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Autore: _Wonderwall_    01/03/2015    3 recensioni
Lysander Scamander, oramai arrivato al suo ottavo anno ad Hogwarts, poteva affermare che aveva tutto e che, molto probabilmente, era la persona più felice in quel dannatissimo castello.
Lorcan Scamander era tutto quello che non voleva essere.
Ted Lupin era soddisfatto della sua vita.
Alice Paciock era diversa. Era totalmente diversa da suo padre sia per aspetto fisico che per carattere e sua madre le aveva conferito giusto qualche tratto del viso.
James Sirius Potter era stanco. Era stanco ed aveva cominciato a stancarsi alla tenera età di quattordici anni.
Axel Lovegood era strano. Era tutto ciò che ci si potesse aspettare da qualcuno appartenente a quella famiglia.
Louis Weasley era normale.
***
Una generazione che ha avuto tutto senza dover fare nulla, figlia di eroi, ma normale, dannatamente umana.
E se si trovasse davanti ad un pericolo peggiore del precedente? Una generazione senza eroi sarà in grado di vincere o perlomeno sopravvivere?
“Ognuno di noi è un eroe”
“Gli eroi non esistono”
“Vedi, Lily, in una guerra non ci sono né vincitori né vinti, solo morti e sopravvissuti”
“Vivere senza di te è come morire”
(Nella mia storia gli anni passati ad Hogwarts non sono più sette, ma nove)
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alice, Paciock, Alice, Paciock, Jr, James, Sirius, Potter, Lorcan, Scamandro, Louis, Weasley, Lysander, Scamandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 16
 
 
 
<< Jamie >>
James sbuffò e in risposta alla voce che l’aveva chiamato aumentò il passo. Non era possibile.
Quella ragazzina era una maledizione. Lo salutava ogni volta che si incrociavano per i corridoi o semplicemente quando si trovava sotto un albero a leggere o studiare o farsi i benedetti fatti suoi, lo raggiungeva e si stendeva vicino a lui.
Non si smuoveva nemmeno dopo le sue più che esplicite richieste, fatte ovviamente dopo una serie di sbuffi così pesanti che solo quelli avrebbero dovuto far volarla via.
Ma lei no, non si arrendeva. Continuava a sorridergli nonostante lui non lo facesse, continuava a salutarlo nonostante lui la ignorasse, continuava ad importunarlo nonostante fosse più che palese quanto quello gli desse fastidio.
<< James >> chiamò ancora la ragazza, allungando il passo a sua volta.
Ma le sue gambe erano decisamente più corte di quelle del ragazzo e dovette mettersi a correre per raggiungerlo.
Shailene odiava correre, lo odiava davvero. Ma continuava a corrergli dietro, ogni volta. E nonostante cominciava ad ammettere quanto quella situazione fosse ripetitiva, ed anche un poco ridicola a dir la verità, non le importava. Anzi, lo considerava anche divertente a volte.
Lei che lo chiamava, lui cercava di ignorarla per poi farsi raggiungere, sbuffare fino a non finire ed accettare la sua presenza.
<< Jamie, ti devo parlare >>
Con l’ennesimo sbuffo il ragazzo si fermò e si appoggiò ad una parete con la schiena, rilasciando le braccia lungo i fianchi.
Anche Shailene si fermò. Poggiò le mani sulle ginocchia e prese un paio di respiri profondi, abbassando la testa e lasciando che i capelli le coprissero il viso.
Aveva già detto che odiava correre?
<< Certo che sei veloce >> commentò, senza guardarlo << Quasi quanto lo eri sulla scopa >>
Un altro sbuffo.
<< Che vuoi? >> chiese sbrigativo.
Prima quella ragazza se ne andava prima avrebbe ritrovato la sua tanto amata solitudine.
Il problema però era che, nonostante la voce mostrasse tutto il contrario, James non era poi così scocciato. Non gli dispiaceva poi così tanto la sua compagnia. Se fosse stato così, si sarebbe allontanato lui stesso quando lei si avvicinava e non si sarebbe fermato in quel momento.
Non gli piaceva, diciamo solo che la odiava meno del resto del mondo.
E quello Shailene lo sapeva. Non era stupida e sapeva anche fin troppo bene che le gambe di James erano due volte le sue e, se si fosse messo a correre, non l’avrebbe mai raggiunto. Era per questo che continuava a cercarlo.
Perché sapeva di non essere invadente. O per lo meno non troppo.
<< Vieni al ballo con me >> disse sorridendo.
Lo guardò negli occhi e lui non vi lesse nessun cenno di incertezza o di paura. Sapeva benissimo che la risposta ‘no’ era tra le più papabili, ma quello non sembrava certo fermarla.
Ma James riconobbe un pizzico di timidezza in quello sguardo e nelle guance imporporate di rosso.
Non riuscì a reprimere un sorriso davanti al viso della ragazza, ma si ricompose subito dopo, riprendendo la maschera di indifferenza e menefreghismo.
<< No >> disse solamente.
Si staccò dal muro e ricominciò a camminare, ma con andatura più lenta di quella precedente.
Shailene lo raggiunse. Incrociò le mani dietro la schiena ed alzò lo sguardo curioso verso di lui, come se non si fosse aspettata quella risposta, ma comunque non si fosse offesa.
<< Perché no? >>
James non la guardò.
<< Perché non mi piacciono i balli, perché non avevo intenzione di venirci e perché non so ballare >>
Ok, forse avrebbe potuto risparmiare l’ultima affermazione, anche perché non era completamente vero.
Riprovò.
<< E perché non voglio andarci con te. Sei irritante >> concluse.
Shailene perse il sorriso solo per un attimo. Un attimo in cui aveva creduto davvero a quelle parole. Un attimo in cui aveva pensato che non la sopportasse.
Poi l’aveva guardato negli occhi e aveva capito che sì, la considerava decisamente irritante, ma riusciva a sopportare la sua presenza.
<< Cosa credi ci sia tra di noi, Shai? >>
La ragazza ingrandì il sorriso ad ascoltare quel soprannome e James si chiese se fosse possibile vederla triste o seria o arrabbiata, o semplicemente non vederla sorridere.
E si rispose che probabilmente se Shailene avesse smesso di sorridere, qualcosa sarebbe stato sbagliato, perché quel sorriso sembrava così giusto.
<< Siamo amici, no? >>
Poi accadde quello che James non si sarebbe mai aspettato.
Shailene arrossì, ma non fu un timido rossore sparso sulle guance. Divenne decisamente rossa, un rosso forte, deciso.
James non poté fare a meno di sorridere perché in quel momento aveva un’aria così dolce.
<< Senti, noi non siamo amici >>
<< Mi odi davvero? >> chiese allora la ragazza.
James distolse lo sguardo, incapace di mentirle mentre la guardava negli occhi.
<< Non ti odio. Mi sei indifferente come tutti gli altri >>
Shailene annuì con convinzione. Cercò il suo sguardo per l’ultima volta e James si sentì in colpa perché quando la guardò in viso si accorse che non stava sorridendo.
<< Capito >>
 
 
 
 
 
 
 
Rose si guardò intorno con aria circospetta e, dopo aver constatato che non c’era nessuno, aprì la porta della biblioteca, chiudendola subito dopo di sé.
Sapeva di non dover essere lì, non in quella parte della biblioteca al terzo piano, ma non aveva saputo resistere. Quella era la parte di sé che i genitori probabilmente avrebbero evitato volentieri di trasmetterle. Una curiosità così acuta da sconfinare nel pericolo.
Prese dal mantello la sua bacchetta e illuminò la stanza, sussurrando l’incantesimo. Quella parte del castello, in cui doveva ammettere di essere stata più di una volta, era sempre immersa nel buio più totale, nonostante fuori fosse a malapena mezzogiorno.
Si mosse tra gli scaffali alti, cercando i libri sulla prima e sulla seconda guerra magica.
Aveva programmato una visita al reparto proibito subito dopo il primo duello al club dei duellanti, ma, a causa di un certo insegnate, non era riuscita ad andarci prima di quel pomeriggio.
Rose non era stupida, aveva ereditato la capacità intuitiva dalla madre, e di certo non si sarebbe fatta convincere da una scusa che stava a malapena in piedi. Sbuffò ripensandoci. Un club di duellanti per il Torneo Tremaghi.
Aveva visto le espressioni preoccupate sui visi degli insegnanti, anche su quello di Teddy, e aveva letto la preoccupazione anche nelle poche righe che sua madre le aveva scritto.
Si sedette su una sedia impolverata e sfilò la lettera dal mantello, aprendola nuovamente. Le parole di Hermione erano state strane, confuse e preoccupate. Ad una prima occhiata, e soprattutto a chi non conosceva la strega, potevano sembrare semplici raccomandazioni da madre. Ma Rose sapeva come era la donna e sapeva che le stava dicendo qualcosa. O che semplicemente aveva scritto senza davvero tenere in conto l’intelligenza della ragazza. Ma Hermione era troppo intelligente per lasciarsi scappare parole preziose e soprattutto l’importante non era quello, ma il fatto che qualcosa di strano c’era. E Rose l’avrebbe scoperto.
 
Cara Rose,
non ci sentiamo da almeno una settimana e mi manca leggere quello che hai da dirmi. So che tua cugina è stata scelta al Torneo Tremaghi e che presto avrà il duello contro Lysander. Non sarà facile.
Rose stai attenta a tua cugina, il Torneo è sempre stato pericoloso e gli avvenimenti sempre inaspettati.
So anche che Teddy ha intrapreso un club dei duellanti (portagli i saluti miei e di Ron). Ricorda, Rose, in tutto ciò che fai presta attenzione e non lasciarti trasportare.
 
Ti voglio bene,
mamma
 
 
Avvenimenti inaspettati. Ricorda, Rose. Presta attenzione in tutto ciò che fai. Non farti trasportare dagli avvenimenti.
Rose, dopo aver passato almeno un paio di notti insonni, era arrivata a delle conclusione. Insolite, ma comunque probabili.
Erano tutti riferiti alla guerra che avevano dovuto affrontare, quello che non si erano aspettati, l’attenzione ad ogni comportamento per sapere di chi potevano fidarsi, chi si era lasciato trasportare e si era adattato a decisioni non sue. E quel ‘ricorda Rose’.
Era evidentemente riferito al club e al torneo passati. Il primo era stato instaurato in risposta ad un pericolo e il secondo non era stato proprio un successo.
Rose aveva provato a parlarne con Ted. Sbuffò al solo ricordo.
 
 
 
<< Cosa sta succedendo? >> chiese la ragazza diretta, irrompendo nell’ufficio di Ted subito dopo il loro “duello”.
Il ragazzo alzò lo sguardo dalle pergamene e fissò la diciottenne. Sul viso era dipinto un sorriso di circostanza che a Rose non piacque per niente. Era solo qualche mese che erano fidanzati, ma la ragazza aveva imparato a riconoscere le sue espressioni e quel sorriso non significa niente di buono.
Stava per mentirle.
<< Cosa intendi? >> rispose.
Si passò una mano tra i capelli azzurri, che cominciavano a prendere una sfumatura più pallida, segno di agitazione. Abbassò gli occhi sulle pergamene per evitare di incontrare il suo sguardo.
Era quello il segreto. Non guardare gli occhi di Rose o avrebbe spifferato tutto in men che non si dica e non poteva farlo.
<< Sai cosa intendo >>
<< No, Rose >>
La rossa sbuffò e si portò i capelli ricci dietro l’orecchio per poi guardare di nuovo il fidanzato che fingeva di lavorare.
Odiava quando le persone le nascondevano la verità.
<< Va bene. Vuoi fare il finto tonto? >> chiese retorica, riprendendo a parlare subito dopo << Intendo, perché avete instituito un club dei duellanti? >>
Teddy alzò le spalle e si sforzò di non far cambiare il colore dei suoi capelli. Se avesse perso l’azzurro per lasciare posto a un bianco poco rassicurante di certo Rose avrebbe avuto la prova di quanto le sue parole fossero vere.
<< Per il Torneo >>
<< Credi che sia stupida? >>

Rose strinse i pugni, cominciando ad innervosirsi.
<< No, affatto >>
<< E allora non mentirmi >>
Teddy si alzò dalla cattedra e si avvicinò a lei. Le prese una mano e intrecciò le dita alle sue.
<< Rilassati, Rose >> disse, cambiando discorso.
Le prese il mento e alzò il viso all’altezza del sue, guardandola finalmente negli occhi. Le lasciò un bacio a fior di labbra, ma, prima che potesse baciarla davvero, la ragazza si liberò della sua mano e si allontanò, guardandolo con fastidio.
<< Ted, se vuoi tenere i tuoi segreti fai pure, ma non trattarmi come se fossi stupida. So che sta succedendo qualcosa e qualunque cosa sia lo scoprirò, anche se non mi aiuterai >>
Se ne andò e sbatté la porta dietro le sue spalle. Teddy sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
 
 
 
Ted aveva cercato di tenerla occupata il più possibile, ma la sua posizione di insegnante significava anche avere delle responsabilità che non poteva rimandare così, mentre lui aveva una lezione, Rose ne aveva approfittato.
Dopo quella discussione e la lettera di sua madre era ancora più certa che ci fosse qualcosa da scoprire. Che qualcosa stava succedendo. E lei poteva scoprirlo. Doveva scoprirlo.
Prese un libro e lo aprì, cominciando a leggere.
Cosa sperava di scoprire, sinceramente, non lo sapeva. Ma da qualche parte doveva pur iniziare.
 
 
 
 
 
Dominique uscì dal dormitorio di Serpeverde, stringendo una lettera tra le mani e cercando di mantenere la sua solita espressione indifferente.
Strinse entrambi i pugni lungo i fianchi, quando Marie Smith e Sandra Jones le si avvicinarono sorridendo. Non si preoccupò di ricambiare il sorriso, ma si fermò prima di imboccare l’uscita per il giardino e si lasciò raggiungere dalle ragazze.
Tutto ciò che doveva fare era comportarsi normalmente, senza lasciar trapelare il suo turbamento.
<< Ehi, Domi, hai saputo? >> chiese Sandra.
Sul viso di Marie si dipinse un’espressione compiaciuta e la Serpeverde capì che la ragazza si riferiva alla foto che solo un paio di giorni prima era caduta dal cielo, inondando la Sala Grande.
Il corpo di Dominique si irrigidì all’istante e riservò alle due un’occhiata di puro odio. Lorcan e Lysander Scamander erano stati amici di famiglia sin da quando erano nati e tutti loro erano cresciuti insieme. Non che avesse stretto chissà quale grande rapporto con i due, come per tutti gli altri, ma questo non significava che godeva della loro umiliazione.
Strinse maggiormente i pugni, stropicciando la lettera e facendo diventare le nocche bianche.
<< Che Nott ti ha lasciata per correre dietro a mia cugina Roxanne? >> si rivolse alla Smith, che si irrigidì, ma non rispose alla provocazione.
<< Ora se volete scusarmi >>
Riprese a camminare, ignorando gli sguardi delle due puntati sulla sua schiena.
Uscì nel giardino di Hogwarts e si diresse sotto il Platano Picchiatore, poggiando la schiena davanti l’entrata della Stamberga Strillante.
Portò le ginocchia al petto e posò sopra di esse la lettera e sospirò, guardandola truce. Sinceramente avrebbe preferito se fosse arrivata qualche settimana, o meglio mese, dopo.
Il retro recitava il suo nome ed il nome del mittente: Gabrielle Delacoure.
Girò la lettera e l’aprì, chiudendo gli occhi e prendendo un grande respiro. Trattenne l’aria per pochi secondi per poi lasciarla andare.
Non era pronta e mai lo sarebbe stata, ma doveva trovare il coraggio per farlo.
 
Cara Dominique,
come ti senti? Come va la scuola? Spero tutto bene.
Vorrei ritardare il più possibile quello che sto per dirti in questa lettera perché non è affatto piacevole, ma so di doverlo fare quindi mi sto costringendo a scrivere queste parole.
Ho ricevuto i risultati dal San Mungo e sono ore che fisso questo foglio bianco, cercando il coraggio di mettere tutto nero su bianco. Ma non è facile. Sono ore che piango.
Mi dispiace tanto, Domi, ma il tuo tumore non è curabile. Puoi sottoporti alla chemioterapia e guadagnare un paio di mesi, ma non andrà via.
È ormai al quarto stadio e le metastasi hanno raggiunto anche il fegato e i polmoni, non limitandosi solo al cervello.
Ti restano cinque mesi di vita, sette con le cure.
Presto arriverà la lettera dall’ospedale, ma so che volevi fossi io a dirtelo. Mi dispiace se non l’ho fatto nel modo appropriato, ma non so fare meglio di così.
Non volermene.
 
Con amore,
tua zia Gabrielle.
 
 
 
 
Dominique rilesse la lettera di nuovo ed una volta ancora fino a quando quelle parole non si impressero nella sua memoria con il fuoco, oramai irremovibili.
Lesse ancora una volta per assicurarsi di aver capito bene e lo fece di nuovo, cercando di non concentrarsi sulle gocce bagnate che impregnavano la carta e infastidivano l’inchiostro.
Sua zia aveva pianto anche mentre scriveva.
Dominique appallottolò la carta e la gettò lontano, poggiando la testa sulle ginocchia. Sapeva di stare male, ma mai si sarebbe aspettata di stare così male.
Cervello, fegato e polmoni.
Era fregata.
Cinque mesi di vita.
Come si poteva dire ad una ragazza di diciotto anni che le rimanevano cinque mesi di vita?
Come avrebbe detto a sua madre che sarebbe morta, quando lei non sapeva nemmeno del suo malessere? E a suo padre? Victoire? Louis?
Louis sarebbe crollato, Dominique lo sapeva. Perché lui le voleva bene davvero, lui sapeva chi era davvero. A lui sarebbe mancata.
Forse gli altri cugini sarebbero addirittura stati contenti se si fosse tolta dai piedi.
Con quel pensiero fisso in testa, Dominique avvertì le guance cominciare a bagnarsi, ma solo quando l’acqua salata raggiunse le labbra disegnate si accorse che quelle erano lacrime.
Chiuse gli occhi, strizzandoli, come a voler togliere dalla sua mente quelle parole, ormai scolpite. Parole che l’avrebbero accompagnata fino alla morte.
Non poi per così tanto. Pensò Dominique con ironia, continuando a piangere. Strinse le braccia intorno al busto e si dondolò, cercando di calmare i singhiozzi che, imperterriti, continuavano a scuoterle il petto e interromperle il respiro.
Aveva scoperto il suo tumore un anno prima mentre trascorreva le vacanze in Francia da sua zia ed era svenuta costringendola a portarla al San Mungo. Era questo l’unico motivo per il quale Gabrielle ne era a conoscenza, perché era stata con lei.
Dominique l’aveva pregata di non dire niente a nessuno, nemmeno a suo marito e sua zia, dopo pianti e preghiere, le aveva dato ascolto dando al medimago il suo nome come riferimento e non quello della sorella.
Ma adesso il tempo stringeva e Dominique doveva rivelarlo a tutti. Dire che dopo cinque mesi sarebbe morta, perché lei non avrebbe fatto la terapia.
Che senso aveva vivere due mesi in preda al dolore? Senza sentire il tuo corpo? Perdere i capelli, le sopracciglia, il colore roseo delle sue guance. Perdere la sua bellezza e la sua forza, trovando solo debolezza, dolore e sofferenza.
Che senso aveva continuare a sopravvivere quando si era già morti?
Dominique non voleva morire, lei non l’aveva mai voluto, nonostante la sua vita non fosse quella che lei aveva sempre desiderato.
Non aveva lasciato che nessuno si avvicinasse a lei, essendo già di per sé solitaria ed arrogante, poi quando aveva scoperto la malattia aveva fatto di tutto per respingere tutti colore che tentavano di stabilire un rapporto. Ed adesso, seduta sull’erba fredda con la schiena a contatto con il legno umido, le ginocchia strette al petto, il respiro spezzato e la lettera stretta in una mano, i pugni così serrati da farle male e le lacrime che non volevano scomparire, si chiese, per la prima volta, se avesse agito nel modo più appropriato.
Era sola. Non aveva nessuno da cui andare, abbracciare e piangere tutta la notte. Sentire false parole di conforto che, per lo meno, davano l’illusione che tutto sarebbe potuto risolversi.
Sapeva che non era così, lo sapeva, ma ne aveva maledettamente bisogno. Aveva bisogno di qualcuno che la stringesse e le sussurrasse che l’avrebbero superata insieme, che era forte abbastanza per farcela, che non poteva immaginare la sua vita senza di lei.
Cinque mesi. Ancora cinque mesi di solitudine. I suoi ultimi mesi.
Come era morire? Cosa si provava? Sarebbe stato lento per lei, doloroso, interminabile. Forse lo meritava, dopotutto non era mai stata la figlia perfetta, la studentessa perfetta, l’amica perfetta, la ragazza perfetta, la cugina perfetta.
Dominique Weasley non era perfetta. E questa consapevolezza la colpì come un forte pugno allo stomaco. Capì che lei perfetta non lo era mai stata.
Era solo un involucro bellissimo che nascondeva morte e desolazione. Cosa aveva dentro Dominique?
Qualcosa di brutto, orribile, disgustoso.
Chi era Dominique?
Lei non lo sapeva. O meglio, non voleva accettarlo. Non poteva accettare di essere solo una ragazzina spocchiosa, arrogante, egocentrica, superba, cattiva. Dove erano i suoi pregi? Perché non riusciva più a vederli?
Un urlo strozzato le uscì dalle labbra carnose e lei non si preoccupò di nasconderlo, non voleva nasconderlo.
Urlò ancora ed accartocciò la lettera, lanciandola lontana e lasciandosi andare con un altro urlo.
Non voleva più vedere quel foglio, non voleva più guardare la realtà, perché il suo mondo di finzione le piaceva di più. Un mondo dove lei non era malata e poteva permettersi di allontanare tutti, perché sapeva che avrebbe poi avuto tempo per poterli riavvicinare.
Ecco cosa voleva Dominique, ecco cosa aveva nel suo mondo. Tempo.
Aprì gli occhi e ritrovò nel suo campo visivo non solo l’erba, ma la punta di un paio di scarpe da ginnastica. Si lasciò sfuggire un urletto, quasi spaventata, e fece un salto all’indietro, sbattendo con la schiena sul legno duro del vecchio albero ed esibendosi in un’espressione di dolore.
<< Non lo sai che piangere non risolve le situazioni? >>
La ragazza alzò gli occhi verso la voce maschile che aveva parlato e riservò un’occhiataccia al ragazzo. Riconobbe i lineamenti di Frank Paciock e sbuffò, cercando di rendersi presentabile e asciugarsi le lacrime che, però, non riusciva a fermare.
<< Non lo sai che parlare così agli sconosciuti è maleducazione? >> rispose saccente la bionda.
Si passò una mano sul viso e tirò su con il naso, distogliendo lo sguardo da quello scuro del ragazzo.
Frank alzò le spalle con disinteresse e si lasciò cadere sul prato davanti a Dominique che storse le labbra in una smorfia schifata.
<< Tu non sei una sconosciuta Domi >> disse lui, guardandola negli occhi.
La mezza veela deglutì e distolse lo sguardo dai profondi occhi castani di lui. Le tornavano in mente troppi ricordi che non voleva rivangare. Non di nuovo. Non adesso.
Ricordi che tornavano ogni sera e che aveva accettato nel caldo e nella solitudine del suo letto, come protezione dall’umidità dei sotterranei. Ricordi che non poteva affrontare alla luce del sole.
<< Sì, lo sono, adesso. Tu non mi conosci >>
Frank sorrise e afferrò la sua mano destra con la propria, mentre dava un colpetto sulla sinistra e le incitava a dargli il cinque.
Dominique sbuffò ancora, ma lo accontentò. Invertirono poi le mani e si diedero il cinque con la sinistra, unendole poi ancora e sbattendo i pugni subito dopo.
<< Sbagli sempre. Deve esplodere alla fine, Domi >>
La ragazza scoppiò a ridere, chiudendo gli occhi per il mal di testa che la colpì subito dopo. Odiava piangere.
Lo guardò negli occhi e abbatté le barriere nella sua testa, lasciando che i ricordi si insinuassero tra i suoi pensieri e la portassero indietro. A quando era felice. A quando aveva qualcuno. A quel periodo della sua vita che era durato troppo poco.
 
 
Una bambina di sette anni stringeva la mano di sua madre mentre si dirigevano verso una casa pericolante e per niente rassicurante. Ma Dominique adorava quella casa, adorava l’odore delle frittelle appena fatte di nonna Molly, adorava fare gli scherzi a Vic insieme a Roxanne, adorava vedere James e Fred fare qualche stupidaggine e venire poi rimproverati dai genitori, adorava parlare di magia con Rose, o ridere con Lily e Hugo, adorava aiutare Albus a trovare un modo per rubare i dolci senza che gli adulti se ne accorgessero. Adorava quando Lysander e Lorcan venivano.
Adorava la Tana.
Finalmente l’estate era arrivata ed i bambini avrebbero trascorso i tre mesi in quella casa che ognuno di loro amava con tutto se stesso per ciò che rappresentava per loro.
La porta di legno si aprì e la figura di una donna ormai anziana comparì sulla soglia. Dominique lasciò la mano di sua madre e corse tra le braccia della nonna, stringendola a sé e stampandole un bacio sulla guancia paffuta.
<< Benvenuta, cara >> la salutò, lasciandole un bacio sui lunghi capelli biondi << Stavo giusto preparando la cena >>
Dominique sorrise, mostrando un paio di denti che erano caduti e la nonna sorrise, riposandola a terra.
Entrarono insieme a Fleur e le più grandi si diressero in cucina, mentre lei corse nel soggiorno dove sapeva fossero i suoi cugini.
<< Sono arrivata >> urlò, entrando nella stanza.
In un battito di ciglia si trovò con il sedere a terra. Si lamentò, aprendo i grandi occhi celesti e fissandoli in quelli scuri che si trovavano alla sua stessa altezza.
<< Chi sei? >> chiese scocciata.
Il bambino davanti a lei alzò le spalle.
<< Frank Paciock >>
<< Dovresti chiedere scusa >>
<< E per cosa? >>
Dominique sbuffò e gli riservò un’occhiata truce.
<< Per avermi fatta cadere >>
<< Sei tu quella che correva >>
La bambina sbuffò di nuovo e, senza degnarlo di una risposta, si alzò, si spolverò il vestitino e andò dai suoi cugini.
 
 
 
Caro Frank,
non me la sto facendo sotto come una femminuccia. E comunque vorrei ricordarti che io sono una femmina, quindi ho il diritto di comportarmi da femmina.
Non dirmi che non sei impaurito per lo smistamento perché non ti credo. Perché di solito sei tu la femminuccia tra di noi.
Ho paura di capitare in una casa diversa dalla tua e di non vederti più tanto spesso.
Ma ne parliamo sul treno, tra una settimana.
Ti voglio bene
Dominique
 
 
 
<< Frank, sei qui? >> Dominique si guardò intorno, illuminando lo spazio circostante con la bacchetta e cercando di parlare a voce bassa.
Se Gazza l’avesse vista in giro per il castello a quell’ora di notte, sarebbe stata espulsa e concludere la sua carriera scolastica a tredici anni non era tra i suoi piani.
Nessuna risposta.
Una mano le afferrò il braccio e Dominique saltò in aria, con l’intenzione di urlare, ma un’altra mano le coprì la bocca, impedendoglielo. Venne trascinata in un corridoio buio che scoprì essere poi quello per Mielandia. Il passaggio segreto si chiuse ed una risata si disperse nell’abitacolo.
<< Sei sempre una femminuccia, Domi >>
La ragazza colpì Frank sul braccio ed incrociò le braccia al petto, alzando il naso in su ed esibendo un’aria offesa.
Le mani di Frank si posarono sulle sue spalle e posò la testa sul capo. Dominique arrossì.
<< Su, vieni, ho messo da parte una scorta di cioccorane solo per te. E questa volta ti costringerò a provare le gelatine tutti i gusti più uno. Non fare la schizzinosa >>
 
 
 
Dominique salì le scale verso la guferia, ripetendo nella sua testa il discorso che si era preparata.
Sperava che Frank non fosse in ritardo o avrebbe perso tutto il coraggio per affrontarlo. Ormai avevano entrambi quattordici anni e Dominique non poteva più mentire su quello che sentiva per lui. Frank era il suo migliore amico e la attraeva. La attraeva pericolosamente.
Era l’unica persona che le stava vicina nonostante ormai fosse diventata la reginetta insopportabile della scuola. I suoi cugini e lei si erano allontanati, tutti loro erano cambiati e avevano preso le proprie strade, ma Frank no. Lui era ancora lì e non era cambiato. Aveva ancora l’innocenza di un bambino e la spensieratezza di quando non erano ancora ad Hogwarts. Era quello che le piaceva di più.
Oltre ai capelli scuri e gli occhi cioccolato così profondi, le mani grande, le spalle large e anche quel filo di pancetta che aveva ancora. Le piaceva quell’aria da eterno bambino e anche leggermente tonta a volte, la stessa espressione del padre.
<< Ciao Domi >>
Lui la salutò, quando la  bacchetta della strega illuminò il luogo avvolto nella completa oscurità. Era gennaio, il cielo era coperto e un vento rigido fece rabbrividire la ragazza.
<< Ciao Frank >>
La Weasley pronunciò ‘Nox’ e intascò nuovamente la bacchetta. Preferiva l’oscurità, l’aiutava con il suo discorso.
Dichiararsi non era così facile per lei che non l’aveva mai fatto. Dominique aveva cominciato a scoprire il suo corpo ed aveva capito che, in futuro, avrebbe voluto che solo Frank la toccasse come vedeva fare ai ragazzi più grandi di loro. Voleva solo lui.
<< Cosa volevi dirmi? >> chiese il ragazzo, avvicinandosi a lei.
Deglutì e chiuse gli occhi nonostante non vedesse niente ugualmente. Tutte le parole sparirono, lasciandola brancolare nel buio più assoluto. Lei provava a cercarle, ma tutto ciò che avrebbe voluto dire si era volatizzato nel nulla, lasciandola sola.
Il cuore batteva veloce, così tanto da impedirle di sentire altro.
Dominique respirò pesantemente e poi si mosse. Alzò le punte e poggiò le mani sulle spalle di Frank, riconoscendo la loro consistenza. Sfiorò la sua bocca con la propria.
Frank fece un passo indietro ed illuminò la stanza con la sua bacchetta.
<< Cosa fai? >> chiese, sconcertato, guardandola negli occhi.
Dominique arrossì. Sentì l’imbarazzo farsi spazio in lei e poi essere mandato via dalla delusione e dalla rabbia.
Strinse i pugni e trattenne il respiro.
<< Pensavo di piacerti. Per quale altro motivo mi staresti affianco? >>
Frank la guardò stupito, non riuscendo a ribattere. Dominique sbatté un piede a terra e si girò di spalle. Sentì gli occhi pungerle e le lacrime arrivare.
<< Sei solo un ragazzino immaturo ed io non voglio avere niente a che fare con te >>
E corse via.
 
 
<< Dominique, sono ancora io e sono ancora qui. E tu sei ancora tu. Non sei cambiata >>
La strega distolse lo sguardo, puntandolo sul punto dove aveva lanciato la lettera. Ma quella non c’era.
<< Vuoi dire che sono sempre stata una stronza insensibile? >> chiese, girandosi di nuovo verso di lui.
Ed eccolo lì, il foglio rovinato, ancora stropicciato, poggiato sulle gambe di Frank.
Il ragazzo annuì con un sorriso.
<< Esattamente >>
Dominique scoppiò a ridere.
 
 
 
Angolo Autrice
Eccomi di nuovo qui con un capitolo più che lungo che tocca diversi punti.
Shailene che chiede a James di accompagnarla al ballo e la sua risposta negativa (ma non è finita qui, non disperate), Rose e il mistero con un piccolo momento Teddy/Rose ed infine, signori e signore, il grande segreto di Dominique Weasley e una piccola partecipazione del nostro nuovo personaggio Frank!
Allora ho appena finito di scrivere i diciottesimo capitolo e con quello si concluderà la prima storia della serie! Non vedo l’ora che lo leggiate!
Da adesso comincerò a stendere a trama per la seconda parte e spero di fare abbastanza in fretta!
Detto questo, non vedo l’ora di conoscere le vostre opinioni e sapere che ne pensate! Vi ricordo ancora FACEBOOK e ringrazio chi legge, chi ricorda/segue/preferisce e soprattutto chi recensisce!
Ci sentiamo presto!


  
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