lo sentì: il dolore che si propagava lungo le nocche,
estendendosi alle dita e
poi a tutto il resto della mano.
Il respiro
divenne sempre più
affannato e realizzò che c’era qualcosa che
pungeva nei suoi occhi.
Lacrime.
Calde, salate,
incontrollabili che
colarono copiosamente sul suo viso.
Era da tanto
che non piangeva.
Forse aveva
addirittura dimenticato
quale fosse stata l’ultima volta.
Pianse per
quello che aveva perso,
per quello che aveva distrutto, per Felicty, per Thea, per Sara, per
tutto
quello che non si era mai concesso di provare.
Non seppe di
preciso quanto tempo
passò appoggiato al muro, lasciandosi scivolare a poco a
poco fino a sedersi
sul pavimento, le gambe piegate strette fra le braccia.
Se ne stava
lì, accucciato come un
bambino, mentre le lacrime non smettevano di scendere.
Felicity
uscì dalla porta secondaria
che dava sul vicolo sentendo la brezza fredda della sera sfiorarle le
gambe
scoperte dal vestito.
Era distrutta.
Trovò
Ray appoggiato al muro esterno
del Verdant, in attesa.
“Hey”
si avvicinò a lei,
sincerandosi sulle sue condizioni.
“Sto
bene” mentì mentre dentro si
sentiva morire.
“Concluso
il discorso con Oliver?”
domandò lui, stupito di vederla lì fuori, sulle
proprie gambe.
“Sì.
Ma sono un po’ stanca. Potresti
accompagnarmi a casa, per favore?” domandò.
“Certo”
Ray le sorrise e per un
attimo Felicity desiderò ardentemente amare quel sorriso.
Ma non ci
riusciva.
Perché
no? Perché non si emozionava,
non le batteva forte il cuore? Perché le succedeva solo
quando vedeva quello di
Oliver?
Faceva male.
Si
aggrappò al braccio che Palmer le
aveva porto, grata per quel gesto, visto che stava faticando molto a
tenersi in
piedi senza che la testa le girasse.
Era ancora
debole e sentiva la
stanchezza diffondersi in tutto il corpo.
Ma non era
nulla in confronto al
dolore che provava dentro il petto. Le sembrava di aver sentito il
cuore
rompersi in tanti pezzi, liberando migliaia di schegge.
Come quando da
piccola si era ferita
camminando a piedi nudi sui cocci di un bicchiere rotto.
Avrebbe voluto
piangere ma non
poteva lasciarsi andare davanti al suo capo.
Ray avrebbe
fatto domande a cui lei
non voleva rispondere.
Fece per
spingere più su gli
occhiali sul naso, in modo che le lenti mascherassero in parte i suoi
occhi
lucidi, ma realizzò di non indossarli.
Dove li aveva
lasciati?
Li aveva quando
era uscita per
andare in soccorso di Oliver ma non più quando si era
risvegliata dopo
l’aggressione.
Qualcuno
probabilmente glieli aveva
tolti.
Erano ormai
davanti all’auto di
Palmer quando decise di tornare indietro a prenderli.
“Ho
scordato gli occhiali dentro,
credo” disse facendosi accompagnare dall’uomo
all’interno del covo.
Non
c’era traccia di Oliver e lei ne
fu sollevata.
Non sapeva dove
si era cacciato ma
preferiva non vederlo in quel momento.
Notò
gli occhiali sulla sua
scrivania, vicino ai suoi fidati computer. Trovò anche
l’elastico fucsia con
cui aveva legato i capelli nella solita coda e accanto giaceva
abbandonata la
maschera di Arrow.
La
ignorò, cercando di non pensare a
lui, mentre inforcava gli occhiali e si voltava per uscire dal covo il
più in
fretta possibile.
Fece pochi
passi prima che la testa
iniziasse a girarle, le gambe divennero molli, faticando a sorreggerla.
Si
aggrappò allo schienale della
poltrona su cui sedeva ogni giorno, chiuse gli occhi e
respirò profondamente ma
la situazione non migliorò.
“Felicity,
ti senti bene?” Ray si
avvicinò a lei, cercando di aiutarla.
“Mi
gira la testa” disse
faticosamente mentre sentiva le gambe cederle.
Si
lasciò cadere pesantemente sulla
seùdia.
“Oliver”
disse “Chiama Oliver”
Le pesava dover
dipendere da lui in
quel momento ma era l’unico che poteva aiutarla, capire cosa
le stava
succedendo.
Oliver
sentì dei passi entrare nel
covo.
Conosceva quel
rumore di tacchi, lo
sentiva ogni giorno quando lei scendeva le scale, palesando
così il suo arrivo.
Si
destò da l torpore in cui era
caduto e si ricompose, asciugando le lacrime con il dorso della mano.
Infilò
il maglioncino prima di
uscire dallo spogliatoio e fu allora che sentì la voce di
Palmer.
Forse era
meglio non uscire, non
voleva vedere il sorriso soddisfatto sul volto dell’uomo per
essere riuscito a
portargli via Felicity.
“Oliver.
Chiama Oliver” sentì la
voce della donna, stanca e affaticata, e capì subito che
c’era qualcosa che non
andava.
Uscì
dallo spogliatoio trovandosi
faccia a faccia con Palmer.
“Credo
non ce ne sia bisogno”
commentò Ray riferendosi alla richiesta della ragazza.
“Felicity”
la chiamò preoccupato
avvicinandosi a lei “Che cosa è
successo?”
S’inginocchiò
sul pavimento per
arrivare all’altezza della donna, seduta sulla sua poltrona,
gli occhi chiusi
dietro le lenti degli occhiali.
“Mi
fa male la testa” rispose
portandosi una mano alle tempie, massaggiandole.
“Sei
ancora debole per stare in
piedi, probabilmente è solo un calo di pressione”
le spiegò cercando di
rassicurarla.
Felicty
aprì lentamente gli occhi
trovandosi Oliver davanti.
C’era
qualcosa che non le tornava.
“Perché
hai di nuovo indossato la
maschera?” domandò
“C’è un’altra
emergenza?”
Si ricordava di
averla vista poco
prima sulla scrivania quando prendeva gli occhiali e lui non
c’era.
Come poteva
portarla ora?
“La
maschera?” Oliver era sorpreso
“Non ho la maschera, Felicity”
Lei lo
guardò ma sembrava assente,
come se non lo vedesse davvero.
“Felicity!”
la chiamò con fermezza
prendendole le mani tra le sue “Felicity, ascoltami. Quello
che vedi non è
reale. Nulla di quello che senti lo è”
Oliver sapeva
che l’unica cosa che
avesse senso era che fosse in preda ad un’altra allucinazione.
Non riusciva a
spiegarsi il perché,
non a distanza di ore dalla dose di vertigo, ma avrebbe motivato la
discussione
sulla maschera. Continuava a vederlo come Arrow, come la sua
più grande paura.
“Che
cosa le sta succedendo?” chiese
Palmer, sempre più confuso.
“Penso
sia in preda alle
allucinazioni. Di nuovo!” gli spiegò velocemente
mentre stringeva la presa
sulle sue mani. Doveva trovare un modo per risvegliarla, per portarla
di nuovo
alla realtà.
“Felicity,
guardami. Sono qui, sono
io, Oliver. Non Arrow, non il vigilante. Ci sono solo io”
sperava davvero che
bastasse a destarla “Non devi avere paura, Felicity. Devi
essere forte, non
lasciarti andare”
“Sei
solo un’illusa!” la voce del
vigilante era dura, tagliente. E risuonava nella mente della ragazza,
decine e
decine di volte.
Non poteva
essere, non di nuovo.
Felicity non
voleva rivivere quel
momento.
Era al covo
questa volta e Arrow era
arrabbiato con lei ma non riusciva a capirne il motivo.
Sentiva
qualcosa ma non capiva cosa
fosse.
Abbassò
lo sguardo sulle sue mani,
abbandonate pigramente sul ventre e le vide.
Vide le sue
dita intrecciate a
quelle di Arrow.
No, non erano
le sue. Non c’erano i
soliti guanti di pelle nera.
Quelle erano le
mani di Oliver.
Era un contatto
piacevole,
rassicurante come una dolce carezza.
“Oliver
…” lo chiamò, sperando che
l’ascoltasse.
“Felicity”
la voce dell’uomo giunse
alle sue orecchie e le sembrò di scorgere un velo di
preoccupazione nel suo
tono ma anche sollievo.
Alzò
lo sguardo e lo vide.
Non
c’era più Arrow che la
squadrava, c’era Oliver che le sorrideva.
Le
sembrò di essersi risvegliata
improvvisamente da uno stato di trance.
Lui la vide, lo
sguardo non più
assente, il respiro un po’ affannato e
un’espressione di stupore sul viso.
“Ehi”
posò una mano sul suo collo
spingendola gentilmente verso di lui.
“Oliver”
lo chiamò spaventata.
“Va
tutto bene, Felicity”
Le si
tuffò tra le sue braccia,
affondando il viso nell’incavo tra la spalla e il collo
dell’uomo.
“Va
tutto bene” le ripeté Oliver mentre
la cullava dolcemente.
Riuscì
a tranquillizzarsi dopo
qualche istante, asciugandosi le lacrime che aveva versato.
“Hai
bisogno di riposare” le disse
lui “ti porto a casa, ok?”
“Ci
penso io” s’intromise Ray.
“Meglio
di no” il tono secco di
Oliver non ammetteva repliche “non è prudente
lasciarla sola, potrebbe avere
altre allucinazioni”
“Posso
restare io con …”
“Con
tutto il rispetto signor
Palmer” Oliver si alzò voltandosi verso di lui
“non credo sia in grado di
fronteggiare una situazione simile se si presentasse”
“Io
sono sicuro di poter …”
“Smettetela!”
fu Felicity a porre
fine a quella inutile discussione “Mi
scoppia la testa a sentirvi litigare come due bambini!”
Si zittirono
entrambi ma gli sguardi
poco amichevoli fra i due continuarono.
“Oliver
ha ragione” aggiunse lei
“lui ha più esperienza in fatto di vertigo. Ray,
tu domani mattina devi gestire
un’azienda, meglio se riposi quelle poche ore che rimangono
prima dell’alba”
Oliver
accennò un sorriso ma questo scemò
subito dopo l’occhiata furiosa che la bionda gli rivolse.
Felicity
provò ad alzarsi ma lui la
fermò: “Non devi affaticarti. Resta
seduta”
Si
avvicinò a lei dopo aver
recuperato tutte le sue cose e si abbassò per guardarla
negli occhi.
“Non pensare che
ti abbia perdonato solo
perché ti permetto di accompagnarmi a casa” gli
sussurrò nell’orecchio in modo
che solo lui potesse sentire.
“Aggrappati
a me” le disse passando
le braccia intorno alla sua schiena, evitando di rispondere alla sua
provocazione.
Felicity gli
circondò il collo con
le braccia, tenendosi stretta mentre lui la sollevava dalla poltrona.
Oliver
portò un braccio sotto le
cosce della ragazza per sorreggerla meglio, lasciando che lei si
abbandonasse
completamente contro il suo corpo.
Nonostante
fosse arrabbiata con lui,
Felicity non riuscì a reprimere quel brivido che le sue
grandi mani provocavano
in lei semplicemente toccandola.
Oliver
sentì le gambe di Felicity
cingergli il bacino per stare più comoda in braccio a lui.
Era di nuovo
incredibilmente vicina,
i loro corpi separati solo da un sottile strato di vestiti, fini come
l’abito
viola che lasciava scoperte le sue lunghe gambe.
Cercò
di non pensarci mentre la
portava fuori dal covo, diretto a casa sua.
Lei si strinse
di più a lui quando
uscirono nell’aria fredda delle cinque del mattino, cercando
rifugio nel suo
corpo caldo.
Vide Ray, da
sopra la spalla di
Oliver, che si dirigeva verso la sua auto sportiva dopo averla salutata
con un
cenno della mano.
Poi chiuse gli
occhi e si accoccolò
meglio sulla sua spalla, il profilo del naso che sfiorava la calda
pelle del
collo del suo eroe.