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Autore: SagaFrirry    01/03/2015    1 recensioni
Seguito di un'altra storia pubblicata in precedenza (Risveglio). Sono passati degli anni e molte cose sono cambiate al santuario. Questa volta i cavalieri si ritroveranno faccia a faccia con l'origine di ogni cosa: il Caos. come si rapporteranno con la sua progenie? e quante volte può morire un cavaliere?
chiedo perdono per i risvolti deprimenti. io sono una persona fondamentalmente depressa ;)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Thanatos, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Risveglio'
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VIII

 

ANGELI

 

“Sei sicuro di voler rimanere qui, Kydoimos?” domandò il Caos, sistemandosi il mantello.

“Desa potrebbe partorire, quindi preferisco così” rispose l’adottato.

“Ma deve succedere proprio stasera? Intendo dire…è un invito a cena da parte del santuario! Mica cose che capitano tutti i giorni…”.

“Lo so ma…va bene così. Divertitevi anche per me”.

“Sarà fatto, fratellino” lo schernì Erebo.

“Nonno Caos!” chiamò Nàgiri “Possiamo venire con te?”.

“Nàgiri!” lo richiamò il padre ma il Caos sorrise.

“Volete venire con noi al grande tempio?” domandò il signore del palazzo nero ed un gruppetto di bimbi annuì.

“Ma…” provò a protestare Kydoimos, senza successo.

“Non è un problema per me portarli con noi” assicurò Caos “Sono certo che si divertiranno come sempre”.

“Non fate troppo tardi, però”.

“Tranquillo. Non gli succederà nulla di male”.

A Kydoimos non restò altra alternativa se non quella di lasciare che dieci dei sui figli se ne andasse, quella sera, al Grande Tempio. Forse era la cosa migliore, così ci sarebbe stata un po’ più di tranquillità.

“Fate i bravi!” si raccomandò Desa e Nagiri ruotò gli occhi al cielo, un po’ infastidito.

Assieme al Caos ed ai suoi figli, alcuni dei bambini della casa se ne andarono ed i genitori sorrisero. Non c’era motivo di preoccuparsi. Le più antiche creature del mondo vegliavano su di loro.

 

“Benvenuti” fece un piccolo inchino Aiolos, appena i suoi ospiti giunsero al tempio “Accomodatevi”.

“I bambini possono andare a giocare, la cena non è ancora pronta” aggiunse Hestia.

I piccoli corsero lungo le scale. Arles II li raggiunse, unendosi ai loro giochi. Era una piacevole serata, il cielo era sereno ed Ahriman sorrideva, cosa che avveniva raramente. Il Dio del cielo raggiunse Saga, la sua famiglia, ed alcuni cavalieri d’oro che si stavano radunando nella grande sala dove solitamente mangiavano tutti assieme. Quanti bei momenti passati fra quelle mura! Quante sedie ora erano vuote e suscitavano una certa malinconia…

“Come potete notare…” iniziò Saga “…abbiamo cercato di mettere meno luci possibili stasera, in modo da farvi stare a vostro agio”.

“Grazie” annuì Erebo.

“Buon appetito!” esclamò Nàgiri, alzando un bicchiere colmo di succo di frutta.

Ora erano tutti attorno alla tavola imbandita con prodotti tipici della Grecia e altre leccornie. Deathmask versò il vino, passandolo poi a Saga. Le mogli di entrambi osservarono la quantità d’alcol consumata dai mariti e storsero leggermente il naso. Heiwa, la figlia di Saga, rimase in silenzio e composta. Non giocò con gli altri bambini e sedette accanto al padre tutto il tempo. Shaka ammirò il suo comportamento e le fece i complimenti. Era proprio una degna futura Dea. Aphrodite, invece, lo trovò un po’ strano un comportamento del genere. I bambini, a suo parere, si dovevano divertire. Come Nàgiri ed il figlio di Deathmask, che facevano un gran baccano. Aldebaran era troppo impegnato a mangiare per fare commenti. Ioria sedeva accanto alla moglie Marin ed i loro due figli facevano baldoria assieme agli altri piccoli della stanza. Kiki propose a Nàgiri una partita di pallone e il bambino sorrise all’idea. Milo chiese di poter giocare a sua volta e Camus ricordò a tutti che prima si doveva cenare, il cibo non andava sprecato. Aiolos propose un brindisi ed Ahriman fu il primo ad alzare il calice al cielo.

“Ad una nuova e lunga amicizia” furono le parole del gran sacerdote.

 

Kydoimos se ne stava tranquillo su una delle comode poltrone scure del palazzo. Stava leggendo un libro con Desa che gli poggiava il capo sulla spalla, leggendo con lui.

“Non dovevi rinunciare all’incontro al grande tempio per me” parlò lei.

“Voglio starti accanto. E poi non credo sentano la mia mancanza”.

“Sei il figlio più giovane del Caos”.

“Solo di nome. Di fatto non conto mica”.

“Comunque, sono felice che tu sia qui con me”.

Kydoimos la baciò sulla fronte. A interrompere quel momento fu la vocina di una delle bimbe.

“Papà” chiamò “Mi fa male qui” disse, toccandosi la testa.

Il padre allungò un braccio verso la fronte della piccola.

“Scotti” commentò “Devi avere un po’ di febbre”.

“Ma com’è possibile?” si stupì Desa “Morte e malattia non sono mai entrate in questa casa!”.

“Non è niente, non vi allarmate. Un po’ di febbre passa in fretta. Basta riposare e stare al caldo”.

Kydoimos prese in braccio la bambina e la portò in camera. La mise sotto le coperte e le diede un piccolo bacio.

“Dormi, piccina. Vado a vedere se in cucina c’è qualcosa per farti stare meglio”.

“Grazie, papà. Mandi qui la mamma?”.

“Certo”.

La madre della piccola, Shuna, sedette accanto a sua figlia in attesa che si addormentasse.

“Spero sia solo un po’ di febbre” commentò Moros, il fato.

“Che intendi dire? Kayros forse ti ha rivelato qualcosa?” domando Kydoimos.

“Kayros non rivela mai nulla. Però sai bene che è lui a scrivere il destino delle persone”.

“E tu a farlo compiere, giusto? A far sì che tutti i tasselli siano al posto giusto”.

“In questo caso no. Non mi è chiaro ciò che sta accadendo”.

“Ed è un bene o un male?”.

“Non saprei. Staremo a vedere”.

 

“Passa la palla, passa!” gridò Kiki e Milo cercò di raggiungerlo.

I due cavalieri d’oro stavano perdendo contro un branco di ragazzini scalmanati. I figli di Kydoimos lì presenti avevano un’età compresa fra gli otto ed i quattro anni, eppure riuscivano a dare del filo da torcere ai due guerrieri. Aiutati da Arles II, che non si faceva problemi a commettere fallo contro i cavalieri, i bambini erano in vantaggio.

“Non vale!” protestò Milo “Noi siamo solo in due. Voi siete…in mille!”.

“Siamo solo in undici! Di cui tre femmine che non hanno mai giocato a calcio!” rise Nàgiri “Ammettetelo che siete imbranati!”.

“Imbranati a chi?!” si infuriò Milo, facendosi per l’ennesima volta rubare la palla.

“Milo, fai schifo” lo sfotté Deathmask, che faceva da spettatore.

“È notte!” si giustificò lo scorpione “Non vedo la palla!”.

“Tutte cazzate!” insistette il cancro.

E Milo, di risposta, gli tirò l’Antares in faccia.

 

Kydoimos udì un grido e scattò in piedi. Raggiunse di corsa la camera della bimba malata, da cui proveniva il grido della madre.

“Che succede?” esclamò.

La bambina era pallida e faticava a respirare. Il padre le andò accanto, tentando di capire cosa fare.

“Lalia” la chiamò.

“Signore” una serva parlò sull’uscio “Altri piccoli si sentono male”.

“Altri?!” si stupì Kydoimos.

In meno di mezz’ora, tutti i bambini della casa presentavano dei sintomi. Il padre li aveva fatti portare tutti nella stanza grande, che ora pareva un dormitorio, così da non dover correre da una camera a un’altra. Lalia, la prima a mostrarsi malata, era grave. I pochi titani rimasti in quella casa si adoprarono per far star meglio i piccoli. Usarono tutte le loro conoscenze nel campo della medicina ma nulla pareva dar sollievo ai malati.

“Che posso fare?” domandò Kydoimos “E da dove viene tutto questo?”.

“Forse…” azzardò Crio “…il tempo passato al tempio di Atena li ha indeboliti. Sono vissuti in una casa dove malattie e morte non esistono e quindi, forse, il mondo del santuario con i suoi germi li ha attaccati”.

“Ma sarebbe successo prima, non dopo più di un anno!”.

“Oppure…qualche Dio esterno ci manda questo” azzardò il titano.

“Qualche Dio? Chi?!”.

“Non saprei”.

“E se fosse davvero come dici? Fosse davvero colpa mia se stanno così male? Mia e di tutti coloro che tanto hanno desiderato vedere queste creature crescere alla luce del sole? Forse non era nel loro destino”.

“Non possiamo saperlo. Ma adesso facciamo il possibile per farli stare meglio”.

“E se anche i miei figli al grande tempio stessero male?”.

“Sono assieme al sommo Caos. Troverebbe il modo di farli guarire”.

“Hai ragione. Se la situazione peggiora, sarà il caso di richiamarlo”.

“Sì, ma per ora non credo serva creare allarmismi”.

“Kydoimos” chiamò Teti “Tua moglie sta partorendo”.

“Ma che cazzo succede stanotte?” gemette l’uomo, non sapendo più che fare.

 

“Dov’è tua sorella?” domandò Arles II, riferendosi a Neikos.

“Ha preferito rimanere a casa”  spiegò Nàgiri “Sua madre Esma si preoccupa e lei non riesce a darle un dispiacere”.

“E la tua mamma non si preoccupa?”.

“Sì, ma io non le obbedisco” ghignò il figlio di Kydoimos.

I bambini osservavano il cielo stellato con attenzione. Arles II spiegava qualche costellazione, quelle che riusciva a riconoscere. Ahriman li ascoltava in silenzio, sorridendo appena.

“Spero che tutti i tuoi sospetti su di me siano scemati, Dio del cielo” gli disse il Caos.

“Non tutti” ammise Ahriman “Ma sono disposto a darti una possibilità”.

“Questa alleanza è molto impostante”.

“Pare che per Saga sia quasi una questione vitale…”.

Saga era raggiante, infatti. Sorrideva, vedendo come tutto stesse andando nel migliore dei modi. L’unico che si lamentava era Deathmask, per via dell’Antares che ancora bruciava.

 

“Papà” chiamò Lalia “Mamma!”.

“Siamo qui, tesoro” la rassicurò Shuna, prendendole la mano.

La piccola era scossa da volenti brividi. Kydoimos la prese in braccio, stringendola a sé, nel tentativo di farla stare un po’ meglio e scaldarla.

“Sento il battito del tuo cuore” mormorò la bambina.

“Ti piace?” tentò di sorridere lui.

“Batte forte. Veloce. Perché? Hai paura?”.

“No. Io…”.

“No, tu sei il mio forte papà, che non ha paura di niente e che mi difenderà per sempre”.

“Certo. Il tuo forte papà combatterà sempre per te”.

“Grazie”.

Lalia lo strinse forte e Kydoimos fece lo stesso. Poi sentì la presa della piccola allentarsi.

“Lalia!” la chiamò ma la piccola non poteva più rispondere.

“Lalia!” gridò disperata anche la madre.

La bambina non respirava più. Per la prima volta, la morte era entrata in quella casa.

 

“Mi porti in alto, zio Ahriman?” domandò Arles II, cercando di sfoggiare il suo miglior sorriso tenero.

“Portarti in alto?” finse di non capire il Dio, abbassando le ali.

“Sì! Tu puoi volare! Portaci su!”.

“Un momento! Un attimo fa hai parlato al singolare”.

“Be’ ma se porti me…devi portare anche i miei amici!”.

“E come faccio, secondo te?”.

“Sei un Dio!”.

“Tu sai sempre quali tasti toccare”.

Sorrise e sollevò la mano. Tutti i bambini lo fissarono con curiosità. Ahriman vi soffio e i bambini si sentirono sollevare in aria. Risero felici.

“Non è pericoloso?” si affrettò a dire il Caos.

“Ma no, sono io che domino le correnti che li sorreggono. Non gli può succedere nulla di male” lo rassicurò il Dio.

Ed il tempio si riempì di risate divertite e gridolini di felicità.

 

“Perché i miei figli muoiono?” gemette Kydoimos, vedendo che uno dopo l’altro i bambini si stavano arrendendo a quell’improvvisa e misteriosa malattia.

Nessuno sapeva dargli risposta e nessuno sapeva cosa fare. Si erano accorti che, senza l’aiuto del Caos, non potevano lasciare quel palazzo e quindi non avevano modi di avvisare il padrone di casa di quanto stava accadendo.

“Ci deve essere un modo per richiamarlo!” insistette Kydoimos ma nessuno sapeva quale.

Il padre di piccoli, sentendosi del tutto impotente, si spostò nella camera della moglie Desa.

“Che cosa sta succedendo?” subito domandò lei, appena vide il marito.

“Rilassati” rispose lui, sforzandosi notevolmente “Rilassati e pensa al bambino”.

“Ma ho sentito gridare!”.

“Sì ma adesso pensa al piccolo”.

“Voglio sapere cosa è successo!”.

“Niente”.

“Non mi mentire. Hai una faccia, marito mio, che non mostra niente di buono”.

“Partorisci. Ne parliamo poi”.

Desa gridò per il dolore e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, vide che Kydoimos stava lasciando la stanza. Lo chiamò, ma lui continuò per la sua strada. Non ce la faceva a mentire alla moglie.

“I miei piccini” mormorava Esma, ripetendosi “I miei piccini stanno morendo tutti”.

Kydoimos la udì. Si ritirò nella stanza dove lavorava il legno.

“Caos” chiamò “Padre Caos, se davvero sono per te un figlio allora dovresti percepire queste mie parole. Ti prego, non lasciarci soli. Salva i miei piccoli. Ascoltami! Forse ho sbagliato e chiedo perdono. Forse non merito nulla ma le mie creature sono innocenti, qualsiasi errore abbia commesso”.

Gli era stato detto che, nei rari attimi il cui il padrone del palazzo si allontanava, i suoi figli potevano richiamarlo in qualsiasi momento. Ma il loro è un legame di sangue, si ritrovò a pensare Kydoimos. Guardò quelle sedie. Con tutti i piccoli che stavano morendo, non servivano più. Ne afferrò una e la scagliò contro il muro, gridando.

 

Il Caos, che fino a quel momento stava sorridendo, si fermò di colpo. Nyx lo notò.

“Padre?” domandò “Qualcosa non va?”.

“Dobbiamo tornare a casa” rispose lui.

“Ma…si stanno divertendo tutti!”.

“Qualcosa non va al palazzo nero. Dobbiamo rientrare”.

Sentendo questo, gli adulti della casa si allarmarono. Saga, che aveva udito quelle ultime frasi, propose di lasciare lì a dormire i bambini. Se era successo qualcosa, forse era meglio evitare di coinvolgerli. Il Caos gli diede ragione.

“Mi spiace dovermi allontanare così” commentò.

“Se è in corso un’emergenza” rispose Saga “Vi prego di raggiungere quanto prima casa vostra e risolverla. E mi auguro anche che non sia nulla di grave”.

“Siete molto comprensivo. La Dea Atena alberga nel vostro cuore ed è ben visibile in ogni vostra azione e proposito”.

“Vi ringrazio” si imbarazzò la divinità del grande tempio “Ma ora andate”.

 

“Sta perdendo molto sangue. Qualcosa non va nel verso giusto” si spaventò Teti, vedendo quel che stava succedendo a Desa che gridava in preda ai dolori del parto.

“Desa!” la chiamavano le donne titano che la assistevano “Non ti agitare!”.

“Cosa succede?” gemette lei “Nessuno dei miei figli mi ha mai provocato tanto dolore!”.

Gridò ancora, contorcendosi spaventata. Voleva suo marito. Dov’era suo marito? Cosa stava succedendo là fuori? Perché nessuno voleva dirglielo? Le forze iniziavano a venirle meno.

“Aiuto” mormorò.

Esma pronunciava le stesse parole. Seduta accanto a Neikos, una delle ultime che aveva presentato dei sintomi, le stringeva la mano. La bambina le sorrideva, mostrando un’incredibile forza.

“Andrà tutto bene, mamma” le diceva “Io e te rimarremo unite. Vedrai”.

La madre annuì, tra le lacrime. Provò un po’ di conforto nell’udire quelle parole ma quando anche Neikos perse i sensi, si alzò e lasciò la stanza. Con lo sguardo vuoto, smarrito, camminò lungo i corridoi bui senza parlare.

 

“Quindi possiamo restare a dormire qui?” chiese Nàgiri, non sicuro di aver capito.

“Sì, per stanotte restate qui” annuì Nyx.

“Ma la mia mamma non si arrabbierà?”.

“Dici che le disobbedisci sempre” lo schernì Arles II.

“Hai ragione, lo faccio! Quindi immagino che una volta in più o in meno non cambi” sorrise il bambino.

“Mi raccomando, fate i bravi! Altrimenti nonno Caos si arrabbia” li ammonì Nyx, prima di raggiungere i suoi fratelli ed il padre.

“Ciao, ciao!” li salutarono i bambini, vedendoli andar via.

Non capivano perché si stessero allontanando ma non aveva importanza. Loro erano felici di passare una notte lì.

 

“Mi dispiace” parlò Teti “Non abbiamo potuto fare niente”.

Chinò il capo e Kydoimos rimase in silenzio sulla porta della stanza. Desa non ce l’aveva fatta. Si era arresa, morendo assieme al suo bimbo mai nato. Lui non trovava le parole. Era sceso il silenzio.

“Che abbiamo fatto?” si chiese Shuna “Che abbiamo mai fatto per meritare questo?”.

La donna stringeva forte la mano dell’ultimo dei suoi piccoli rimasto in vita. Kydoimos uscì dalla camera di Desa e chiuse la porta dietro di sé. Chinò il capo. Non sapeva che altro fare.

 

“Che silenzio” commentò il Caos, entrando in casa.

“I bambini dormono a quest’ora” rispose Erebo.

“Sì ma è un silenzio strano. Diverso dal solito”.

Nyx annuì. Qualcosa nell’aria era diverso. Si incamminarono lungo il corridoio e videro Kydoimos. L’uomo alzò gli occhi. Il Caos, che prima sorrideva nel rivederlo, si rabbuiò di colpo. Lo sguardo del suo nuovo figlio, anche se privo di lacrime, era colmo di disperazione e vuoto.

“Padre” sussurrò lui e il padrone di casa si stupì perché mai prima d’ora lo aveva chiamato così di sua spontanea volontà.

“Kydoimos” iniziò “Cosa…”.

“Salvateli!” supplicò Lienn, una delle madri, vedendo il Caos “Vi prego accorrete e salvateli, sommo signore!”.

Il signore del palazzo si affrettò e raggiunse la stanza da cui lo chiamava Lienn. Rimase sconcertato da quella vista. Madri disperate, bambini morti o moribondi.

“Dove sono i bambini?” spalancò gli occhi Shuna, notando che il Caos ed i figli erano tornati senza i piccoli.

“Dormono al tempio” spiegò lui.

“Ma stanno bene?”.

“Sì, benissimo”.

“Oh, grazie! Grazie!”.

“Ma qui che è successo?”.

Nyx, Erebo e Tartaros raggiunsero il padre. La donna sobbalzò quando vide ciò che accadeva ed Erebo l’accolse fra le braccia. Tartaros strinse i pugni. Chi aveva osato consentire alla morte di entrare in quel luogo?

“Quali sono ancora vivi?” domandò il Caos, raggiungendo i letti di chi ancora respirava per curarli con i suoi poteri.

La prima che guarì fu Neikos, che mormorò il nome della madre con le poche forze che aveva.

“Dov’è Esma?” si chiese Nyx, mentre Erebo si era allontanato per raggiungere Kydoimos.

“Esma!” chiamava il nuovo fratello “Esma, vieni! È tornato il Caos”.

La vide sulla terrazzina che dava sul buio assoluto. La invitò a rientrare, sforzandosi di farle un sorriso. Lei si voltò lentamente e non rispose. Con uno scatto, saltò nel vuoto.

“Esma!” gridò Kydoimos, gettandosi in avanti per riprenderla.

“Kydoimos!” chiamò invece Erebo, recuperando al volo il fratello prima che precipitasse a sua volta.

“Lasciami!” protestò questi, allungano le braccia verso il vuoto “Esma è caduta! La devo aiutare!”.

“Vivo qui da abbastanza tempo per dirti che cadendo da qui non incontri altro che il nulla e la morte”.

“Ma…”.

“L’hai perduta, Kydoimos. Ora torna in te”.

Erebo, sempre tenendo stretto il fratello acquisito, retrocedette di scatto e finirono entrambi seduti a terra. Kydoimos ancora si agitava e il fratello maggiore gli tirò un poderoso cazzotto, facendolo finire lungo il corridoio.

“Ma cosa vuoi?” sbraitò il colpito “Non sono nemmeno tuo fratello!”.

“Lo sei. Ti considero tale e so cosa vuol dire perdere dei figli. Devi ricordare questo: non puoi lasciare soli quelli che ancora vivono ed hanno bisogno di te”.

“I tuoi ti hanno lasciato solo”.

“I miei erano grandi ed è un’altra faccenda. Di là ci sono dei bambini e delle donne che hanno bisogno del tuo coraggio e della tua forza perciò vedi di riprenderti. Alzati”.

“Che succede?” spuntò il Caos, sentendo le grida.

Subito intuì l’accaduto. Kydoimos si stava rialzando ed Erebo lo aiutava. Si avvicinò ad entrambi.

“Mio cucciolo” iniziò a parlare “Mi spiace. Sono arrivato tardi. Solo cinque dei tuoi figli sono riuscito a salvare”.

“Li avete salvati? Loro vivranno?”.

“Sì, vivranno. Così come vivranno quelli che sono al grande tempio per la notte”.

Kydoimos rimase immobile ed in silenzio. Il Caos lo abbracciò.

“Devi essere forte per loro. E ricorda che noi siamo qui con te”.

“Grazie”.

Liberato dall’abbraccio del Caos, prese un profondo respiro. Doveva trovare il coraggio di dire alla figlia sopravvissuta che sua madre si era gettata dal balcone perché credeva morti tutti i suoi figli. Doveva dire a Nàgiri che non avrebbe avuto un nuovo fratellino e che non avrebbe più rivisto la mamma.

“Vado io a riprendere i bambini al tempio domani mattina” si propose Erebo.

“Grazie” annuì Kydoimos “Ora sarete stanchi. Potete andare a dormire”.

“Non riusciremmo mai a dormire dopo aver visto questo”.

“Confermo” strinse i pugni il Caos “Troveremo il colpevole e la pagherà!”.

Il nuovo fratello non disse nulla. Tornò nella sala dove i bambini guariti dal padrone di casa lo aspettavano. Erano stanchi, ancora a letto, ma vivi e questo era quello che contava.

 

“Bambini! È ora di tornare a casa!” chiamò Ariadne, con già indosso l’armatura dei gemelli.

“Ma è presto!” protestò più di qualcuno.

“Lo zio è venuto a prendervi”.

“Lo zio?” si stupì Nàgiri.

Uscì dal tempio dei gemelli, dove aveva dormito, e si ritrovò davanti Erebo, tutto avvolto in vari mantelli per evitare la luce e con un paio di vistosi occhiali da sole a coprirgli il viso.

“Sei ridicolo” rise il bambino “Dov’è papà?”.

“A casa. Dove è ora che tu ed i tuoi fratelli torniate” sbottò Erebo.

“Viene sempre a prenderci papà”.

“Non fare il bambino!”.

“Sono un bambino!”.

Erebo ruotò gli occhi al cielo. Era troppo vecchio per queste cose! Afferrò Nàgiri per il braccio. Questi però si dimenò e lo morse. Lo zio lo lasciò di scatto, d’istinto.

“Il mio papà non è venuto perché è nato il mio fratellino?” domandò il bambino.

“No”.

“E allora perché?”.

“Non te ne parlerò qui. Andiamo a casa”.

“Che serio che sei”.

Il piccolo capì che era tempo di andare e tornò alla terza casa a chiamare i fratelli e le sorelle.

“ Che succede?” domandò Ariadne, intuendo qualcosa nel modo di fare di Erebo.

“Non sono affari del grande tempio”.

“Ok, scusa. Facevo per chiedere”.

“Scusatemi. La situazione non è buona e voglio solo tornarmene a casa mia in fretta”.

 

Nàgiri e gli altri rientrarono in casa con il solito entusiasmo ma il maggiore capì subito che qualcosa era cambiato.

“Nàgiri” lo chiamò il padre.

Il bambino capì, dal tono serio, che non doveva dirgli niente di buono. Aveva forse fatto qualcosa che non doveva? Doveva essere sgridato? Si separò dagli altri fratelli e raggiunse il genitore, che gli accarezzò la testa.

“Cosa c’è papà?” domandò Nàgiri.

“Ho una cosa molto triste da dirti”.

“Triste?”.

“Sì. Una cosa triste e brutta”.

Nàgiri attese in silenzio che il padre parlasse, senza sapere cosa dire.

“Ricordi quando io e lo zio ti abbiamo parlato dei campi elisi e delle anime che vi riposano?” domandò Kydoimos.

“Sì” annuì il bimbo.

“Tutti voi, piccoli miei, avete un’anima, così come le vostre mamme”.

“Ed è bella? La mia anima è bella?”.

“La tua anima è bellissima, perché pura. E le anime come la tua vanno in un posto speciale quando…”.

“Quando?” fece eco il bambino, sentendo il padre fermarsi.

“Quando abbandonano il loro corpo”.

“Ma se l’anima abbandona il corpo, il corpo muore. Giusto?”.

“Sì. E qui stanotte sono volate via molte anime”.

“Che…”.

“Nàgiri…” Kydoimos si inginocchiò, per guardare negli occhi suo figlio “…l’anima della tua mamma è volata via”.

“Come?!”.

“Noi ora dobbiamo…”.

“La mia mamma è morta?” gridò il bambino, facendo alcuni passi indietro.

“Mi dispiace. Io…”.

“No! Non è vero! La morte non esiste in questa casa!”.

“La morte ha trovato un modo per portar via chi…”.

“E come è successo?”.

“La tua sorellina Lalia è stata la prima ad ammalarsi e poi…”.

“È stato Ahriman!” esclamò Nàgiri.

“Non dirlo nemmeno per scherzo”.

“Non è uno scherzo! Quando è venuto qui, ha accarezzato Lalia sulla testa e una cosa nera è passata da lui a lei. Pensavo di aver sognato ma non è così. È stato Ahriman!”.

“Nàgiri, ti prego! Ahriman non…”.

“Non mi credi? Mamma mi crederebbe. A lei non è mai piaciuto quel Dio”.

“E anche se fosse, cosa potremmo fare? Anche se fosse stato lui ed io lo punissi, cosa cambierebbe? Tua mamma ed i tuoi fratelli non tornerebbero”.

“Rivoglio la mia mamma!”.

“Lo so, piccolo mio”.

“La rivoglio! Giuro che non le disubbidirò più!”.

Kydoimos abbracciò suo figlio, che scoppiò a piangere e non disse più nulla.

 

“Andrò presto al grande tempio” commentò il Caos.

“Perché?” si incuriosì Tartaros.

“Voglio guardare negli occhi chi vive là ed avere l’assoluta certezza che sono estranei alla faccenda. Loro ed il loro capo Ahriman”.

   
 
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