XI
RITROVARSI
Nàgiri
sorrise. Nonostante
fossero passati molti anni, ormai lui ne aveva più di venti,
il Grande Tempio
non era cambiato. Camminò sicuro lungo il sentiero che lo
portava alla prima
casa. Una bambina fermò il suo avanzare, parandosi davanti
all’intruso con le
braccia spalancate.
“Non
puoi andare oltre!” parlò la
piccola.
“Ah,
no?” ridacchiò Nàgiri,
scansandola con due dita.
“No!”
instette lei,
teletrasportandosi e bloccandogli di nuovo la strada.
“Ma
tu chi sei?” si irritò lui.
“Mi
chiamo Inlil, e tu non puoi
proseguire”.
“Altrimenti
cosa mi fai?”.
“Ti
faccio molto male!”.
“E
come?”.
La bambina
si concentrò, tentando
di mostrare i suoi poteri psichici. Nàgiri notò
le sopracciglia tonde di lei e
intuì che, probabilmente, era una piccola lemuriana.
“Sei
la sorellina di Kiki?”
chiese e lei spalancò gli occhi, stupita.
“Ma
no!” scosse la testa
“Stupido! Il grande Kiki è mio
papà!”.
“Oh”.
Ora era
Nàgiri ad essere stupito
ma non lo restò a lungo. Facendosi due conti in testa, si
rese conto che Kiki
doveva aver superato i trent’anni da un po’.
“Che
problemi ci sono, Inlil?”
chiamò Kiki, apparendo alla soglia della prima casa.
“C’è
un intruso” rispose la
bambina.
“Sei
così scansafatiche che usi
tua figlia come sentinella, invece di fare il tuo lavoro?”
sorrise Nàgiri.
Il cavaliere
dell’Ariete,
piuttosto offeso da quelle parole, scese lungo la scalinata, deciso ad
affrontare lo straniero e farlo tacere.
“Hai
sconfinato” sibilò e Nàgiri
rise.
“Non
è mia intenzione dare
fastidio” parlò “Voglio solo salutare un
amico. Se vive ancora qui”.
“Chi
cerchi?”.
“Kiki!
Sono io! Non mi riconosci!
Sono quello che a calcio vinceva sempre”.
“Nàgiri?”.
“In
persona”.
Kiki
fissò il giovane e sorrise.
Quanto tempo era passato! E come era cambiato chi aveva di fronte!
“Puoi
passare, ragazzone. Ma
ricorda che ti tengo d’occhio” si scansò
il cavaliere dell’ariete.
“Grazie,
amico mio. Ed hai una
gran bella bambina, non ti somiglia per niente”.
“Sei
venuto su davvero
stronzetto, sai?”.
“Sempre
stato”.
Ridacchiando,
i due si congedarono
e Nàgiri riprese la sua salita.
Alla
casa del toro, nessuno lo fermò. Il suo guardiano doveva
essere altrove, come
spesso accadeva. Entrò alla terza casa con un po’
di timore, perché sapeva
quanto potevano essere bastardi i cavalieri dei gemelli. Ariadne lo
vide e non
lo riconobbe subito.
“Salve,
signora della terza casa”
salutò Nàgiri.
Non era
invecchiata di un solo
giorno, rimanendo bellissima e potente.
“Ci
conosciamo?” alzò un
sopracciglio lei.
“Sono
Nàgiri. Ma sono cambiato
così tanto?”.
“Vai
alla quarta casa, sono certo
che Arles sarà felice di rivederti”
annuì Ariadne.
Salì
ancora una fila di scale ed
entrò alla quarta casa. Come sempre, provò una
certa inquietudine
nell’entrarvi, fra anime smarrite e maschere mortuarie.
“Stai
facendo una gita?” sbottò
Arles II, spuntando serio da dietro una colonna, con uno sguardo
minaccioso sul
viso.
“Arles!
Sei tu! Ma
sei...diventato grosso!”.
“Sei
venuto qui per darmi del
ciccione, intruso?”.
“Non
sei ciccione. Sei grosso. Ne
hai fatto di allenamento. E che bene ti sta la scintillante armatura
del
cancro, amico mio”.
“Io
non sono tuo amico. Chi
sei?”.
“Sono
Nàgiri, cazzone”.
“Dici
sul serio?”.
I due si
fissarono per qualche
istante in silenzio e poi si misero a ridere.
“Che
bello rivederti!” sorrise
Arles II, tirandogli un piccolo pugno sulla spalla.
“Sei
cavaliere d’oro. Sono felice
per te. Ma…è forse successo qualcosa a tuo
padre?”.
“Sì.
È invecchiato ed è andato in
pensione anticipata. Ora si gode la vita”.
“Ah,
buon per lui”.
“Ed
a te come va? Tutto bene? Ho
saputo quello che è successo nella tua
famiglia…”.
“Son
passati tanti anni”.
“E
anche tu sei diventato grosso.
Hai delle spalle enormi. Vi fanno fare allenamento nel palazzo
nero?”.
“Sì,
per mia scelta”.
“Resti
per pranzo?”.
“Volentieri.
Però non qui, con
tutte queste facce che mi fissano”.
“Andiamo
da mia madre, che ha
anche più spazio. E conoscerai la mia ragazza”.
“La
tua ragazza?”.
“Tania,
la custode della
dodicesima casa, quella dei pesci”.
“Buon
per te”.
“Toccala,
e finisci appeso al
muro assieme a loro” indicò il muro Arles II,
ghignando.
“Ioria,
torna alla tua casa”
quasi ordinò Aiolos.
Il cavaliere
del leone stava al
tredicesimo tempio, al cospetto del fratello maggiore, a pugni chiusi.
Si era
accorto del graduale ritorno delle creature del Caos. La cosa al leone
non
piaceva.
“Saga
deve agire” protestò “Non
possiamo permettere che questi esseri girino liberamente per il
mondo”.
“Ti
hanno mai infastidito? O
fatto del male a qualcuno?” rispose Aiolos, sforzandosi di
restare calmo.
“No”.
“E
allora che problema c’è?”.
“Sono
un pericolo”.
“E
questo chi lo ha stabilito?”.
“Ma
è ovvio! Sono esseri
pericolosi”.
“Non
ci sono prove di questo”.
“Il
compito di Saga è tenere al
sicuro i deboli”.
“Credi
che Saga non sappia quel
che fa? Se fossero pericolosi, interverrebbe di certo”.
“Ti
ha fatto il lavaggio del
cervello”.
“E
tu lo hai lasciato a casa il
cervello, invece!”.
Ioria
ringhiò. Pretendeva di
parlare con Saga, di persona, ma il fratello maggiore glielo impediva.
Questo
perché il gran sacerdote rispettava un ordine. Ormai
impossibilitato a
nascondere a lungo il male che lo consumava, Saga aveva confessato alla
moglie,
alla figlia e ad Aiolos la verità. Aveva però
ordinato loro di non spargere la
voce. Non voleva che si sapesse in giro. L’attenzione non
doveva concentrarsi
su di lui ma su un futuro di pace. Con il viso però scavato
dal male, non
usciva mai dalla sua casa. Riposava e agiva tramite il suo fedele gran
sacerdote.
“Voglio
vederlo!” insistette
Ioria “Voglio verificare di persona che non sia di nuovo
uscito di testa!”.
“Non
è uscito di testa, fidati di
me”.
“Mi
fido di te. Ma…”.
“Se
ti fidi, torna alla tua casa.
Va dalla tua famiglia, fratello”.
“Ma…”.
“Smettila
di contraddirmi”.
“Ma
se ci fosse qualcosa che non
va…tu me lo diresti, vero?”.
“Se
qualcosa potesse farti del
male, sì. Te lo direi”.
Ioria non
era molto convinto ma
alla fine lasciò la tredicesima casa, senza aggiungere
altro. Aiolos sospirò.
Non amava mentire al fratello, ma era obbligato a farlo. E
fortunatamente fin
ora solo il leone aveva chiesto udienza diretta con Saga.
L’arrivo
di Tania alla casa di
gemini fece rimanere senza parole Nàgiri. Era una donna
bellissima. Salutò
l’amato Arles II tirandogli il codino e poi fissò
l’ospite con curiosità.
“Ciao”
salutò “Tu chi saresti?”.
Nàgiri
farfugliò qualcosa di poco
comprensibile e poi si presentò.
“Sedetevi
e mangiate” invitò
Ariadne, mentre anche Deathmask si aggiungeva alla compagnia.
Non chiese
chi fosse quel giovane
dai lunghi capelli verdi e sedette, affamato. In lui si notavano i
segni degli
anni passati, anche se in maniera lieve.
“Salute”
brindò Arles II “Agli
amici che non si dimenticano”.
“Agli
amici” risposero gli altri,
in coro.
“Hai
davvero una ragazza
bellissima” commentò Nàgiri.
“Lo
so. E tu? Che mi racconti?
Che combini?”.
“Sai
che vivo solo con le mie
sorelle…”.
“E
con ciò? Anche mio zio Ahriman
ci prova sempre con mia madre, vero mamma?”.
“Eh
sì” storse il naso Ariadne
“Ma poteva chiedere a mamma e papà
un’altra sorella da importunare, invece di
provarci con me che sono felicemente sposata”.
“Ahriman
ci prova con sua
sorella?”.
“Sì,
devi vedere come sbava. Però
non lo ammette”.
Nàgiri
non commentò oltre. Scosse
la testa con un sorriso e si dedicò la dolce.
“Non
devi mica sgridare in quel
modo tuo fratello” parlò Saga, quando Aiolos
entrò nelle sue stanze.
“Non
avevo altro modo per
allontanarlo. Obbedisco agli ordini”.
“Bravo.
C’è una domanda che
vorrei farti…”.
Saga aveva
preso la medicina che
Hermes gli preparava e ora se ne stava a letto. Sua moglie Hestia era
al proprio
tempio che pregava, cosa che il marito riteneva inutile. La figlia
Heiwa
riposava. La notte precedente aveva vegliato il padre, che aveva avuto
uno dei
suoi soliti attacchi. Aiolos si avvicinò la letto, scostando
le tende del
baldacchino.
“Che
mi volete chiedere?” disse,
parlando piano.
Il gran
sacerdote attese la
risposta, sapendo che Saga faceva molta fatica ormai a fare anche le
più
piccole cose. Erano anni che la malattia lo consumava ed ora pareva
allo
stremo. Non poteva più fingere di stare bene, come aveva
tentato sempre di
fare.
“Perché,
Aiolos, non ti sei
creato una famiglia?” domandò Saga.
“Io
ho una famiglia. Ho Ioria,
sua moglie, ed i loro figli”.
“Quella
non è la tua famiglia.
Intendo…perché non hai dei figli, una
donna…”.
“Non
ho mai provato il desiderio
di averne. Ho servito Athena fedelmente, cresciuto finché ho
potuto mio
fratello ed addestrato dei piccoli cavalieri”.
“E
ti sei preso cura delle mie
donne, da quando ho iniziato a stare male. Te ne sono grato”.
“Lo
faccio con piacere”.
“Continuerai
a farlo, vero? Anche
quando io…”.
“Fino
a quando non starai meglio.
Una volta guarito, non vi servirò”.
“Lo
sai che io non guarirò”.
“Tu
guarirai”.
“Aiolos…”.
“Tu
guarirai perché…non voglio
seppellire un altro di noi. Fa troppo male”.
“La
vita è fatta anche di questo.
Prima o poi finisce”.
“Ma
tu sei una divinità. Non puoi
morire”.
“Kayros,
Dio che scrive la sorte
di ogni uomo, ha deciso diversamente per me”.
“Non
lo trovo giusto”.
Saga
sorrise, socchiudendo gli
occhi.
“Che
è successo oggi al tempio?”
domandò, ad occhi chiusi.
“Pare
sia riapparso quel bambino
strano che una volta giocava qui”.
“Nàgiri?”.
“Sì”.
“Ottimo.
Sono felice. Spero tanto
che la pace torni fra la nostra gente”.
“La
formeremo insieme la pace.
Ora, però, dovete riposare”.
“Resta
qui ancora un po’. È
sempre così buio e confuso questo posto,
ultimamente”.
Aiolos
annuì. Il tempio, come
sempre, era soleggiato e luminoso. E la statua di Athena brillava al
sole.
Verso sera,
Nàgiri decise che
forse era meglio rientrare al palazzo nero. Aveva trascorso una
piacevole
giornata ma era tempo di tornare a casa. Si avviò lungo la
scalinata, con
l’intenzione di salutare Kiki. Uscì dalla casa dei
gemelli e si fermò. Ahriman
stava risalendo. Entrambi si fissarono, immobili.
“Ciao,
figlio del Caos” parlò
Ahriman, dopo qualche istante.
Nàgiri
non rispose. Serrò i
pugni, sforzandosi per rimanere calmo.
“Cosa
c’è?” domandò Ahriman
“Qualcosa non va?”.
“Lo
chiedi anche, divinità?”.
“Certo
che lo chiedo. Non mi
piace spiare la mente della gente mortale”.
“Io
non ho niente da dirti”.
“Allora
scansati, devo passare”.
“Devi
andare ad eccitarti
guardando tua sorella? Non hai giornaletti porno a casa tua?”.
Ahriman lo
fulminò con lo
sguardo. Come osava quell’essere rivolgergli simili parole?
“Io
posso farti molto male, lo
sai? Sciocco ibrido del palazzo nero”.
“Lo
so” annuì Nàgiri “Mi hai
già
fatto molto male. Per colpa tua, io ho perso mia madre e molti dei miei
fratelli e sorelle”.
“Anche
tu pensi questo?”.
“Ne
sono certo. Ho visto quando
infondevi quell’ombra nera su mia sorella”.
“Stronzate”.
“Per
anni ho desiderato solo
ucciderti con le mie mani”.
“Fallo.
Se usassi il mio potere,
moriresti in un sospiro”.
“Non
ho paura di te. Non ho
motivo di riverirti. Dove vivo io, non si vedono le stelle”.
“Questo
perché siete maledetti”.
“Non
mi sono maledetto da solo!”.
Nàgiri
lasciò perdere i buoni
propositi e tentò di colpire il Dio con un pugno. Ahriman
schivò facilmente e
rispose al colpo con due dita. Nàgiri gridò per
il dolore e ringhiò di rabbia. Riuscì
a rispondere al colpo, cogliendo il Dio di sorpresa. Ahriman si
stupì della
velocità di quel mortale. E trovò anormale la sua
forza. Retrocedette di
qualche passo. Nessuno degli altri presenti aveva il coraggio di
attaccare o di
intervenire. L’ira del Dio del cielo era temuta.
“Ti
ucciderò con le mie mani,
anatema” sibilò Ahriman.
“Ti
riempirò di botte come non ha
fatto mai nessuno!” promise Nàgiri.
“Che
succede?” si chiese Saga,
svegliandosi di botto.
Il chiasso
prodotto da Nàgiri ed
Ahriman era udibile anche dalla casa di Athena. Tentò di
alzarsi ma non ci
riuscì, ricadde sul cuscino.
“Tranquillo,
ci penso io” lo
calmò Aiolos.
Il gran
sacerdote uscì sul
piazzale con la grande statua della Dea, da cui si vedeva tutto il
grande
tempio.
“Silenzio!”
tuonò “Non disturbate
la pace di questo sacro luogo”.
Nàgiri
parve titubare qualche
istante ma Ahriman di certo non si faceva dare ordini da un semplice
mortale.
Lo colpì violentemente, mandandolo a terra. Il giovane non
si fece scoraggiare
e rispose subito, con un altro pugno ben assestato.
“Crepa,
signore dei
cirrocumuli!”.
“Torna
al tuo palazzo, scherzo
della natura!”.
Aiolos si
accigliò. Saga aveva
bisogno di riposo, non di schiamazzi per motivi futili.
Chiamò a sé il suo
arco. Sapeva come far cessare tutto!
Saga non
riusciva a vedere quel
che stava accadendo ma percepì il movimento
dell’arco di Aiolos. Gli gridò di
non usarlo, ma la sua voce non era più potente come un
tempo. Tentò
affannosamente di uscire dal letto. Dolorante, si trascinò
fino allo scettro di
Athena e tentò di uscire all’aperto.
Con la
freccia oro puntata verso
i due litiganti, Aiolos era pronto a scoccarla contro il mortale. La
divinità
non la voleva uccidere, perché utile, ma quella creatura del
Caos era
sicuramente la fonte dei guai. Aveva ragione Ioria. Tese
l’arco e prese la
mira.
“Fermo!”
ansimò Saga, camminando
sorreggendosi con lo scettro.
“Saga!
Cosa fai in piedi?” si
allarmò Aiolos.
“Non
preoccuparti per me.
Obbedisci al mio ordine. Deponi quell’arco”.
Ora la voce
di Saga era
accompagnata da quella di Athena e si udivano entrambe, forti. Aiolos
obbedì.
Osservò l’amico avvicinarsi e guardare
giù, verso i litiganti. Percepiva il suo
respiro affannoso ma non riuscì a dirgli
null’altro, se non chinare il capo
mentre Saga splendeva di luce sempre più viva.
“Athena”
mormorò più di qualcuno,
notando quella creatura luminosa come una stella.
Saga
sollevò lo scettro. Grazie
alla luce candida che lo avvolgeva, nessuno notava il suo viso stanco e
la
smorfia di dolore che accompagnò quel semplice gesto. Era
sceso il silenzio al
santuario. Si udivano solo le grida dei due litiganti. Lo scettro
vibrò ed un
fascio oro partì da esso, andando a colpire
Nàgiri ed Ahriman. I due, separati
da quel raggio, si fissarono increduli. Un senso di pace ora albergava
nei loro
cuori e non provavano più il desiderio di combattere.
“Athena
sa compiere ancora
miracoli” ghignò beffardo Ahriman, aiutando
Nàgiri a rialzarsi.
Entrambi
guardarono in alto,
verso la divinità. La luce che l’avvolgeva si
mostrò ancora qualche istante e
poi si spense, di colpo. Senza emettere un solo gemito, Saga cadde a
terra. Lo
scettro tintinnò in una nota melodica, sbattendo sulla
pietra, che riecheggiò
per il santuario.
“Questo
è normale che accada?” si
chiese Nàgiri e si udì l’urlo di Heiwa.
“Saga!”
lo chiamò Aiolos,
cercando di farlo riprendere.
Heiwa corse
accanto al padre e lo
chiamò a sua volta. La luce di Saga però si era
spenta, così come la sua vita.
A nulla valsero i tentativi del suo gran sacerdote. Aveva usato le sue
ultime
energie per donare la pace.
Passarono
solo pochi istanti e le
porte della tredicesima casa furono scosse. Il tempio era accorso su
per le
scale, per capire quel che era successo. Hestia, in testa al gruppo,
spalancò
la porta e guidò tutti fino alla statua d’Athena,
sotto la quale giaceva Saga.
Dallo sguardo di Aiolos e Heiwa, la Dea comprese subito quanto
successo. Si
portò le mani al viso e scosse la testa. Il gran sacerdote
non sapeva cosa dire
e lei si fece abbracciare, scoppiando a piangere. La figlia, ancora
china sul
padre, storse il naso alla scena. Accarezzò i capelli del
genitore, con le
lacrime che le rigavano il viso. Cosa faceva tutta quella gente
lì, ora?
Dov’erano quando suo padre stava male per giorni interi, in
preda al dolore? E
sua madre…
“Oh,
papà. Perché mi hai lasciato
da sola?” pianse, appoggiandosi al petto ormai silenzioso di
Saga.
Kydoimos
danzava con Airis. Nel
grande palazzo nero, i due volteggiavano nella sala. Un gruppo di altri
abitanti li fissava, divertito. Nàgiri rientrò e
cercò subito di raggiungere la
sua stanza, a testa basta. Ma il padre lo vide e smise la sua danza.
Lasciò la
compagnia e chiamò il figlio.
“Cosa
ti è successo, piccolo
Nàgiri?” chiese anche Airis.
“Ho
fatto una cosa orribile”
ammise il giovane.
“Parla.
È qualcosa di grave?”
insistette la donna.
“Ho
ucciso un uomo” distolse lo
sguardo il ragazzo.
“E
cosa vuoi che sia?” ghignò
Erebo “Saresti solo l’ennesimo assassino in questa
casa”.
Kydoimos si
fece raccontare con
calma l’accaduto, cercando di tranquillizzare suo figlio.
“Ma
non è stata colpa tua” disse
poi, una volta appresi gli eventi.
“Certo
che è stata colpa mia!”
ringhiò Nagiri “Se non avessi fatto lo
stupido…”.
“Lo
hai detto tu che Saga era
malato. È stato questo ad ucciderlo, non tu”.
“Ma
io ho peggiorato le cose!”.
“Se
non era oggi, sarebbe
successo domani. Nàgiri, non…”.
“Saga
è stato l’unico del tempio
a rivolgermi parole gentili quando mamma è morta. E si
è sempre battuto per
difenderci, anche quando quasi tutti dicevano che eravamo dei mostri.
Ha
sfidato Ahriman, pur di farci restare al sole. Ed io l’ho
ripagato così”.
“Non
è stata colpa tua” ripeté il
padre “E, comunque, se cerchi un po’ di sollievo
forse dovresti andare a dargli
l’ultimo saluto”.
“Dovrei
andare al funerale,
intendi?”.
“Sì.
E riferire queste parole
alla sua famiglia. Fargli capire che è stato importante per
te”.
“E
che differenza fa?”.
“Aiuterà
il tuo animo, credimi”.
Nàgiri
non pareva convinto.
“Dovresti
andare” parlò Neikos,
guardandolo con occhi dolci e preoccupati.
“Io
non posso venire con te”
ammise Kydoimos “Per via della maledizione. Ma sarei fiero se
tu portassi la
voce di questo palazzo. Sarei felice se tu porgessi l’ultimo
saluto ad un uomo
come Saga, anche da parte mia e di tutta questa casa”.
Nàgiri
annuì. Kydoimos gli
sorrise, passandogli due dita sul viso, e poi si congedò.
“Cos’hai?
Smettila di agitarti!”
sbottò Thanatos, rivolto all’anima incompleta che
aveva in casa “Stai a
cuccia!” aggiunse, infastidito.
Stava
tentando di leggere, steso
sul divano, ma l’anima era inquieta e non stava ferma un
momento, distraendolo.
La vide affacciarsi alla finestra.
“Ma
che fai?! Togliti da lì,
qualcuno potrebbe vederti!”.
Si
affacciò a sua volta e vide Hades.
Al suo fianco, due anime con cui parlava. Thanatos sospirò.
Come sempre, doveva
lavorare. Si diede una sistemata veloce alla veste ed uscì.
“È
un onore avervi qui” diceva Hades.
“Lieti
di saperlo” sorrise
l’anima, l’essenza di Athena.
Thanatos
uscì e raggiunse i tre.
L’anima di Saga, accanto ad Hades, non parlava
però pareva felice. E anche quella
di Athena sorrideva.
“Eccoti,
finalmente” quasi sbottò
il Dio dell’oltretomba, notando Thanatos.
“Nuovi
arrivi, eh?” salutò il
Dio, con un cenno del capo.
“Inattesi
così presto” ammise Hades
“Mi aspettavo di veder vagare per la terra questa
divinità molto di più”.
“Il
destino ha deciso
diversamente” sorrise lei.
“Accompagna
queste anime ai campi
elisi, Thanatos” ordinò Hades “E
assicurati che trovino piacevole il lungo
soggiorno”.
“Sì”
quasi sospirò il Dio della
morte.
Quella sorta
di limbo, quel luogo
da dove si accedeva ai campi Elisi, era solitamente molto silenzioso.
Ma quel
silenzio fu rotto da un nome, pronunciato da una voce sussurrante e
sospirata.
“Saga”
si sentì.
“Che
cosa è stato?” si chiese Hades,
guardandosi attorno.
“Saga”
ripeté la voce, questa
volta più forte.
L’anima
incompleta era apparsa
sull’uscio della dimora di Thanatos e guardava il gruppo di
Dèi e mortali. Era
quell’anima che chiamava il nome di Saga, più e
più volte. Saga la guardò e
subito capì a chi apparteneva un tempo. Sorrise e,
nonostante le proteste delle
divinità, corse a raggiungerla.
“Saga”
chiamò ancora l’anima.
“Arles”
rispose Saga,
abbracciandola forte.
“Mi
devi delle spiegazioni” parlò
Hades, irato, rivolto al Dio della morte
“Cos’è quella cosa? Perché
un’anima incompleta
sta nella tua casa?”.
“Io…”
iniziò il Dio, ma Hades non
ascoltava perché si stava dirigendo verso le due anime
abbracciate.
“Vieni
qui e separale!” ordinò il
signore di quel luogo.
“Ma…”
parlò Thanatos “…io non ho
mai visto due anime così strettamente legate, nemmeno fra
innamorati. Non posso
separarle, non sarebbe giusto”.
“Lo
decido io qui cosa è giusto.
Separa quei due e sbarazzati dell’anima incompleta”.
“Cosa?!”.
“Mi
hai sentito bene. Quell’anima
è un evidente errore di sistema. Dev’essere
eliminata. Sbarazzatene quanto
prima, sai come fare”.
“Certo
che so come fare! Ma non
lo farò!”.
Hades
guardò con rabbia Thanatos,
mentre degli specter erano giunti a dividere l’abbraccio e
separare le anime. I
divisi protestarono. L’anima incompleta lanciò un
grido, tentando in ogni modo
di raggiungere di nuovo Saga.
“Finiscila!”
tuonò Radamante,
colpendola per farla retrocedere.
“Fermo!”
protestò Thanatos,
allontanando il giudice con l’imposizione di una mano
“Non rovinare
ulteriormente questa povera anima”.
Le essenze
di Saga ed Arles ora
piangevano, separate con la forza.
“Ti
ho dato un ordine, Thanatos”
riprese, con ancora più rabbia, Hades.
“E
che cosa vuoi che me ne
importi? Vuoi davvero metterti il dito nella piaga da solo,
ragazzino?” si
accigliò il Dio della morte, mentre il fratello Hypnos
compariva all’ingresso
dei campi elisi.
“Come
osi?”.
“Ho
almeno tre volte la tua età e
lo sai che sono molto più potente di te, Hades. Sei
consapevole che un giorno
verrò a prenderti e sarò io a decidere dove
deporre la tua essenza divina in
attesa della rinascita. Io non sono come te, non ha senso che stia ai
tuoi
ordini”.
Hypnos
spalancò gli occhi nel
sentire questo, mentre riceveva il comando di portare nei campi elisi
le anime
di Athena e Saga. Afferrò quella di Saga, poco
collaborativa, e si apprestò ad
obbedire.
“Non
vuoi dunque obbedirmi?” si
rivolse ancora a Thanatos il Dio dell’oltretomba.
“No”
rispose la divinità, non
avendo timore a mostrare la differenza d’altezza fra lui ed
Hades.
Hades,
più basso, non sopportava
quello sguardo argento così arrogante.
“Bene”
disse d’un tratto,
ghignando “Vorrà dire che prenderò
provvedimenti”.
“E
che provvedimenti potreste
prendere?” incrociò le braccia Thanatos,
infastidito.
“Sei
bandito” tuonò il Dio
dell’oltretomba.
“Che
cosa?!” esclamarono, in
coro, Hypnos e Thanatos.
“Se
non vuoi obbedirmi, non ha
senso che ti conceda dimora nel mio regno” riprese Hades
“Perciò vattene.
Prendi le tue cose e sloggia prima dello scoccare della mezzanotte.
All’anima
provvederò io stesso”.
Thanatos
rimase in silenzio
qualche istante. Poi strinse i pugni.
“Bene”
disse “Mi ero proprio
rotto i coglioni di vivere in un posto dove do solo fastidio”.
“Sparisci
dalla mia vista, il più
in fretta possibile”.
Il Dio della
morte guardò ancora
con sfida Hades e poi si voltò, rientrando in casa e
sbattendone forte la porta
massiccia e lavorata. Hypnos, rimasto senza parole, non poté
far altro che
accompagnare i nuovi arrivati al loro posto. Sapeva che supplicare la
pietà di Hades
era del tutto inutile.
“Mi
spiace per quanto successo”
parlò l’anima di Athena.
“Non
è stata colpa vostra”si
affrettò a dire Hypnos “Saga ha solo tentato di
ricongiungersi con colui che
considera più che un fratello. Avrei fatto lo
stesso”.
“Ma
ora, Thanatos…”.
“Mio
fratello è una testa calda.
Un tempo viveva qui con me, ma faceva sempre troppo casino ed ho dovuto
fargli
trovare un’altra sistemazione. È fatto
così. Immagino che se la caverà bene,
come ha sempre fatto”.
“Ma
sarete separati” notò Saga.
“Saremo
sempre legati. Qualsiasi
cosa accada, saremo sempre assieme , in qualche modo”.
Saga
chinò la testa. L’anima di
Arles stava per essere eliminata per sempre.
“Vedrai
che tutto si risolverà”
lo rassicurò Hypnos “Mio fratello
sistemerà le cose. Ci tiene a quell’anima,
anche se non so perché, e vedrai che farà di
tutto per non farla sparire. Vi
rivedrete, ne sono certo”.
“Potresti
darmi notizie a
riguardo, se un giorno ne venissi a conoscenza?”.
“Certo.
Ora godetevi i campi
elisi, qui mai nessuno è triste. Benvenuti”.
Kydoimos se
ne stava al buio, da
solo. Guardava il buio infinito. Quando il Caos entrò nella
stanza, provò un
certo fastidio. Non riuscivano, in quella casa, a lasciarlo un
po’ in pace? Si
voltò e fissò il suo signore.
“Kydoimos,
mio gioiello, che
succede?” domandò il Caos “Il tuo
sguardo è così triste”.
“Niente”
sbottò l’interessato,
girandosi di nuovo verso la finestra.
“Mi
stai mentendo. Perché fai
così? Io voglio solo vederti felice. Se
c’è qualcosa che non va, qualsiasi
cosa, dimmelo e cercherò ogni mezzo possibile per farti
sorridere”.
“Non
c’è niente che possiate
fare”.
“Ma
come? Io posso fare molte
cose, sai? Dai, raccontami cosa succede”.
“Perché
me lo chiedete, se lo
sapete già?”.
“Di
che parli, figlio mio?”.
“Io
non sono tuo figlio. Io non
sono il figlio di nessuno”.
“Kydoimos…”.
“Lasciatemi
in pace, per favore”.
“Mio
piccolo…tu ricordi, vero?”.
Kydoimos non
rispose. Pareva
quasi perso con lo sguardo nell’infinito nero esterno.
“Tu
ricordi quello che è stato
prima che ti portassi qui a palazzo”.
“Prima
che mi toglieste la vita
con le fiamme nere, sì” ammise Kydoimos.
“E
da quando lo sai?”.
“Da
quando ho rivisto la mia
anima, quando ho tentato di porgere l’ultimo saluto ai miei
cari perduti”.
“Quindi
sono un sacco di anni. E
come mai non hai mai detto nulla?”.
“E
che cambiava?”.
“Ma…”.
“Io
non sono nulla. Non ho mai
avuto una madre o un padre, non sono mai nato. Non ho mai avuto accanto
qualcuno in grado di amarmi per davvero. Qui almeno ho uno
scopo”.
“Certo
che hai uno scopo! Sei il
mio gioiello”.
“Mi
avete dato una seconda
possibilità. Che non meritavo. Però me
l’avete data. E vi preoccupate per me,
per davvero. Solo Saga fin ora ha dimostrato tanto affetto nei miei
confronti,
ma ora non potrà farlo più”.
“Mi
dispiace tanto, Arles”.
“Sono
Kydoimos. Quel che resta in
me di Arles è troppo poco per poter essere chiamato
così”.
“Capisco.
Ma sei felice qui, alla
fine?”
“Sono
utile, in qualche modo.
Questo mi soddisfa”.
“Vieni
con me, Kydoimos” allungò
la mano il Caos.
Il Dio,
parecchio più alto del
figlio adottivo, incuteva sempre un certo timore. Questo
giustificò la
titubanza che ebbe Kydoimos, non sapendo cosa aspettarsi. Si
lasciò condurre
fino alla terrazza affacciata nel buio totale. Il Caos
fluttuò convinto verso
il bordo mentre il figlio adottivo si fermò. Non amava quel
luogo da quando la
sua amata moglie si era lasciata cadere.
“Non
aver paura” lo rassicurò il
Caos “Vieni”.
Lo prese per
mano e scavalcò la
balaustra, mentre Kydoimos allungava il braccio e rimaneva sul bordo.
Che aveva
in mente il suo signore? Oltre il bordo c’era solo il vuoto
eterno!
“Salta,
Kydoimos!” incitò il Caos
e vide l’adottato scuotere la testa.
“Non
ti lascio mica cadere!”
ridacchiò il padrone del palazzo nero, tirando uno strattone
a Kydoimos, che
finì oltre la terrazza.
Ovviamente
il Caos lo sorresse,
facendolo fluttuare nel nero. Kydoimos non si sentiva affatto
tranquillo. Era
terrorizzato e, anche se si sforzava di non farlo vedere, aveva solo
voglia di
rimettere i piedi per terra. Caos sorrideva, divertito.
“Rilassati,
mio gioiello. Chiudi
gli occhi” suggerì.
Kydoimos non
voleva. Protestò ma
poi una strana sensazione lo avvolse. Quella nebbia nera pareva
avvolgerlo e
quasi cullarlo. Riuscì a rilassarsi un momento, chiudendo
gli occhi. Il Caos lo
teneva sospeso, facendolo volare nel nulla. Quando riaprì
gli occhi, notò che
il padre adottivo non lo reggeva più. Stava volando da solo.
Per un attimo, fu
preso dal panico e precipitò. Il Caos lo aiutò
con un dito e poi lo guardò con
orgoglio, mentre da solo si librava nella nebbia. Felice, come un padre
che
ammira il figlio mentre compie i primi passi, osservò
Kydoimos mentre volava al
suo fianco. Dapprima incerto, e poi sempre più abile, il
figlio adottivo non
capiva bene cosa stesse accadendo.
“Lo
sapevo, mio gioiello” sorrise
il Caos “Lo sapevo che eri speciale. Unico. Guardati! Sei un
mio degno
discendente. Voli nella totale oscurità come se sempre lo
avessi fatto”.
Kydoimos non
sapeva a che potesse
servire ma, dal viso felice del suo genitore acquisito, capì
che quella sua
capacità doveva contare molto. E poi era una bella
sensazione restare sospeso
nella nebbia. Alleviava quella bruciante sensazione di dolore che
provava al
solo pensiero di aver perso anche Saga.