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Autore: Liebenlernen    28/02/2015    0 recensioni
I walk a lonely road,
The only one that I have ever known,
Don't know where it goes,
But it's home to me and I walk alone,
I walk this empty street,
On the boulevard of broken dreams,
Where the city sleeps,
And I'm the only one and I walk alone.
Era sorprendente quanto riuscisse ad ignorare il vuoto perforante che le attanagliava lo stomaco, o il senso di nausea che la perseguitava giorno e notte, e le occhiaie violacee e gli occhi gonfi, le guance arrossate e lo sguardo vacuo.
Olivia aveva sempre avuto un carattere particolare, mostrava sempre questa facciata da menefreghista, ma dentro rimuginava su così tante cose, e le vorticavano così tanti pensieri in testa.
Olivia era abituata alla sua indipendenza, al suo autocontrollo e alla sua organizzazione quasi perfetta; Will era arrivato all’improvviso piombando nella sua vita col suo disordine ed i suoi sguardi fin troppo maliziosi.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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(1) Boulevard of broken dreams.
 
I walk a lonely road,
The only one that I have ever known,
Don't know where it goes,
But it's home to me and I walk alone,
I walk this empty street,
On the boulevard of broken dreams,
Where the city sleeps,
And I'm the only one and I walk alone
 
Se fosse stata un’altra occasione, o se fosse una persona differente, Olivia si sarebbe comportata in tutt’altro modo. Ma aveva seguito il suo istinto, che però l’aveva tradita portandola ad una fallimentare relazione. Si era scioccamente innamorata di un ragazzo che pensava solo al calcio e al sesso, immaturo ed insicuro al tempo stesso. L’aveva illusa e lei si era lasciata abbindolare. Aveva sedici anni e la vita davanti, ma fu troppo. Dopo qualche mese, lui c’era ancora, poiché in classe con lei, e la continuava a stuzzicare e lei non faceva che soffrire perché sapeva di non potersi permettere più una delusione.
All’età di diciassette anni Olivia si presentava con un metro e sessanta scarso e corporatura esile, una carnagione diafana contornata da lentiggini color ambra sulle gote, sulle spalle e sul petto. Capelli e occhi neri, come il suo triste umore, e come gli abiti che tendeva ad indossare ogni giorno. Le piacevano i colori scuri, il nero, il bordeaux, il viola; le piaceva leggere e scrivere. Non usciva molto, preferiva restare in casa.
Viveva in casa di sua zia, in seguito ad un incidente stradale dove lei era entrata in coma, a quindici anni, ed i suoi genitori l’avevano lasciata. Al suo risveglio un enorme vuoto la pervase, era molto affezionata ai suoi genitori, aveva instaurato con essi un buon rapporto, soprattutto con la madre; e non vederli più, non sentirli, la faceva stare così male. Il primo periodo fu duro e Olivia cercava di non pensare, ma poi iniziò a chiudersi e a stare male in silenzio. Cominciò a non mangiare, a non pensare, a non amare.
Ogni giorno era programmato, in camera sua vi era una bacheca dove ogni settimana Olivia era solita ad affiggere un foglio con tanto di planning giornaliero. Sapeva cosa doveva fare minuto per minuto e solitamente riusciva a rispettare il tutto. Si svegliava e andava a scuola, rientrava a casa verso l’una e mezza e mangiava fino alle due. Dalle due di pomeriggio sino alle sei studiava e poi faceva una pausa sigaretta. Dopodiché o riprendeva a studiare, o dormiva. Alle otto mangiava e alle nove beveva qualcosa di caldo, poi fumava e , dopo essersi messa a letto, leggeva per un’oretta e alle dieci e mezza si metteva a dormire.
Questa era la sua vita da un paio di anni a questa parte, e non si lamentava, le piaceva. Riusciva a prendere buoni voti, e si pentiva di non esserci riuscita quando i genitori potevano essere fieri di lei. Era dimagrita tanto da allora, tanto da essere sottopeso e non avere quasi mai fame.
Credeva di essere sociopatica, a scuola c’erano delle sue amiche, ma non erano propriamente amiche, erano solamente persone con cui parlava per non rimanere in silenzio, o comunque per non sentirsi dire che era depressa e asociale, ma lo era, e non si dispiaceva. Le piaceva la monotonia delle sue giornate, la facevano sentire più tranquilla e sicura, a dispetto di quel che credevano gli altri.
Dopo la morte dei genitori erano cambiate molte cose, non soffriva più di dermatillomania, i chili in più erano diventati chili in meno, non si truccava più tanto, non gli importava di sembrare più carina, non c’era nessuno su cui voleva far colpo. Aveva iniziato a soffrire di attacchi d’ansia e di insonnia. Il sonno pesante era diventato leggero, tanto da svegliarsi più volte la notte e sentire perfettamente la sveglia. Era diventata una maniaca dell’ordine e del controllo e la sua camera era perfettamente organizzata, pulita e ordinata.
Sua zia Vivien lavorava in città, nel centro di Londra, poco distante dal paesino dove vivevano, Brentford; ritornava solo a pranzo e a cena e aveva un compagno che viveva in casa sua. Sua cugina Charlotte abitava a Richmond, conviveva col suo fidanzato Thomas e tornava solo nei weekend per assicurarsi che Olivia stesse bene.
Ma la vita di Olivia procedeva in un modo controllato e apatico, privo di qualunque emozione. A farle compagnia però c’era qualcuno, Kitty, un gattino nero a macchie bianche morbido e tenero che non perdeva l’occasione di strusciarsi e accomodarsi sul corpo della ragazza. La vita di Olivia si era spaccata in mille pezzi e nessuno era mai riuscito a ricomporli, non che lei volesse; le stava bene così.

Quella mattina di ottobre sembrava così fredda e il tempo sembrava congelarsi; Olivia era arrivata a scuola infreddolita e con i capelli quasi tutti bagnati; entrò nell’istituto e si diresse nella sua classe; frequentava un liceo psico-pedagogico, ultimo anno, e non vedeva l’ora di andare all’università; ormai da anni il suo sogno era quello di perseguire la carriera di psicologa e niente o nessuno l’avrebbe ostacolata.
Si abbandonò sul suo banco senza curarsi dello sguardo che le riservò la sua professoressa di italiano vedendola arrivare in ritardo di cinque miseri minuti, fosse per Olivia non si sarebbe neanche presentata con quel cielo grigio e la pioggia che, incessantemente, picchiava l’asfalto.
«Stanca?»
Il suo compagno di banco era Aiden, un ragazzo slanciato e muscoloso, di bella presenza e dalla media discreta. Le faceva piacere che fosse lui il suo compagno di banco, non era invadente e le domande che le faceva erano ben ponderate.
«Al solito. Oggi interroga o spiega?» La professoressa di italiano, miss Nicholson, era una donna crudele, priva di passione per quello che insegnava.
«Credo interroghi.»
La professoressa Nicholson la guardò con aria truce e superiore. E poi: «Clarke, siccome hai voglia di parlare, dimmi un po’ in cosa consiste il pensiero leopardiano.»
«Il pensiero leopardiano è un insieme di riflessioni diluite nel tempo e soggette a progressivi sviluppi, ripensamenti, aggiustamenti, riconsiderazioni sotto angolature diverse. E' quindi difficile da ridurre a teoria unitaria e lineare. Leopardi constata la sua angoscia individuale, convincendosi di essere destinato anche in futuro alla sofferenza e alla infelicità, senza possibilità di scampo; Il suo è un pessimismo cosmico che concepisce l'infelicità come una condizione propria dell'uomo, come un prodotto del divenire storico e del progresso; è l'uomo stesso che allontanandosi dal felice stato di natura ha in gran parte causato la propria infelicità; la natura è concepita come una madre provvida e benevola; il pessimismo cosmico costituisce all'incirca l'assetto definitivo del suo pensiero e è l'approdo ad un rigoroso e doloroso materialismo.»
Olivia era tranquilla, amava Leopardi e le era facile ricordare il suo pensiero e l’analisi dei suoi diversi canti.
«Okay bene. Puoi sederti.»
«Dio, l’hai stesa, tramortita completamente.»
«Niente di così difficile.»
Aiden ricambiò lo sguardo e le rispose con un occhiolino.
Fortunatamente la giornata era continuata in meglio, psicologia e filosofia avevano spiegato e lei si era un po’ rilassata facendo ricadere la sua attenzione negli anfratti della sua mente.
Aveva finito di piovere e la giornata era molto umida quando Olivia uscì da scuola e si incamminò verso casa, quando la affiancò Aiden. «Hei Liv, vieni in un posto con me?» «No Aiden, specialmente se mi chiami così.»
«Oh dai piccola Olivia, vieni, metti in stand-by i tuoi programmi per mezz’ora.»


«Mi pento di averti ascoltato.»
Aiden rise di gusto poggiandole una mano sulla schiena e ritraendola dopo averla sentita irrigidirsi.
Erano seduti ad un tavolo del Brent’s insieme ad alcuni amici di Aiden. C’era Amanda, bionda e occhi azzurri, formosa ed un po’ in carne, con una carnagione olivastra e il sorriso smagliante; c’era Jackson, bello e cretino; Cherry “Cher”, capelli rossi e occhi castani, bassina e snella, con una voce fin troppo stridula e acuta e Will, il classico stronzo affascinante e riservato, capelli castani un po’ lunghi lasciati in una massa informe e riccia e occhi scuri.
«Aiden, non mi avevi mica detto che te la facevi con una figa del genere?»
Jackson, ovviamente, stava confermando la teoria del “bello e cretino”.
Olivia guardò Aiden che tratteneva a stento le risate. «Jay, Olivia è una mia compagna di classe.»
«Oh, be, fa lo stesso.»
«Vuol dire che è disponibile?» Will la guardava con un mezzo sorriso sulla bocca mentre era impegnato nel rollarsi una sigaretta.
«No, la signorina non è disponibile e ora toglie il disturbo. Ci vediamo domani Aiden.» replicò la stessa Olivia che , dopo essere uscita dal bar mezza seccata, si accese una sigaretta e si diresse verso casa.
Maledetto Aiden.



heilà, questa è una prova.
Ho scritto questa cosa di getto nel pomeriggio, in preda al flusso incessante dei miei pensieri.
Quindi non so, fatemi sapere, in una recensione o messaggio privato se vi piace; o aggiungetela semplicemente alle storie seguite.
Vi prego, non so se proseguire o meno.
Grazie per l'attenzione, un bacione.

 
  
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