Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: SagaFrirry    01/03/2015    1 recensioni
Seguito di un'altra storia pubblicata in precedenza (Risveglio). Sono passati degli anni e molte cose sono cambiate al santuario. Questa volta i cavalieri si ritroveranno faccia a faccia con l'origine di ogni cosa: il Caos. come si rapporteranno con la sua progenie? e quante volte può morire un cavaliere?
chiedo perdono per i risvolti deprimenti. io sono una persona fondamentalmente depressa ;)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Thanatos, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Risveglio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

VII

 

FRATELLI

 

Thanatos suonava una melodia triste. La sua casa, non molto lontana dall’ingresso per i campi elisi, come sempre era silenziosa. Ma non suonava per sé. Un’anima lo stava fissando, felice.

“Ti piace?” domandò il Dio e l’anima annuì.

“Bene. Mi fa piacere” sorrise a sua volta Thanatos “Almeno tu puoi ascoltare questa musica. Chiunque altro morirebbe ma tu…sei già morto!”.

L’anima non disse nulla. Inclinò la testa leggermente, con la speranza che la divinità riprendesse a suonare. Era incompleta, senza buona parte del lato destro.

“Devo riuscire a trovarti una sistemazione” parlò Thanatos “Conciato come sei, non posso farti entrare in nessun settore del regno dei morti e questo lo sai. Il problema è che non so come completarti. Non mi è mai capitata una cosa del genere in millenni di servizio”.

L’anima lo fissò, come a voler dire “le so queste cose, suona ancora”.

“Insomma…non trovo giusto che tu rimanga bloccato qui. Però non trovo altra soluzione” insistette il Dio.

L’anima gli sorrise e ruotò, volteggiando a mezz’aria nella sua luce azzurrina.

“Stai cercando di dirmi che tu sei felice anche così?” parve stupito Thanatos e vide il suo interlocutore annuire.

“In vita sei stato un grande guerriero, ed ora sei imprigionato qui, a sentirmi strimpellare. Ma ti piace sul serio? Mi prendi per il culo?”.

Il Dio vide ridacchiare l’anima dell’uomo.

“Sei strano” concluse la divinità e ricominciò a suonare.

L’anima socchiuse il suo unico occhio e si lasciò cullare dalle note. Gli venivano in mente tanti ricordi, anche se erano sempre più annebbiati. Sapeva bene che le anime più passava il tempo e più dimenticavano. Solo nei campi elisi si poteva godere della felicità eterna con le divinità. Altrove, le essenze perdevano sempre più i tratti fisici di chi le ospitava fino a divenire di nuovo pure e in grado di albergare in un nuovo corpo, una nuova vita. Però quell’anima era incompleta, non poteva essere accolta in nessun nuovo corpo e nemmeno riposare in pace in qualche luogo dell’oltretomba. Ma la cosa non la rattristava. Era un’anima tranquilla, forse l’unica in grado di vivere a fianco del Dio della morte. Thanatos, del resto, non si infastidiva di certo all’idea di avere un po’ di compagnia ogni tanto. Tolto suo fratello Hypnos, non era il tipo che riceveva visite.

Dopo aver suonato un po’, il Dio si alzò e depose la sua cetra. Si diresse verso la grande parete piena di libri, in cerca di un passatempo diverso. Quando sì voltò di nuovo verso il suo strumento, vide che l’anima lo osservava con curiosità. Con l’unico braccio, ne pizzicava le corde.

“Così ridotto, non la puoi suonare bene” disse, con dispiacere, Thanatos “Ma posso reggerla io” aggiunse, dopo aver riflettuto un po’.

Poggiò sul tavolino il grosso volume e poi tornò a sedersi sul trono da megalomane che aveva in casa.

“Siedi accanto a me” invitò l’anima, che obbedì.

Era vero, era l’anima di un grande guerriero. Ma accarezzare quelle corde, come gli insegnava il Dio della morte, gli donava uno strano senso di pace. Forse perché quella era la melodia che accompagnava i morti verso il sonno eterno, verso l’oblio.

“Adesso basta, devo lavorare pure io” interruppe di colpo Thanatos.

L’anima non disse nulla. Osservò il Dio allontanarsi e rimase in quella casa senza nessun’altro. Era una cosa che capitava spesso. Fluttuò a mezz’aria per un po’, poi tornò nell’angolino dove stava solitamente e chiuse di nuovo l’unico occhio.

 

“Che scemo che sei!” rise lei.

“Dai, Pasitea, vieni qui a farmi compagnia!” rispondeva Hypnos, steso sull’erba sei campi elisi.

“Sei sempre il solito” scosse la testa la donna.

“E ci mancherebbe solo che cambiassi dopo migliaia di anni, donna” ghignò lui.

Lei gli si stese a fianco, abbracciandolo. Il profumo dei fiori la avvolse. Da millenni viveva in quel luogo, ma non smetteva mai di adorarlo e ammirarlo. Così come non smetteva mai di adorare ed ammirare l’uomo che amava.

“E che ho detto di male?” riprese il Dio dei sogni e del sonno “Ti ho solo chiesto se ti va di avere un altro figlio. Ne abbiamo tanti, che differenza fa?”.

“Mettilo al mondo tu, allora!”.

“E come?!”.

“Sei un Dio! Pensaci!”.

“Spiritosona”.

“Però…” disse lei, dopo un po’, guardandolo negli occhi “…potrei anche ripensarci” e lo baciò, stendendosi accanto a lui.

“Hypnos!” tuonò una voce.

Il Dio dei sogni sobbalzò e guardò in su. Hades lo stava fissando, avvolto nella sua veste nera.

“Signor Hades” mormorò Pasitea.

“Qualcosa non va?” domandò invece Hypnos, rimanendo rilassato sull’erba.

“Cerco tuo fratello Thanatos. Lo hai visto?” furono le parole di Hades.

“Non di recente. Ultimamente non passa molto tempo ai campi elisi. Ha combinato qualche casino?”.

“No. Ho una missione da affidargli”.

“Qualcosa di divertente?” si mise a sedere Hypnos.

“Per niente. Ma è un ordine che viene dall’alto e quindi non posso far altro che riferire e lasciar fare”.

“Un ordine che viene dall’alto?”.

Il Dio del sonno si stupì di quelle parole. Un ordine dall’alto? Solitamente chi stava al di sopra di Hades sbrigava da solo i suoi problemi, non andava a cercare il Dio della morte!

“Quando lo vedrò, gli dirò che lo avete cercato, Signor Hades” parlò poi.

“Ti ringrazio, Hypnos. Tanto sa dove trovarmi”.

Il Dio dell’oltretomba si allontanò, lentamente. E Hypnos rimase solo qualche istante a ripensare alle parole del suo capo. Pasitea era qualcosa di ben più interessante.

 

Thanatos sapeva quando il gemello lo cercava. Erano strettamente legati fra loro e quindi si presentò ai campi Elisi appena poté. Raggiunse la dimora del gemello senza fretta, osservando le sue colonne bianche senza troppo entusiasmo. Lì trovò Pasitea alle prese con l’ultimo dei suoi figli che era poco più di un neonato. La donna riconobbe il cognato, vedendone l’armatura scintillante da lontano.

“Ciao, Thanatos” lo salutò “Hypnos è in casa. Se vuoi vado a chiamarlo”.

“Sì, magari” quasi sbottò il Dio.

Lei, di tutta risposta, lasciò il suo bambino in mano alla divinità ed entrò in casa.

“Hei!” protestò Thanatos, ma la donna ormai era già entrata e non lo sentiva.

L’uomo fissò un po’ male il piccolo, che teneva per la vita, stretto fra due mani. Con le braccia ben tese. Il piccino allungò le manine, ridacchiando.

“Stai fermo!” gli ordinò il Dio ma non venne ascoltato.

“Ma che fai? Non è mica una bomba!” lo sfotté il gemello, comparendo e raggiungendo il gemello.

Senza armatura, si affrettò a recuperare suo figlio, scuotendo la testa divertito.

“Che cosa ti serve? Perché mi cercavi?” riprese Thanatos.

“Hades ti voleva vedere”.

“E per cosa?”.

“Mi ha parlato di una missione per te”.

“Ah, ok. Niente di nuovo”.

“Veramente…ha parlato di una missione che viene dall’alto”.

“In che senso?”.

“Non ne ho idea. Non ha detto molto”.

“E va bene. Lo raggiungo e mi faccio spiegare”.

“Sembrava essere una cosa urgente”.

“Ho capito. Ma io ho un compito serio, non sto a casa a trullallare e riprodurmi come te!”.

“Sei crudele! E geloso”.

“Crudele quanto vuoi. Geloso non direi proprio. Anche se ammetto che preferirei essere invocato per poter dormire o fare un bel sogno piuttosto che maledetto perché porto via anime”.

“Prenditi una vacanza”.

“Quanto sei spiritoso!”.

“E dai, non ti offendere!”.

“Sono nervoso ultimamente”.

“L’ho notato. E non ne capisco il motivo”.

“Non lo so nemmeno io. Forse sento qualcosa nell’aria…”.

 

“Signor Kydoimos!” bussò una delle serve del palazzo nero.

Il nuovo figlio del Caos, pur avendo molte donne, dormiva solo. Ognuno aveva la propria stanza in quella casa.

“Signor Kydoimos?” insistette la voce fuori dalla porta.

“Vieni dentro” borbottò l’appena svegliato.

La donna entrò. Lentamente, Kydoimos scivolò fuori dal letto, lasciando che le lenzuola gli accarezzassero la pelle nuda. La serva sobbalzò e distolse lo sguardo, imbarazzata.

“Che hai? Mai visto un…” spalancò le braccia lui.

“No” si affrettò a dire lei, prima che Kydoimos terminasse la frase.

“Sarebbe una cosa a cui rimediare, un giorno di questi” sorrise lui.

“Io…” mormorò lei, arrossendo ancora di più.

“Grazie di avermi svegliato. È davvero tardi”.

“Ah…sì…vi ho portato la veste che la signora Desa ha appena terminato. Per Voi” si inchinò leggermente la donna, porgendo un abito scuro all’uomo.

“Grazie. Ora puoi andare”.

La serva uscì, ancora imbarazzata, non sapendo da quale parte guardare. Kydoimos si preparò e si vestì lentamente. Il buio costante di quel mondo non rendeva facile accorgersi dello scorrere del tempo. Uscì dalla sua stanza e si incamminò lungo il corridoio. Salutò tutti coloro che incrociò lungo il cammino. Era di buon umore e si sentiva tranquillo, perciò non si allarmò quando si sentì prendere per un braccio. Tartaros, il più grosso dei figli del Caos, lo afferrò e lo sbatté contro il muro. Con il viso contro la parete, Kydoimos protestò ma Tartaros gli tappò la bocca.

“Tu non mi inganni” gli sibilò, con tono decisamente minaccioso “Tu non sei e non sarai mai mio fratello, chiaro?”.

“Non sono io che voglio esserlo” protestò Kydoimos, cercando di liberarsi.

“Io so perché ti comporti così. Tu non sei fedele a mio padre, sai solo che non sopravvivresti un solo giorno lontano dal Caos. Con questo corpo che ti ritrovi, ovunque al di fuori di qui non potresti stare, se non con il consenso di chi ti ha donato la parte che ti manca. Senza il consenso di mio padre, tu non sei niente. Moriresti in pochi secondi”.

“Io sono grato al Caos e lo servo. Non so perché mi consideri suo figlio, ma io non tradirei mai il sommo signore di questa casa”.

“Cazzate. Lo fai solo per tornaconto personale. Non so fino a che punto vuoi arrivare, che cosa vuoi ottenere, ma sappi che io ti tengo d’occhio e sono pronto ad affrontarti in qualsiasi momento. Sei solo un moscerino che papà tiene qui per far riprodurre”.

“Lasciami!” si agitò Kydoimos e Tartaros ringhiò.

Con un gesto rapido, piantò nella schiena e la spalla del nuovo fratello gli artigli, lo graffiò. Kydoimos strinse i denti per non gridare. Non voleva mostrarsi debole.

“E adesso non correre a piangere dalla mammina, partorito” lo schernì Tartaros, lasciandolo andare.

Kydoimos non sapeva cosa dire. Non ricordava sua madre, non ricordava un solo giorno vissuto prima di entrare in quel palazzo. Gemette, sentendo la schiena bruciare, e si allontanò, senza parlare.

 

Thanatos raggiunse il palazzo di Hades quasi con noia. Migliaia di anni, migliaia di volte sempre la stessa strada e la stessa storia. Iniziava davvero a stufarsi. Gli specter si inchinarono e si scansarono al suo passaggio. Lui camminò senza nemmeno farci caso e si ritrovò al cospetto del signore dell’oltretomba.

“Vieni avanti, Thanatos. Chiudi la porta” ordinò Hades e il Dio della morte si stupì.

Di solito Hades non si faceva problemi a lanciare ordini a destra e sinistra senza curarsi di chi potesse essere all’ascolto. Amava dimostrare che lui, Dio della “generazione di Zeus”, comandava una divinità addirittura precedente all’Era dei Titani. Ma quel giorno era diverso.

“Che succede, Signore?” domandò Thanatos.

“Ho qui una missione per te” rispose Hades, stranamente alzandosi dal suo trono e scendendo le scale che vi stavano davanti, scansando le tende.

Fra le mani stringeva una busta, che porse al Dio della morte.

“Di che si tratta?”.

“Il mio compito è solo fare da messaggero in questo caso. Visto da chi proviene l’ordine, è ovvio che pretendo massima discrezione. Spero sia chiaro”.

“Chiaro”.

Thanatos non capì finché non aprì il sigillo e lesse la sua missione. Hades ora gli dava le spalle.

“Ma…Signore…” iniziò a dire Thanatos.

“Io sono solo il messaggero. Va e compi il tuo dovere. Ricorda la discrezione”.

“Sì…”.

 

Kanon sbadigliò. Il mondo sottomarino che governava gli piaceva ma in quel momento non offriva molti stimoli.

“Ti annoi, marito mio?” sorrise sua moglie, raggiungendolo lungo il corridoio.

Le vesti dai colori del mare di entrambi si trascinavano sul pavimento ed i loro passi venivano accompagnati dal rumore secco che produceva il tridente quando toccava il pavimento lucido. Kanon lo stringeva con orgoglio.

“Un pochino sì” ammise lui.

“Sei il Dio del mare e non trovi un modo per intrattenerti?”.

“Tu che proponi?”.

“Perché non vai a trovare tuo fratello?”.

“Saga, dici?”.

“Hai forse altri fratelli?”.

Kanon si fermò e sospirò. Fissò il suo tridente ed il suo sguardo si fece malinconico.

“No, non ho altri fratelli” rispose, dopo un po’ “Ma lui non mi considera tale”.

“Ma che dici?!”.

“Lui considera Arles un fratello. Non fa che rimpiangerlo”.

“Arles era parte di Saga. È normale che lo consideri importante”.

“Ma io sono il suo unico fratello! Pare se lo sia dimenticato”.

“E allora tu ricordaglielo. Passa più tempo con lui”.

“Lui di certo ha altro da fare. Come del resto ho da fare io”.

Kanon riprese il suo cammino a passo svelto. Il regno del mare aveva bisogno di essere governato.

 

Il sole bruciava al tempio di Grecia, nonostante ormai fosse autunno. I cavalieri attendevano la penombra e la frescura della sera. Deathmask, però, percepì un cosmo familiare e si allontanò dalla sua casa alle prime ore del pomeriggio. Non gli importava il sole cocente e l’afa. Raggiunse quel cosmo e chi lo possedeva, che gli dava le spalle, distratto dal panorama.

“Ma guarda un po’ chi è riapparso!” ridacchiò Deathmask “Shura! Vecchio caprone spagnolo! È questo il modo di sparire?! Manco una cartolina”.

“Ciao, crostaceo” salutò Shura.

“In abiti civili fai schifo”.

“E tu sei troppo vecchio per quell’armatura”.

“Sì, mi sei mancato”.

“Certo, anche tu!”.

Si salutarono con una poderosa stretta di mano e una botta “spalla contro spalla”.

“Dai, gambero, togli quell’armatura e vieni con me in città. Ti offro una birra e ti faccio conoscere la mia donna ed i miei due capretti” propose Shura.

“E perché non l’hai portata qui?”.

“Non mi piace l’idea che mia moglie venga a sapere certe cose”.

“Non le hai detti chi sei?!”.

“No e non intendo dirglielo. Perciò, dai, togli quella cosa oro e vieni con me”.

“E io? Non merito nemmeno un saluto?” parlò una voce.

Girandosi, i due uomini videro Aphrodite, cavaliere dei pesci, che aveva percepito il cosmo dell’amico ed era sceso dalla dodicesima casa.

“Il mio pesciolino preferito! Come non salutarti! Sei come un fratello per me!” sorrise Shura e Aphrodite lo abbracciò.

“Vieni anche tu a bere con noi, Aphro” lo invitò il cancro ma il cavaliere scosse la testa.

“Andate e bevete anche per me” rispose “Fa troppo caldo per i miei gusti. Meglio me ne torni a casa”.

“Stai bene?” si preoccupò il capricorno “Mi sembri un po’ pallido. Ma forse mi sbaglio”.

“Questo, mio caro Shura, è il mio colore da svedese. Tu ti sei abbronzato in Spagna, io preferisco mantenermi candido come la più letale delle mie rose”.

“Peccato, però. Volevo farti conoscere mia moglie”.

“Scherzi? E se poi sono geloso?”.

Aphrodite sorrise e fece l’occhiolino. Con un inchino, si congedò e tornò alla sua casa.

“E gli altri? Come stanno?” domandò Shura, una volta che lui ed il cancro furono soli.

“Immagino bene. Molti di loro non li vedo da tempo”.

“Saga?”.

“Quello non esce quasi mai dalla sua casa”.

“Non si è ancora ripreso dalla faccenda di Arles?”.

“Temo di no. Altri sono andati via oppure fanno gli asociali. Aphrodite non lo si vedeva da un bel po’. È uscito solo per te, dovresti esserne felice”.

“Lo sono. E tu? A te come va?”.

“Mi annoio”.

“Ma come ti annoi? Non dirmi che ti mancano le guerre, i combattimenti e gli spargimenti di sangue!”.

“Non farmi eccitare”.

“Scherzi?!”.

“No! A che servo se non posso combattere? Tanto vale che mi metta in ciabatte e guardare la tv, mettendo su chili mangiando schifezze!”.

“Non è male come idea”.

“Non scherzare, Shura!”.

“Basta discutere. Andiamo al bar, che ho bisogno di aria condizionata”.

L’abito scuro di Shura non era proprio il più adatto per quelle temperature ed il capricorno iniziava ad acquisire un colorito rossastro in viso.

“Vado a prendere la famiglia ed arrivo, amico mio. Ci metto un attimo” disse il cancro, allontanandosi per chiamare moglie e figlio.

 

Thanatos tornò alla sua casa. Fluttuando come sempre, lasciò che l’armatura lo abbandonasse e si rilassò sul divano. Ribaltò la testa all’indietro, sospirando, e chiuse gli occhi argento. Quando li riaprì, l’anima incompleta lo fissava.

“Stasera non suono, mio caro” parlò il Dio “Vai a farti un giro”.

L’anima inclinò la testa. Incuriosita dalla busta che Thanatos aveva poggiato al tavolino, si avvicino con l’intento di prenderla. Subito però il Dio scattò e la ricacciò indietro in malo modo. L’anima non capì il perché di quel gesto e fissò Thanatos con il suo unico occhio.

“Scusami” disse la divinità “Ma è una missione che mi hanno affidato ed è segreta, nessuno ne deve sapere qualcosa”.

L’anima si indicò.

“No, nemmeno tu! Anima curiosa! Anche da vivo eri così impiccione?!”.

Il morto si accoccolò in terra. In un angolino, stava costruendo un puzzle. Glielo aveva portato per scherzo Thanatos dicendo “hai l’eternità davanti, ora saprai che fare”.

“Ma…lo stai facendo davvero?” si stupì il Dio.

L’anima non rispose e la divinità gli si sedette accanto. Era un passatempo che non aveva mai preso in considerazione.

“E da quando ti piacciono ‘ste cose?” domandò ancora Thanatos e l’anima fece una smorfia dubbiosa.

Insieme, incastrarono qualche pezzo. Il disegno cominciava a mostrarsi, era un’architettura gotica.

“Mi fa bene distrarmi un po’. La missione che devo compiere non mi piace per niente” e l’anima rispose alla divinità con uno sguardo interrogativo.

“Non chiedermi perché lo faccio. Sono ordini, mio caro” si stizzì Thanatos “E gli ordini vanno eseguiti. Specie se provengono da certi individui”.

Il morto inclinò la testa.

“No, non Hades!” parve capirlo il Dio “Quel poppante non potrebbe mai ordinarmi un’assurdità simile e pretendere che obbedisca, cazzo! Qualcuno più in alto, che non ti posso dire, mi ha dato un ordine di merda che ovviamente io devo eseguire, che tanto sono io quello che si prende la colpa mentre lui non muove un dito. È sempre così. E mi ha dato pure la data precisa, come un appuntamento! Che lavoro ingrato che ho…”.

L’anima ascoltò e mosse un grosso pezzo di puzzle, unendolo a quello appena fatto da Thanatos. Sorrise.

“Non sei più te stesso” mormorò la divinità “Un tempo non avresti mai tentato di consolarmi, ma mi avresti detto che sono un piagnucolone e che se una cosa non la voglio fare non la devo fare e basta, ignorando gli ordini. E probabilmente mi avresti pure dato del cazzone idiota. Io mi sarei incazzato e ci saremmo azzuffati. Tu saresti stato sconfitto ma non avresti perso una sola goccia di spavalderia. Ora, invece, sembri quasi un bambino. Forse tenti di tornare ad uno stato più puro, per poter avere un nuovo corpo. Ma finché sei incompleto, amico mio, questo non accadrà. Mi spiace”.

L’anima come sempre non parlò. Anche se avesse potuto, non avrebbe saputo che dire.

 

Kydoimos lavorava tranquillo. Nella stanza buia, stava creando due nuove sedie grazie al legno che si procuravano nel mondo illuminato dal sole. La famiglia si allargava, ed era bene creare posti a sufficienza per tutti.

“Ottimo. Sta venendo davvero bene” commentò il Caos, entrando nella stanza.

“Grazie, Signore” rispose Kydoimos.

“Non chiamarmi così! Sono tuo padre, te lo sei già dimenticato?”.

“Non lo dimentico…padre”.

“Così va meglio!”.

Il padrone di casa prese fra le mani una delle sedie e l’osservo attentamente.

“Sei migliorato in fretta, bravo” commentò, poggiando una mano sulla spalla di Kydoimos, che sobbalzò per il dolore.

Quello era il punto in cui Tartaros lo aveva ferito. Il Caos ritrasse subito la mano e si allarmò.

“Cosa succede?” domandò.

“Niente” mentì Kydoimos.

“Come sarebbe a dire?! Ho visto la faccia che hai fatto. Mostrami!”.

“Non è niente”.

“La tua veste stracciata non mente!”.

Il Caos scostò i capelli e la stoffa, che Kydoimos aveva risistemato alla bene e meglio con lacci e nastri, riuscendo a vedere la profonda ferita.

“Chi è stato?” sbraitò e Kydoimos non rispose.

“Parla!” insistette il Caos “Dimmi chi ha osato farti questo”.

“Non è niente” si sentì rispondere ancora e questo lo fece infuriare ancora di più.

Chiamò in quella stanza tutti i suoi figli. Erebo, Nyx e Tartaros accorsero allarmati. Non era un buon segno quando il padre si incazzava.

“Chi ha alzato le mani su Kydoimos?” urlò.

“Che è successo? È ferito?” si preoccupò Nyx, cercando di scorgerlo dietro la sagoma del Caos.

“Non fate i finti innocenti. Io so quando mentite” si accigliò il padrone del palazzo nero.

“Ma potrebbe anche essere stato qualcun altro oltre a noi tre” azzardò Erebo.

“Certo, potrebbe. Ma sono tutti vostri diretti sottoposti o discendenti e quindi è vostro compito evitare che facciano cazzate come queste!”.

“Non mi sembra ferito gravemente” furono le parole di Tartaros.

“Non me lo dovete rovinare, sono stato chiaro? È prezioso e delicato”.

“Non è mica un giocattolo!” protestò sempre Tartaros.

“No, non è un giocattolo. È un gioiello. Il mio gioiello. E se scopro chi ha osato alzare le mani su di lui, giuro che patirà le pene più indescrivibili ed inimmaginabili!”.

“Padre…” interruppe Kydoimos, mentre il Caos si spostava leggermente per mostrarlo ai presenti “…non è necessario tutto questo”.

“Ma…”.

“Non è necessario che Voi puniate qualcuno. Non sono un bambino, non mi piace essere trattato come tale. Sono un uomo e risolverò le mie questioni da uomo”.

“Kydoimos, tu non…”.

“Io sono in grado di difendermi da solo e non sopporto che qualcuno mi difenda come fossi un debole. So di esserlo, rispetto a voi, ma non voglio essere trattato come tale. E ora gradirei vedervi sparire tutti quanti. Devo finire queste sedie. I miei figli crescono e devono trovare posto a tavola”.

Il Caos rimase in silenzio qualche istante. Poi chiuse gli occhi e sorrise. Con le unghie affilate, si praticò un piccolo foro sull’indice e una goccia di sangue brillò. Nera, con gli inconfondibili riflessi blu dell’ikor, la lasciò cadere sulla ferita aperta di Kydoimos. Egli spalancò gli occhi. Si sentì attraversare da un brivido lungo tutta la schiena, mentre i tessuti si cicatrizzavano e la ferita si rimarginava. Cadde in ginocchio, non avendo mai prima d’ora provato una sensazione così.

“Potete andare” congedò tutti il Caos “Ma che sia l’ultima volta. Non sarò clemente al prossimo errore”.

I fratelli uscirono. Erebo fissò Tartaros. Aveva riconosciuto le ferite inferte.

“Perché te la prendi tanto?” gli domandò “Ricorda che è un mortale, fratello. Mentre io e te abbiamo dinnanzi l’eternità, Kydoimos non vedrà l’alba del nuovo secolo. Lascia a nostro padre il suo trastullo temporaneo e non te ne crucciare. E nemmeno hai motivo di provare gelosia”.

“Ha donato a quell’essere una goccia del suo prezioso e fortissimo Ikor”.

“Kydoimos non ha sangue divino. È un mortale e, di conseguenza, l’unica cosa che può fare il sangue di nostro padre su di lui è curarlo. Non può donargli potere. Non è un Dio. Vedi di fare il superiore”.

“Erebo, come sempre fai il saggio”.

“Sono il maggiore. Non dimenticarlo. E ringrazia quel giovane di non aver confessato a nostro padre che sei stato tu a fargli del male, o non ti saresti salvato da una dura punizione. E tu sai di che punizioni è capace il Caos”.

“Lo so bene. È che tutto questo non lo comprendo”.

“I disegni mentali di colui che ci ha generati sono complessi da capire. Ma un giorno li scopriremo”.

“Lo spero”.

“Fidati di me. Io vedo dove tutti gli altri non scorgono altro che buio”.

E con un ghigno, Erebo e Tartaros si divisero.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: SagaFrirry