VI
IL
PALAZZO NERO
L’estate
stava finendo quando
l’invito di Kydoimos venne accettato. Ahriman, Saga,
Deathmask, Ariadne ed il
piccolo Arles partirono alla volta del palazzo nero. Il Dio del cielo
aprì un
varco, portandoli sulla soglia della dimora del Caos. Deathmask la
ammirò,
estasiato. Era splendida per i suoi gusti. Nera, lucida, a stile gotico
e cupo.
“Benvenuti”
li accolse uno dei
servi del padrone di casa, con un piccolo inchino.
Il soffitto
altissimo li
sovrastava mentre camminavano lungo il corridoio.
“Le
divinità possono seguirmi
alla sala del mio padrone” riprese il servo
“Voialtri, invece, potete
accomodarvi nella sala delle Principesse Madri”.
Ariadne ed
il marito si
fissarono, senza capire molto bene, ma obbedirono. Saga ed Ahriman
proseguirono
fino alla stanza finale del corridoio, mentre invece la famiglia di
cavalieri
entrò in una sala laterale.
“Venite,
venite qui!” li chiamò
Nàgiri.
“Ben
arrivati!” sorrise Neikos.
“Ciao”
salutò Arles II, correndo
verso l’amico e trascinando con sé i genitori.
“Benvenuti”
si sentirono dire.
Erano
entrati nella grande sala
da pranzo. Attorno al lungo tavolo centrale, donne e servi camminavano
e
apparecchiavano. Un profumo delizioso si diffondeva per
l’aria.
“Io
sono la madre di Nàgiri,
Desa” si presentò una delle donne, dai lunghi e
ricci capelli verdi.
“Oh,
piacere!” sorrise Ariadne
“Finalmente ci conosciamo”.
Desa sorrise
a sua volta.
“Vedo
che…” commentò Deathmask
“Nàgiri avrà presto un altro fratellino
o sorellina”.
“Sì,
sono al settimo mese” annuì
Desa, sfiorandosi il pancione.
Il chiasso
che riuscivano a
creare i molti bambini della casa era quasi assordante. Pieni
d’entusiasmo per
i primi ospiti mai avuti al palazzo, facevano a gara per farsi notare.
“Bambini!
Andate a giocare
altrove, per favore! Rischiate di farvi male o ribaltare la
tavola!” ordinò
Desa, dopo aver battuto per due volte le mani.
“Sì,
mamma” rispose Nàgiri.
“Chiedo
scusa” parlò ancora la
donna “Non vi faccio accomodare ancora al tavolo
perché abbiamo come regola che
si possa mangiare solo una volta entrato il padrone”.
“Va
bene, aspetteremo” capì
Deathmask.
“Intanto,
posso accompagnarvi per
la casa, se vi va”.
“No,
preferisco aspettare qui.
Non vorrei incrociare lo sguardo seccato di Ahriman” rispose
il cancro.
“Mamma,
papà! Venite a vedere!”
chiamò Arles II “Guardate che so fare!”.
“No,
grazie. Papà resta qui a
bere un po’ di vino” alzò un bicchiere
il padre, mentre Ariadne raggiungeva il
figlio fuori da quella stanza.
“Avete
una moglie molto bella”
gli disse Desa, mettendo i tovaglioli sul tavolo “E vi amate
molto, nonostante
il destino non sia molto clemente con voi”.
“Che
intendete?” alzò un
sopracciglio Deathmask.
“Lei
è una semidea, discendente
di Ares e nipote di Apollo. Vivrà molto a più
lungo di Voi, cavaliere mortale.
Per quanto riguarda il bambino, non saprei che dire. Dipende da chi ha
ereditato il sangue”.
“Io…non
ci avevo mai pensato”.
“Ah.
In questo caso mi scuso.
Forse ho rovinato la serata”.
“Oh
no, sono lieto che qualcuno
me lo abbia fatto notare. In effetti, lei è ancora
così giovane e bellissima
mentre io inizio a portare i segni del tempo. Mi chiedo fra quanto
tempo andrà
a cercarsi un uomo più giovane”.
“Non
dovete pensare a cose del
genere! Lei è innamorata, si vede!”.
“L’amore
è un sentimento
effimero”.
“Come
effimera è la vita. Ma è
giusto combattere per essa”.
“Ma
Voi perché siete in questo
posto? Non siete una discendete del Caos”.
“No,
non lo sono. Ero gravemente
malata. Il Sommo Caos mi ha salvata e condotta qui, dandomi la
possibilità di
vivere una vita nuova. Ha mutato il mio sguardo, per permettermi di
vedere nel
buio totale, e mi ha guarita. La mia Sorella, come amo definirla,
Shuna, era
una ballerina. Poi, a causa di un incidente, era rimasta menomata. Il
Caos l’ha
salvata ed ora lei si esibisce”.
“Sì,
lo so. L’ho vista. È brava”.
“Tutti
qui sono stati salvati o
aiutati. Mentre gli altri Dèi non ci hanno mai ascoltati,
lui ci ha accolti”.
“Capisco…”.
“Ma
immagino che Ahriman sia a
sua volta una divinità che vi aiuta”.
“Ahriman?!
Saga ci aiuta ma
Ahriman mi pare sappia fare solo prediche e provarci con mia
moglie”.
“Ahriman
con Vostra moglie?”.
“Sì,
con la mia Ariadne. Che è
sua sorella”.
“Questo
è normale, fra divinità”.
“Ah,
ottimo. Così sì che mi sento
meglio”.
Saga ed
Ahriman entrarono nella
sala grande. Erano entrambi vestiti in modo elegante, con la veste che
finiva
con un lungo strascico, di colore blu scuro. Il Caos ed i suoi figli li
attendevano, anche loro abbigliati in modo sfarzoso e molto
particolare. Molti
avevano gioielli o perle fra i capelli, altri abiti dai decori
complessi ed
altri ancora con disegni sul viso, creati dal colore o da materiali
preziosi.
“Tu!”
esclamò Ahriman, vedendo
Kydoimos “Mi hai detto di non essere imparentato con il Caos!
Bugiardo!”.
“Rilassati,
Urano” lo zittì Caos,
facendo segno a Kydoimos di avvicinarsi “Io l’ho
adottato come figlio, ma non
abbiamo legami di sangue”.
“Che
razza di uomo si fa adottare
da adulto?!”.
“Non
credo di doverti
spiegazioni”.
Kydoimos, in
piedi accanto al suo
signore che sedeva sul trono nero, sorrise. Era evidente che i problemi
alla
gamba ed agli occhi, che aveva mostrato al grande tempio, non erano
presenti
nella diversa atmosfera della casa nera, anche se l’occhio
destro rimaneva
cieco. I lunghissimi capelli neri li teneva raccolti, per evitare che
toccassero terra. Ma anche così gli arrivavano alle
caviglie. Fra essi, punte
di luce oro venivano creati da fili sottili e gioielli che li
adornavano. La sua
veste aveva strascico e maniche
lunghissime, era nera decorata a ricci e motivi oro. Il viso, truccato
e
decorato con gioielli, non incuteva tanto timore come al grande tempio.
Caos sfiorò
la mano del suo nuovo figlio adottivo e Kydoimos si
inginocchiò, poggiandosi
con il viso ed il braccio sulla gamba del suo padrone. Caos
iniziò ad
accarezzargli i capelli.
“Siamo
lieti che siate venuti a
trovarci” riprese a parlare il dio oscuro.
“Avete
una casa decisamente
pittoresca” sorrise Saga.
“Come
avete potuto notare, ho
fatto aggiungere delle candele, in modo che vi sentiate un
po’ più a vostro
agio. E per permettere ai vostri cavalieri di non inciampare ad ogni
passo nel
buio totale”.
“Vi
ringrazio”.
“Sono
davvero soddisfatto di
questa nuova amicizia. I bambini tornano a casa dopo essere stati al
grande
tempio ogni volta pieni di entusiasmo e gioia. Parlano di voi, abitanti
di quel
luogo, ed imparano cose nuove. La reputo un’ottima cosa. E
voi?”.
“Io
pure sono soddisfatto”
rispose Saga “Questa alleanza, nonché amicizia,
pone le basi per un futuro
senza guerra”.
“Bene.
Direi che è un bene”
sorrise Caos, sempre accarezzando i capelli di Kydoimos “E
Voi, signor Ahriman?
Mio caro nipote Urano? Che ne pensi di tutto questo?”.
“Non
capisco ancora a che gioco
stai giocando” ammise il Dio del cielo.
“Perché
devi sempre pensare che
quel che faccio sia legato a qualcosa di oscuro?”.
“Perché
sei il Caos”.
“E
tu sei quello che bistrattava
la mia bambina Gaia, fino a quando Crono non ti ha allegramente reso
asessuato.
Ricordi? È stato ai tempi del mito, ma è
successo”.
“Sono
un diverso tipo di Urano.
Nuovo corpo e nuova anima”.
“Sei
comunque Urano”.
“Ma
senza la sua Gaia”.
Scese per
qualche istante il
silenzio. Poi il Caos riprese a sorridere. Non era il caso di pensare a
cose
deprimenti. La cena attendeva tutti loro e se ne sentiva già
il profumo.
“A
tavola” chiamò una voce. i
bambini corsero verso la grande sala da pranzo.
“Mamma!”
domandò una bimba, in
braccio “Perché loro hanno la pelle rosa e noi
grigia?”
“E
per via del nostro sangue”
spiegò la madre “Noi lo abbiamo nero e rende la
nostra pelle grigia. Loro lo
hanno rosso e quindi sono rosa”.
“E
perché?”.
“Perché
noi solo così possiamo
vivere in questo mondo buio. Gli Dei poi, se lo noti, hanno riflessi
blu per
via dell’ikor che scorre nelle loro vene”.
“Ikor?”.
“Il
sangue divino. Ha un immenso
potere. Chi ne viene a contatto o ne beve, guarisce e si
rinforza”.
“E
anche Caos ha quell’ikor?”.
“Sì.
Ed il suo è il più forte di
tutti”.
Kydoimos
entrò nella sala e i
bambini lo salutarono con abbracci e gridolini.
“State
buoni!” li rimproverò
velatamente.
“Sì,
papà” risposero in coro.
Deathmask
deglutì. Erano tutti
figli suoi? Lo fissò con sguardo misto di ammirazione e
paura. Lo spaventava
solo l’idea di avere tutti quei marmocchi al seguito!
Pian piano,
tutti gli abitanti
della casa stavano raggiungendo la sala e prendendo posto. Il cavaliere
del
cancro si guardò attorno. Dov’era sua moglie?
“Sorella”
chiamò Ahriman,
vedendola.
Ariadne
stava seguendo i bambini
alla grande sala da pranzo ma, vedendo il fratello, fece loro segno di
andare
da soli. Li avrebbe raggiunti in seguito. Sorrise, mentre Ahriman le si
avvicinava. Con il solito alone azzurro che lo circondava, scosse
lievemente le
ali, perdendo qualche piuma.
“Fratello”
rispose lei.
“Sei
sempre bellissima” commentò
lui, ammirandola nel nuovo vestito indossato per l’occasione.
“Grazie”.
“Come
stai?”.
“Bene,
direi”.
“Sicura?
Non ti annoi in quel
mondo di mortali?”.
“Sicurissima.
Ho la mia
famiglia”.
“Io
sono la tua famiglia”.
“Anche
mio marito e mio figlio lo
sono”.
“Il
piccolo Arles, che porta il
nome di nostro padre, cresce forte. Avverto in lui un potere molto
marcato”.
“Scorre
in lui sangue divino,
dopotutto”.
“E
anche in te”.
Ahriman
passò un dito sulla collana
che la sorella indossava. L’avevano identica, dono della
madre quando li aveva
separati. Il pendente brillò e lui scese con la mano,
sfiorando i seni di
Ariadne, che aprì la bocca per lamentarsi . Ma poi non
parlò, e lui si avvicinò
di più. Le accarezzò il viso, mentre
l’altra mano abbandonava il seno e
scendeva, lentamente. Con la bocca le si accostò, quasi
baciandola.
“Ahriman”
gemette, sussurrando
lei “Ti prego, basta”.
“Non
lottare contro la tua
volontà” rispose lui, stingendola a sé.
“Tutto
questo è il tuo potere
divino. Io, di livello inferiore al tuo, non posso che soccombere al
tuo
desiderio. Ma non è ciò che voglio. Io amo mio
marito”.
“Come
puoi saperlo?”.
“Lo
so e basta. Lasciami andare”.
“Dimmi
che cosa provi ora? Cosa
provi ora che mi hai accanto?”.
“Un
ardente e irrazionale
desiderio di essere tua. Ma non è la realtà.
È la tua magia. Lasciami…”.
Ariadne
sentiva la sua volontà
venire meno ma il fratello la lasciò andare.
“Io
ti desidero, sorella” mormorò
Ahriman “Per davvero. Ma tu ami quel mortale ed io non
proverei alcun piacere a
giacere con te usando il mio potere”.
Senza
aggiungere altro, voltò le
spalle ad Ariadne e se ne andò. Lei lo vide dirigersi verso
la sala da pranzo.
Rimase ferma qualche istante, ancora frastornata ed ansimante.
“Sorellina!”
chiamò Nàgiri, lungo
il corridoio.
La vide
accanto al Dio del Cielo.
Era piccola, non aveva più di tre anni. Sorrise ad Ahriman e
lo salutò con la
manina. Il Dio sorrise a sua volta e le accarezzò la testa.
Nàgiri strizzò gli
occhi. Aveva visto qualcosa di strano. Come un’ombra che,
dalla mano di
Ahriman, era divenuta parte della sorellina. Ma forse si era sbagliato.
Era
tempo per tutti di mangiare. L’ora era tarda.