II
ADDIO
Le
campane suonano a morto.
E
riecheggiano per il tempio. Ogni rintocco, un
ricordo che riaffiora. Ogni rintocco, la consapevolezza di un nuovo
istante che
non si creerà mai.
Le
campane suonano a morto.
A
che serve coprire il viso con una maschera per
celare le lacrime? Il tuo animo triste pulsa e si fa percepire da
tutti. È
colpa del tuo essere divino.
Le
campane suonano a morto.
Si fanno difficili i passi
quando le certezze si
infrangono. Quando una vita che credevi eternamente legata alla tua si
dissolve. Quando capisci di non poter rimediare.
Le campane suonano a morto.
Cerchi parole da pronunciare
ma queste non escono.
Cerchi un modo per trarre conforto ma il tuo cuore non si placa. Cerchi
di
fermare le tue lacrime ma queste sembrano non avere mai fine.
Le campane suonano a morto.
Con il capo chino ti accorgi
che non hai nemmeno un
corpo da seppellire, solo un ricordo su cui piangere, solo una vita da
lasciar
andare.
Le campane suonano a morto.
In ginocchio dinnanzi ad un
semplice nome inciso,
allunghi la mano sentendoti divinità inutile e colpevole.
Sfiori la lapide e ti
chiedi il perché.
Le campane suonano a morto.
"Fortunato" tu pensi,
"fortunato che
hai abbracciato la morte, lasciando a noi il duro compito di vivere.
Fortunato,
tu che sei svanito, e non devi lottare più".
Le campane suonano a morto.
Scende il silenzio, nel tuo
cuore e nella tua
anima, non più ora accompagnata da chi credevi immortale,
protetto da divino
potere.
Scende il silenzio. I vivi
dormono, i morti
sognano. O forse è il contrario. Scende il silenzio.
Le campane non suonano
più.
Thanatos
era bravo nel tramutare in parole il
pensiero di chi era in lutto. Saga ascoltava i suoi versi e rimaneva in
silenzio. Davanti a sé, una bara vuota. Non era rimasto
nulla del corpo di
Arles.
“Nemmeno
un corpo su cui piangere mi hai
lasciato” mormorava, rivolto al Caos che ovviamente non
poteva sentirlo perché
parecchio lontano da lì.
La grande
sala, dove non molto
tempo prima i cavalieri d’oro dormivano per permettere alle
divinità di
risiedere al tempio, ora era divenuto il luogo dove porgere un ultimo
saluto.
“Finiamo
in fretta questa cosa”
commentò Kanon, desideroso come non mai che il fratello
riprendesse in mano la
sua vita.
Ninive non
era presente. In sua
vece, un piccolo gruppo di vestali erano giunte per porgere omaggio a
tutti
coloro che combattevano ed avevano combattuto per la pace e la difesa
dei
deboli.
“Condoglianze”
sussurrarono a
turno, prima alla figlia del morto e poi a Saga.
La giovane
indossava la maschera.
Mai prima d’ora lo aveva fatto. Probabilmente lo faceva per
celare la sua
tristezza, ma era facile percepire il dolore del suo cosmo. Deathmask,
il suo
compagno, le rimaneva accanto senza parlare.
“Addio
amico mio. Mi mancherai”
disse Aphrodite, deponendo una delle sue rose sulla bara scura.
D’un
tratto, in mezzo al silenzio
prevalente, si udì il rumore di passi. Come piccoli
tacchetti sul marmo lucido.
In molti si voltarono verso l’entrata della sala. Ahriman,
Dio del cielo, aveva
fatto il suo ingresso. Indossando un abito magnifico, degno di una
divinità,
camminò lentamente. Ed i rumori dei suoi passi cessarono,
come camminasse
sospeso. Le ali ripiegate, perdevano piume verdi ogni tanto.
“Sommo
Urano” si sentì da più
parti, mentre molti si inchinavano.
“Non
siete qui per porgere
omaggio a me!” quasi si stizzì “Ma a
colui che mi donò metà corredo genetico.
È
dinnanzi a lui ed alla sua bara vuota che dovete inchinarvi. Ricordando
nel
vostro cuore in eterno il suo coraggio e la sua
stupidità”.
Raggiunse la
bara, mentre nella
sala nessuno parlava. Vi poggiò una mano sopra e solo Saga,
che rimaneva
immobile accanto ad essa, notò la singola lacrima che
versò il Dio.
“Ahriman,
nipote mio, è bello
vederti qui” ammise Saga.
“Preferirei
che queste riunioni
di famiglia si facessero in occasioni più liete”
rispose il giovane.
La fiamma
delle candele che
illuminava la stanza riempiva di riflessi i suoi capelli color della
notte. Li
aveva raccolti in complicati intrecci per impedire che toccassero terra.
“Dov’è
mia madre?” domandò, dopo
qualche istante.
“Non
ci ha raggiunti. Forse non
se l’è sentita”.
“O
forse non le interessa. In
famiglia siamo fatti così”.
Hestia, in
piedi qualche passo
dietro a Saga, salutò con un cenno del capo Ahriman. Il Dio
rispose al saluto,
mentre si voltava per lasciare già la stanza.
Fissò la Dea qualche istante.
“Congratulazioni”
disse, poi,
sorridendo appena, ed uscì.
“Congratulazioni
per cosa?”
sbottò Saga “Quel ragazzo è
assurdo”.
“Beh…”
parlò Hestia “L’esistenza
è un cerchio. Dove una vita termina, una nuova vita
inizia”.
A quella
frase, molti sorrisero e
si levarono esclamazioni di stupore.
“Che
intendi dire?” continuò la
divinità della guerra.
“Credo
che solo tu in questa sala
non lo abbia capito, Saga” chiuse gli occhi Hestia
“Sono incinta. E spero che
almeno questo possa ridonarti la voglia di sorridere”.
“Mia
regina…” riuscì solamente a
dire lui, abbracciandola.