Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: SagaFrirry    01/03/2015    1 recensioni
Seguito di un'altra storia pubblicata in precedenza (Risveglio). Sono passati degli anni e molte cose sono cambiate al santuario. Questa volta i cavalieri si ritroveranno faccia a faccia con l'origine di ogni cosa: il Caos. come si rapporteranno con la sua progenie? e quante volte può morire un cavaliere?
chiedo perdono per i risvolti deprimenti. io sono una persona fondamentalmente depressa ;)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Thanatos, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Risveglio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

IX

 

POTERE E RICORDI

 

“Perché sono qui?” domandò Kydoimos, senza nascondere il suo disappunto.

“Perché voglio che ti guardino in faccia e mi dicano che sono innocenti” ribatté il Caos.

“Non ne vedo l’utilità”.

“Piccolo, non voglio costringerti a fare qualcosa che non vuoi. Credevo che uscire dal palazzo nero e svagarti un po’ potesse servire a farti stare meglio”.

“Forse avete ragione”.

“Se non vuoi farti tredici piani di scale per parlare con Saga, puoi aspettarmi qui? O vuoi proprio tornare a casa?”.

“No, avete ragione. Farò un giro qua in giro”.

“Bene. Non metterti nei guai”.

Kydoimos  osservò il suo signore salire lungo la scalinata del tempio. Attese qualche istante e poi si allontanò. Prese il sentiero che portava alla spiaggia, fra le rocce. Vi scese e fissò il mare. Stava attento, sapeva che in quel mondo, con il suo braccio e la sua gamba mal ridotti, non poteva nuotare. Il vento ne scompigliava i capelli e le vesti. Socchiuse gli occhi, in cerca di pace. Dentro al cuore provava un immenso dolore che non riusciva a sfogare. Voleva piangere ma non ci riusciva. Un nodo alla gola gli toglieva quasi il respiro e restava lì, come eterno ricordo di chi aveva perso. Immerse i piedi scalzi nell’acqua. Era ancora calda, nonostante l’estate fosse finita da un po’.

“È vero quel che mi state dicendo?” domandò Saga, che aveva fatto accomodare il Caos nelle proprie stanze.

“Non potrei mai inventarmi una cosa del genere!” rispose il Caos.

“Ma è terribile! È spaventoso!”.

“Ho cercato di far un po’ distrarre il padre ma non è semplice”.

“Immagino cosa provi. Vorrei potergli porgere le più sentite condoglianze”.

Il Caos capì che Saga doveva essere estraneo alla faccenda. Era sconvolto e per il più antico degli Dèi era facile capire quanto soffrisse.

“Dove si trova Ahriman?” domandò poi l’ospite.

“Suppongo nel suo palazzo, perché?” rispose Saga, perplesso.

 

L’odore del mare. Kydoimos lo percepì e gli parve che facesse parte di lui fino alle ossa. La sabbia sotto i piedi, il sole sul viso, il vento ed i suoni della natura lo avvolgevano. Chiuse gli occhi e spalancò le braccia, istintivamente. Che strana sensazione. Una scossa, un brivido, e la sensazione di poter fare qualsiasi cosa. Una sensazione che gli solleticava le mani al punto di farlo quasi ridere. Il nodo alla gola, però, non lo voleva lasciare. Era orribile e voleva scacciarlo. Urlò, più forte che poté. E si sentì sollevare. Portò entrambe le mani alla gola, ribaltando la testa all’indietro. L’acqua, l’aria e la sabbia lo stavano avvolgendo in una sfera che ruotava. I capelli, che teneva raccolti, si sciolsero e pure loro lo circondarono. Sentiva dentro sé un potere che cresceva, mentre urlava per liberarsi da quel nodo. Una luce, intensa e calda, sgorgò dalle sue mani e quel grido parve prendere forma. Quando non ebbe più aria nei polmoni, tornò in terra. Le forze lo abbandonarono e cadde sulla spiaggia. Poco prima di perdere i sensi, riuscì a scorgere una donna accanto a sé.

“Benvenuta al mondo, Airis” le disse e poi svenne.

 

Saga e il Caos stavano scendendo le scale. La reincarnazione di Atena aveva espresso il desiderio di poter porgere di persona le condoglianze a Kydoimos. Il Caos apprezzò il gesto e scesero insieme. Quando però giunsero allo spiazzo dinnanzi la prima casa, non trovarono l’interessato ad attenderli.

“L’ho visto andare verso la spiaggia” indicò Kiki.

“Grazie” rispose Saga, con un cenno del capo.

“Probabilmente aveva bisogno di stare solo. Scusate se ci tocca camminare” commentò di nuovo il Caos.

“A me fa piacere. Mi fa bene ogni tanto” sorrise debolmente Saga.

“Kydoimos!” chiamò il Caos, camminando fra gli scogli.

Non lo vedeva. Dove si era nascosto? Però che bello che era il mare di Grecia! E quella spiaggia, legata al santuario e quindi incontaminata, era perfetta.

“Kydoimos!” chiamò ancora, e sentì la sua voce ripetuta più volte nell’eco.

Quando lo vide, si affrettò a raggiungerlo. Ancora steso nella sabbia, privo di sensi e completamente fradicio, al Caos fece subito pensare che si fosse buttato in acqua. Con un corpo come quello, non poteva di certo nuotare.

“Kydoimos!” lo scosse “Apri gli occhi! Mia meraviglia, riprenditi!”.

Solo in quel momento notò la donna che fissava entrambi.

“Si è buttato in acqua?” chiese il Caos e la donna scosse il capo.

“Ah, meno male. Forse si è sentito male perché si è allontanato troppo da casa”.

Saga rimase stupito da quella scena. Il Caos pareva seriamente preoccupato per quell’uomo, anche se non era il suo vero figlio. Vide che lo prendeva in braccio e lo avvolgeva nel mantello, per asciugarlo. Nel suo sguardo c’era puro affetto.

“Devo andare” disse il Caos.

“Certo…” non ebbe il tempo di rispondere Saga.

 

“Che è successo?” si allarmò Nyx, non appena vide arrivare il Caos con in braccio Kydoimos.

“Ha perso conoscenza. Colpa mia, l’ho tenuto troppo distante da me e da questa casa. Ora che è mio figlio, la nostra maledizione deve aver colpito anche lui”.

“È grave?”.

“Sparite!” ordinò il padrone di casa a tutti coloro che si erano presentati a curiosare preoccupati “Lasciateci soli”.

Delicatamente, stese Kydoimos sul letto. I capelli bagnati si confondevano sulle lenzuola nere, così come parte del corpo dell’uomo. Il Caos, interamente nero, accarezzò il lato più chiaro di suo figlio adottivo. L’occhio cieco era insanguinato. Il padrone di casa lo pulì con cura.

“Mi dispiace, piccolo mio. Forse ho sbagliato a donarti questo corpo. Questo tuo lato di carne un tempo rosa è così debole! Ancora qualche istante lontano e si sarebbe distaccato da ciò che io ho creato per te, uccidendoti. Mi chiedo ogni giorno se ho fatto bene a farti questo”.

Kydoimos non rispose, ancora privo di sensi. Come aveva fatto con la ferita alla schiena, il Caos si ferì un dito e lasciò cadere qualche goccia di sangue, questa volta sulle labbra del figlio. Questi parve riprendersi un po’, leccò il sangue e gemette, girando al testa.

“È buono, vero?” sorrise il Caos.

Kydoimos aprì gli occhi. Il padre gli accarezzò la testa.

“Come ti senti?” domandò.

“Uno schifo” ammise il figlio.

“Sei molto debole. Hai rischiato grosso ed è tutta colpa mia. Non dovevo lasciarti solo tutto quel tempo”.

“Io…” provò a ribattere, ma era troppo debole e riuscì solo a gemere ancora.

“Tranquillo” lo rassicurò il Caos, tagliandosi il polso “Bevi” ordinò, accostando la ferita alla bocca di Kydoimos.

Questi tentò per qualche istante di resistere ma non ci riuscì a lungo. Il sangue del suo signore era caldo, dolce, e ne percepiva la potenza. Lo sentiva forte in gola. Il padrone del palazzo sorrise, vedendo come il figlio gradisse e si sentisse già meglio.

“Ancora, Kydoimos. Bevine ancora” lo incitò “Bravo”.

Lui non se lo fece ripetere. Ad ogni goccia sentiva aumentare in lui una sensazione d’estasi mai provata prima. L’intero suo corpo veniva avvolto da questa strana forza. Dovette smettere di succhiare il braccio del padre e ribaltare la testa all’indietro, lanciando un gemito per un piacere mai provato prima. Il Caos sorrise più convinto e gli accarezzò nuovamente la testa.

“Bravo il mio ragazzo” gli disse “Ora riposa. Vedrai che domai starai subito meglio”.

Kydoimos, ancora agitato ed eccitato, non sapeva come potesse essere possibile per lui dormire ma poi il padre sfiorò con le labbra la sua fronte e il figlio cadde addormentato.

“Sono il nonno di Hypnos mica per niente” commentò il padrone di casa, prima di lasciare la stanza.

Fuori, trovò quasi l’intera casa in apprensione. Dopo aver rassicurato tutti, decise che era giunto il momento pure per lui di riposare. Si girò e vide Airis, leggermente impaurita, che fissava la camera di Kydoimos.

“Ha bisogno di riposo. Veglialo per me, stanotte” le disse il Caos e la fanciulla annuì.

 

La mattina seguente, il tavolo della colazione attendeva l’arrivo di Kydoimos con un certo nervosismo. Stava davvero bene? Cosa gli era successo? Prima di lui, entrò Airis, timidamente. Più di qualcuno si chiedeva chi fosse e da dove fosse saltata fuori. Lei non parlava ed osservava tutto.

“Sembra una bambina” commentò Shuna “Fa tutto come se non l’avesse mai fatto prima”.

Airis fissò incuriosita i commensali. Sentiva nell’aria un profumino delizioso.

“Siediti, Airis” le ordinò Kydoimos, arrivando alle sue spalle.

La voce dell’uomo era leggermente più profonda del solito. Per il resto, pareva stare bene. I figli lo accolsero con abbracci e baci. Lui rispose ai saluti, sorridendo. Diede un bacio sulle labbra a Shuna e Airis fissò la scena con attenzione. Seguì i movimenti dell’uomo, che sedette e si versò il caffè.

“Ci vuole una stanza per la nostra nuova ospite” disse.

“Certo. Stanze ce ne sono. Gliela mostrerò dopo” annuì Lienn “Ma chi è?”.

“Si chiama Airis. E rimarrà qui”.

“Questo lo avevo capito. Mi chiedevo chi fosse e da dove venisse”.

“Ogni cosa a suo tempo. Quando sei arrivata, mica ti assillavo tanto”.

Kydoimos si rialzò, risistemando il suo posto. Airis lo seguì, copiandone ogni mossa.

“No!” la rimproverò lui “Insomma…non sai fare qualcosa senza fissarmi? Coraggio, fai quello che ti va. Vai!”.

La donna rimase per qualche istante sconcertata. Parve smarrita ma poi si girò verso gli altri, ancora seduti.

“Ciao” li salutò e tutti le risposero.

Kydoimos li lasciò chiacchierare ed uscì sul corridoio.

“Fratellino…” mormorò Erebo, incrociandolo “Stai fluttuando”.

Kydoimos subito ridiscese e si toccò la testa, provando una sensazione di fastidio.

“È normale” lo rassicurò il maggiore “Sono le conseguenze del sangue di papà. È come un dopo sbronza. Passerà presto, vedrai”.

“Lo spero. Ogni parola mi rimbalza nel cranio”.

“Niente di grave” ridacchiò Erebo e poi inclinò la testa.

In fondo al corridoio vedeva il padre, Caos, con a fianco uno straniero. Un ospite? O un seccatore?

“Da questa parte” parlò il padrone di casa, indicando il corridoio.

Caos e straniero, avvolto in un pesante mantello, camminarono vicini.

“Che sollievo vedervi!” parlò l’ospite, rivolto a Kydoimos.

“Saga?” domandò l’interessato, riconoscendone la voce.

“Sono io” annuì l’uomo, togliendo il mantello che ne copriva il viso “E sono davvero felice di vedervi in piedi. Mi sono preoccupato molto alla spiaggia”.

“Non era necessario. La mia vita non vi riguarda”.

“Può essere. Ma voglio essere considerato un amico, come amici io considero voi. E quindi mi preoccupo”.

“Sto bene”.

“Ho chiesto il permesso al padrone di questa casa per potervi porgere di persona le condoglianze per il lutto”.

“A quanto pare i pettegolezzi volano”.

“Sono stato io a parlargliene” interruppe il Caos “E mi sembra un gesto gentile da parte sua”.

Kydoimos sospirò. È vero, non aveva motivo di essere così severo e sarcastico. Nàgiri raggiunse il padre. Lo prese per mano e fissò Saga con sospetto.

“Punirete Ahriman, vero?” domandò.

“Perché?” domandò Saga, piuttosto perplesso.

“Perché è stato lui ad uccidere la mia mamma ed i miei fratelli, facendo ammalare la mia sorellina”.

“Nàgiri!” lo zittì il padre “Quante volte dovrai ancora tirare fuori questa storia?”.

“Gli parlerò” rispose invece Saga “Cercherò in ogni modo di scoprire la verità. So che cosa significa perdere una persona a te molto vicina”.

“Anche tu hai perso la mamma?” mormorò Nàgiri.

“No. Io la mia mamma non l’ho mai conosciuta. Sono un orfano. Però ho perso una persona a cui volevo molto bene, un uomo che ho considerato mio fratello e anche di più. So cosa si prova e so quel che si desidera. Perciò, ti prego di ascoltarmi, giovane Nàgiri. So che ora provi rabbia e sconforto. Vorresti vendetta. Ma non è questa la via. Il sangue porta ad altro sangue”.

“Voi divinità vi ammazzate sempre fra voi”.

“Lo so. Sto cercando di fare in modo che questo non accada più. E, a questo proposito, chiedo perdono a coloro che dimorano in questa casa per aver sigillato Gaia. So di aver arrecato molto dolore e mi dispiace”.

Il Caos si stupì nell’udire quelle parole. Osservò Saga, mentre questi chinava il capo.

“E io chiedo perdono per quel che è successo ad Arles” parlò il padrone di casa, dopo qualche istante “So che quanto è accaduto sta ancora portando tristezza in molte persone”.

“In realtà…” quasi sorrise Saga “…sono in pochi quelli che rimpiangono Arles. A me manca, e molto, ma in molti hanno fin troppo in mente il male che ha commesso”.

“Tutti commettono degli errori. Non è giusto condannarlo adesso!”.

Saga sospirò. Sorrise a Nàgiri, con quel suo sguardo malinconico sul viso, e si disse che forse era tempo di andare.

“Spero di rivederti presto al grande tempio” salutò.

“Non accadrà tanto presto” rispose Kydoimos “Mi spiace, ma per un po’ vorrò i miei figli sempre accanto a me. Almeno fino a quando non si capirà quanto successo”.

“Comprendo perfettamente. Se qualcuno mi portasse via la mia bambina, non mi darei pace fino al sopraggiungere della verità. Spero che troviate presto le vostre risposte”.

“Come sempre le vostre parole sono sagge, Atena” annuì Kydoimos.

“Dicono sia la divinità dell’intelletto, oltre che della guerra. Ma non ne sono molto sicuro”.

Saga si congedò. Nàgiri rifletté sulle parole che gli erano state rivolte. Dicevano che le cose accadevano sempre per un motivo. Tutti quei morti per consolidare un’alleanza? No, impossibile.

 

“Ma che volete da me?” sbottò Thanatos, sull’uscio di casa.

“Solo che ci porti da loro” insistette Nyx.

Il Dio della morte sospirò. Davanti a sé aveva, oltre che alla madre, Kydoimos ed il Caos.

“Posso portare te ed il Caos” riprese il Dio.

“Ma Kydoimos ha il diritto di salutare i suoi figli e le sue donne!” insistette Nyx.

“Mamma…” riprese Thanatos, con calma “…lui è un mortale. Non è un Dio come noi. Non posso portarlo a spasso per l’oltretomba a mostrargli parenti deceduti. Perderebbe l’anima e morirebbe”.

“E non c’è nulla che tu possa fare?”.

“No. Se non dirvi che le anime dei vostri cari sono state messe in un gran bel posto, vicino a Hypnos. Lì si godranno i fiori, il sole, la musica e tutto il resto. Stanno meglio di me, credetemi”.

“Puoi portare loro un messaggio da parte mia?” domandò Kydoimos.

“Che noiosi che siete! E va bene, lo posso fare. Ma qualcosa di breve e conciso, che ho da fare”.

“Dì semplicemente loro che gli voglio bene, gliene vorrò sempre e che mi aspettino, perché li raggiungerò”.

“Riferirò. Ora scusatemi…”.

Il Dio fece per rientrare ma Nyx lo fermò. Lo guardò negli occhi, con velato rimprovero.

“Chi ti ha ordinato di portar via quelle vite dal nostro palazzo?” domandò la Dea.

“Non te lo posso dire”.

“Tu me lo DEVI dire! Sono tua madre!”.

“Non posso. Non posso e basta! Smettetela di starmi tutti addosso”.

“Noi vogliamo solo la verità”.

“La verità? Fa schifo la verità. Godetevi la vita così com’è. Prima o poi tutto si scoprirà ma nel frattempo gradirei non essere infastidito”.

“Dei bambini sono morti!”.

“Dei bambini muoiono ogni giorno, madre. Ogni giorno. E indovina chi è che li uccide. Non è una cosa che mi piace fare ma è una cosa che devo fare. Prendetevela con chi ha stabilito il cammino di quei piccoli”.

“E tu non puoi fare a meno di eseguire certi ordini?”.

“No, e tu lo sai. Lasciatemi in pace”.

“Dacci almeno un indizio”.

“Non insistete!”.

Thanatos tentava di rientrare nella sua dimora, nonostante l’insistenza della madre. Spalancò la porta e l’anima incompleta sobbalzò. Kydoimos la vide ed i loro sguardi si incrociarono. L’unico occhio dell’anima si spalancò e sorrise. Kydoimos non fece lo stesso. Si portò la mano alla testa, toccandosi il lato un tempo rosa carne. Bruciava. E molte immagini gli vorticavano davanti agli occhi. Volti, nomi, ricordi.

“Kydoimos!” si allarmò il Caos.

“Ti consiglio di portarlo via al più presto da qui” parlò Thanatos “O la sua forza vitale scorrerà via come il fiume su cui ti traghetta Caronte una volta trapassato”.

“Immagine poetica” storse il naso il Caos, mentre il Dio della morte rientrava in casa, chiudendosi la porta alle spalle.

 

“Puoi assicurarmi che tu non hai nulla a che fare con questa faccenda?” parlò Saga, serio.

“Mi hai fatto venire fin qui per chiedermi questo?” storse il naso Ahriman.

“Sì, l’ho fatto. Voglio sapere la verità”.

“Io ero qua a cena con te, te lo ricordi? Come potevo essere al palazzo nero ad uccidere dei marmocchi?”.

“Bambini innocenti, non marmocchi”.

“Fa lo stesso”.

“Eri qui, è vero. Però puoi aver mandato qualcuno”.

“E chi?”.

“Cosa ne so io?! Lo sto chiedendo a te!”.

“Non ti fidi?”.

“Non mi fido di nessuno. Se, in quel palazzo, morte e malattia non erano mai entrati, vuol dire che qualcuno ce li ha portati e cerco di capire chi”.

“Io non ammazzo bambini. Sono pure un bastardo che si comporta in pessimi modi in molte circostanze ma io non ammazzo bambini”.

La voce di Ahriman pareva sincera. Saga sospirò. Fissò il suo scettro, come in cerca di risposte. Se il Dio del Cielo era innocente, allora chi poteva avere un potere tale da agire in quel modo?

“Mi dispiace di aver dubitato di te, nipote” parlò.

“Era normale che lo facessi”.

Saga allungò la mano verso Ahriman, in segno di pace. Il Dio del cielo la fissò perplesso per qualche istante. Poi sorrise e la strinse. Pace. Anche se probabilmente avevano piena intenzione di controllarsi a vicenda.

 

“State meglio?” domandò Airis, avvicinandosi al letto di Kydoimos.

“Sì, ho solo mal di testa” rispose lui.

Lei sedette sul materasso e lo guardò. L’uomo si mise seduto a sua volta. Si fissarono in silenzio. Lui sospirò. Lei gli si avvicinò e lo baciò dolcemente sulle labbra. Kydoimos la fissò con aria interrogativa.

“Ho visto che avete salutato così Shuna” rispose lei “E volevo anch’io provare. Avete un buon sapore”.

“Grazie, Airis. Tu hai il sapore dell’acqua del mare”.

“Ed è un bene?”.

“Sì, è buono”.

Lui le diede un altro bacio, questa volta più lungo e convinto. Lei lo strinse forte.

“Signor Kydoimos…” mormorò piano.

“Non essere troppo riverente con me, mia cara”.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: SagaFrirry