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Autore: kate95    27/02/2015    10 recensioni
Le sue mani scattarono verso quel viso gentile, spinte dalla voglia irrefrenabile di accarezzarla.
“Non lo fare mai più” fu lui a supplicarla questa volta “mai più”
Ad ogni parola che usciva dalla sua bocca si avvicinava sempre di più, sfiorando la pelle del suo viso con la punta del naso.
“Mai più” accarezzò gli angoli della sua bocca ricevendo come risposta solo il respiro ansante di Felicity.
“Non devi più rischiare così per me. Promettimelo” fermò un istante quella dolce tortura, aspettando una sua conferma.
“Te lo prometto” disse flebilmente.
“Mai più” sussurrò Oliver per l’ultima volta, in un soffio sopra le sue labbra.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Never again

Il suo eroe sei tu

Sentiva la testa scoppiarle e ogni muscolo farle male fino a farle lacrimare gli occhi.

Cercò di aprirli ma le sue palpebre erano più pesanti di quanto si aspettasse.

Sentiva delle voci in lontananza, toni famigliari, caldi e rassicuranti, come quello di Oliver.

Ma c’era qualcun altro con lui, qualcuno che non era né John né Roy né nessuno che sarebbe potuto essere al covo.

Perché era lì che si trovava, no?

Non ne era così sicura.

Sentiva solo il collo bruciare, come se gli avessero fatto un’iniezione o un prelievo del sangue. E lei odiava i prelievi. Odiava gli aghi, anzi in realtà detestava tutto quello che era appuntito. Tutto tranne le frecce. Quelle non le odiava, anzi aveva imparato ad amarle.

Interruppe il flusso sconnesso dei suoi pensieri concentrandosi su quella voce.

E fu allora che capì.

Ray.

Ma che cosa ci faceva il suo nuovo capo al covo?

Piccoli ricordi iniziarono a riaffiorare: Oliver che non rispondeva, la paura che aveva provato, lei sul marciapiede e le botte che aveva ricevuto.

Era tutto così confuso.

Mentre tentava di ricostruire gli avvenimenti le parve di sentire Oliver dire: “La amo”

Forse stava ancora sognando. Forse non stava parlando di lei.

Ma poi aprì gli occhi.

La luce a neon del covo la colpì fastidiosamente costringendola a strizzare gli occhi più volte per farli abituare. Percepì il freddo del metallo sotto la sua schiena, in contrasto con il calore della coperta in cui era avvolta.

Si mise seduta ma il dolore ai muscoli la fece sospirare, mentre la testa pulsava come un martello pneumatico.

“Felicity” la sua voce sorpresa fu la più dolce delle melodie per le sue orecchie.

Un istante dopo lui la stava sorreggendo, chiedendole come stava, tentando di convincerla a sdraiarsi, per riposare.

 

 

Sentì un gemito e si voltò, trovando Felicity seduta sul tavolo in metallo, la coperta che prima l’avvolgeva era scivolata lungo il petto lasciando visibili le sue esili braccia.

Erano ricoperte di lividi, segni violacei affiorati sulla sua pelle dopo le botte che aveva ricevuto da Miller.

Oliver corse subito vicino a lei, cercando di ignorare l’odio che provava nei confronti di quell’uomo che aveva osato alzare le mani su di lei.

Era fortunato ad essere morto.

“Come ti senti?” le chiese accarezzando con le dita il viso della donna.

Felicity si appoggiò alla mano che era sulla sua guancia, sorridendo stanca.

Si sentiva intontita, confusa e intorpidita.

La testa continuava a farle male e faticava a mettere a fuoco la stanza, ma questo era dovuto almeno in parte alla mancanza dei suoi fidati occhiali sul naso.

“Mi fa male la testa” si lamentò “mi sembra di essere stata investita da un tir”

“Starai bene, vedrai” la rassicurò “ma devi riposare perciò è meglio se ti stendi”

“Uhmm” mugugnò chiudendo gli occhi e beandosi di quel caldo contatto con la mano di Oliver.

Ray si avvicinò ai due, palesando la sua presenza con un finto colpo di tosse.

“Ray” Felicity lo salutò senza capire perché fosse lì “Come mai sei qui?”

Poi notò che Oliver indossava ancora il costume di Arrow e spalancò gli occhi scioccata.

“Tranquilla. Lui sa” rispose Oliver.

“Come?”

“Ha assistito a quello che è successo con Miller” spiegò “e mi ha aiutato a portarti qui”

“Non me lo ricordo … è tutto piuttosto confuso”

“Non ricordi nulla di quello che è accaduto?”

“Mi ricordo di Miller e che sono finita a terra. E visto il dolore che sento a tutti i muscoli credo di non essere riuscita a difendermi tanto bene”

“Sei stata drogata” disse Oliver con quanta più dolcezza possibile “vertigo”

“Sì questo lo ricordo. E poi Miller mi ha picchiato”

“Sono arrivato il prima possibile e l’ho fermato ma … non sono stato abbastanza veloce per evitare che si accanisse su di te”

Oliver sentiva il dolore e la rabbia dentro di lui, il senso di colpa che accresceva, la paura che aveva provato per la sua incolumità.

“Poi ti abbiamo portato qui”

“E perché sei venuto anche tu?” chiese riferendosi al suo nuovo capo.

“Perché lui voleva portarti in ospedale” la voce del vigilante lasciava trasparire il suo astio nei confronti di Ray “Ma non ho potuto permetterglielo. Avrebbero fatto troppe domande”

“Non capisco … Perché hai rivelato la tua identità quando avresti potuto semplicemente portarmi tu qui? Da solo?”

“Perché tu non volevi venire con me” Oliver prese un respiro profondo, sapendo che il peggio doveva ancora arrivare.

“Questo non ha senso. Perché avrei dovuto …” Felicity s’interruppe vedendo lo sguardo afflitto sul viso di Oliver.

Poi ricordò. Miller, la vertigo e ciò che aveva visto. La sua paura più grande e le parole che gridava contro Oliver mentre lui cercava di salvarla.

Ora tutto aveva senso, ogni pezzo del puzzle combaciava perfettamente ma avrebbe preferito continuare a non ricordare. Forse avrebbe fatto meno male.

“Ray” parlò lei dopo qualche attimo di silenzio “Potresti lasciarci parlare in privato per qualche minuto?”

Palmer non rispose, si limitò ad annuire ed uscire dalla porta secondaria che dava sul vicolo dietro il Verdant.

Oliver aveva preso a camminare nervosamente per la stanza, la testa china, evitando lo sguardo di Felicity.

“Oliver?”la bionda lo richiamò sperando che si avvicinasse a lei “Che cosa è successo davvero? Credo … credo di ricordare qualcosa ma non ne sono così sicura”

Dopo qualche secondo di silenzio Oliver si decise a parlare: “Non so che cosa sia realmente successo. Stava inseguendo Miller e quando l’ho trovato ti stava …”

Non riusciva neanche a dirlo tanto lo faceva star male. Strinse i pugni lungo i fianchi e si avvicinò a lei, distendendo poi le braccia sul tavolo di metallo, appoggiando i palmi ai lati delle gambe della donna.

Felicity si ritrovò bloccata fra le sue braccia, il corpo di Oliver più vicino di quanto credesse, i suoi occhi tristi che la scrutavano.

“Ho tentato di prenderti in braccio per portarti via da lì ma tu ti sei allontanata. Dicevi che non dovevo avvicinarmi, che …” sorresse il suo sguardo mentre parlava, nonostante facesse male al cuore “che non avrei dovuto toccarti. Pensavo fosse la vertigo, ho creduto che tu non mi riconoscessi ma non era così. Sapevi perfettamente chi ero e non ti fidavi più di me. Poi Palmer è arrivato e ti sei lasciata cullare dalle sue braccia”

“Io non …”

Oliver la fermò, volendo prima concludere il suo discorso: “Lui voleva portarti in ospedale ma quando gli ho detto che conoscevo un posto sicuro dover poterti curare ha insistito per venire anche lui. Non ti avrebbe lasciata e ho dovuto portarlo qui”

“E come ha capito chi eri realmente? Glielo hai detto tu?” domandò.

“No, lo ha capito da solo” l’espressione dubbiosa di Felicity lo spronò a continuare “continuavi a chiamarmi Oliver mentre ti allontanavi da me e lui ha messo insieme i pezzi”

“Mi dispiace, io … “ Felicity non poteva credere di aver compiuto una tale leggerezza “è colpa mia, non …”

“No” Oliver la bloccò sorridendole rassicurante “Eri sotto effetto della vertigo, non potevi sapere quello che stavi dicendo. Non è colpa tua”

Lei chiuse gli occhi prendendo un lungo respiro.

“Io non pensavo davvero quello che ti ho detto. Non ti avrei mai allontanato se fossi stata lucida. Io mi fido ciecamente di te ma …” il ricordo dell’allucinazione che la droga aveva causato pesava come un macigno sul cuore e faceva male, anche se sapeva che non era reale.

“Quello che ho visto …. Sembrava così reale” si bloccò sentendo la sua voce incrinarsi.

“Ehi” Oliver cercò di tranquillizzarla mentre vedeva i suoi occhi farsi lucidi “So quello che la vertigo può fare, l’ho sperimentato in prima persona e non è affatto piacevole”

Spostò le mani dal tavolo di metallo, raggiungendo quelle di Felicity che si stavano torturando a vicenda sul suo grembo.

Lo sguardo della ragazza cadde sulle loro dita intrecciate e Oliver notò il piccolo sorriso che si era dipinto sul suo viso.

La bionda tirò su con il naso, impedendo alla lacrime di cadere dai suoi occhi chiari.

“Quando mi ha drogato Miller si è trasformato in qualcun altro” cercò di farsi coraggio mentre stringeva più forte le mani di Oliver che le infondevano sicurezza “ed era quel qualcuno che mi picchiava, non Miller. Insomma so che in realtà era Miller ma a me sembrava realmente un'altra persona”

Oliver annuì comprensivo: “Chi? Chi hai visto, Felicity?”

“Tu” sussurrò lei “Eri tu che mi picchiavi”

Oliver si allontanò lasciando la presa sulle mani della ragazza, come se avessero improvvisamente iniziato a scottare.

Le diede le spalle cercando di metabolizzare quello che aveva appena scoperto.

“Io?” la sua voce tremava, cosa che non accadeva molto spesso ad Arrow “Io sono la tua paura più grande?”

Si sentiva male. Gli mancava il fiato, come se non riuscisse a respirare. Faceva dannatamente male, al petto.

Non si era mai sentito così.

“No, non tu” la voce di Felicity rimbombò nel covo stranamente silenzioso “insomma, non eri realmente tu, eri diverso. L’Oliver che conosco non mi avrebbe mai detto quelle cose”

“Quali cose?”

Felicity scese dal bancone su cui era seduta, ignorando le vertigini che l’assalirono una volta in piedi.

Si avvicinò a lui facendolo voltare, per guardarlo negli occhi.

Non l’aveva mai visto così.

Nemmeno quando era morta Sara, né quando aveva scoperto che Thea era diventata un’assassina, né quando era tornato dal duello contro Ra’s Al Ghul.

 Sembrava distrutto.

“Che cosa ti ho detto?” la sua sembrava più una supplica piuttosto che una domanda.

“Mi hai detto che non contavo nulla per te …” iniziò titubante “… che ero solo un burattino nelle tue mani, utile a raggiungere i tuoi scopi”

Felicity cercò di arginare il dolore che provava ma parlare ad alta voce di quello che era successo non aiutava. Chiuse gli occhi mentre le prime lacrime solcavano le sue guancie.

“Mi hai detto che ero una povera illusa perché ho davvero creduto che tu potessi” le lacrime sul suo viso raddoppiarono “potessi innamorarti di me”

Oliver si impose di respirare, cercando di non farsi sopraffare da quel turbinio di emozioni che lo stava distruggendo a poco a poco.

“Ridevi. Ridevi di me e intanto mi picchiavi. E quando sei arrivato per salvarmi, pensavo che avresti continuato ad umiliarmi. Non ho realizzato che eri davvero tu e non volevo sentirmi più così male, mai più”

La voce di Felicity si spezzò e il pianto prima silenzioso si trasformò in singhiozzi sempre più forti, fino a farle mancare l’aria.

Sentì il calore del corpo di Oliver contro il suo mentre le sue braccia la cingevano in un abbraccio protettivo.

Sentì le sue mani carezzarle la schiena, scivolando su e giù, per tentare di calmarla.

“Non ero io, Felicity. Non ti avrei mai detto quelle cose”

“Lo so” rispose tra un singhiozzo e l’altro, mentre si aggrappava a lui e affondava il viso nel suo collo.

“Sei importante per me, Felicity” le sussurrò dolcemente “Lo sarai sempre”

Sciolse l’abbraccio ma solo per guardarla negli occhi, per farle capire che era sincero e che non le avrebbe mai mentito: “Non c’è nulla al mondo che conti più di te. Nulla che abbia il tuo stesso valore, nulla che sia più bello del tuo sorriso” 

Erano ancora abbracciati stretti, quando Diggle fece il suo ingresso nel covo.

Si staccarono improvvisamente, aumentando la distanza tra loro.

“Scusate, non volevo interrompere nulla” disse “Comunque sono felice che tu stia bene, Felicity”

“Grazie John” rispose lei, ancora frastornata da quanto successo.

Le parole di Oliver risuonavano ancora nella sua mente, distraendola.

“Io vado” annunciò Diggle “Volevo solo accertarmi sulle tue condizioni”

E così come era arrivato sparì.

Felicity asciugò le ultime lacrime dal viso e tornò a sedersi sul suo letto improvvisato.

“Va tutto bene?” chiese Oliver vedendola allontanarsi.

“Sì. Mi gira solo un po’ la testa, ma sto bene”

Restarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.

Fu Oliver a parlare per primo: “C’è una cosa che non mi spiego in tutto questo”

“Che cosa?”

“Come tu potessi essere là. Come abbia fatto Miller a trovarti. Dovevi essere qui, al covo, al sicuro”

Felicity sapeva che prima o poi sarebbe dovuto succedere. E temeva quel momento, la discussione che avrebbe scatenato, il male che avrebbe comportato per entrambi.

Ma non poteva mentirgli. Non avrebbe avuto alcun senso.

“Non è stato Miller a trovarmi. Sono io che ho trovato lui” rispose.

Oliver s’irrigidì.

Forse Diggle aveva ragione, forse lei l’aveva fatto davvero.

Non poteva crederci.

“Le comunicazioni con John e Roy erano disturbate. Non riuscivo a parlare con loro e non so il perché. Ho visto che ti allontanavi dal magazzino e ho capito che stavi inseguendo Miller. Eri solo e quando non mi hai risposto … io ho avuto paura. Non c’era nessuno che poteva correre in tuo aiuto e temevo che Miller ti avesse drogato, che la vertigo avrebbe potuto indebolirti, metterti in pericolo, renderti vulnerabile. Avevo il terrore di poterti perdere” Felicity si fermò, cercando di capire la reazione di Oliver ma lui rimaneva fermo di fronte a lei, immobile, senza dire nulla.

“Così ho pensato che avrei potuto aiutarti io. Sapevo che eri sotto il grattacielo dell’azienda e non era pericoloso come un magazzino abbandonato. Sono salita in auto e ti ho raggiunto. Ho visto Miller e l’ho colpito ma non è bastato e … il resto lo sai” cercò di non scoppiare di nuovo a piangere, non voleva mostrarsi debole. E soprattutto non si era pentita di quello che aveva fatto, non aveva dubitato neanche un secondo della decisione presa.

Quello che successe dopo la terrorizzò.

Si aspettava una reazione da parte di Oliver ma questa non arrivò. La guardava da lontano senza proferire parola.

“Oliver … di’ qualcosa, ti prego”

Quel silenzio la stava uccidendo.

“Non l’hai fatto davvero. Non puoi averlo fatto”

Oliver si avvicinò di qualche passo, contrariato.

Lei non rispose.

“Hai lasciato il covo, ti sei messa in pericolo, hai rischiato di morire, hai abbandonato la tua postazione, hai …” la raggiunse e Felicity notò che era più che contrariato.

Era furioso. Arrabbiato, sconvolto, deluso.

“Hai mandato all’aria tutto ciò che ho fatto per tenerti al sicuro! Come hai potuto fare una cosa simile? Perché, Felicity? Perché?”

Ora non stava più parlando, aveva iniziato ad urlare.

“Perché volevo aiutarti!” gli rispose, a sua volta arrabbiata  “Volevo solo proteggerti”

“Tu non devi proteggermi! Sono io che tengo al sicuro te, non il contrario. E con la tua irresponsabilità hai rovinato tutto quello che avevo faticosamente fatto …”

“Fatto cosa, Oliver?” urlò lei a sua volta, cercando di ignorare la fitta di dolore lancinante che le attraversava i muscoli “Sai che cosa c’è? Io non voglio essere protetta da te!”

Respirò a fondo mentre sosteneva lo sguardo dell’uomo di fronte a sé.

“Volevo soltanto che tu mi stessi accanto ” ricacciò indietro le lacrime “Voglio soltanto te”

Il cuore di Oliver fece una capriola nel petto ma lui lo ignorò, troppo arrabbiato per potersi fermare a dargli ascolto.

“Tu non capisci …”

“Non capisco? Che cosa non capisco, Oliver?” chiese sempre più frustrata “Non capisco perché ti ostini a dirmi che vuoi solo proteggermi! Hai ragione, non lo capisco”

“Non capisci quello che ho dovuto sopportare per tenerti al sicuro, quanto è stato difficile riuscire a …”

“Riuscire a fare cosa?”

Lo guardò negli occhi, attendendo una risposta.

“A starti lontano, maledizione!” 

Oliver annullò la poco distanza che ancora li separava, intrappolandola con il suo corpo, fino a che i loro volti furono così vicini da potersi quasi sfiorare.

“Non immagini quanto mi sia costato fare finta che non mi importasse, che tutto questo non mi ferisse, che non mi desse fastidio vederti uscire a cena con Palmer, che vederti baciare il tuo nuovo capo non mi avesse distrutto. Non sai quanto autocontrollo mi ci vuole per resisterti, per evitare di lascarmi andare”

“Allora non lo fare. Lasciati andare” lo supplicò con tutta sé stessa.

Felicity respirò a fondo sentendo solo il profumo di Oliver riempirle le narici.

Sentiva il calore che emanava il suo corpo, così vicino al suo da scatenarle lunghi brividi lungo la schiena.

Non aveva mai visto i suoi occhi da così vicino, azzurri, profondi e tormentati.

Gli occhi di un eroe. Il suo eroe.

Gli si avvicinò ancora, facendo scontrare il profilo dei loro nasi.

Inalò altra aria e il suo respiro si infranse sulla pelle di Oliver, a pochi millimetri dalla sua.

Voleva le sue labbra, così morbide ed invitanti, ad un soffio dalle sue.

Posò le piccole mani sul suo viso, accarezzando la barba ispida che cresceva sulle guance e gli ricopriva il mento.

“Felicity” la voce di Oliver era ridotta ad un sussurro “non farlo … non farebbe altro che peggiorare le cose”

“Smettila! Io ho scelto questa vita, con i suoi rischi, con i suoi pericoli. Ma voglio viverla, non sprecarla. E dovresti farlo anche tu. Smettila di combattere per tutti e contro tutti. Meriti di essere felice pure tu”

Oliver chiuse gli occhi cercando di non pensare a quanto lei gli fosse vicino, al suo profumo, alle sensazioni che gli faceva provare.

Sentiva il cuore galoppargli nel petto, pompando il sangue nelle vene, facendolo sentire vivo più che mai.

La voleva.

La desiderava più di ogni altra cosa al mondo e non poteva più resistergli.

Quando riaprì gli occhi, Felicity si stava allontanando da lui, un velo di tristezza nel suo sguardo.

La bloccò, prima che fosse troppo tardi.

Gli occhi chiari di lei si incatenarono ai suoi, di nuovi pieni di speranza.

Le sue mani scattarono verso quel viso gentile, spinte dalla irrefrenabile voglia di accarezzarla.

“Non lo fare mai più” fu lui a supplicarla questa volta “mai più”

Ad ogni parola che usciva dalla sua bocca si avvicinava sempre di più, sfiorando la pelle del suo viso con la punta del naso.

“Mai più” accarezzò gli angoli della sua bocca ricevendo come risposta solo il respiro ansante di Felicity.

“Non devi più rischiare così per me. Promettimelo” fermò un istante quella dolce tortura, aspettando una sua conferma.

“Te lo prometto” disse flebilmente.

“Mai più” sussurrò Oliver per l’ultima volta, in un soffio sopra le sue labbra.

Catturò la sua bocca con la propria, cogliendola di sorpresa, le sue labbra ancore socchiuse per lo stupore.

Non c’era nulla di lento in quel bacio, la passione così a lungo repressa aveva preso il sopravvento. Le loro lingue si rincorrevano mentre le mani di Oliver premevano sulla nuca di Felicity, avvicinandola ancora di più a sé.

I loro corpi si scontrarono facendoli gemere, eccitandoli fino a far perdere loro il controllo.

Oliver le torturò il collo di baci, stringendola a sé il più delicatamente possibile. Aveva paura di farle male, nei punti in cui Miller l’aveva picchiata.

Miller.

Non doveva pensare a lui. Al rischio che aveva rappresentato per lei.

Ai pericoli che correva a causa sua.

Sentì le mani di Felicity aggrapparsi alla giacca del suo costume e aprire velocemente la zip, infilarsi sotto la stoffa verde e accarezzare le cicatrici sul petto, scendendo pericolosamente verso il basso.

Bloccò le sue mani, ormai giunte all’elastico dei pantaloni, lì dove in realtà la desiderava di più.

“Fel … aspetta” la allontanò quel poco che bastava per guardarla negli occhi.

 “Che succede?” domandò con il respiro corto.

Lui esitò, non sapendo realmente cosa dire.

Aveva paura e non poteva riuscire a superarla da sola.

Voleva Felicity, voleva una relazione con lei, voleva vederla sorridere e impegnarsi sul serio.

Per lei.

Ma aveva bisogno di aiuto, del suo aiuto.

E per un eroe, per l’uomo che salva la gente della sua città, era difficile ammettere di averne bisogno.

“Ma certo” la voce di Felicity lasciava trasparire la sua delusione “Mi sembrava troppo bello per essere vero”

“Felicity …” la richiamò ma lei si era già messa in piedi e si stava allontanando “ … non è come pensi”

“No, non lo è mai” rispose arrabbiata “sono stanca di sentire le tue scuse, Oliver. Di sentirti dire sempre le stesse cose”

“Ascoltami” la implorò lui.

“No. Basta, Oliver. Non voglio più sentire nulla” si voltò prendendo la sua borsa e il cappotto ma Oliver la trattenne per un braccio.

Solo quando lei si lamentò per il dolore, lui capì quello che aveva fatto.

Aveva stretto con troppa forza, lì dove Miller aveva infierito su di lei.

 “Scusami, io non …”

“Non importa. Almeno questo non è colpa tua” disse, guardandolo per un istante prima di sfuggire alla sua presa.

Oliver rimase in silenzio ed incassò il colpo, incapace di dire qualunque cosa.

“Dove vai?” le chiese appena riuscì di nuovo a parlare.

“A casa” rispose quando ormai era già lontano da lui.

“Non puoi andarci da sola, potresti aver bisogno di aiuto”

“Non preoccuparti” disse scandendo bene le parole “Sono sicura che Ray sarà felice di accompagnarmi”

Voleva ferirlo, quasi come lui aveva fatto con lei, e dall’occhiata furtiva che aveva lanciato alle sue spalle era sicura di esserci riuscita.

  

Strinse i pugni, maledicendosi tra sé e sé.

Come aveva potuto lasciare che accadesse tutto questo?

Sentiva ancora il sapore delle labbra di Felicity sulla bocca, il desiderio che gli bruciava dentro, la voglia che aveva di lei.

Ma aveva rovinato tutto, ancora una volta.

E ora lei era con Palmer.

Se lo meritava, era solo colpa sua.

Si diresse a grandi passi verso la stanzetta del covo che usava come spogliatoio, per togliere la tuta verde che aveva ancora indosso, dopo aver agganciato l’arco al suo supporto nella teca.

Si cambiò i pantaloni, sostituendo quelli attillati del costume di Arrow con un paio di comodi jeans, e infilò velocemente una t-shirt.

Andò a sciacquarsi il viso prima di indossare il maglioncino e quando si vide nello specchio sopra il lavandino quasi si spaventò.

Aveva un aspetto terribile.

Ma in fondo rifletteva il suo stato d’animo.

Era svuotato, come se non sentisse più nulla, come se non ci fosse più nulla da sentire.

Sferrò un pugno sul muro in un improvviso impeto di rabbia.

Ci mise qualche istante ma alla fine lo sentì: il dolore che si propagava lungo le nocche, estendendosi alle dita e poi a tutto il resto della mano.

Il respiro divenne sempre più affannato e realizzò che c’era qualcosa che pungeva nei suoi occhi.

Lacrime.

Calde, salate, incontrollabili che colarono copiosamente sul suo viso.

Era da tanto che non piangeva.

Forse aveva addirittura dimenticato quale fosse stata l’ultima volta.

Pianse per quello che aveva perso, per quello che aveva distrutto, per Felicty, per Thea, per Sara, per tutto quello che non si era mai concesso di provare.

Non seppe di preciso quanto tempo passò appoggiato al muro, lasciandosi scivolare a poco a poco fino a sedersi sul pavimento, le gambe piegate strette fra le braccia.

Se ne stava lì, accucciato come un bambino, mentre le lacrime non smettevano di scendere.

 

 

Felicity uscì dalla porta secondaria che dava sul vicolo sentendo la brezza fredda della sera sfiorarle le gambe scoperte dal vestito.

Era distrutta.

Trovò Ray appoggiato al muro esterno del Verdant, in attesa.

“Hey” si avvicinò a lei, sincerandosi sulle sue condizioni.

“Sto bene” mentì mentre dentro si sentiva morire.

“Concluso il discorso con Oliver?” domandò lui, stupito di vederla lì fuori, sulle proprie gambe.

“Sì. Ma sono un po’ stanca. Potresti accompagnarmi a casa, per favore?” domandò.

“Certo” Ray le sorrise e per un attimo Felicity desiderò ardentemente amare quel sorriso.

Ma non ci riusciva.

Perché no? Perché non si emozionava, non le batteva forte il cuore? Perché le succedeva solo quando vedeva quello di Oliver?

Faceva male.

Si aggrappò al braccio che Palmer le aveva porto, grata per quel gesto, visto che stava faticando molto a tenersi in piedi senza che la testa le girasse.

Era ancora debole e sentiva la stanchezza diffondersi in tutto il corpo.

Ma non era nulla in confronto al dolore che provava dentro il petto. Le sembrava di aver sentito il cuore rompersi in tanti pezzi, liberando migliaia di schegge.

Come quando da piccola si era ferita camminando a piedi nudi sui cocci di un bicchiere rotto.

Avrebbe voluto piangere ma non poteva lasciarsi andare davanti al suo capo.

Ray avrebbe fatto domande a cui lei non voleva rispondere.

Fece per spingere più su gli occhiali sul naso, in modo che le lenti mascherassero in parte i suoi occhi lucidi, ma realizzò di non indossarli.

Dove li aveva lasciati?

Li aveva quando era uscita per andare in soccorso di Oliver ma non più quando si era risvegliata dopo l’aggressione.

Qualcuno probabilmente glieli aveva tolti.

Erano ormai davanti all’auto di Palmer quando decise di tornare indietro a prenderli.

“Ho scordato gli occhiali dentro, credo” disse facendosi accompagnare dall’uomo all’interno del covo.

Non c’era traccia di Oliver e lei ne fu sollevata.

Non sapeva dove si era cacciato ma preferiva non vederlo in quel momento.

Notò gli occhiali sulla sua scrivania, vicino ai suoi fidati computer. Trovò anche l’elastico fucsia con cui aveva legato i capelli nella solita coda e accanto giaceva abbandonata la maschera di Arrow.

La ignorò, cercando di non pensare a lui, mentre inforcava gli occhiali e si voltava per uscire dal covo il più in fretta possibile.

Fece pochi passi prima che la testa iniziasse a girarle, le gambe divennero molli, faticando a sorreggerla.

Si aggrappò allo schienale della poltrona su cui sedeva ogni giorno, chiuse gli occhi e respirò profondamente ma la situazione non migliorò.

“Felicity, ti senti bene?” Ray si avvicinò a lei, cercando di aiutarla.

“Mi gira la testa” disse faticosamente mentre sentiva le gambe cederle.

Si lasciò cadere pesantemente sulla seùdia.

“Oliver” disse “Chiama Oliver”

Le pesava dover dipendere da lui in quel momento ma era l’unico che poteva aiutarla, capire cosa le stava succedendo.

 

 

Oliver sentì dei passi entrare nel covo.

Conosceva quel rumore di tacchi, lo sentiva ogni giorno quando lei scendeva le scale, palesando così il suo arrivo.

Si destò da l torpore in cui era caduto e si ricompose, asciugando le lacrime con il dorso della mano.

Infilò il maglioncino prima di uscire dallo spogliatoio e fu allora che sentì la voce di Palmer.

Forse era meglio non uscire, non voleva vedere il sorriso soddisfatto sul volto dell’uomo per essere riuscito a portargli via Felicity.

“Oliver. Chiama Oliver” sentì la voce della donna, stanca e affaticata, e capì subito che c’era qualcosa che non andava.

Uscì dallo spogliatoio trovandosi faccia a faccia con Palmer.

“Credo non ce ne sia bisogno” commentò Ray riferendosi alla richiesta della ragazza.

“Felicity” la chiamò preoccupato avvicinandosi a lei “Che cosa è successo?”

S’inginocchiò sul pavimento per arrivare all’altezza della donna, seduta sulla sua poltrona, gli occhi chiusi dietro le lenti degli occhiali.

“Mi fa male la testa” rispose portandosi una mano alle tempie, massaggiandole.

“Sei ancora debole per stare in piedi, probabilmente è solo un calo di pressione” le spiegò cercando di rassicurarla.

Felicty aprì lentamente gli occhi trovandosi Oliver davanti.

C’era qualcosa che non le tornava.

“Perché hai di nuovo indossato la maschera?” domandò “C’è un’altra emergenza?”

Si ricordava di averla vista poco prima sulla scrivania quando prendeva gli occhiali e lui non c’era.

Come poteva portarla ora?

“La maschera?” Oliver era sorpreso “Non ho la maschera, Felicity”

Lei lo guardò ma sembrava assente, come se non lo vedesse davvero.

“Felicity!” la chiamò con fermezza prendendole le mani tra le sue “Felicity, ascoltami. Quello che vedi non è reale. Nulla di quello che senti lo è”

Oliver sapeva che l’unica cosa che avesse senso era che fosse in preda ad un’altra allucinazione.

Non riusciva a spiegarsi il perché, non a distanza di ore dalla dose di vertigo, ma avrebbe motivato la discussione sulla maschera. Continuava a vederlo come Arrow, come la sua più grande paura.

“Che cosa le sta succedendo?” chiese Palmer, sempre più confuso.

“Penso sia in preda alle allucinazioni. Di nuovo!” gli spiegò velocemente mentre stringeva la presa sulle sue mani. Doveva trovare un modo per risvegliarla, per portarla di nuovo alla realtà.

“Felicity, guardami. Sono qui, sono io, Oliver. Non Arrow, non il vigilante. Ci sono solo io” sperava davvero che bastasse a destarla “Non devi avere paura, Felicity. Devi essere forte, non lasciarti andare”

“Sei solo un’illusa!” la voce del vigilante era dura, tagliente. E risuonava nella mente della ragazza, decine e decine di volte.

Non poteva essere, non di nuovo.

Felicity non voleva rivivere quel momento.

Era al covo questa volta e Arrow era arrabbiato con lei ma non riusciva a capirne il motivo.

Sentiva qualcosa ma non capiva cosa fosse.

Abbassò lo sguardo sulle sue mani, abbandonate pigramente sul ventre e le vide.

Vide le sue dita intrecciate a quelle di Arrow.

No, non erano le sue. Non c’erano i soliti guanti di pelle nera.

Quelle erano le mani di Oliver.

Era un contatto piacevole, rassicurante come una dolce carezza.

“Oliver …” lo chiamò, sperando che l’ascoltasse.

“Felicity” la voce dell’uomo giunse alle sue orecchie e le sembrò di scorgere un velo di preoccupazione nel suo tono ma anche sollievo.

Alzò lo sguardo e lo vide.

Non c’era più Arrow che la squadrava, c’era Oliver che le sorrideva.

Le sembrò di essersi risvegliata improvvisamente da uno stato di trance.

Lui la vide, lo sguardo non più assente, il respiro un po’ affannato e un’espressione di stupore sul viso.

“Ehi” posò una mano sul suo collo spingendola gentilmente verso di lui.

“Oliver” lo chiamò spaventata.

“Va tutto bene, Felicity”

Le si tuffò tra le sue braccia, affondando il viso nell’incavo tra la spalla e il collo dell’uomo.

“Va tutto bene” le ripeté Oliver mentre la cullava dolcemente.

Riuscì a tranquillizzarsi dopo qualche istante, asciugandosi le lacrime che aveva versato.

“Hai bisogno di riposare” le disse lui “ti porto a casa, ok?”

“Ci penso io” s’intromise Ray.

“Meglio di no” il tono secco di Oliver non ammetteva repliche “non è prudente lasciarla sola, potrebbe avere altre allucinazioni”

“Posso restare io con …”

“Con tutto il rispetto signor Palmer” Oliver si alzò voltandosi verso di lui “non credo sia in grado di fronteggiare una situazione simile se si presentasse”

“Io sono sicuro di poter …”

“Smettetela!” fu Felicity a porre fine a quella inutile discussione  “Mi scoppia la testa a sentirvi litigare come due bambini!”

Si zittirono entrambi ma gli sguardi poco amichevoli fra i due continuarono.

“Oliver ha ragione” aggiunse lei “lui ha più esperienza in fatto di vertigo. Ray, tu domani mattina devi gestire un’azienda, meglio se riposi quelle poche ore che rimangono prima dell’alba”

Oliver accennò un sorriso ma questo scemò subito dopo l’occhiata furiosa che la bionda gli rivolse.

Felicity provò ad alzarsi ma lui la fermò: “Non devi affaticarti. Resta seduta”

Si avvicinò a lei dopo aver recuperato tutte le sue cose e si abbassò per guardarla negli occhi.

 “Non pensare che ti abbia perdonato solo perché ti permetto di accompagnarmi a casa” gli sussurrò nell’orecchio in modo che solo lui potesse sentire.

“Aggrappati a me” le disse passando le braccia intorno alla sua schiena, evitando di rispondere alla sua provocazione.

Felicity gli circondò il collo con le braccia, tenendosi stretta mentre lui la sollevava dalla poltrona.

Oliver portò un braccio sotto le cosce della ragazza per sorreggerla meglio, lasciando che lei si abbandonasse completamente contro il suo corpo.

Nonostante fosse arrabbiata con lui, Felicity non riuscì a reprimere quel brivido che le sue grandi mani provocavano in lei semplicemente toccandola.

Oliver sentì le gambe di Felicity cingergli il bacino per stare più comoda in braccio a lui.

Era di nuovo incredibilmente vicina, i loro corpi separati solo da un sottile strato di vestiti, fini come l’abito viola che lasciava scoperte le sue lunghe gambe.

Cercò di non pensarci mentre la portava fuori dal covo, diretto a casa sua.

Lei si strinse di più a lui quando uscirono nell’aria fredda delle cinque del mattino, cercando rifugio nel suo corpo caldo.

Vide Ray, da sopra la spalla di Oliver, che si dirigeva verso la sua auto sportiva dopo averla salutata con un cenno della mano.

Poi chiuse gli occhi e si accoccolò meglio sulla sua spalla, il profilo del naso che sfiorava la calda pelle del collo del suo eroe.

 

   
 
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