IX
POTERE
E RICORDI
“Perché
sono qui?” domandò
Kydoimos, senza nascondere il suo disappunto.
“Perché
voglio che ti guardino in
faccia e mi dicano che sono innocenti” ribatté il
Caos.
“Non
ne vedo l’utilità”.
“Piccolo,
non voglio costringerti
a fare qualcosa che non vuoi. Credevo che uscire dal palazzo nero e
svagarti un
po’ potesse servire a farti stare meglio”.
“Forse
avete ragione”.
“Se
non vuoi farti tredici piani
di scale per parlare con Saga, puoi aspettarmi qui? O vuoi proprio
tornare a
casa?”.
“No,
avete ragione. Farò un giro
qua in giro”.
“Bene.
Non metterti nei guai”.
Kydoimos osservò il suo
signore salire lungo la
scalinata del tempio. Attese qualche istante e poi si
allontanò. Prese il
sentiero che portava alla spiaggia, fra le rocce. Vi scese e
fissò il mare.
Stava attento, sapeva che in quel mondo, con il suo braccio e la sua
gamba mal
ridotti, non poteva nuotare. Il vento ne scompigliava i capelli e le
vesti.
Socchiuse gli occhi, in cerca di pace. Dentro al cuore provava un
immenso
dolore che non riusciva a sfogare. Voleva piangere ma non ci riusciva.
Un nodo
alla gola gli toglieva quasi il respiro e restava lì, come
eterno ricordo di
chi aveva perso. Immerse i piedi scalzi nell’acqua. Era
ancora calda,
nonostante l’estate fosse finita da un po’.
“È
vero quel che mi state
dicendo?” domandò Saga, che aveva fatto accomodare
il Caos nelle proprie
stanze.
“Non
potrei mai inventarmi una
cosa del genere!” rispose il Caos.
“Ma
è terribile! È spaventoso!”.
“Ho
cercato di far un po’
distrarre il padre ma non è semplice”.
“Immagino
cosa provi. Vorrei
potergli porgere le più sentite condoglianze”.
Il Caos
capì che Saga doveva
essere estraneo alla faccenda. Era sconvolto e per il più
antico degli Dèi era
facile capire quanto soffrisse.
“Dove
si trova Ahriman?” domandò
poi l’ospite.
“Suppongo
nel suo palazzo,
perché?” rispose Saga, perplesso.
L’odore
del mare. Kydoimos lo
percepì e gli parve che facesse parte di lui fino alle ossa.
La sabbia sotto i
piedi, il sole sul viso, il vento ed i suoni della natura lo
avvolgevano.
Chiuse gli occhi e spalancò le braccia, istintivamente. Che
strana sensazione.
Una scossa, un brivido, e la sensazione di poter fare qualsiasi cosa.
Una
sensazione che gli solleticava le mani al punto di farlo quasi ridere.
Il nodo
alla gola, però, non lo voleva lasciare. Era orribile e
voleva scacciarlo.
Urlò, più forte che poté. E si
sentì sollevare. Portò entrambe le mani alla
gola, ribaltando la testa all’indietro. L’acqua,
l’aria e la sabbia lo stavano
avvolgendo in una sfera che ruotava. I capelli, che teneva raccolti, si
sciolsero
e pure loro lo circondarono. Sentiva dentro sé un potere che
cresceva, mentre
urlava per liberarsi da quel nodo. Una luce, intensa e calda,
sgorgò dalle sue
mani e quel grido parve prendere forma. Quando non ebbe più
aria nei polmoni,
tornò in terra. Le forze lo abbandonarono e cadde sulla
spiaggia. Poco prima di
perdere i sensi, riuscì a scorgere una donna accanto a
sé.
“Benvenuta
al mondo, Airis” le
disse e poi svenne.
Saga e il
Caos stavano scendendo
le scale. La reincarnazione di Atena aveva espresso il desiderio di
poter
porgere di persona le condoglianze a Kydoimos. Il Caos
apprezzò il gesto e
scesero insieme. Quando però giunsero allo spiazzo dinnanzi
la prima casa, non
trovarono l’interessato ad attenderli.
“L’ho
visto andare verso la
spiaggia” indicò Kiki.
“Grazie”
rispose Saga, con un
cenno del capo.
“Probabilmente
aveva bisogno di
stare solo. Scusate se ci tocca camminare”
commentò di nuovo il Caos.
“A
me fa piacere. Mi fa bene ogni
tanto” sorrise debolmente Saga.
“Kydoimos!”
chiamò il Caos,
camminando fra gli scogli.
Non lo
vedeva. Dove si era
nascosto? Però che bello che era il mare di Grecia! E quella
spiaggia, legata
al santuario e quindi incontaminata, era perfetta.
“Kydoimos!”
chiamò ancora, e
sentì la sua voce ripetuta più volte
nell’eco.
Quando lo
vide, si affrettò a
raggiungerlo. Ancora steso nella sabbia, privo di sensi e completamente
fradicio, al Caos fece subito pensare che si fosse buttato in acqua.
Con un
corpo come quello, non poteva di certo nuotare.
“Kydoimos!”
lo scosse “Apri gli
occhi! Mia meraviglia, riprenditi!”.
Solo in quel
momento notò la
donna che fissava entrambi.
“Si
è buttato in acqua?” chiese
il Caos e la donna scosse il capo.
“Ah,
meno male. Forse si è
sentito male perché si è allontanato troppo da
casa”.
Saga rimase
stupito da quella
scena. Il Caos pareva seriamente preoccupato per quell’uomo,
anche se non era
il suo vero figlio. Vide che lo prendeva in braccio e lo avvolgeva nel
mantello, per asciugarlo. Nel suo sguardo c’era puro affetto.
“Devo
andare” disse il Caos.
“Certo…”
non ebbe il tempo di
rispondere Saga.
“Che
è successo?” si allarmò Nyx,
non appena vide arrivare il Caos con in braccio Kydoimos.
“Ha
perso conoscenza. Colpa mia,
l’ho tenuto troppo distante da me e da questa casa. Ora che
è mio figlio, la
nostra maledizione deve aver colpito anche lui”.
“È
grave?”.
“Sparite!”
ordinò il padrone di
casa a tutti coloro che si erano presentati a curiosare preoccupati
“Lasciateci
soli”.
Delicatamente,
stese Kydoimos sul
letto. I capelli bagnati si confondevano sulle lenzuola nere,
così come parte
del corpo dell’uomo. Il Caos, interamente nero,
accarezzò il lato più chiaro di
suo figlio adottivo. L’occhio cieco era insanguinato. Il
padrone di casa lo
pulì con cura.
“Mi
dispiace, piccolo mio. Forse
ho sbagliato a donarti questo corpo. Questo tuo lato di carne un tempo
rosa è
così debole! Ancora qualche istante lontano e si sarebbe
distaccato da ciò che
io ho creato per te, uccidendoti. Mi chiedo ogni giorno se ho fatto
bene a farti
questo”.
Kydoimos non
rispose, ancora
privo di sensi. Come aveva fatto con la ferita alla schiena, il Caos si
ferì un
dito e lasciò cadere qualche goccia di sangue, questa volta
sulle labbra del
figlio. Questi parve riprendersi un po’, leccò il
sangue e gemette, girando al
testa.
“È
buono, vero?” sorrise il Caos.
Kydoimos
aprì gli occhi. Il padre
gli accarezzò la testa.
“Come
ti senti?” domandò.
“Uno
schifo” ammise il figlio.
“Sei
molto debole. Hai rischiato
grosso ed è tutta colpa mia. Non dovevo lasciarti solo tutto
quel tempo”.
“Io…”
provò a ribattere, ma era
troppo debole e riuscì solo a gemere ancora.
“Tranquillo”
lo rassicurò il
Caos, tagliandosi il polso “Bevi”
ordinò, accostando la ferita alla bocca di
Kydoimos.
Questi
tentò per qualche istante
di resistere ma non ci riuscì a lungo. Il sangue del suo
signore era caldo,
dolce, e ne percepiva la potenza. Lo sentiva forte in gola. Il padrone
del
palazzo sorrise, vedendo come il figlio gradisse e si sentisse
già meglio.
“Ancora,
Kydoimos. Bevine ancora”
lo incitò “Bravo”.
Lui non se
lo fece ripetere. Ad
ogni goccia sentiva aumentare in lui una sensazione d’estasi
mai provata prima.
L’intero suo corpo veniva avvolto da questa strana forza.
Dovette smettere di
succhiare il braccio del padre e ribaltare la testa
all’indietro, lanciando un
gemito per un piacere mai provato prima. Il Caos sorrise più
convinto e gli
accarezzò nuovamente la testa.
“Bravo
il mio ragazzo” gli disse
“Ora riposa. Vedrai che domai starai subito meglio”.
Kydoimos,
ancora agitato ed eccitato,
non sapeva come potesse essere possibile per lui dormire ma poi il
padre sfiorò
con le labbra la sua fronte e il figlio cadde addormentato.
“Sono
il nonno di Hypnos mica per
niente” commentò il padrone di casa, prima di
lasciare la stanza.
Fuori,
trovò quasi l’intera casa
in apprensione. Dopo aver rassicurato tutti, decise che era giunto il
momento
pure per lui di riposare. Si girò e vide Airis, leggermente
impaurita, che
fissava la camera di Kydoimos.
“Ha
bisogno di riposo. Veglialo
per me, stanotte” le disse il Caos e la fanciulla
annuì.
La mattina
seguente, il tavolo
della colazione attendeva l’arrivo di Kydoimos con un certo
nervosismo. Stava
davvero bene? Cosa gli era successo? Prima di lui, entrò
Airis, timidamente. Più
di qualcuno si chiedeva chi fosse e da dove fosse saltata fuori. Lei
non
parlava ed osservava tutto.
“Sembra
una bambina” commentò
Shuna “Fa tutto come se non l’avesse mai fatto
prima”.
Airis
fissò incuriosita i
commensali. Sentiva nell’aria un profumino delizioso.
“Siediti,
Airis” le ordinò
Kydoimos, arrivando alle sue spalle.
La voce
dell’uomo era leggermente
più profonda del solito. Per il resto, pareva stare bene. I
figli lo accolsero
con abbracci e baci. Lui rispose ai saluti, sorridendo. Diede un bacio
sulle
labbra a Shuna e Airis fissò la scena con attenzione.
Seguì i movimenti
dell’uomo, che sedette e si versò il
caffè.
“Ci
vuole una stanza per la
nostra nuova ospite” disse.
“Certo.
Stanze ce ne sono. Gliela
mostrerò dopo” annuì Lienn
“Ma chi è?”.
“Si
chiama Airis. E rimarrà qui”.
“Questo
lo avevo capito. Mi
chiedevo chi fosse e da dove venisse”.
“Ogni
cosa a suo tempo. Quando
sei arrivata, mica ti assillavo tanto”.
Kydoimos si
rialzò, risistemando
il suo posto. Airis lo seguì, copiandone ogni mossa.
“No!”
la rimproverò lui
“Insomma…non sai fare qualcosa senza fissarmi?
Coraggio, fai quello che ti va.
Vai!”.
La donna
rimase per qualche
istante sconcertata. Parve smarrita ma poi si girò verso gli
altri, ancora
seduti.
“Ciao”
li salutò e tutti le
risposero.
Kydoimos li
lasciò chiacchierare
ed uscì sul corridoio.
“Fratellino…”
mormorò Erebo,
incrociandolo “Stai fluttuando”.
Kydoimos
subito ridiscese e si
toccò la testa, provando una sensazione di fastidio.
“È
normale” lo rassicurò il
maggiore “Sono le conseguenze del sangue di papà.
È come un dopo sbronza.
Passerà presto, vedrai”.
“Lo
spero. Ogni parola mi
rimbalza nel cranio”.
“Niente
di grave” ridacchiò Erebo
e poi inclinò la testa.
In fondo al
corridoio vedeva il
padre, Caos, con a fianco uno straniero. Un ospite? O un seccatore?
“Da
questa parte” parlò il
padrone di casa, indicando il corridoio.
Caos e
straniero, avvolto in un
pesante mantello, camminarono vicini.
“Che
sollievo vedervi!” parlò
l’ospite, rivolto a Kydoimos.
“Saga?”
domandò l’interessato,
riconoscendone la voce.
“Sono
io” annuì l’uomo, togliendo
il mantello che ne copriva il viso “E sono davvero felice di
vedervi in piedi.
Mi sono preoccupato molto alla spiaggia”.
“Non
era necessario. La mia vita
non vi riguarda”.
“Può
essere. Ma voglio essere
considerato un amico, come amici io considero voi. E quindi mi
preoccupo”.
“Sto
bene”.
“Ho
chiesto il permesso al
padrone di questa casa per potervi porgere di persona le condoglianze
per il
lutto”.
“A
quanto pare i pettegolezzi
volano”.
“Sono
stato io a parlargliene” interruppe
il Caos “E mi sembra un gesto gentile da parte sua”.
Kydoimos
sospirò. È vero, non
aveva motivo di essere così severo e sarcastico.
Nàgiri raggiunse il padre. Lo
prese per mano e fissò Saga con sospetto.
“Punirete
Ahriman, vero?”
domandò.
“Perché?”
domandò Saga, piuttosto
perplesso.
“Perché
è stato lui ad uccidere
la mia mamma ed i miei fratelli, facendo ammalare la mia
sorellina”.
“Nàgiri!”
lo zittì il padre
“Quante volte dovrai ancora tirare fuori questa
storia?”.
“Gli
parlerò” rispose invece Saga
“Cercherò in ogni modo di scoprire la
verità. So che cosa significa perdere una
persona a te molto vicina”.
“Anche
tu hai perso la mamma?”
mormorò Nàgiri.
“No.
Io la mia mamma non l’ho mai
conosciuta. Sono un orfano. Però ho perso una persona a cui
volevo molto bene,
un uomo che ho considerato mio fratello e anche di più. So
cosa si prova e so
quel che si desidera. Perciò, ti prego di ascoltarmi,
giovane Nàgiri. So che
ora provi rabbia e sconforto. Vorresti vendetta. Ma non è
questa la via. Il
sangue porta ad altro sangue”.
“Voi
divinità vi ammazzate sempre
fra voi”.
“Lo
so. Sto cercando di fare in
modo che questo non accada più. E, a questo proposito,
chiedo perdono a coloro
che dimorano in questa casa per aver sigillato Gaia. So di aver
arrecato molto
dolore e mi dispiace”.
Il Caos si
stupì nell’udire
quelle parole. Osservò Saga, mentre questi chinava il capo.
“E
io chiedo perdono per quel che
è successo ad Arles” parlò il padrone
di casa, dopo qualche istante “So che
quanto è accaduto sta ancora portando tristezza in molte
persone”.
“In
realtà…” quasi sorrise Saga
“…sono in pochi quelli che rimpiangono Arles. A me
manca, e molto, ma in molti
hanno fin troppo in mente il male che ha commesso”.
“Tutti
commettono degli errori.
Non è giusto condannarlo adesso!”.
Saga
sospirò. Sorrise a Nàgiri,
con quel suo sguardo malinconico sul viso, e si disse che forse era
tempo di
andare.
“Spero
di rivederti presto al
grande tempio” salutò.
“Non
accadrà tanto presto”
rispose Kydoimos “Mi spiace, ma per un po’
vorrò i miei figli sempre accanto a
me. Almeno fino a quando non si capirà quanto
successo”.
“Comprendo
perfettamente. Se
qualcuno mi portasse via la mia bambina, non mi darei pace fino al
sopraggiungere della verità. Spero che troviate presto le
vostre risposte”.
“Come
sempre le vostre parole
sono sagge, Atena” annuì Kydoimos.
“Dicono
sia la divinità
dell’intelletto, oltre che della guerra. Ma non ne sono molto
sicuro”.
Saga si
congedò. Nàgiri rifletté
sulle parole che gli erano state rivolte. Dicevano che le cose
accadevano
sempre per un motivo. Tutti quei morti per consolidare
un’alleanza? No,
impossibile.
“Ma
che volete da me?” sbottò
Thanatos, sull’uscio di casa.
“Solo
che ci porti da loro”
insistette Nyx.
Il Dio della
morte sospirò.
Davanti a sé aveva, oltre che alla madre, Kydoimos ed il
Caos.
“Posso
portare te ed il Caos”
riprese il Dio.
“Ma
Kydoimos ha il diritto di
salutare i suoi figli e le sue donne!” insistette Nyx.
“Mamma…”
riprese Thanatos, con
calma “…lui è un mortale. Non
è un Dio come noi. Non posso portarlo a spasso
per l’oltretomba a mostrargli parenti deceduti. Perderebbe
l’anima e
morirebbe”.
“E
non c’è nulla che tu possa
fare?”.
“No.
Se non dirvi che le anime
dei vostri cari sono state messe in un gran bel posto, vicino a Hypnos.
Lì si
godranno i fiori, il sole, la musica e tutto il resto. Stanno meglio di
me,
credetemi”.
“Puoi
portare loro un messaggio
da parte mia?” domandò Kydoimos.
“Che
noiosi che siete! E va bene,
lo posso fare. Ma qualcosa di breve e conciso, che ho da
fare”.
“Dì
semplicemente loro che gli
voglio bene, gliene vorrò sempre e che mi aspettino,
perché li raggiungerò”.
“Riferirò.
Ora scusatemi…”.
Il Dio fece
per rientrare ma Nyx
lo fermò. Lo guardò negli occhi, con velato
rimprovero.
“Chi
ti ha ordinato di portar via
quelle vite dal nostro palazzo?” domandò la Dea.
“Non
te lo posso dire”.
“Tu
me lo DEVI dire! Sono tua
madre!”.
“Non
posso. Non posso e basta!
Smettetela di starmi tutti addosso”.
“Noi
vogliamo solo la verità”.
“La
verità? Fa schifo la verità.
Godetevi la vita così com’è. Prima o
poi tutto si scoprirà ma nel frattempo
gradirei non essere infastidito”.
“Dei
bambini sono morti!”.
“Dei
bambini muoiono ogni giorno,
madre. Ogni giorno. E indovina chi è che li uccide. Non
è una cosa che mi piace
fare ma è una cosa che devo fare. Prendetevela con chi ha
stabilito il cammino
di quei piccoli”.
“E
tu non puoi fare a meno di
eseguire certi ordini?”.
“No,
e tu lo sai. Lasciatemi in
pace”.
“Dacci
almeno un indizio”.
“Non
insistete!”.
Thanatos
tentava di rientrare
nella sua dimora, nonostante l’insistenza della madre.
Spalancò la porta e
l’anima incompleta sobbalzò. Kydoimos la vide ed i
loro sguardi si
incrociarono. L’unico occhio dell’anima si
spalancò e sorrise. Kydoimos non
fece lo stesso. Si portò la mano alla testa, toccandosi il
lato un tempo rosa
carne. Bruciava. E molte immagini gli vorticavano davanti agli occhi.
Volti,
nomi, ricordi.
“Kydoimos!”
si allarmò il Caos.
“Ti
consiglio di portarlo via al
più presto da qui” parlò Thanatos
“O la sua forza vitale scorrerà via come il fiume
su cui ti traghetta Caronte una volta trapassato”.
“Immagine
poetica” storse il naso
il Caos, mentre il Dio della morte rientrava in casa, chiudendosi la
porta alle
spalle.
“Puoi
assicurarmi che tu non hai
nulla a che fare con questa faccenda?” parlò Saga,
serio.
“Mi
hai fatto venire fin qui per
chiedermi questo?” storse il naso Ahriman.
“Sì,
l’ho fatto. Voglio sapere la
verità”.
“Io
ero qua a cena con te, te lo
ricordi? Come potevo essere al palazzo nero ad uccidere dei
marmocchi?”.
“Bambini
innocenti, non
marmocchi”.
“Fa
lo stesso”.
“Eri
qui, è vero. Però puoi aver
mandato qualcuno”.
“E
chi?”.
“Cosa
ne so io?! Lo sto chiedendo
a te!”.
“Non
ti fidi?”.
“Non
mi fido di nessuno. Se, in
quel palazzo, morte e malattia non erano mai entrati, vuol dire che
qualcuno ce
li ha portati e cerco di capire chi”.
“Io
non ammazzo bambini. Sono
pure un bastardo che si comporta in pessimi modi in molte circostanze
ma io non
ammazzo bambini”.
La voce di
Ahriman pareva
sincera. Saga sospirò. Fissò il suo scettro, come
in cerca di risposte. Se il
Dio del Cielo era innocente, allora chi poteva avere un potere tale da
agire in
quel modo?
“Mi
dispiace di aver dubitato di
te, nipote” parlò.
“Era
normale che lo facessi”.
Saga
allungò la mano verso
Ahriman, in segno di pace. Il Dio del cielo la fissò
perplesso per qualche
istante. Poi sorrise e la strinse. Pace. Anche se probabilmente avevano
piena
intenzione di controllarsi a vicenda.
“State
meglio?” domandò Airis,
avvicinandosi al letto di Kydoimos.
“Sì,
ho solo mal di testa” rispose
lui.
Lei sedette
sul materasso e lo
guardò. L’uomo si mise seduto a sua volta. Si
fissarono in silenzio. Lui
sospirò. Lei gli si avvicinò e lo
baciò dolcemente sulle labbra. Kydoimos la
fissò con aria interrogativa.
“Ho
visto che avete salutato così
Shuna” rispose lei “E volevo anch’io
provare. Avete un buon sapore”.
“Grazie,
Airis. Tu hai il sapore
dell’acqua del mare”.
“Ed
è un bene?”.
“Sì,
è buono”.
Lui le diede
un altro bacio,
questa volta più lungo e convinto. Lei lo strinse forte.
“Signor
Kydoimos…” mormorò piano.
“Non
essere troppo riverente con
me, mia cara”.