VIII
ANGELI
“Sei
sicuro di voler rimanere
qui, Kydoimos?” domandò il Caos, sistemandosi il
mantello.
“Desa
potrebbe partorire, quindi
preferisco così” rispose l’adottato.
“Ma
deve succedere proprio
stasera? Intendo dire…è un invito a cena da parte
del santuario! Mica cose che
capitano tutti i giorni…”.
“Lo
so ma…va bene così.
Divertitevi anche per me”.
“Sarà
fatto, fratellino” lo
schernì Erebo.
“Nonno
Caos!” chiamò Nàgiri
“Possiamo venire con te?”.
“Nàgiri!”
lo richiamò il padre ma
il Caos sorrise.
“Volete
venire con noi al grande
tempio?” domandò il signore del palazzo nero ed un
gruppetto di bimbi annuì.
“Ma…”
provò a protestare
Kydoimos, senza successo.
“Non
è un problema per me
portarli con noi” assicurò Caos “Sono
certo che si divertiranno come sempre”.
“Non
fate troppo tardi, però”.
“Tranquillo.
Non gli succederà
nulla di male”.
A Kydoimos
non restò altra
alternativa se non quella di lasciare che dieci dei sui figli se ne
andasse,
quella sera, al Grande Tempio. Forse era la cosa migliore,
così ci sarebbe
stata un po’ più di tranquillità.
“Fate
i bravi!” si raccomandò
Desa e Nagiri ruotò gli occhi al cielo, un po’
infastidito.
Assieme al
Caos ed ai suoi figli,
alcuni dei bambini della casa se ne andarono ed i genitori sorrisero.
Non c’era
motivo di preoccuparsi. Le più antiche creature del mondo
vegliavano su di
loro.
“Benvenuti”
fece un piccolo
inchino Aiolos, appena i suoi ospiti giunsero al tempio
“Accomodatevi”.
“I
bambini possono andare a
giocare, la cena non è ancora pronta” aggiunse
Hestia.
I piccoli
corsero lungo le scale.
Arles II li raggiunse, unendosi ai loro giochi. Era una piacevole
serata, il
cielo era sereno ed Ahriman sorrideva, cosa che avveniva raramente. Il
Dio del
cielo raggiunse Saga, la sua famiglia, ed alcuni cavalieri
d’oro che si stavano
radunando nella grande sala dove solitamente mangiavano tutti assieme.
Quanti
bei momenti passati fra quelle mura! Quante sedie ora erano vuote e
suscitavano
una certa malinconia…
“Come
potete notare…” iniziò Saga
“…abbiamo cercato di mettere meno luci possibili
stasera, in modo da farvi
stare a vostro agio”.
“Grazie”
annuì Erebo.
“Buon
appetito!” esclamò Nàgiri,
alzando un bicchiere colmo di succo di frutta.
Ora erano
tutti attorno alla
tavola imbandita con prodotti tipici della Grecia e altre leccornie.
Deathmask
versò il vino, passandolo poi a Saga. Le mogli di entrambi
osservarono la
quantità d’alcol consumata dai mariti e storsero
leggermente il naso. Heiwa, la
figlia di Saga, rimase in silenzio e composta. Non giocò con
gli altri bambini
e sedette accanto al padre tutto il tempo. Shaka ammirò il
suo comportamento e
le fece i complimenti. Era proprio una degna futura Dea. Aphrodite,
invece, lo
trovò un po’ strano un comportamento del genere. I
bambini, a suo parere, si
dovevano divertire. Come Nàgiri ed il figlio di Deathmask,
che facevano un gran
baccano. Aldebaran era troppo impegnato a mangiare per fare commenti.
Ioria
sedeva accanto alla moglie Marin ed i loro due figli facevano baldoria
assieme
agli altri piccoli della stanza. Kiki propose a Nàgiri una
partita di pallone e
il bambino sorrise all’idea. Milo chiese di poter giocare a
sua volta e Camus
ricordò a tutti che prima si doveva cenare, il cibo non
andava sprecato. Aiolos
propose un brindisi ed Ahriman fu il primo ad alzare il calice al cielo.
“Ad
una nuova e lunga amicizia”
furono le parole del gran sacerdote.
Kydoimos se
ne stava tranquillo
su una delle comode poltrone scure del palazzo. Stava leggendo un libro
con
Desa che gli poggiava il capo sulla spalla, leggendo con lui.
“Non
dovevi rinunciare
all’incontro al grande tempio per me”
parlò lei.
“Voglio
starti accanto. E poi non
credo sentano la mia mancanza”.
“Sei
il figlio più giovane del
Caos”.
“Solo
di nome. Di fatto non conto
mica”.
“Comunque,
sono felice che tu sia
qui con me”.
Kydoimos la
baciò sulla fronte. A
interrompere quel momento fu la vocina di una delle bimbe.
“Papà”
chiamò “Mi fa male qui”
disse, toccandosi la testa.
Il padre
allungò un braccio verso
la fronte della piccola.
“Scotti”
commentò “Devi avere un
po’ di febbre”.
“Ma
com’è possibile?” si stupì
Desa “Morte e malattia non sono mai entrate in questa
casa!”.
“Non
è niente, non vi allarmate.
Un po’ di febbre passa in fretta. Basta riposare e stare al
caldo”.
Kydoimos
prese in braccio la
bambina e la portò in camera. La mise sotto le coperte e le
diede un piccolo
bacio.
“Dormi,
piccina. Vado a vedere se
in cucina c’è qualcosa per farti stare
meglio”.
“Grazie,
papà. Mandi qui la
mamma?”.
“Certo”.
La madre
della piccola, Shuna,
sedette accanto a sua figlia in attesa che si addormentasse.
“Spero
sia solo un po’ di febbre”
commentò Moros, il fato.
“Che
intendi dire? Kayros forse
ti ha rivelato qualcosa?” domando Kydoimos.
“Kayros
non rivela mai nulla.
Però sai bene che è lui a scrivere il destino
delle persone”.
“E
tu a farlo compiere, giusto? A
far sì che tutti i tasselli siano al posto giusto”.
“In
questo caso no. Non mi è
chiaro ciò che sta accadendo”.
“Ed
è un bene o un male?”.
“Non
saprei. Staremo a vedere”.
“Passa
la palla, passa!” gridò
Kiki e Milo cercò di raggiungerlo.
I due
cavalieri d’oro stavano
perdendo contro un branco di ragazzini scalmanati. I figli di Kydoimos
lì
presenti avevano un’età compresa fra gli otto ed i
quattro anni, eppure
riuscivano a dare del filo da torcere ai due guerrieri. Aiutati da
Arles II,
che non si faceva problemi a commettere fallo contro i cavalieri, i
bambini erano
in vantaggio.
“Non
vale!” protestò Milo “Noi
siamo solo in due. Voi siete…in mille!”.
“Siamo
solo in undici! Di cui tre
femmine che non hanno mai giocato a calcio!” rise
Nàgiri “Ammettetelo che siete
imbranati!”.
“Imbranati
a chi?!” si infuriò
Milo, facendosi per l’ennesima volta rubare la palla.
“Milo,
fai schifo” lo sfotté
Deathmask, che faceva da spettatore.
“È
notte!” si giustificò lo
scorpione “Non vedo la palla!”.
“Tutte
cazzate!” insistette il
cancro.
E Milo, di
risposta, gli tirò
l’Antares in faccia.
Kydoimos
udì un grido e scattò in
piedi. Raggiunse di corsa la camera della bimba malata, da cui
proveniva il
grido della madre.
“Che
succede?” esclamò.
La bambina
era pallida e faticava
a respirare. Il padre le andò accanto, tentando di capire
cosa fare.
“Lalia”
la chiamò.
“Signore”
una serva parlò
sull’uscio “Altri piccoli si sentono
male”.
“Altri?!”
si stupì Kydoimos.
In meno di
mezz’ora, tutti i
bambini della casa presentavano dei sintomi. Il padre li aveva fatti
portare tutti
nella stanza grande, che ora pareva un dormitorio, così da
non dover correre da
una camera a un’altra. Lalia, la prima a mostrarsi malata,
era grave. I pochi
titani rimasti in quella casa si adoprarono per far star meglio i
piccoli.
Usarono tutte le loro conoscenze nel campo della medicina ma nulla
pareva dar
sollievo ai malati.
“Che
posso fare?” domandò
Kydoimos “E da dove viene tutto questo?”.
“Forse…”
azzardò Crio “…il tempo
passato al tempio di Atena li ha indeboliti. Sono vissuti in una casa
dove
malattie e morte non esistono e quindi, forse, il mondo del santuario
con i
suoi germi li ha attaccati”.
“Ma
sarebbe successo prima, non
dopo più di un anno!”.
“Oppure…qualche
Dio esterno ci
manda questo” azzardò il titano.
“Qualche
Dio? Chi?!”.
“Non
saprei”.
“E
se fosse davvero come dici?
Fosse davvero colpa mia se stanno così male? Mia e di tutti
coloro che tanto
hanno desiderato vedere queste creature crescere alla luce del sole?
Forse non
era nel loro destino”.
“Non
possiamo saperlo. Ma adesso
facciamo il possibile per farli stare meglio”.
“E
se anche i miei figli al
grande tempio stessero male?”.
“Sono
assieme al sommo Caos.
Troverebbe il modo di farli guarire”.
“Hai
ragione. Se la situazione
peggiora, sarà il caso di richiamarlo”.
“Sì,
ma per ora non credo serva creare
allarmismi”.
“Kydoimos”
chiamò Teti “Tua
moglie sta partorendo”.
“Ma
che cazzo succede stanotte?”
gemette l’uomo, non sapendo più che fare.
“Dov’è
tua sorella?” domandò
Arles II, riferendosi a Neikos.
“Ha
preferito rimanere a
casa” spiegò
Nàgiri “Sua madre Esma si
preoccupa e lei non riesce a darle un dispiacere”.
“E
la tua mamma non si
preoccupa?”.
“Sì,
ma io non le obbedisco”
ghignò il figlio di Kydoimos.
I bambini
osservavano il cielo
stellato con attenzione. Arles II spiegava qualche costellazione,
quelle che
riusciva a riconoscere. Ahriman li ascoltava in silenzio, sorridendo
appena.
“Spero
che tutti i tuoi sospetti
su di me siano scemati, Dio del cielo” gli disse il Caos.
“Non
tutti” ammise Ahriman “Ma
sono disposto a darti una possibilità”.
“Questa
alleanza è molto
impostante”.
“Pare
che per Saga sia quasi una
questione vitale…”.
Saga era
raggiante, infatti.
Sorrideva, vedendo come tutto stesse andando nel migliore dei modi.
L’unico che
si lamentava era Deathmask, per via dell’Antares che ancora
bruciava.
“Papà”
chiamò Lalia “Mamma!”.
“Siamo
qui, tesoro” la rassicurò
Shuna, prendendole la mano.
La piccola
era scossa da volenti
brividi. Kydoimos la prese in braccio, stringendola a sé,
nel tentativo di
farla stare un po’ meglio e scaldarla.
“Sento
il battito del tuo cuore”
mormorò la bambina.
“Ti
piace?” tentò di sorridere
lui.
“Batte
forte. Veloce. Perché? Hai
paura?”.
“No.
Io…”.
“No,
tu sei il mio forte papà,
che non ha paura di niente e che mi difenderà per
sempre”.
“Certo.
Il tuo forte papà
combatterà sempre per te”.
“Grazie”.
Lalia lo
strinse forte e Kydoimos
fece lo stesso. Poi sentì la presa della piccola allentarsi.
“Lalia!”
la chiamò ma la piccola
non poteva più rispondere.
“Lalia!”
gridò disperata anche la
madre.
La bambina
non respirava più. Per
la prima volta, la morte era entrata in quella casa.
“Mi
porti in alto, zio Ahriman?”
domandò Arles II, cercando di sfoggiare il suo miglior
sorriso tenero.
“Portarti
in alto?” finse di non
capire il Dio, abbassando le ali.
“Sì!
Tu puoi volare! Portaci
su!”.
“Un
momento! Un attimo fa hai
parlato al singolare”.
“Be’
ma se porti me…devi portare
anche i miei amici!”.
“E
come faccio, secondo te?”.
“Sei
un Dio!”.
“Tu
sai sempre quali tasti
toccare”.
Sorrise e
sollevò la mano. Tutti
i bambini lo fissarono con curiosità. Ahriman vi soffio e i
bambini si
sentirono sollevare in aria. Risero felici.
“Non
è pericoloso?” si affrettò a
dire il Caos.
“Ma
no, sono io che domino le
correnti che li sorreggono. Non gli può succedere nulla di
male” lo rassicurò
il Dio.
Ed il tempio
si riempì di risate
divertite e gridolini di felicità.
“Perché
i miei figli muoiono?”
gemette Kydoimos, vedendo che uno dopo l’altro i bambini si
stavano arrendendo
a quell’improvvisa e misteriosa malattia.
Nessuno
sapeva dargli risposta e
nessuno sapeva cosa fare. Si erano accorti che, senza l’aiuto
del Caos, non
potevano lasciare quel palazzo e quindi non avevano modi di avvisare il
padrone
di casa di quanto stava accadendo.
“Ci
deve essere un modo per
richiamarlo!” insistette Kydoimos ma nessuno sapeva quale.
Il padre di
piccoli, sentendosi
del tutto impotente, si spostò nella camera della moglie
Desa.
“Che
cosa sta succedendo?” subito
domandò lei, appena vide il marito.
“Rilassati”
rispose lui,
sforzandosi notevolmente “Rilassati e pensa al
bambino”.
“Ma
ho sentito gridare!”.
“Sì
ma adesso pensa al piccolo”.
“Voglio
sapere cosa è successo!”.
“Niente”.
“Non
mi mentire. Hai una faccia,
marito mio, che non mostra niente di buono”.
“Partorisci.
Ne parliamo poi”.
Desa
gridò per il dolore e chiuse
gli occhi. Quando li riaprì, vide che Kydoimos stava
lasciando la stanza. Lo
chiamò, ma lui continuò per la sua strada. Non ce
la faceva a mentire alla
moglie.
“I
miei piccini” mormorava Esma,
ripetendosi “I miei piccini stanno morendo tutti”.
Kydoimos la
udì. Si ritirò nella
stanza dove lavorava il legno.
“Caos”
chiamò “Padre Caos, se
davvero sono per te un figlio allora dovresti percepire queste mie
parole. Ti
prego, non lasciarci soli. Salva i miei piccoli. Ascoltami! Forse ho
sbagliato
e chiedo perdono. Forse non merito nulla ma le mie creature sono
innocenti,
qualsiasi errore abbia commesso”.
Gli era
stato detto che, nei rari
attimi il cui il padrone del palazzo si allontanava, i suoi figli
potevano
richiamarlo in qualsiasi momento. Ma il loro è un legame di
sangue, si ritrovò
a pensare Kydoimos. Guardò quelle sedie. Con tutti i piccoli
che stavano
morendo, non servivano più. Ne afferrò una e la
scagliò contro il muro,
gridando.
Il Caos, che
fino a quel momento
stava sorridendo, si fermò di colpo. Nyx lo notò.
“Padre?”
domandò “Qualcosa non
va?”.
“Dobbiamo
tornare a casa” rispose
lui.
“Ma…si
stanno divertendo tutti!”.
“Qualcosa
non va al palazzo nero.
Dobbiamo rientrare”.
Sentendo
questo, gli adulti della
casa si allarmarono. Saga, che aveva udito quelle ultime frasi, propose
di
lasciare lì a dormire i bambini. Se era successo qualcosa,
forse era meglio
evitare di coinvolgerli. Il Caos gli diede ragione.
“Mi
spiace dovermi allontanare
così” commentò.
“Se
è in corso un’emergenza”
rispose Saga “Vi prego di raggiungere quanto prima casa
vostra e risolverla. E
mi auguro anche che non sia nulla di grave”.
“Siete
molto comprensivo. La Dea
Atena alberga nel vostro cuore ed è ben visibile in ogni
vostra azione e
proposito”.
“Vi
ringrazio” si imbarazzò la
divinità del grande tempio “Ma ora
andate”.
“Sta
perdendo molto sangue.
Qualcosa non va nel verso giusto” si spaventò
Teti, vedendo quel che stava succedendo
a Desa che gridava in preda ai dolori del parto.
“Desa!”
la chiamavano le donne
titano che la assistevano “Non ti agitare!”.
“Cosa
succede?” gemette lei
“Nessuno dei miei figli mi ha mai provocato tanto
dolore!”.
Gridò
ancora, contorcendosi spaventata.
Voleva suo marito. Dov’era suo marito? Cosa stava succedendo
là fuori? Perché
nessuno voleva dirglielo? Le forze iniziavano a venirle meno.
“Aiuto”
mormorò.
Esma
pronunciava le stesse
parole. Seduta accanto a Neikos, una delle ultime che aveva presentato
dei
sintomi, le stringeva la mano. La bambina le sorrideva, mostrando
un’incredibile forza.
“Andrà
tutto bene, mamma” le
diceva “Io e te rimarremo unite. Vedrai”.
La madre
annuì, tra le lacrime.
Provò un po’ di conforto nell’udire
quelle parole ma quando anche Neikos perse
i sensi, si alzò e lasciò la stanza. Con lo
sguardo vuoto, smarrito, camminò
lungo i corridoi bui senza parlare.
“Quindi
possiamo restare a
dormire qui?” chiese Nàgiri, non sicuro di aver
capito.
“Sì,
per stanotte restate qui” annuì
Nyx.
“Ma
la mia mamma non si
arrabbierà?”.
“Dici
che le disobbedisci sempre”
lo schernì Arles II.
“Hai
ragione, lo faccio! Quindi
immagino che una volta in più o in meno non cambi”
sorrise il bambino.
“Mi
raccomando, fate i bravi!
Altrimenti nonno Caos si arrabbia” li ammonì Nyx,
prima di raggiungere i suoi
fratelli ed il padre.
“Ciao,
ciao!” li salutarono i
bambini, vedendoli andar via.
Non capivano
perché si stessero
allontanando ma non aveva importanza. Loro erano felici di passare una
notte
lì.
“Mi
dispiace” parlò Teti “Non
abbiamo potuto fare niente”.
Chinò
il capo e Kydoimos rimase
in silenzio sulla porta della stanza. Desa non ce l’aveva
fatta. Si era arresa,
morendo assieme al suo bimbo mai nato. Lui non trovava le parole. Era
sceso il
silenzio.
“Che
abbiamo fatto?” si chiese
Shuna “Che abbiamo mai fatto per meritare questo?”.
La donna
stringeva forte la mano
dell’ultimo dei suoi piccoli rimasto in vita. Kydoimos
uscì dalla camera di
Desa e chiuse la porta dietro di sé. Chinò il
capo. Non sapeva che altro fare.
“Che
silenzio” commentò il Caos,
entrando in casa.
“I
bambini dormono a quest’ora”
rispose Erebo.
“Sì
ma è un silenzio strano.
Diverso dal solito”.
Nyx
annuì. Qualcosa nell’aria era
diverso. Si incamminarono lungo il corridoio e videro Kydoimos.
L’uomo alzò gli
occhi. Il Caos, che prima sorrideva nel rivederlo, si
rabbuiò di colpo. Lo
sguardo del suo nuovo figlio, anche se privo di lacrime, era colmo di
disperazione e vuoto.
“Padre”
sussurrò lui e il padrone
di casa si stupì perché mai prima d’ora
lo aveva chiamato così di sua spontanea
volontà.
“Kydoimos”
iniziò “Cosa…”.
“Salvateli!”
supplicò Lienn, una
delle madri, vedendo il Caos “Vi prego accorrete e salvateli,
sommo signore!”.
Il signore
del palazzo si
affrettò e raggiunse la stanza da cui lo chiamava Lienn.
Rimase sconcertato da
quella vista. Madri disperate, bambini morti o moribondi.
“Dove
sono i bambini?” spalancò
gli occhi Shuna, notando che il Caos ed i figli erano tornati senza i
piccoli.
“Dormono
al tempio” spiegò lui.
“Ma
stanno bene?”.
“Sì,
benissimo”.
“Oh,
grazie! Grazie!”.
“Ma
qui che è successo?”.
Nyx, Erebo e
Tartaros raggiunsero
il padre. La donna sobbalzò quando vide ciò che
accadeva ed Erebo l’accolse fra
le braccia. Tartaros strinse i pugni. Chi aveva osato consentire alla
morte di
entrare in quel luogo?
“Quali
sono ancora vivi?” domandò
il Caos, raggiungendo i letti di chi ancora respirava per curarli con i
suoi
poteri.
La prima che
guarì fu Neikos, che
mormorò il nome della madre con le poche forze che aveva.
“Dov’è
Esma?” si chiese Nyx,
mentre Erebo si era allontanato per raggiungere Kydoimos.
“Esma!”
chiamava il nuovo
fratello “Esma, vieni! È tornato il
Caos”.
La vide
sulla terrazzina che dava
sul buio assoluto. La invitò a rientrare, sforzandosi di
farle un sorriso. Lei
si voltò lentamente e non rispose. Con uno scatto,
saltò nel vuoto.
“Esma!”
gridò Kydoimos,
gettandosi in avanti per riprenderla.
“Kydoimos!”
chiamò invece Erebo,
recuperando al volo il fratello prima che precipitasse a sua volta.
“Lasciami!”
protestò questi,
allungano le braccia verso il vuoto “Esma è
caduta! La devo aiutare!”.
“Vivo
qui da abbastanza tempo per
dirti che cadendo da qui non incontri altro che il nulla e la
morte”.
“Ma…”.
“L’hai
perduta, Kydoimos. Ora
torna in te”.
Erebo,
sempre tenendo stretto il
fratello acquisito, retrocedette di scatto e finirono entrambi seduti a
terra.
Kydoimos ancora si agitava e il fratello maggiore gli tirò
un poderoso
cazzotto, facendolo finire lungo il corridoio.
“Ma
cosa vuoi?” sbraitò il
colpito “Non sono nemmeno tuo fratello!”.
“Lo
sei. Ti considero tale e so
cosa vuol dire perdere dei figli. Devi ricordare questo: non puoi
lasciare soli
quelli che ancora vivono ed hanno bisogno di te”.
“I
tuoi ti hanno lasciato solo”.
“I
miei erano grandi ed è
un’altra faccenda. Di là ci sono dei bambini e
delle donne che hanno bisogno
del tuo coraggio e della tua forza perciò vedi di
riprenderti. Alzati”.
“Che
succede?” spuntò il Caos,
sentendo le grida.
Subito
intuì l’accaduto. Kydoimos
si stava rialzando ed Erebo lo aiutava. Si avvicinò ad
entrambi.
“Mio
cucciolo” iniziò a parlare
“Mi spiace. Sono arrivato tardi. Solo cinque dei tuoi figli
sono riuscito a
salvare”.
“Li
avete salvati? Loro
vivranno?”.
“Sì,
vivranno. Così come vivranno
quelli che sono al grande tempio per la notte”.
Kydoimos
rimase immobile ed in
silenzio. Il Caos lo abbracciò.
“Devi
essere forte per loro. E
ricorda che noi siamo qui con te”.
“Grazie”.
Liberato
dall’abbraccio del Caos,
prese un profondo respiro. Doveva trovare il coraggio di dire alla
figlia
sopravvissuta che sua madre si era gettata dal balcone
perché credeva morti
tutti i suoi figli. Doveva dire a Nàgiri che non avrebbe
avuto un nuovo
fratellino e che non avrebbe più rivisto la mamma.
“Vado
io a riprendere i bambini
al tempio domani mattina” si propose Erebo.
“Grazie”
annuì Kydoimos “Ora
sarete stanchi. Potete andare a dormire”.
“Non
riusciremmo mai a dormire
dopo aver visto questo”.
“Confermo”
strinse i pugni il
Caos “Troveremo il colpevole e la
pagherà!”.
Il nuovo
fratello non disse
nulla. Tornò nella sala dove i bambini guariti dal padrone
di casa lo
aspettavano. Erano stanchi, ancora a letto, ma vivi e questo era quello
che
contava.
“Bambini!
È ora di tornare a
casa!” chiamò Ariadne, con già indosso
l’armatura dei gemelli.
“Ma
è presto!” protestò più di
qualcuno.
“Lo
zio è venuto a prendervi”.
“Lo
zio?” si stupì Nàgiri.
Uscì
dal tempio dei gemelli, dove
aveva dormito, e si ritrovò davanti Erebo, tutto avvolto in
vari mantelli per
evitare la luce e con un paio di vistosi occhiali da sole a coprirgli
il viso.
“Sei
ridicolo” rise il bambino
“Dov’è papà?”.
“A
casa. Dove è ora che tu ed i
tuoi fratelli torniate” sbottò Erebo.
“Viene
sempre a prenderci papà”.
“Non
fare il bambino!”.
“Sono
un bambino!”.
Erebo
ruotò gli occhi al cielo.
Era troppo vecchio per queste cose! Afferrò
Nàgiri per il braccio. Questi però
si dimenò e lo morse. Lo zio lo lasciò di scatto,
d’istinto.
“Il
mio papà non è venuto perché
è nato il mio fratellino?” domandò il
bambino.
“No”.
“E
allora perché?”.
“Non
te ne parlerò qui. Andiamo a
casa”.
“Che
serio che sei”.
Il piccolo
capì che era tempo di
andare e tornò alla terza casa a chiamare i fratelli e le
sorelle.
“
Che succede?” domandò Ariadne,
intuendo qualcosa nel modo di fare di Erebo.
“Non
sono affari del grande
tempio”.
“Ok,
scusa. Facevo per chiedere”.
“Scusatemi.
La situazione non è
buona e voglio solo tornarmene a casa mia in fretta”.
Nàgiri
e gli altri rientrarono in
casa con il solito entusiasmo ma il maggiore capì subito che
qualcosa era
cambiato.
“Nàgiri”
lo chiamò il padre.
Il bambino
capì, dal tono serio,
che non doveva dirgli niente di buono. Aveva forse fatto qualcosa che
non
doveva? Doveva essere sgridato? Si separò dagli altri
fratelli e raggiunse il
genitore, che gli accarezzò la testa.
“Cosa
c’è papà?” domandò
Nàgiri.
“Ho
una cosa molto triste da
dirti”.
“Triste?”.
“Sì.
Una cosa triste e brutta”.
Nàgiri
attese in silenzio che il
padre parlasse, senza sapere cosa dire.
“Ricordi
quando io e lo zio ti
abbiamo parlato dei campi elisi e delle anime che vi
riposano?” domandò
Kydoimos.
“Sì”
annuì il bimbo.
“Tutti
voi, piccoli miei, avete
un’anima, così come le vostre mamme”.
“Ed
è bella? La mia anima è
bella?”.
“La
tua anima è bellissima,
perché pura. E le anime come la tua vanno in un posto
speciale quando…”.
“Quando?”
fece eco il bambino,
sentendo il padre fermarsi.
“Quando
abbandonano il loro
corpo”.
“Ma
se l’anima abbandona il
corpo, il corpo muore. Giusto?”.
“Sì.
E qui stanotte sono volate
via molte anime”.
“Che…”.
“Nàgiri…”
Kydoimos si inginocchiò,
per guardare negli occhi suo figlio
“…l’anima della tua mamma è
volata via”.
“Come?!”.
“Noi
ora dobbiamo…”.
“La
mia mamma è morta?” gridò il
bambino, facendo alcuni passi indietro.
“Mi
dispiace. Io…”.
“No!
Non è vero! La morte non
esiste in questa casa!”.
“La
morte ha trovato un modo per
portar via chi…”.
“E
come è successo?”.
“La
tua sorellina Lalia è stata
la prima ad ammalarsi e poi…”.
“È
stato Ahriman!” esclamò
Nàgiri.
“Non
dirlo nemmeno per scherzo”.
“Non
è uno scherzo! Quando è
venuto qui, ha accarezzato Lalia sulla testa e una cosa nera
è passata da lui a
lei. Pensavo di aver sognato ma non è così.
È stato Ahriman!”.
“Nàgiri,
ti prego! Ahriman non…”.
“Non
mi credi? Mamma mi
crederebbe. A lei non è mai piaciuto quel Dio”.
“E
anche se fosse, cosa potremmo
fare? Anche se fosse stato lui ed io lo punissi, cosa cambierebbe? Tua
mamma ed
i tuoi fratelli non tornerebbero”.
“Rivoglio
la mia mamma!”.
“Lo
so, piccolo mio”.
“La
rivoglio! Giuro che non le
disubbidirò più!”.
Kydoimos
abbracciò suo figlio,
che scoppiò a piangere e non disse più nulla.
“Andrò
presto al grande tempio”
commentò il Caos.
“Perché?”
si incuriosì Tartaros.
“Voglio
guardare negli occhi chi
vive là ed avere l’assoluta certezza che sono
estranei alla faccenda. Loro ed
il loro capo Ahriman”.