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Autore: SagaFrirry    01/03/2015    1 recensioni
Seguito di un'altra storia pubblicata in precedenza (Risveglio). Sono passati degli anni e molte cose sono cambiate al santuario. Questa volta i cavalieri si ritroveranno faccia a faccia con l'origine di ogni cosa: il Caos. come si rapporteranno con la sua progenie? e quante volte può morire un cavaliere?
chiedo perdono per i risvolti deprimenti. io sono una persona fondamentalmente depressa ;)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Thanatos, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Risveglio'
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V

 

ALLA LUCE DEL SOLE

 

Nàgiri era al grande tempio assieme a sua sorella Neikos. La bambina, di pochi mesi più piccola di lui, era figlia di Esma. Leggermente abbronzati dal sole di Grecia, ormai avevano fatto amicizia con quasi tutto il santuario. Sapevano che Ahriman li teneva d’occhio dal suo palazzo nel cielo, ma fin ora non si era fatto vedere.

 

“Sono un po’ preoccupato” ammetteva Saga ad Aiolos, suo gran sacerdote.

“Per che cosa?” rispose il suo interlocutore.

“Gli anni passano, i cavalieri invecchiano. Alcuni se ne sono già andati, lasciando qui le loro armature, in cerca di un futuro diverso. Shura è in Spagna, con moglie e figli. Mur nello Jamir, non si vede mai. Ioria e sua moglie Marin abitano qui vicino ma ufficialmente non son più cavalieri. Dohko è tornato a sedersi sul suo sasso in Cina. Chi è rimasto? Aphrodite so che alla dodicesima, ma non lo vedo mai. Tu sei qui come gran sacerdote e l’armatura di Sagitter è senza un proprietario. Shaka pure fa l’eremita alla sesta e non esce mai. Gli unici che vedo sono Milo e Camus, quando il secondo non è da qualche parte in Russia. Poi Deathmask e mia nipote Ariadne, il cancro ed i gemelli. Perfino Aldebaran sta sempre in giro, fra Brasile ed altri luoghi a me ignoti”.

“È giusto che le cose cambino”.

“Sì, ma ci vorrebbero delle alternative. Dove sono i giovani? Dove sono i piccoli?”.

“Kiki ha preso il posto di Mur. E probabilmente Arles II prenderà il posto del padre nella casa del cancro”.

“I loro genitori non vogliono. E comunque sono solo in due. Tutti gli altri?”.

“Ci sono dei periodi in cui il santuario è quasi deserto. È normale, se non è in vista una guerra santa”.

“Ah, Aiolos, ecco perché come consigliere sei perfetto. Riesci a distruggere il mio pessimismo”.

Saga sorrise debolmente ed Aiolos scosse il capo, quasi divertito.

“Dov’è la mia piccola?” chiese poi la divinità, parlando della figlia.

“Credo sia di sotto”.

“Cosa?!” sbottò Saga, che non voleva che la sua erede lasciasse le stanze di Athena.

 

“Prendila! Prendila!” gridava Arles II, rivolto a Nàgiri.

La piccola Neikos stava facendo le bolle di sapone ed i due bambini correvano per prenderle prima che scoppiassero da sole. Il chiasso che riuscivano a fare in tre, sbalordiva più di un cavaliere. D’un tratto, Arles si fermò e sorrise. Lungo le scalinate, vedeva una bimba con un grosso pupazzo fra le braccia.

“Vieni! Gioca con noi!” la chiamò.

“È la bambina che ho visto dietro le tende del salone di Saga” la riconobbe Nàgiri.

“Sì, è Heiwa, la figlia di Saga e Hike. Strano che sia qui. Di solito non esce dalla dimora dei genitori”.

La piccola scese le scale pian piano, leggermente spaventata. Raggiunse i bambini, che la salutarono in coro. Lei sorrise. Era una bimba deliziosa, con i codini blu e due grandi occhi come il miele. Attorno a lei, un alone di luce, simbolo del suo essere figlia di divinità e quindi divinità a sua voglia. Neikos fece altre bolle, che solleticarono il volto di Heiwa. Lei scoppiò a ridere. Lasciò il pupazzo su uno scalino, mettendolo a sedere con cura, e si unì al gioco degli altri bambini. Con il lungo abito bianco aveva qualche difficoltà ma, anche se inciampava e cadeva in terra, si rialzava subito e si rimetteva a correre.

 

“Heiwa!” la chiamò Saga, con tono severo.

I bambini non si erano accorti del suo arrivo, a differenza degli altri lì presenti che si erano inchinati.

“Ciao, papà” salutò la bambina, salutando con la mano.

“Che ti sei fatta?” chiese il padre, vedendo i piccoli graffi che lei si era procurata cadendo.

“Niente. Sono caduta. Non fa male”.

“Io ti avevo proibito di uscire dalla dimora di Athena. Perché non mi hai obbedito?”.

“Ma io…”.

“Tu non capisci che quel dico, lo dico per il tuo bene!”.

“Ma sto bene!”.

“Vieni subito qui!”.

Heiwa rimase ferma. Era spaventata. Suo padre sembrava molto arrabbiato. Il genitore, notando l’immobilità della figlia, camminò deciso verso di lei. Nonostante l’alone di luce della Dea Athena che lo circondava, che doveva trasmettere pace, incuteva comunque timore. Prese la bimba per mano e lei protestò.

“Mi fai male” piagnucolò.

“Vieni con me” la trascinò.

“Che cosa stai facendo?” si sentì chiara la voce di Hike, che a braccia incrociate guardava figlia e marito.

“Riporto la nostra bambina a casa” rispose, schietto, Saga.

“La nostra bambina è a casa. Le ho dato io il permesso di giocare con gli altri”.

“Come sarebbe a dire?!”.

“Qual è il problema?”.

“E me lo chiedi?”.

“Qui è al sicuro. Ed è giusto che lei cresca assieme ad altri bambini”.

“Lei non è come loro. Lei è una Dea”.

“E con ciò?”.

“Ma…Hike!”.

La Dea non rispose. Rimase con lo sguardo fisso ed accigliato rivolto al marito. Saga prese in braccio la figlia e la riportò su per le scale, fino alla sua dimora.

“Ma noi…” si stupì Nàgiri di quella reazione “Non abbiamo fatto niente di male!”.

“No, tranquilli” ne accarezzò la testa Hike “Voi siete stati molto gentili a giocare con lei. È mio marito che è un po’ troppo paranoico”.

“Chiedi scusa ad Heiwa da parte mia?” continuò Nàgiri “Non volevo che venisse sgridata. E quello là è il suo pupazzo”.

“Riferirò. Ma state tranquilli, non verrà sgridata. Saga non è cattivo come vuole sembrare” sorrise Hike, raccogliendo il giocattolo della figlia e risalendo pure lei le scale.

“Possiamo venire noi lassù a giocare con lei?” le gridò dietro ancora Nàgiri.

“No, mi spiace. Ma sei davvero un bambino gentile”.

 

Quella sera, come sempre Kydoimos apparve per riportare a casa i suoi figli.

“Ancora un po’, papà! Ti prego!” supplicò Neikos.

I tre amici si erano messi a giocare con delle palline colorate e stavano per finire la partita.

“Ve bene” annuì il padre, sedendosi su quel che restava di una colonna. Ora che il sole stava tramontando,  si era tolto la maschera nera ed attendeva il buio.

“Oggi si sono proprio divertiti” informò Deathmask, scendendo le scale alle spalle di Kydoimos.

“Non danno fastidio se restano ancora un po’, vero?” si chiese questi.

“No, noi qui in Grecia ceniamo tardi. Specie in estate”.

“Capisco. Il bambino che gioca con i miei è tuo figlio, giusto?”.

“Sì. La mia piccola peste”.

“Se creano qualche problema, vorrei saperlo”.

“E che problemi vuoi che creino? Sono solo dei mocciosi!”.

“I nostri mocciosi, Signor Deathmask. Non so il piccolo Arles, ma Nàgiri e Neikos non sono affatto dei piccoli tranquilli. Anzi. La loro curiosità li metterà nei pasticci, prima o poi”.

“Non possiamo proteggerli da tutto”.

Appena il sole fu tramontato, e al tempio scese il buio, l’occhio sinistro di Kydoimos, quello che con la luce si faceva sottile, si ingrandì. Lo stessero fecero gli occhi dei suoi figli. Deathmask, che si era distratto ad osservare suo figlio che giocava, quando si voltò e lo notò trasalì.

“Wow” commentò, non riuscendo a dire altro.

Kydoimos non capì subito a che si riferisse ma quando lo comprese tentò di coprire il viso.

“Scusa” disse “Non ti volevo spaventare”.

“Spaventare?! Ma che dici!! Io viaggio nel Meikai fra le anime morte! Non mi spaventa di certo un occhio!”.

“Oh. Ok…”.

“È l’insieme che mi lascia un po’ perplesso. Perché un occhio solo fa così? E perché il tuo viso è di due colori diversi? Se sono troppo indiscreto, dimmelo. Puoi anche non rispondere”.

“Il Caos mi ha donato questo corpo. Dovresti chiedere a lui”.

“Non volevo essere invadente”.

“Potresti chiederglielo direttamente. Perché non venite da noi, un giorno?”.

“Al palazzo nero?”.

“Sì. Tu, tua moglie, tuo figlio, Saga, Ahriman…chi lo desidera”.

“Cena?”.

“Sì. Sarebbe una buona occasione per consolidare questa sorta di alleanza”.

“Ne parlerò agli altri”.

I bambini continuavano a giocare, ignorando i richiami dei genitori.

“Non è tardi, piccoli?” parlò loro una voce femminile.

Era Ninive, che la sera amava uscire dalle dimore vestali, approfittando della pace e del silenzio del santuario. I tre la guardarono senza capire. Che voleva? Loro stavano solo giocando!

“Chi è quella donna?” domandò Kydoimos.

“Una che non sopporto” arricciò il naso Deathmask.

“E come mai?”.

“Per colpa di quella femmina, un mio caro amico è morto”.

“Quella donna è un’assassina?! Non lo sembra”.

“Invece lo è. Non lo ha ucciso fisicamente, ma mentalmente”.

“Non capisco”.

“Io sono sempre stato considerato un assassino, un bastardo, un pezzo di merda e chi più ne ha più ne metta. Ma rispetto la donna che amo e farei qualsiasi cosa per la mia famiglia e per i miei amici. Così, vedere quella lì giocare con i sentimenti di una persona che conosco da una vita, mi ha fatto davvero incazzare”.

“Da come parli di tua moglie, si sente che la ami davvero molto. Siete sposati da tanto?”.

“Otto anni. Io e Saga ci siamo sposati lo stesso giorno, in una sorta di celebrazione per la pace. Pochi giorni dopo la fine della guerra contro Gaia ed il risveglio di Urano”.

“Ed il tuo caro amico e quella donna erano presenti?”.

“Sì. Lui era il padre di mia moglie. Arles, il nome che ho dato a mio figlio. In suo ricordo. Ha accompagnato all’altare la sua bambina, con quella stronza che non faceva che ripetergli che lo amava. Sembravano una bella famiglia felice. Arles, la bastarda, mia moglie ed Ahriman. Ma di punto in bianco lei ha cambiato idea. Ed è tornata a fare ciò che era: la vestale. La casta e pura, si fa per dire”.

“E questo ha fatto male al tuo amico? Tuo suocero, mi pare di capire…”.

“Sì, il padre di mia moglie. Ma prima di tutto io lo vedo come un amico. E sì, lo ha fatto star male. Prova ad immaginare: la donna che ami continua a dirti che starete assieme per sempre e che ti vuole bene e poi di colpo cambia idea per tornare con le sue amichette lesbiche”.

“Le vestali sono lesbiche?”.

“Non lo so. Ma non la danno, quindi per me sono lesbiche”.

“Che lo sia pure quella donna?”.

“Non lo so. Ma quando le ho chiesto perché lo avesse lasciato, lei ha risposto che aveva sentito non essere quella la sua strada ma che la Dea Vesta l’aveva chiamata e cose del genere”.

“Una religiosa”.

“Una pazza. Ed una bugiarda! Arles la amava, come non aveva mai amato nessun’altra. E pensava che per lei fosse lo stesso. Ma dopo i matrimoni l’ho visto quasi smarrito. Ninive, quella donna, è uscita dalla sua vita e lui penso si sia sentito piuttosto abbandonato. Il figlio si è rintanato nel suo palazzo. Io e mia moglie pensavamo a noi, lo ammettiamo. Saga anche ha iniziato una nuova vita con Hestia. Tutto l’insieme, il fatto forse di non sapere bene dove inserirsi nel mondo, il sentirsi inutile o che ne so io…insomma…tutto questo lo ha portato a non reagire davanti all’ultimo nemico. Si è fatto uccidere, senza reagire”.

“Io non conosco questo tuo amico, non l’ho conosciuto, ma forse era stanco di combattere. Siete guerrieri da sempre, no? Forse ha cercato qualcos’altro e non ci è riuscito”.

“Già. Può essere. Sta di fatto che sia io che mia moglie che Saga, gli altri non so, ci sentiamo in colpa a volte. Ma credo che se Ninive non se ne fosse andata di colpo, non sarebbe andata così”.

“Inutile pensarci, non trovi?”.

“Non ha mai visto suo nipote. E Ninive ignora mio figlio come se non avesse alcun legame parentale con lui”.

“Credo che ognuno cerchi la propria felicità. E tutti siamo egoisti, perciò la nostra felicità conta più degli altri. Se fare del male a qualcuno ci aiuta a raggiungere il nostro obbiettivo, non ci facciamo molti problemi. Tanti buoni propositi, ma, sotto sotto, siamo tutti uguali”.

“Hai ragione. L’umanità fa schifo”.

“Nàgiri! È tardi! Adesso andiamo!” gridò Kydoimos, iniziando a sentirsi strano. Ora che era ufficialmente figlio del Caos, il blocco che affliggeva i suoi discendenti gli impediva di stare a lungo lontano dal palazzo nero.

Nàgiri e la sorella obbedirono, di malavoglia.

“Guarda cosa mi ha regalato!” disse la bimba, mostrando due palline di gomma.

“Anche a me!” si unì Nàgiri.

“Ma no, non potete portare via i giochi al vostro amico!” li sgridò il padre.

“Ne ho tante” lo rassicurò Arles II “Possono prenderle”.

“Allora la prossima volta porterete voi un regalo a questo bambino, ok?” annuì Kydoimos “E spero abbiate ringraziato”.

“Grazie, Ary, per le palline” sorrise Nàgiri.

“Grazie” si aggiunse Neikos.

“Spero di vedervi presto al palazzo nero” si congedò Kydoimos, con un sorriso.

“Ne sarei onorato. Un palazzo tutto oscuro mi incuriosisce parecchio” ghignò Deathmask.

 

“Nobile Deathmask” chiamò una guardia, nel buio “Il sommo Aiolos ed il divino Saga vi vogliono parlare”.

“Bene” rispose il cavaliere d’oro, un po’ stupito. Era da tempo, che non veniva convocato. La guardia, inginocchiata, si rialzò e, con un inchino, si congedò.

Salendo le scale, il cancro si chiese che cosa potessero mai volere i due a capo del santuario. Aveva forse commesso qualche errore? No, era certo di non aver commesso troppe cazzate ultimamente. Giunto davanti alla porta della tredicesima casa, notò Milo davanti alla porta.

“Dai, muoviti” lo apostrofò lo scorpione “È da un secolo che ti aspetto”.

“Potevi entrare senza di me!” si stizzì Deathmask “E poi io ho più piani di te da fare”.

“Ma lo so, granchio dal culo pesante!” ridacchiò Milo.

“Artropode perverso!” ribatté, sempre ridendo, il cancro.

Entrarono insieme nella tredicesima casa, dimora del gran sacerdote Aiolos. Oltre la tenda, nel tempio più in altro, stava Saga. Che però in quel momento si trovava alla tredicesima in attesa dei due cavalieri.

“Scusa il ritardo, Saga. È Deathmask che è sempre lento!” parlò subito Milo, dando una spintarella al cancro oro.

“Ma che minchia vuoi?” fu la risposta di Deathmask.

“Siete sempre gli stessi” sorrise Saga, divertito “Più passano gli anni, e più fate i bambini”.

“Sì, è vero” ammise Milo.

“Ho una missione per voi” riprese a parlare Saga, mentre Aiolos stava alle sue spalle, in silenzio.

Fra le mani stringeva una busta, che porse a Deathmask, visto che Milo era impegnato a fissare una farfalla. Death aprì la busta e storse il naso.

“Ma che cazzo c’è scritto qua sopra? Zampe di gallina!” restituì il foglio il cavaliere.

“Sei tu che non capisci mai niente, dai qua!” esclamò Milo, non ammettendo di essere pure lui in difficoltà.

“Quello è un indirizzo” spiegò Saga, mentre Aiolos fissava con rimprovero i due oro perché dopotutto si trovavano sempre di fronte alla Dea Athena.

“Indirizzo di che?” domandò lo scorpione, non lasciando spiegare.

“Mi sono giunte delle voci. Vorrei andaste a controllare che accade” rispose Saga.

“Sarà fatto! Andiamo, crostaceo!” si avviò Milo, e Deathmask lo seguì lentamente.

 

“Ma perché ci manda in missione a quest’ora? È buio, non potevamo andare domani?” sbadigliò il cancro, lungo le vie di Atene notturna.

“Si vede che era urgente” alzò le spalle lo scorpione.

“Sì, urgente…come no! Urgentissimo girellare per Atene”.

“Dai, è un modo alternativo di passare la serata. Vedila così”.

L’indirizzo pareva indicare un vecchio edificio dai vetri oscurati. All’ingresso, due grossi omaccioni dall’aria perfida controllavano l’ingresso.

“Salve” salutò Deathmask, con fare sicuro “È qui la festa?”.

“Avete l’invito?” rispose uno degli uomini, senza cambiare espressione.

“No ma dico…ci hai visti? Due uomini così, ma dove altro li trovi? Dai, facci passare” ghignò Milo, mettendo le braccia attorno al collo di Death.

“Fateli entrare” ordinò una voce di donna, dall’interno.

Una volta varcata la soglia, entrambi spalancarono gli occhi. Era un night con splendide ragazze che si esibivano.

“Ma…Death…vedi quello che vedo io? Questo è…”.

“Il paradiso”.

“Non esagerare!”.

“Donne seminude chiuse in gabbia che ballano? Non so come altro definirlo!”.

“Oh grande Saga, non dubiterò mai più di te! Grazie infinite per questo dono!”.

“Giuro…da oggi può chiedermi qualsiasi cosa! Anche di limonarlo, non mi frega! Limonerei con il Dio migliore della storia”.

“Femmine! Finalmente femmine! Che non ti picchiano se le guardi troppo!”.

Si fecero spazio fra gli uomini stretti attorno al palco. In alto, due grandi gabbie argento contenevano ciascuna una donna. I due cavalieri, senza armatura, si confondevano fra la folla. La musica era alta e gli occhi tutti puntati sulle gabbie. Poi qualcosa cambiò. Le ragazze imprigionate si fermarono ed il palco si illuminò. Tre donne, in splendi abiti con gli spacchi nei punti giusti, apparvero. Quella al centro iniziò a cantare, con voce soave che incantò i presenti. Le altre due si misero a ballare. Erano agili, delicate e bellissime. Il loro sguardo magnetico e le loro forme piacquero molto ai clienti del locale, che parevano conoscerle bene perché gridavano i loro nomi.

“Ti va una birra, Milo?” chiese Deathmask, al termine dell’esibizione ed alla ripresa dei balli nelle gabbie.

“E me lo chiedi?” sorrise lo scorpione “E comunque giuro che non parlo di questo a tua moglie”.

“Sono in missione, no?” rise il cancro, raggiungendo il bancone del bar.

Sedettero e gli venne servita la birra. Il barista, così come tutte le altre persone al lavoro in quel luogo ad eccezione delle ragazze che si esibivano, era un uomo.

“Lady Shuna vuole parlare con voi” si sentirono dire i due cavalieri e vennero accompagnati in una sorta di saletta privata dove la cantante di prima li attendeva.

“Stai all’erta” si dissero a vicenda, vedendola.

Era bella, quasi troppo bella, stesa su un divano di velluto, accanto al quale stava un cesto di frutta fresca. Stava mangiando dell’uva, spicchio dopo spicchio, con voluttuosa sensualità.

“Benvenuti, cavalieri” salutò “Venite pure avanti”.

Rimasti solo in tre, gli uomini non sapevano bene che fare. Come sapeva quella donna che erano cavalieri?

“Rilassatevi!” sorrise la donna “Gradite un po’ di vino?”.

Ne versò un po’ in due coppe e l’offri, invitando i due a sedersi.

“Non abbiate paura” continuò, scuotendo la cascata di capelli aranciati “Non vi farò del male. Vi aspettavamo da un po’. Sospettavamo che il tempio ci avrebbe mandato a controllare”.

“Ma voi chi siete?” domandò Milo, tracannando il vino.

“Abitiamo il palazzo nero, ma non siamo vincolati dal blocco che condanna i suoi antichi signori”.

“Il palazzo nero? Intendete quello del Caos?” si chiese Deathmask.

“Sì. Qualcuno deve pur portare il cibo in tavola, no?” mormorò la donna.

“Mi volete dire che voi donne lavorate per mantenere chi occupa il palazzo?” si stupì Milo.

“Non esattamente. All’inizio, Gaia provvedeva al nostro sostentamento perché era lei a generare il cibo. Poi, quando è stata sigillata,  il Caos ha iniziato a mandarci a raccogliere frutta e ortaggi in territori a lui noti, e di sua proprietà. Rivendendo quelli in eccesso, compravamo altro cibo come carne, latte o uova. Oppure tessuti ed altri materiali utili. Noi non siamo creature del Caos, siamo umani come voi”.

“E perché vivete in quel palazzo?” continuò a chiedere lo scorpione.

“Per varie ragioni, abbiamo rinunciato alla vita terrena per abbracciare la protezione di Caos”.

“Protezione?!”.

“Non ci fa mancare nulla. Ultimamente ha preso a palazzo delle piante ed è riuscito a modificarle leggermente, in modo da farle vivere e fruttare al buio. Ma ovviamente c’è bisogno di molto in una casa. E, visto che lui e gli altri Dèi in quel luogo non possono creare dal nulla qualcosa, ci arrangiamo così. È un lavoro rispettabile. Inoltre, noi siamo gli unici in quella dimora che possiamo allontanarci a lungo senza morire o soffrire a causa del blocco”.

“Capisco” annuì, poco convinto, il cavaliere.

“Inoltre” riprese la donna “Così posso comprare un sacco di cose belle a me ed alla mia famiglia. Non faccio la puttana. Canto e mi esibisco. E chi mi tocca è morto. Mio marito è un uomo senza pietà alcuna sotto certi aspetti”.

Milo e Deathmask si fissarono un po’ titubanti.

“Ma se volete una donna, ce ne sono. Quante ne volete. Oltre le cinque che avete visto” sorrise ancora lei.

“Io sono sposato. Mi sfogherò stanotte con la mia signora” ghignò Deathmask.

“Se non ci sono effetti collaterali…” titubò un po’ Milo “…io invece accetterei. Mi annoio”.

“Nessun effetto collaterale, cavaliere. E in quanto al grande tempio…vorrei che riferiste che stiamo solo svolgendo una normale attività lavorativa. Non uccidiamo nessuno, non plagiamo le menti, non offriamo sacrifici di sangue al sommo Caos. Solo un locale per far divertire la gente”.

“Riferiremo personalmente a Saga” disse il cavaliere del cancro.

“Perfetto. E ora scusatemi, il pubblico attende”.

   
 
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