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Autore: SagaFrirry    01/03/2015    1 recensioni
Seguito di un'altra storia pubblicata in precedenza (Risveglio). Sono passati degli anni e molte cose sono cambiate al santuario. Questa volta i cavalieri si ritroveranno faccia a faccia con l'origine di ogni cosa: il Caos. come si rapporteranno con la sua progenie? e quante volte può morire un cavaliere?
chiedo perdono per i risvolti deprimenti. io sono una persona fondamentalmente depressa ;)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Thanatos, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Risveglio'
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XI

 

RITROVARSI

 

Nàgiri sorrise. Nonostante fossero passati molti anni, ormai lui ne aveva più di venti, il Grande Tempio non era cambiato. Camminò sicuro lungo il sentiero che lo portava alla prima casa. Una bambina fermò il suo avanzare, parandosi davanti all’intruso con le braccia spalancate.

“Non puoi andare oltre!” parlò la piccola.

“Ah, no?” ridacchiò Nàgiri, scansandola con due dita.

“No!” instette lei, teletrasportandosi e bloccandogli di nuovo la strada.

“Ma tu chi sei?” si irritò lui.

“Mi chiamo Inlil, e tu non puoi proseguire”.

“Altrimenti cosa mi fai?”.

“Ti faccio molto male!”.

“E come?”.

La bambina si concentrò, tentando di mostrare i suoi poteri psichici. Nàgiri notò le sopracciglia tonde di lei e intuì che, probabilmente, era una piccola lemuriana.

“Sei la sorellina di Kiki?” chiese e lei spalancò gli occhi, stupita.

“Ma no!” scosse la testa “Stupido! Il grande Kiki è mio papà!”.

“Oh”.

Ora era Nàgiri ad essere stupito ma non lo restò a lungo. Facendosi due conti in testa, si rese conto che Kiki doveva aver superato i trent’anni da un po’.

“Che problemi ci sono, Inlil?” chiamò Kiki, apparendo alla soglia della prima casa.

“C’è un intruso” rispose la bambina.

“Sei così scansafatiche che usi tua figlia come sentinella, invece di fare il tuo lavoro?” sorrise Nàgiri.

Il cavaliere dell’Ariete, piuttosto offeso da quelle parole, scese lungo la scalinata, deciso ad affrontare lo straniero e farlo tacere.

“Hai sconfinato” sibilò e Nàgiri rise.

“Non è mia intenzione dare fastidio” parlò “Voglio solo salutare un amico. Se vive ancora qui”.

“Chi cerchi?”.

“Kiki! Sono io! Non mi riconosci! Sono quello che a calcio vinceva sempre”.

“Nàgiri?”.

“In persona”.

Kiki fissò il giovane e sorrise. Quanto tempo era passato! E come era cambiato chi aveva di fronte!

“Puoi passare, ragazzone. Ma ricorda che ti tengo d’occhio” si scansò il cavaliere dell’ariete.

“Grazie, amico mio. Ed hai una gran bella bambina, non ti somiglia per niente”.

“Sei venuto su davvero stronzetto, sai?”.

“Sempre stato”.

Ridacchiando, i due si congedarono e Nàgiri riprese la sua salita.  Alla casa del toro, nessuno lo fermò. Il suo guardiano doveva essere altrove, come spesso accadeva. Entrò alla terza casa con un po’ di timore, perché sapeva quanto potevano essere bastardi i cavalieri dei gemelli. Ariadne lo vide e non lo riconobbe subito.

“Salve, signora della terza casa” salutò Nàgiri.

Non era invecchiata di un solo giorno, rimanendo bellissima e potente.

“Ci conosciamo?” alzò un sopracciglio lei.

“Sono Nàgiri. Ma sono cambiato così tanto?”.

“Vai alla quarta casa, sono certo che Arles sarà felice di rivederti” annuì Ariadne.

Salì ancora una fila di scale ed entrò alla quarta casa. Come sempre, provò una certa inquietudine nell’entrarvi, fra anime smarrite e maschere mortuarie.

“Stai facendo una gita?” sbottò Arles II, spuntando serio da dietro una colonna, con uno sguardo minaccioso sul viso.

“Arles! Sei tu! Ma sei...diventato grosso!”.

“Sei venuto qui per darmi del ciccione, intruso?”.

“Non sei ciccione. Sei grosso. Ne hai fatto di allenamento. E che bene ti sta la scintillante armatura del cancro, amico mio”.

“Io non sono tuo amico. Chi sei?”.

“Sono Nàgiri, cazzone”.

“Dici sul serio?”.

I due si fissarono per qualche istante in silenzio e poi si misero a ridere.

“Che bello rivederti!” sorrise Arles II, tirandogli un piccolo pugno sulla spalla.

“Sei cavaliere d’oro. Sono felice per te. Ma…è forse successo qualcosa a tuo padre?”.

“Sì. È invecchiato ed è andato in pensione anticipata. Ora si gode la vita”.

“Ah, buon per lui”.

“Ed a te come va? Tutto bene? Ho saputo quello che è successo nella tua famiglia…”.

“Son passati tanti anni”.

“E anche tu sei diventato grosso. Hai delle spalle enormi. Vi fanno fare allenamento nel palazzo nero?”.

“Sì, per mia scelta”.

“Resti per pranzo?”.

“Volentieri. Però non qui, con tutte queste facce che mi fissano”.

“Andiamo da mia madre, che ha anche più spazio. E conoscerai la mia ragazza”.

“La tua ragazza?”.

“Tania, la custode della dodicesima casa, quella dei pesci”.

“Buon per te”.

“Toccala, e finisci appeso al muro assieme a loro” indicò il muro Arles II, ghignando.

 

“Ioria, torna alla tua casa” quasi ordinò Aiolos.

Il cavaliere del leone stava al tredicesimo tempio, al cospetto del fratello maggiore, a pugni chiusi. Si era accorto del graduale ritorno delle creature del Caos. La cosa al leone non piaceva.

“Saga deve agire” protestò “Non possiamo permettere che questi esseri girino liberamente per il mondo”.

“Ti hanno mai infastidito? O fatto del male a qualcuno?” rispose Aiolos, sforzandosi di restare calmo.

“No”.

“E allora che problema c’è?”.

“Sono un pericolo”.

“E questo chi lo ha stabilito?”.

“Ma è ovvio! Sono esseri pericolosi”.

“Non ci sono prove di questo”.

“Il compito di Saga è tenere al sicuro i deboli”.

“Credi che Saga non sappia quel che fa? Se fossero pericolosi, interverrebbe di certo”.

“Ti ha fatto il lavaggio del cervello”.

“E tu lo hai lasciato a casa il cervello, invece!”.

Ioria ringhiò. Pretendeva di parlare con Saga, di persona, ma il fratello maggiore glielo impediva. Questo perché il gran sacerdote rispettava un ordine. Ormai impossibilitato a nascondere a lungo il male che lo consumava, Saga aveva confessato alla moglie, alla figlia e ad Aiolos la verità. Aveva però ordinato loro di non spargere la voce. Non voleva che si sapesse in giro. L’attenzione non doveva concentrarsi su di lui ma su un futuro di pace. Con il viso però scavato dal male, non usciva mai dalla sua casa. Riposava e agiva tramite il suo fedele gran sacerdote.

“Voglio vederlo!” insistette Ioria “Voglio verificare di persona che non sia di nuovo uscito di testa!”.

“Non è uscito di testa, fidati di me”.

“Mi fido di te. Ma…”.

“Se ti fidi, torna alla tua casa. Va dalla tua famiglia, fratello”.

“Ma…”.

“Smettila di contraddirmi”.

“Ma se ci fosse qualcosa che non va…tu me lo diresti, vero?”.

“Se qualcosa potesse farti del male, sì. Te lo direi”.

Ioria non era molto convinto ma alla fine lasciò la tredicesima casa, senza aggiungere altro. Aiolos sospirò. Non amava mentire al fratello, ma era obbligato a farlo. E fortunatamente fin ora solo il leone aveva chiesto udienza diretta con Saga.

 

L’arrivo di Tania alla casa di gemini fece rimanere senza parole Nàgiri. Era una donna bellissima. Salutò l’amato Arles II tirandogli il codino e poi fissò l’ospite con curiosità.

“Ciao” salutò “Tu chi saresti?”.

Nàgiri farfugliò qualcosa di poco comprensibile e poi si presentò.

“Sedetevi e mangiate” invitò Ariadne, mentre anche Deathmask si aggiungeva alla compagnia.

Non chiese chi fosse quel giovane dai lunghi capelli verdi e sedette, affamato. In lui si notavano i segni degli anni passati, anche se in maniera lieve.

“Salute” brindò Arles II “Agli amici che non si dimenticano”.

“Agli amici” risposero gli altri, in coro.

“Hai davvero una ragazza bellissima” commentò Nàgiri.

“Lo so. E tu? Che mi racconti? Che combini?”.

“Sai che vivo solo con le mie sorelle…”.

“E con ciò? Anche mio zio Ahriman ci prova sempre con mia madre, vero mamma?”.

“Eh sì” storse il naso Ariadne “Ma poteva chiedere a mamma e papà un’altra sorella da importunare, invece di provarci con me che sono felicemente sposata”.

“Ahriman ci prova con sua sorella?”.

“Sì, devi vedere come sbava. Però non lo ammette”.

Nàgiri non commentò oltre. Scosse la testa con un sorriso e si dedicò la dolce.

 

“Non devi mica sgridare in quel modo tuo fratello” parlò Saga, quando Aiolos entrò nelle sue stanze.

“Non avevo altro modo per allontanarlo. Obbedisco agli ordini”.

“Bravo. C’è una domanda che vorrei farti…”.

Saga aveva preso la medicina che Hermes gli preparava e ora se ne stava a letto. Sua moglie Hestia era al proprio tempio che pregava, cosa che il marito riteneva inutile. La figlia Heiwa riposava. La notte precedente aveva vegliato il padre, che aveva avuto uno dei suoi soliti attacchi. Aiolos si avvicinò la letto, scostando le tende del baldacchino.

“Che mi volete chiedere?” disse, parlando piano.

Il gran sacerdote attese la risposta, sapendo che Saga faceva molta fatica ormai a fare anche le più piccole cose. Erano anni che la malattia lo consumava ed ora pareva allo stremo. Non poteva più fingere di stare bene, come aveva tentato sempre di fare.

“Perché, Aiolos, non ti sei creato una famiglia?” domandò Saga.

“Io ho una famiglia. Ho Ioria, sua moglie, ed i loro figli”.

“Quella non è la tua famiglia. Intendo…perché non hai dei figli, una donna…”.

“Non ho mai provato il desiderio di averne. Ho servito Athena fedelmente, cresciuto finché ho potuto mio fratello ed addestrato dei piccoli cavalieri”.

“E ti sei preso cura delle mie donne, da quando ho iniziato a stare male. Te ne sono grato”.

“Lo faccio con piacere”.

“Continuerai a farlo, vero? Anche quando io…”.

“Fino a quando non starai meglio. Una volta guarito, non vi servirò”.

“Lo sai che io non guarirò”.

“Tu guarirai”.

“Aiolos…”.

“Tu guarirai perché…non voglio seppellire un altro di noi. Fa troppo male”.

“La vita è fatta anche di questo. Prima o poi finisce”.

“Ma tu sei una divinità. Non puoi morire”.

“Kayros, Dio che scrive la sorte di ogni uomo, ha deciso diversamente per me”.

“Non lo trovo giusto”.

Saga sorrise, socchiudendo gli occhi.

“Che è successo oggi al tempio?” domandò, ad occhi chiusi.

“Pare sia riapparso quel bambino strano che una volta giocava qui”.

“Nàgiri?”.

“Sì”.

“Ottimo. Sono felice. Spero tanto che la pace torni fra la nostra gente”.

“La formeremo insieme la pace. Ora, però, dovete riposare”.

“Resta qui ancora un po’. È sempre così buio e confuso questo posto, ultimamente”.

Aiolos annuì. Il tempio, come sempre, era soleggiato e luminoso. E la statua di Athena brillava al sole.

 

Verso sera, Nàgiri decise che forse era meglio rientrare al palazzo nero. Aveva trascorso una piacevole giornata ma era tempo di tornare a casa. Si avviò lungo la scalinata, con l’intenzione di salutare Kiki. Uscì dalla casa dei gemelli e si fermò. Ahriman stava risalendo. Entrambi si fissarono, immobili.

“Ciao, figlio del Caos” parlò Ahriman, dopo qualche istante.

Nàgiri non rispose. Serrò i pugni, sforzandosi per rimanere calmo.

“Cosa c’è?” domandò Ahriman “Qualcosa non va?”.

“Lo chiedi anche, divinità?”.

“Certo che lo chiedo. Non mi piace spiare la mente della gente mortale”.

“Io non ho niente da dirti”.

“Allora scansati, devo passare”.

“Devi andare ad eccitarti guardando tua sorella? Non hai giornaletti porno a casa tua?”.

Ahriman lo fulminò con lo sguardo. Come osava quell’essere rivolgergli simili parole?

“Io posso farti molto male, lo sai? Sciocco ibrido del palazzo nero”.

“Lo so” annuì Nàgiri “Mi hai già fatto molto male. Per colpa tua, io ho perso mia madre e molti dei miei fratelli e sorelle”.

“Anche tu pensi questo?”.

“Ne sono certo. Ho visto quando infondevi quell’ombra nera su mia sorella”.

“Stronzate”.

“Per anni ho desiderato solo ucciderti con le mie mani”.

“Fallo. Se usassi il mio potere, moriresti in un sospiro”.

“Non ho paura di te. Non ho motivo di riverirti. Dove vivo io, non si vedono le stelle”.

“Questo perché siete maledetti”.

“Non mi sono maledetto da solo!”.

Nàgiri lasciò perdere i buoni propositi e tentò di colpire il Dio con un pugno. Ahriman schivò facilmente e rispose al colpo con due dita. Nàgiri gridò per il dolore e ringhiò di rabbia. Riuscì a rispondere al colpo, cogliendo il Dio di sorpresa. Ahriman si stupì della velocità di quel mortale. E trovò anormale la sua forza. Retrocedette di qualche passo. Nessuno degli altri presenti aveva il coraggio di attaccare o di intervenire. L’ira del Dio del cielo era temuta.

“Ti ucciderò con le mie mani, anatema” sibilò Ahriman.

“Ti riempirò di botte come non ha fatto mai nessuno!” promise Nàgiri.

 

“Che succede?” si chiese Saga, svegliandosi di botto.

Il chiasso prodotto da Nàgiri ed Ahriman era udibile anche dalla casa di Athena. Tentò di alzarsi ma non ci riuscì, ricadde sul cuscino.

“Tranquillo, ci penso io” lo calmò Aiolos.

Il gran sacerdote uscì sul piazzale con la grande statua della Dea, da cui si vedeva tutto il grande tempio.

“Silenzio!” tuonò “Non disturbate la pace di questo sacro luogo”.

Nàgiri parve titubare qualche istante ma Ahriman di certo non si faceva dare ordini da un semplice mortale. Lo colpì violentemente, mandandolo a terra. Il giovane non si fece scoraggiare e rispose subito, con un altro pugno ben assestato.

“Crepa, signore dei cirrocumuli!”.

“Torna al tuo palazzo, scherzo della natura!”.

Aiolos si accigliò. Saga aveva bisogno di riposo, non di schiamazzi per motivi futili. Chiamò a sé il suo arco. Sapeva come far cessare tutto!

 

Saga non riusciva a vedere quel che stava accadendo ma percepì il movimento dell’arco di Aiolos. Gli gridò di non usarlo, ma la sua voce non era più potente come un tempo. Tentò affannosamente di uscire dal letto. Dolorante, si trascinò fino allo scettro di Athena e tentò di uscire all’aperto.

 

Con la freccia oro puntata verso i due litiganti, Aiolos era pronto a scoccarla contro il mortale. La divinità non la voleva uccidere, perché utile, ma quella creatura del Caos era sicuramente la fonte dei guai. Aveva ragione Ioria. Tese l’arco e prese la mira.

 

“Fermo!” ansimò Saga, camminando sorreggendosi con lo scettro.

“Saga! Cosa fai in piedi?” si allarmò Aiolos.

“Non preoccuparti per me. Obbedisci al mio ordine. Deponi quell’arco”.

Ora la voce di Saga era accompagnata da quella di Athena e si udivano entrambe, forti. Aiolos obbedì. Osservò l’amico avvicinarsi e guardare giù, verso i litiganti. Percepiva il suo respiro affannoso ma non riuscì a dirgli null’altro, se non chinare il capo mentre Saga splendeva di luce sempre più viva.

“Athena” mormorò più di qualcuno, notando quella creatura luminosa come una stella.

Saga sollevò lo scettro. Grazie alla luce candida che lo avvolgeva, nessuno notava il suo viso stanco e la smorfia di dolore che accompagnò quel semplice gesto. Era sceso il silenzio al santuario. Si udivano solo le grida dei due litiganti. Lo scettro vibrò ed un fascio oro partì da esso, andando a colpire Nàgiri ed Ahriman. I due, separati da quel raggio, si fissarono increduli. Un senso di pace ora albergava nei loro cuori e non provavano più il desiderio di combattere.

“Athena sa compiere ancora miracoli” ghignò beffardo Ahriman, aiutando Nàgiri a rialzarsi.

Entrambi guardarono in alto, verso la divinità. La luce che l’avvolgeva si mostrò ancora qualche istante e poi si spense, di colpo. Senza emettere un solo gemito, Saga cadde a terra. Lo scettro tintinnò in una nota melodica, sbattendo sulla pietra, che riecheggiò per il santuario.

“Questo è normale che accada?” si chiese Nàgiri e si udì l’urlo di Heiwa.

 

“Saga!” lo chiamò Aiolos, cercando di farlo riprendere.

Heiwa corse accanto al padre e lo chiamò a sua volta. La luce di Saga però si era spenta, così come la sua vita. A nulla valsero i tentativi del suo gran sacerdote. Aveva usato le sue ultime energie per donare la pace.

 

Passarono solo pochi istanti e le porte della tredicesima casa furono scosse. Il tempio era accorso su per le scale, per capire quel che era successo. Hestia, in testa al gruppo, spalancò la porta e guidò tutti fino alla statua d’Athena, sotto la quale giaceva Saga. Dallo sguardo di Aiolos e Heiwa, la Dea comprese subito quanto successo. Si portò le mani al viso e scosse la testa. Il gran sacerdote non sapeva cosa dire e lei si fece abbracciare, scoppiando a piangere. La figlia, ancora china sul padre, storse il naso alla scena. Accarezzò i capelli del genitore, con le lacrime che le rigavano il viso. Cosa faceva tutta quella gente lì, ora? Dov’erano quando suo padre stava male per giorni interi, in preda al dolore? E sua madre…

“Oh, papà. Perché mi hai lasciato da sola?” pianse, appoggiandosi al petto ormai silenzioso di Saga.

 

Kydoimos danzava con Airis. Nel grande palazzo nero, i due volteggiavano nella sala. Un gruppo di altri abitanti li fissava, divertito. Nàgiri rientrò e cercò subito di raggiungere la sua stanza, a testa basta. Ma il padre lo vide e smise la sua danza. Lasciò la compagnia e chiamò il figlio.

“Cosa ti è successo, piccolo Nàgiri?” chiese anche Airis.

“Ho fatto una cosa orribile” ammise il giovane.

“Parla. È qualcosa di grave?” insistette la donna.

“Ho ucciso un uomo” distolse lo sguardo il ragazzo.

“E cosa vuoi che sia?” ghignò Erebo “Saresti solo l’ennesimo assassino in questa casa”.

Kydoimos si fece raccontare con calma l’accaduto, cercando di tranquillizzare suo figlio.

“Ma non è stata colpa tua” disse poi, una volta appresi gli eventi.

“Certo che è stata colpa mia!” ringhiò Nagiri “Se non avessi fatto lo stupido…”.

“Lo hai detto tu che Saga era malato. È stato questo ad ucciderlo, non tu”.

“Ma io ho peggiorato le cose!”.

“Se non era oggi, sarebbe successo domani. Nàgiri, non…”.

“Saga è stato l’unico del tempio a rivolgermi parole gentili quando mamma è morta. E si è sempre battuto per difenderci, anche quando quasi tutti dicevano che eravamo dei mostri. Ha sfidato Ahriman, pur di farci restare al sole. Ed io l’ho ripagato così”.

“Non è stata colpa tua” ripeté il padre “E, comunque, se cerchi un po’ di sollievo forse dovresti andare a dargli l’ultimo saluto”.

“Dovrei andare al funerale, intendi?”.

“Sì. E riferire queste parole alla sua famiglia. Fargli capire che è stato importante per te”.

“E che differenza fa?”.

“Aiuterà il tuo animo, credimi”.

Nàgiri non pareva convinto.

“Dovresti andare” parlò Neikos, guardandolo con occhi dolci e preoccupati.

“Io non posso venire con te” ammise Kydoimos “Per via della maledizione. Ma sarei fiero se tu portassi la voce di questo palazzo. Sarei felice se tu porgessi l’ultimo saluto ad un uomo come Saga, anche da parte mia e di tutta questa casa”.

Nàgiri annuì. Kydoimos gli sorrise, passandogli due dita sul viso, e poi si congedò.

 

“Cos’hai? Smettila di agitarti!” sbottò Thanatos, rivolto all’anima incompleta che aveva in casa “Stai a cuccia!” aggiunse, infastidito.

Stava tentando di leggere, steso sul divano, ma l’anima era inquieta e non stava ferma un momento, distraendolo. La vide affacciarsi alla finestra.

“Ma che fai?! Togliti da lì, qualcuno potrebbe vederti!”.

Si affacciò a sua volta e vide Hades. Al suo fianco, due anime con cui parlava. Thanatos sospirò. Come sempre, doveva lavorare. Si diede una sistemata veloce alla veste ed uscì.

“È un onore avervi qui” diceva Hades.

“Lieti di saperlo” sorrise l’anima, l’essenza di Athena.

Thanatos uscì e raggiunse i tre. L’anima di Saga, accanto ad Hades, non parlava però pareva felice. E anche quella di Athena sorrideva.

“Eccoti, finalmente” quasi sbottò il Dio dell’oltretomba, notando Thanatos.

“Nuovi arrivi, eh?” salutò il Dio, con un cenno del capo.

“Inattesi così presto” ammise Hades “Mi aspettavo di veder vagare per la terra questa divinità molto di più”.

“Il destino ha deciso diversamente” sorrise lei.

“Accompagna queste anime ai campi elisi, Thanatos” ordinò Hades “E assicurati che trovino piacevole il lungo soggiorno”.

“Sì” quasi sospirò il Dio della morte.

Quella sorta di limbo, quel luogo da dove si accedeva ai campi Elisi, era solitamente molto silenzioso. Ma quel silenzio fu rotto da un nome, pronunciato da una voce sussurrante e sospirata.

“Saga” si sentì.

“Che cosa è stato?” si chiese Hades, guardandosi attorno.

“Saga” ripeté la voce, questa volta più forte.

L’anima incompleta era apparsa sull’uscio della dimora di Thanatos e guardava il gruppo di Dèi e mortali. Era quell’anima che chiamava il nome di Saga, più e più volte. Saga la guardò e subito capì a chi apparteneva un tempo. Sorrise e, nonostante le proteste delle divinità, corse a raggiungerla.

“Saga” chiamò ancora l’anima.

“Arles” rispose Saga, abbracciandola forte.

“Mi devi delle spiegazioni” parlò Hades, irato, rivolto al Dio della morte “Cos’è quella cosa? Perché un’anima incompleta sta nella tua casa?”.

“Io…” iniziò il Dio, ma Hades non ascoltava perché si stava dirigendo verso le due anime abbracciate.

“Vieni qui e separale!” ordinò il signore di quel luogo.

“Ma…” parlò Thanatos “…io non ho mai visto due anime così strettamente legate, nemmeno fra innamorati. Non posso separarle, non sarebbe giusto”.

“Lo decido io qui cosa è giusto. Separa quei due e sbarazzati dell’anima incompleta”.

“Cosa?!”.

“Mi hai sentito bene. Quell’anima è un evidente errore di sistema. Dev’essere eliminata. Sbarazzatene quanto prima, sai come fare”.

“Certo che so come fare! Ma non lo farò!”.

Hades guardò con rabbia Thanatos, mentre degli specter erano giunti a dividere l’abbraccio e separare le anime. I divisi protestarono. L’anima incompleta lanciò un grido, tentando in ogni modo di raggiungere di nuovo Saga.

“Finiscila!” tuonò Radamante, colpendola per farla retrocedere.

“Fermo!” protestò Thanatos, allontanando il giudice con l’imposizione di una mano “Non rovinare ulteriormente questa povera anima”.

Le essenze di Saga ed Arles ora piangevano, separate con la forza.

“Ti ho dato un ordine, Thanatos” riprese, con ancora più rabbia, Hades.

“E che cosa vuoi che me ne importi? Vuoi davvero metterti il dito nella piaga da solo, ragazzino?” si accigliò il Dio della morte, mentre il fratello Hypnos compariva all’ingresso dei campi elisi.

“Come osi?”.

“Ho almeno tre volte la tua età e lo sai che sono molto più potente di te, Hades. Sei consapevole che un giorno verrò a prenderti e sarò io a decidere dove deporre la tua essenza divina in attesa della rinascita. Io non sono come te, non ha senso che stia ai tuoi ordini”.

Hypnos spalancò gli occhi nel sentire questo, mentre riceveva il comando di portare nei campi elisi le anime di Athena e Saga. Afferrò quella di Saga, poco collaborativa, e si apprestò ad obbedire.

“Non vuoi dunque obbedirmi?” si rivolse ancora a Thanatos il Dio dell’oltretomba.

“No” rispose la divinità, non avendo timore a mostrare la differenza d’altezza fra lui ed Hades.

Hades, più basso, non sopportava quello sguardo argento così arrogante.

“Bene” disse d’un tratto, ghignando “Vorrà dire che prenderò provvedimenti”.

“E che provvedimenti potreste prendere?” incrociò le braccia Thanatos, infastidito.

“Sei bandito” tuonò il Dio dell’oltretomba.

“Che cosa?!” esclamarono, in coro, Hypnos e Thanatos.

“Se non vuoi obbedirmi, non ha senso che ti conceda dimora nel mio regno” riprese Hades “Perciò vattene. Prendi le tue cose e sloggia prima dello scoccare della mezzanotte. All’anima provvederò io stesso”.

Thanatos rimase in silenzio qualche istante. Poi strinse i pugni.

“Bene” disse “Mi ero proprio rotto i coglioni di vivere in un posto dove do solo fastidio”.

“Sparisci dalla mia vista, il più in fretta possibile”.

Il Dio della morte guardò ancora con sfida Hades e poi si voltò, rientrando in casa e sbattendone forte la porta massiccia e lavorata. Hypnos, rimasto senza parole, non poté far altro che accompagnare i nuovi arrivati al loro posto. Sapeva che supplicare la pietà di Hades era del tutto inutile.

 

“Mi spiace per quanto successo” parlò l’anima di Athena.

“Non è stata colpa vostra”si affrettò a dire Hypnos “Saga ha solo tentato di ricongiungersi con colui che considera più che un fratello. Avrei fatto lo stesso”.

“Ma ora, Thanatos…”.

“Mio fratello è una testa calda. Un tempo viveva qui con me, ma faceva sempre troppo casino ed ho dovuto fargli trovare un’altra sistemazione. È fatto così. Immagino che se la caverà bene, come ha sempre fatto”.

“Ma sarete separati” notò Saga.

“Saremo sempre legati. Qualsiasi cosa accada, saremo sempre assieme , in qualche modo”.

Saga chinò la testa. L’anima di Arles stava per essere eliminata per sempre.

“Vedrai che tutto si risolverà” lo rassicurò Hypnos “Mio fratello sistemerà le cose. Ci tiene a quell’anima, anche se non so perché, e vedrai che farà di tutto per non farla sparire. Vi rivedrete, ne sono certo”.

“Potresti darmi notizie a riguardo, se un giorno ne venissi a conoscenza?”.

“Certo. Ora godetevi i campi elisi, qui mai nessuno è triste. Benvenuti”.

 

Kydoimos se ne stava al buio, da solo. Guardava il buio infinito. Quando il Caos entrò nella stanza, provò un certo fastidio. Non riuscivano, in quella casa, a lasciarlo un po’ in pace? Si voltò e fissò il suo signore.

“Kydoimos, mio gioiello, che succede?” domandò il Caos “Il tuo sguardo è così triste”.

“Niente” sbottò l’interessato, girandosi di nuovo verso la finestra.

“Mi stai mentendo. Perché fai così? Io voglio solo vederti felice. Se c’è qualcosa che non va, qualsiasi cosa, dimmelo e cercherò ogni mezzo possibile per farti sorridere”.

“Non c’è niente che possiate fare”.

“Ma come? Io posso fare molte cose, sai? Dai, raccontami cosa succede”.

“Perché me lo chiedete, se lo sapete già?”.

“Di che parli, figlio mio?”.

“Io non sono tuo figlio. Io non sono il figlio di nessuno”.

“Kydoimos…”.

“Lasciatemi in pace, per favore”.

“Mio piccolo…tu ricordi, vero?”.

Kydoimos non rispose. Pareva quasi perso con lo sguardo nell’infinito nero esterno.

“Tu ricordi quello che è stato prima che ti portassi qui a palazzo”.

“Prima che mi toglieste la vita con le fiamme nere, sì” ammise Kydoimos.

“E da quando lo sai?”.

“Da quando ho rivisto la mia anima, quando ho tentato di porgere l’ultimo saluto ai miei cari perduti”.

“Quindi sono un sacco di anni. E come mai non hai mai detto nulla?”.

“E che cambiava?”.

“Ma…”.

“Io non sono nulla. Non ho mai avuto una madre o un padre, non sono mai nato. Non ho mai avuto accanto qualcuno in grado di amarmi per davvero. Qui almeno ho uno scopo”.

“Certo che hai uno scopo! Sei il mio gioiello”.

“Mi avete dato una seconda possibilità. Che non meritavo. Però me l’avete data. E vi preoccupate per me, per davvero. Solo Saga fin ora ha dimostrato tanto affetto nei miei confronti, ma ora non potrà farlo più”.

“Mi dispiace tanto, Arles”.

“Sono Kydoimos. Quel che resta in me di Arles è troppo poco per poter essere chiamato così”.

“Capisco. Ma sei felice qui, alla fine?”

“Sono utile, in qualche modo. Questo mi soddisfa”.

“Vieni con me, Kydoimos” allungò la mano il Caos.

Il Dio, parecchio più alto del figlio adottivo, incuteva sempre un certo timore. Questo giustificò la titubanza che ebbe Kydoimos, non sapendo cosa aspettarsi. Si lasciò condurre fino alla terrazza affacciata nel buio totale. Il Caos fluttuò convinto verso il bordo mentre il figlio adottivo si fermò. Non amava quel luogo da quando la sua amata moglie si era lasciata cadere.

“Non aver paura” lo rassicurò il Caos “Vieni”.

Lo prese per mano e scavalcò la balaustra, mentre Kydoimos allungava il braccio e rimaneva sul bordo. Che aveva in mente il suo signore? Oltre il bordo c’era solo il vuoto eterno!

“Salta, Kydoimos!” incitò il Caos e vide l’adottato scuotere la testa.

“Non ti lascio mica cadere!” ridacchiò il padrone del palazzo nero, tirando uno strattone a Kydoimos, che finì oltre la terrazza.

Ovviamente il Caos lo sorresse, facendolo fluttuare nel nero. Kydoimos non si sentiva affatto tranquillo. Era terrorizzato e, anche se si sforzava di non farlo vedere, aveva solo voglia di rimettere i piedi per terra. Caos sorrideva, divertito.

“Rilassati, mio gioiello. Chiudi gli occhi” suggerì.

Kydoimos non voleva. Protestò ma poi una strana sensazione lo avvolse. Quella nebbia nera pareva avvolgerlo e quasi cullarlo. Riuscì a rilassarsi un momento, chiudendo gli occhi. Il Caos lo teneva sospeso, facendolo volare nel nulla. Quando riaprì gli occhi, notò che il padre adottivo non lo reggeva più. Stava volando da solo. Per un attimo, fu preso dal panico e precipitò. Il Caos lo aiutò con un dito e poi lo guardò con orgoglio, mentre da solo si librava nella nebbia. Felice, come un padre che ammira il figlio mentre compie i primi passi, osservò Kydoimos mentre volava al suo fianco. Dapprima incerto, e poi sempre più abile, il figlio adottivo non capiva bene cosa stesse accadendo.

“Lo sapevo, mio gioiello” sorrise il Caos “Lo sapevo che eri speciale. Unico. Guardati! Sei un mio degno discendente. Voli nella totale oscurità come se sempre lo avessi fatto”.

Kydoimos non sapeva a che potesse servire ma, dal viso felice del suo genitore acquisito, capì che quella sua capacità doveva contare molto. E poi era una bella sensazione restare sospeso nella nebbia. Alleviava quella bruciante sensazione di dolore che provava al solo pensiero di aver perso anche Saga.

   
 
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