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Autore: SagaFrirry    01/03/2015    1 recensioni
Seguito di un'altra storia pubblicata in precedenza (Risveglio). Sono passati degli anni e molte cose sono cambiate al santuario. Questa volta i cavalieri si ritroveranno faccia a faccia con l'origine di ogni cosa: il Caos. come si rapporteranno con la sua progenie? e quante volte può morire un cavaliere?
chiedo perdono per i risvolti deprimenti. io sono una persona fondamentalmente depressa ;)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Thanatos, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Risveglio'
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NUOVE VESTIGIA

 

Il santuario era in festa. Dopo tanto tempo, si consegnava un’armatura d’oro. Arles II, fiero ed un pochino in ansia, attendeva quel giorno da anni. Era cresciuto ormai, aveva quasi sedici anni, e per metà di questi aveva avuto pieno diritto di indossare le vestigia. Il padre Deathmask, però, fino all’ultimo aveva resistito. Poi si era accorto che gli anni passavano e che era meglio affidare il suo compito ad un giovane. Era tra il pubblico, in abiti civili, ed osservava la moglie Ariadne. Non era invecchiata di un solo giorno. Lui, invece, iniziava a mostrare i segni del tempo con piccole rughe e qualche capello bianco. Guardò in su, in cima alla balconata dell’anfiteatro dove si svolgeva la cerimonia. Lì stavano Saga ed Aiolos. Il gran sacerdote, esattamente come Deathmask, era invecchiato mentre invece Saga, per merito del sangue divino, era immutato. Con lo scettro di Athena fra le mani, sorrideva ai presenti.

“Manca Aphrodite” parlò Saga, rivolto ad Aiolos.

“L’ho notato” ammise il gran sacerdote “Devo andare a farlo chiamare?”.

“No, non è necessario. Non è obbligatoria la sua presenza”.

Aiolos annuì. Guardò l’anfiteatro, notando fra la folla anche Kanon, Shura e Mur. Avanzò di qualche passo, alzando un braccio per indicare che era tempo di fare silenzio.

“Ti sei dimostrato all’altezza, Arles, figlio di Deathmask del Cancro e Ariadne dei Gemelli” disse “Sei pronto a giurare fedeltà alla Dea Athena e ricevere le sacre vestigia?”.

“Sono pronto” rispose Arles II.

“Bene. Procedi”.

“Io giuro fedeltà alla Dea Athena ed al suo sacerdote e giuro di servire il grande tempio, proteggendo la quarta casa da ogni pericolo e obbedendo ad ogni ordine che mi sia impartito per il bene del Mondo”.

“Ricevi questa sacra armatura, giovane cavaliere. Indossala con onore e con rispetto, in nome di Athena”.

“In nome di Athena” ripeté il neo cavaliere, mentre Saga, con un gesto dello scettro, faceva comparire lo scrigno d’oro con le vestigia dinnanzi al ragazzo.

Arles II sorrise. Finalmente quelle vesti erano sue. Le aveva sognate tanto a lungo. Sfiorò, quasi intimorito, lo scrigno e dall’anfiteatro si levò un applauso.

 

Nàgiri era chino su un libro ma non lo stava leggendo. Era distratto e fingeva di studiare per non essere disturbato. Sua sorella Neikos lo capì subito e gli si parò davanti.

“A che pensi?” domandò.

“A niente, sparisci”.

Lei si voltò, tentando di capire dove stesse guardando il fratello. Stava fissando Kydoimos e Airis, che insieme passeggiavano per il corridoio.

“Hai notato che, da quella volta, non sono nati più bambini?” commentò Nàgiri.

“Sì” ammise la sorella “Dicono che anche papà sia vittima della maledizione che colpisce tutti i figli del Caos e che quindi non possa più avere figli”.

“Non è giusto, però. Lui non è veramente figlio del Caos”.

“Lo so”.

“Ma siamo rimasti così in pochi. Solo Shuna e Lienn non hanno lasciato questa casa. Le altre mamme se ne sono andate con i nostri fratelli. È triste”.

“Sono passati degli anni, ancora non lo accetti?”.

Nàgiri scosse la testa.

“Sai a me, invece, cosa rende triste?” riprese lei.

“Cosa?”.

“Il fatto che, non potendo uscire da qui, io e te non conosceremo mai l’amore”.

“Papà ci vuole molte bene”.

“Non metto in dubbio questo. Intendo l’amore fra coetanei. I baci, i sospiri…il sesso…”.

Nàgiri fissò la sorella. Non si aspettava da lei discorsi simili. Era cresciuta, era bella, ma fin ora l’aveva vista sempre e solo come una bambina.

“E questo chi lo ha stabilito?” domandò lui.

“Che intendi?”.

“Qui è pieno di fratelli sposati. Pare sia la prassi, fra le divinità”.

“Ma noi non siamo divinità”.

“E non ti andrebbe di fingere di essere tale?”.

Neikos arrossì. Invidiava le mogli di suo padre e tutte le altre donne del palazzo. Le sue sorelline ancora non potevano comprenderlo ma lei, ormai più che adolescente, bruciava quasi di rabbia. Il fratello si alzò e si stiracchiò, deciso a lasciare la sorella nel suo silenzio. Si recò nella sua stanza ma, dopo qualche istante, Neikos vi entrò. Nel buio, si avvicinò al fratello. Sedettero entrambi sul letto.

“Dicevi sul serio, prima?” domandò lei.

“Certo”.

“Ameresti tua sorella?”.

“Qui quasi tutti amano la propria sorella. Qualcuno persino la propria madre”.

“E tu…ameresti…me?”.

“Io…se tu…”.

Ora il ragazzo era decisamente in imbarazzo. Non sapeva bene che rispondere però voleva molto bene a quella che poteva considerare la sua gemella. Forse, era destino che lui la amasse, non solo che le volesse bene. La guardò. I lunghi capelli le incorniciavano bene il viso e i suoi grandi occhi brillavano nonostante il buio. Era bella. Si passò una mano fra i lunghi capelli verdi e le sorrise. Prese un profondo respiro e poi le si avvicinò, dandole un bacio.

“E se scoprono che siamo qui?” domandò lei, un po’ intimorita.

“Non lo scopriranno. E, se accade, non hanno alcun motivo di punirci”.

Neikos non pareva convinta e quindi Nàgiri si allontanò.

“Se non te la senti, meglio vivere come sempre. Come fratelli” le disse.

“Non mi piace come viviamo sempre. Voglio di più”.

“Allora decidi tu quando. Appena te la senti”.

Lei rimase in silenzio, qualche istante. Sfiorò la mano del fratello e poi la strinse.

“Rimarresti accanto a me per sempre?” chiese.

“Te lo prometto. Ti proteggerò e ti starò accanto sempre” confermò Nàgiri.

“Allora non devo provare alcun timore”.

Fu lei ad avvicinarsi ed a baciarlo, stavolta. Lui la strinse forte a sé e la stese sul letto.

“Ma tu…” ridacchiò lei “…lo sai come si fanno queste cose?”.

“Non molto” ammise lui “E tu?”.

“Nemmeno. Però una volta ho visto Erebo e Nyx”.

“A me papà ha sempre fatto discorsi vaghi al riguardo. Ma ho letto certe cose”.

“Intanto baciami. È una bella sensazione, no?”.

Lui annuì e riprese a baciarla. Era strano, quasi assurdo, ma bellissimo. Sentirla fra le sue braccia gli piaceva. Forse era destino che, come tante divinità, loro due fossero fatti per stare assieme. Sentiva lo strusciare dei loro abiti, le cui stoffe sfregavano fra loro. Lasciò che l’istinto lo guidasse e risalì con la mano lungo le gambe di lei. Slacciò i nastri che si intrecciavano davanti al seno della sorella e ne tenevano chiusa la veste.

“Sei bellissima, Neikos” le sussurrò.

Lei sorrise, dandogli un altro bacio.

“Posso spogliarti?” domandò ancora lui.

“Solo se ti spogli anche tu” annuì lei.

Nudi, lasciarono scorrere naturalmente gli eventi. Gemettero di piacere, uniti in un solo corpo, abbracciandosi forte.

“Ti amo, Neikos” disse lui.

“Ti amo, Nàgiri”.

E, giungendo all’orgasmo, si promisero fedeltà eterna.

 

“Aiolos” chiamò Saga, una volta rientrato nella sua dimora.

“Sì?” domandò lui, inchinandosi leggermente.

“Hai visto Aphrodite, tornando qui?”.

“No. Non l’ho visto. Però ho percepito qualcosa”.

“Credi sia nascosto in casa?”.

“Può essere. Non saprei dire”.

Saga allora decise di raggiungere la dodicesima casa. Era un po’ preoccupato. Aphrodite adorava le cerimonie di investitura, le trovava divertenti ed un motivo per festeggiare.

“Vieni con me?” domandò ad Aiolos.

Il gran sacerdote annuì e seguì il suo signore lungo la scalinata di rose rosse, che lasciarono passare i due senza problemi, creando un sentiero. Per Saga il profumo di quelle rose non provocava alcun danno ma per Aiolos poteva essere fatale. Assieme giunsero alla dodicesima. Si percepiva una presenza, ma non erano sicuri che fosse il cavaliere dei pesci.

“Anche voi qui?” si sentirono chiedere.

“Deathmask?” si stupì Saga.

“Cosa ci fate qui, ragazzi?” riprese l’ormai pensionato cavaliere del cancro.

“Cerchiamo Aphrodite. E tu?”.

“Idem. Mi sono chiesto il perché della sua assenza alla cerimonia. A lui piacciono queste cose”.

“E allora dov’è?”.

Girarono per la dodicesima, chiamando il cavaliere senza però ricevere risposta. Si divisero e poi Saga gridò il nome di Aphrodite, con tono spaventato. Gli altri due cavalieri lo raggiunsero. Il cavalieri dei pesci era steso in terra, senza armatura. I tre capirono subito che Aphrodite era senza vita forse da giorni. Rimaneva comunque bellissimo, anche se mortalmente pallido.

“Chi ti ha fatto questo?” disse Deathmask, non aspettandosi risposta.

“È stata colpa mia” invece si sentì dire.

Nel buio, una voce di donna. Saga si avvicinò. Una figura stava rannicchiata contro il muro e piangeva.

“Perché dici che è stata colpa tua?” le domandò la reincarnazione di Athena.

La ragazza puntò il dito indice, che mostrava una piccola ferita. Saga capì. Quella giovane aveva affrontato il rituale del legame di sangue, quello che doveva affrontare ogni cavaliere dei pesci per divenire tale. Il veleno del sangue del maestro, lentamente si trasferisce all’allievo fino a quando l’allievo non supera il maestro e finisce con l’ucciderlo. Quella ragazza doveva essere la nuova rappresentante del segno dei pesci.

“Vieni, mostrati” la invitò Saga.

“L’ho ucciso io” pianse lei “Ho fatto morire il mio maestro”.

“Fa parte del rituale. Per tutti i pesci è così”.

“Sono un’assassina”.

“Lo siamo tutti” sdrammatizzò Deathmask.

La ragazza si alzò e si mostrò. Era bella da mozzare il fiato. I suoi occhi argento brillavano come stelle e i lunghi capelli parevano fuoco. I tre la guardarono, non sapendo cosa dire.

“Per la spada di Ares!” esclamò qualcuno.

Arles II, che era lì per controllare dove fosse il padre, era rimasto fulminato da quella visione. Scansando i tre “vecchi”, salutò la fanciulla con un elegante baciamano.

“Ciao, bellissima” le sorrise “Sono Arles, cavaliere del cancro. E tu?”.

“Non toccarmi” rispose lei “Perché è rischioso. Ho nel sangue il veleno dei pesci”.

“Non mi ha mai creato alcun problema. E hai un nome?”.

“Tania”.

“Tania? Piacere di conoscerti”.

Lei sorrise, vedendo lui inchinarsi.

“Sangue italiano” commentò Deathmask.

Arles II e Tania parevano avere la stessa età. Saga li fissò. La nuova generazione finalmente iniziava mostrarsi e, per un istante, provò quasi sollievo.

 

“Tartaros” chiamò Nàgiri “Ti posso parlare?”.

Tartaros si stupì di quella domanda. Non parlava quasi mai con i giovani della casa perché, con le sue dimensioni, incuteva un certo timore.

“Cosa c’è, ragazzo?”.

“Ho provato a chiedere a tanti a palazzo, ma nessuno ha saputo dirmi molto. Magari tu puoi aiutarmi”.

“Parla”.

“Cosa sai su mio padre?”.

“Su Kydoimos?”.

“Sì. Cosa sai sul suo passato? Chi era prima di venire qui?”.

“Perché non lo chiedi a lui?”.

“Non mi da risposte chiare”.

Tartaros rimase in silenzio. Guardò Nàgiri e gli mise una mano sulla spalla.

“Ragazzo…” iniziò “…molti di coloro che sono qui non hanno avuto un bel passato. Probabilmente non vuole ricordare o raccontare ciò che è stato. Capisci?”.

“Capisco”.

“Se un giorno vorrà, ti racconterà ogni cosa, ma non è detto che questo accada”.

“Ma non sai da dove l’ha raccattato il Caos?”.

“Non è un bel termine quello che hai usato e comunque io non so nulla a riguardo. So che lo ha portato qui dopo una battaglia. Chiedilo a lui”.

“Ne andrebbe a parlare a mio padre”.

“E qual è il problema? Perché ti interessa sapere del passato di tuo padre?”.

“Perché sono abbastanza grande per sapere la verità, no?”.

“Non siamo mai abbastanza grandi per certe cose, Nàgiri”.

 

"Come ho potuto non accorgermene, amico mio?” parlava Saga, camminando solo per la sua dimora “Una vita passata insieme e non un solo sospetto. Crescere assieme e non conoscersi. Che pessima persona sono, ma questo lo sapevo già. Ora so di essere stato perfino un pessimo amico. Ti chiedo perdono, come ho chiesto perdono a tanti. Ma che senso ha? Le anime morte non possono perdonarti. E più passano i giorni e più osservare quella daga d'oro diventa un'ossessione. La voglia di piantarmela in gola, esprimendo il desiderio di ritrovarvi, è forte. Ti rivedrei, fratello? E tu mi sorrideresti ancora, amico mio? Perché mi abbandonate tutti? Perché qui resto solo io?".

Pensava ad Aphrodite, non riuscendo a capacitarsi di non essersi accorto della decisione dell’amico. Il rituale richiedeva anni prima di concludersi. Come aveva potuto essere così concentrato su se stesso da non vedere il cavaliere stare male e lentamente spegnersi? Con una lacrima che gli scorreva sul viso, camminò per raggiungere il piccolo armadio dove teneva gli alcolici. Si riempì il bicchiere e bevve un lungo sorso. Per un attimo si sentì meglio ma poi fu colto da un improvviso malessere. Si premette la fronte. Il bicchiere cadde in terra, andando in frantumi e Saga svenne.

 

Kydoimos se ne stava tranquillo nella vasca. Stava steso e si rilassava, immerso nell’acqua calda. Muovendo lentamente le braccia, si beava del rumore lieve che produceva. Poi l’orecchio a sinistra, quello a punta, percepì qualcosa. Qualcuno era entrato nella stanza. Erebo raggiunse il bordo della vasca e rimase a fissarlo.

“Vedi qualcosa che ti piace?” ridacchiò Kydoimos.

“Vorrei parlarti e questo è l’unico luogo dove sei solo”.

“Già. Chissà perché” sbottò sarcastico.

“Volevo solo farti notare che i tuoi figli crescono, Kydoimos”.

“Questo lo vedo da me”.

“E cosa pensi di fare?”.

“A che proposito?”.

“Non lo immagini?”.

“No”.

“Stanno crescendo. Dovrebbero conoscere delle persone diverse dai parenti, magari di sesso opposto”.

“E perché?”.

“Vuoi che si sposino fra loro?”.

“Tu hai sposato tua sorella!”.

“Eravamo in pochi al mondo. Amo Nyx, tantissimo, ma forse quei giovani meritano di esplorare. Se poi è destino che stiano fra loro, allora andrà così”.

Kydoimos non parlò subito, capendo che probabilmente Erebo aveva ragione. Immerse parte del viso in acqua. Non voleva che i suoi piccoli si allontanassero. Erano rimasti in pochi, solo in sette. Ne aveva avuti oltre quaranta, ma così pochi erano ancora in vita ed accanto a lui!

“So che è difficile per te” parlò Erebo e ancora non ricevette risposta.

Il Dio sospirò e si alzò. Era inutile parlarne.

“Posso solo chiedere perché ora tieni il ciuffo davanti all’occhio destro?” parlò.

“Perché tanto sono del tutto cieco da quell’occhio” rispose, calmo, Kydoimos.

“Capisco”.

Erebo fissò il fratello minore, che nella vasca pareva quasi immerso nei lunghissimi capelli. Era meglio lasciarlo da solo.

 

Aiolos, seduto sul trono della tredicesima, sospirò. Sapeva che Saga era solo. La moglie e la figlia erano al tempio di Hestia per qualche giorno perché la madre desiderava far conoscere alla sue erede anche quella realtà. Forse doveva dargli una controllata. Scostò la tenda e salì i pochi scalini che lo dividevano dalle stanze della reincarnazione di Athena e la sua famiglia.

“Saga” lo chiamò “Sei già a letto?”.

Scostando l’ennesima tenda, vide Saga a terra. Era pallido. Lo fece rinvenire.

“Sto bene” gli disse Saga, alzandosi a sedere e tentando di rialzarsi.

Non ci riuscì, colpito da un altro capogiro. Aiolos lo sorresse e lo accompagnò a letto.

“Che ti succede?” domandò, preoccupato, il gran sacerdote.

“Niente. Sarà la stanchezza”.

“Tieni, bevi” offrì Aiolos, notando gli occhi rossi dell’amico.

Entrambi avevano sicuramente pianto per Aphrodite.

“Devo solo riposare un po’. È stata una giornata impegnativa” mormorò Saga.

“Sei sicuro?”.

“Sì. È da un po’ che…”.

“Un po’? Chiamo Hermes”.

“No, non serve”.

“Adesso chiamo Hermes, Dio della medicina”.

“No, non voglio far preoccupare qualcuno”.

“Gli ordinerò massima discrezione. Ma lo chiamo, perché voglio vederti stare bene, ok?”.

Saga non disse nulla. Si stese sul letto, cercando di rilassarsi. Però non riusciva a dormire. Aiolos si allontanò e tornò dopo meno di mezz’ora con Hermes.

“Nessuno sa che è qui, sei contento?” disse il gran sacerdote.

“Grazie” sorrise debolmente Saga.

“Ora vi lascio per la visita”.

“Puoi restare. Non c’è niente che ti voglia nascondere”.

“Ma ti lascio la tua privaci. E poi vado a letto. Sono un po’ stanco”.

Dopo essersi dati la buonanotte, i due si separarono e Hermes iniziò la sua visita. Osservò attentamente gli occhi del paziente, chiedendone i sintomi. Ascoltò il battito e tastò alcuni punti.

“Da quanto tempo ti capita di provare capogiri, mal di testa e mancanza di respiro?”.

“Non lo so” ammise Saga “Ogni tanto mi capita”.

“Ultimamente hai notato che capita più spesso?”.

“Sì e faccio sempre più fatica a dormire. Sono sempre stanco ma non dormo perché ho sempre male da qualche parte”.

Lo sguardo di Hermes si fece serio. Respirò a fondo, passandosi una mano dietro al collo.

“È una cosa per cui non ti posso aiutare” disse “Qualcosa in te non va. Qualcosa di grave. Qualcosa che non ho mai riscontrato prima. E purtroppo pare progressivo. Nonostante tu sia una divinità”.

“È solo un po’ di stanchezza. Dammi qualcosa per dormire, vedrai che poi starò meglio”.

“C’è qualcosa nel tuo sangue. Qualcosa di nero, oscuro, che ti sta consumando. E uccidendo”.

“Uccidendo?”.

“Sì. Non so fra quanto. Ma pian piano ti spegnerai”.

Saga riappoggiò il capo sul cuscino, in silenzio.

“Farà male?” domandò.

“Probabilmente sì. Segui il mio consiglio: parlane con chi ami, perché ogni momento sarà prezioso. Potrebbero volerci vent’anni come pochi mesi”.

“Capisco”.

“Mi dispiace”.

“Non dispiacerti. È scritto nelle stelle”.

“Ti lascio qualcosa per riposare. Allevierà il dolore, quando avrai qualche crisi”.

“Grazie”.

Saga non aveva voglia di dire altro. Girò la testa, evitando lo sguardo del Dio, che fece un piccolo inchino di congedo e si allontanò.

“Hei” lo fermò Saga “So che sei anche il Dio dei ladri. Non portarmi via nulla” e ridacchiò.

“Non lo farò. E buona fortuna. Pregherò per te, Athena”.

“Le preghiere non servono. Il mondo non gira con le preghiere”.

“Ma a volte scaldano il cuore”.

“Può essere”.

Hermes se ne andò e Saga rimase al buio, da solo. Decise che non avrebbe detto nulla, fin quanto possibile, sulla sua condizione. C’erano cose più importanti a cui pensare. Quasi sorrise. Forse morire era la cosa migliore che potesse fare.

 

“Benvenuto, Aphrodite” fece un inchino Thanatos.

“Ciao” salutò il cavaliere dei pesci.

Sorrise, felice. Aveva finalmente trovato la pace. Poteva riposare per sempre nei campi elisi.

   
 
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