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Autore: SagaFrirry    01/03/2015    1 recensioni
Seguito di un'altra storia pubblicata in precedenza (Risveglio). Sono passati degli anni e molte cose sono cambiate al santuario. Questa volta i cavalieri si ritroveranno faccia a faccia con l'origine di ogni cosa: il Caos. come si rapporteranno con la sua progenie? e quante volte può morire un cavaliere?
chiedo perdono per i risvolti deprimenti. io sono una persona fondamentalmente depressa ;)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Thanatos, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Risveglio'
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XII

 

PIANGERE

 

Thanatos se ne stava immobile, appoggiato alla porta. Che rabbia! Gridò e batté i pugni contro il muro. L’anima incompleta si era rintanata in un angolo. Piangeva ancora. Quando il Dio della morte si avvicinò, ella chiuse l’unico occhio, attendendo la fine. Aveva udito le parole di Hades. Ma Thanatos non le fece del male. La fissò, rammaricato.

“Tranquillo, non ti ucciderò. Però dobbiamo andare via, o verranno a prenderti per eliminarti”.

L’anima lo guardò, mostrando di essere molto triste per quanto accaduto.

Il Dio prese alcune delle sue cose. Doveva lasciare quella casa e l’oltretomba. Pensò al gemello, qualche istante, e poi uscì da quella dimora, con a fianco l’anima col capo chino. Insieme, giunsero fino alla casa di Aiaco. Il giudice, che viveva con Violatte, non si aspettava una visita così illustre. Il Dio, assieme all’anima, fu fatto accomodare. Si trovavano in una zona piuttosto tranquilla ed isolata del regno dei morti.

“Ho un favore da chiederti” esordì Thanatos.

“Qualsiasi cosa” si affrettò a dire Aiaco “È solo merito vostro se viviamo qui, io e la mia amata. Altrimenti saremmo stati separati, come desiderava Hades”.

“Non aveva senso quel che aveva in mente al tempo” scosse la testa il Dio “Sono qui per chiedervi un favore. Quest’anima incompleta ha bisogno di un luogo dove stare. Hades la cerca per farla eliminare ed io non voglio che accada, perché merita di certo di meglio”.

“Che le è successo? Perché è incompleta?” domandò Violatte.

“Non lo so. Lo è da quando è arrivata qui. È per questo che Hades vuole eliminarla”.

“E non potete difenderla Voi?”.

“Non più. Devo lasciare l’oltretomba per ordine di Hades e le anime non sopravvivono fuori di qui”.

“Capisco…”.

“Qui Hades non passa mai” spiegò Aiaco “Credo lo infastidisca il sentimento che c’è fra me e Violatte. L’anima sarebbe al sicuro”.

“Se è un problema, ditemelo. Rischiate grossi guai, se lui la dovesse trovare qui”.

“La terremo al sicuro il più possibile. A chi apparteneva?”.

“Ad Arles”.

“Il nome non mi è nuovo”.

“Cavaliere di Athena e, di recente, reincarnazione del Dio Ares”.

“Ah, lui. Capisco. Certo che merita di più un’anima del genere. La terremo al sicuro con orgoglio”.

“Io cercherò di trovarle una soluzione. Se trovo la parte che manca, forse…”

L’anima si guardò attorno, piuttosto spaesata. Era così lontana dal luogo dove si trovava Saga! E non voleva separarsi da quel Dio che si era preso cura di lei. Però capiva che non c’era altra soluzione. Si andò ad accoccolare in un angolo, pronta a nascondersi in caso di pericolo.

“Devo andare, anima incompleta” si alzò Thanatos, ringraziando il giudice e la specter “Vedrai che troverò una soluzione e tutto si risolverà. Fino a quel momento…addio”.

 

Kydoimos aveva sempre avuto una splendida voce. Ma non cantava mai. Tuttavia, all’ultimo saluto per Saga, si sentì in dovere di farlo. Com’era tradizione, gli abitanti del santuario accompagnavano la bara fino al cimitero con un canto. Kydoimos, che poteva rimanere lontano dal palazzo nero ancora per poco, era in disparte, per non attirare l’attenzione. Da lontano, vide il feretro seguito dalla figlia del defunto e dalla moglie, sorretta da Aiolos. A portare la bara, Deathmask, Shura, Ioria e Kiki. I primi due perché lo avevano sempre considerato un amico, il leone e l’ariete per senso del dovere. Terminata la cerimonia, ognuno rientrò alla sua casa e Nàgiri prese coraggio. Voleva parlare con la figlia di Saga. Lei, rimasta da sola con le prime luci del tramonto, non voleva scocciatori attorno. Il giovane lo comprendeva, ma si sentiva in dovere di chiederle scusa.

“È stata colpa mia, mi spiace” disse.

“Cosa?” quasi sbottò lei.

“La morte di tuo padre. Ero io uno dei due litiganti che ha diviso, usando le ultime forze”.

“Allora non hai motivo di scusarti”.

“Che intendi?”.

“Mio padre era gravemente malato. Lo hai fatto smettere di soffrire. Si è spento con il sorriso sulle labbra, perché la sua morte ha fatto cessare un atto d’odio”.

“Io…”.

“Tu sei Nàgiri, giusto? Mi ricordo vagamente di te”.

“Sì, sono io. E comprendo il tuo dolore”.

“Davvero?”.

“Ho perso mia madre quando ero un bambino. E molti fratelli e sorelle”.

“Quindi mi sai dire fra quanto tempo questo dolore passerà?”.

“Mai. Non ti abbandonerà. Basterà un suono, una parola, un profumo, un sogno…e ti tornerà in mente”.

“Capisco…”.

“Però…se posso fare qualcosa…”.

“Mi porteresti a fare un giro? Questi rompicoglioni non mi lasciano allontanare da sola, ma ho bisogno di passare almeno un paio d’ore lontano dal santuario”.

“Certo, ti accompagno volentieri”.

“Di te mi fido. Ricordo che eri un bambino buono”.

“E non temi che possa essere cambiato?”.

“No. Un animo buono lo rimane per sempre, anche se tenta di nasconderlo”.

 

Udendo un rumore, Deathmask uscì dalla sua dimora. Nel buio della notte, chi poteva venire a disturbare? Il precedente cavaliere del cancro abitava ancora alla quarta casa, in una delle braccia della croce che la formava. Nell’oscurità, vedeva solo fuochi fatui ed anime erranti. Guardò in su. 
"Thanatos..." mormorò, riconoscendolo.
Il Dio della morte non rispose. 
"Non sarai mica venuto a prendermi adesso, vero? Ho altri progetti" ridacchiò l’ormai pensionato cavaliere.
Ancora nessuna risposta, solo una singola nota della cetra del Dio. L’ex cavaliere si fece serio. L'espressione di quella divinità non gli piaceva.
"Dai, vieni giù a berti una birra" propose Deathmask.
"Ho migliaia di anni. Credi che possa tirarmi su di morale un alcolico, mortale?" sbottò, scocciato, Thanatos.
"Come vuoi, la mia era solo una proposta".
"Non hai paura di me?".
"E perché dovrei? Non ho mai temuto la morte e l'inferno".
"E non mi odi, per coloro di voi che ho portato via?"
"La vita termina, prima o poi. Sono certo che ora i miei amici se la stanno spassando ai campi elisi. Ed un giorno saremo tutti assieme. O forse no, non fa differenza. Viviamo e periamo, è il destino di noi mortali".
"Capisco...".
Ed il Dio dai capelli argento guardò le stelle. Forse era l'ultima volta che le poteva ammirare. Sorrise, per un istante, quando accanto al cavaliere del cancro apparve la fanciulla che ora portava l’armatura dei pesci.
Thanatos la trovò bellissima e per qualche istante si perse nei suoi grandi occhi color dell’acciaio. Poteva anche dire addio alla luce delle stelle, per lei.

“Cosa ti porta al grande tempio?” domandò Arles II, raggiungendo la sua ragazza.

“Volevo solo salutare anche io Saga. E la luce. Da ora sono pure io un cittadino del palazzo nero”.

“Torni da mammina?” ridacchiò Deathmask.

“Almeno io so chi è” ghignò Thanatos e svanì.

 

Kydoimos fissava Tartaros di nascosto. Quel Dio aveva sempre un’aria un po’ arrabbiata ed un po’ malinconica. Lo spiato notò il fratello minore e rispose al suo sguardo, con rabbia.

“Che hai da guardare?” sbottò.

“Niente. Oggi sono un po’ fuori fase”.

“Per via della morte di quel tizio?”.

“Anche, immagino”.

“Perché ti dai tanta pena per lui?”.

“Non ha importanza”.

I due si guardarono qualche istante poi Tartaros fece per allontanarsi.

“Ti manca?” domandò Kydoimos.

“Chi?” si stupì Tartaros.

“Gaia”.

“Certo. Che domande fai?”.

“E non hai mai provato a liberarla?”.

“Per liberare dal sigillo Gaia serve l’arma di un Dio e, come ben sai, qui non ce ne sono. Sempre per colpa di quella cazzo di maledizione”.

“E non potete procuravene una?”.

“Non si può usare l’arma di un altro Dio! E poi a Gaia servirebbe un corpo, che non ha al momento. È stato distrutto nell’ultima guerra. Devo attendere la sua prossima reincarnazione”.

“Ma se la sua essenza è intrappolata, non si reincarnerà mai!”.

“Le ho detto addio, ormai. Anche se so che torneremo insieme”.

“Se lo dici tu…”

“Ma cosa vuoi saperne tu, che alla morte di quasi tutta la tua famiglia non hai versato nemmeno una lacrima? Tu, che non hai lottato per impedire  l’allontanamento delle tue donne con i bambini!”.

“La mia anima è incompleta!”

“Stronzate. È che non ti importa di nulla, nemmeno di te stesso. Non so che ci veda papà di così speciale in te, mostriciattolo”.

Kydoimos non disse altro. Lasciò Tartaros andare oltre e chinò la testa, fissando la differenza fra la mano un tempo umana e quella creata dal Caos. Chissà se erano ancora in grado di impugnare una spada…

 

Il palazzo nero era rimasto invariato nei secoli, notò Thanatos. Davanti alla porta chiusa, non aveva il coraggio di entrarvi. Poi capì che non aveva alternative. Spinse ed entrò, quasi con enfasi. Nel buio totale, non aveva alcun problema a camminare. Notò alcune facce nuove, figli di Kydoimos. Passò oltre. Sentì dei mormorii e li ignorò. Vide un sorriso familiare e dovette fermarsi.

“Il mio bambino!” lo accolse Nyx, spalancando le braccia.

Thanatos sospirò. Non era un bambino da parecchio tempo, ma sua madre lo abbraccio comunque. Era strano, anche perché lei era parecchio più bassa. Eppure lo trattava come un bambino piccolo.

“Vieni” parlò lei “Ho fatto lasciare invariata la tua stanza”.

“La mia stanza? Di quando ero piccolo?”.

“Sì, vieni”.

Thanatos la seguì lungo il corridoio, fino a giungere all’ingresso di quella che un tempo era la sua cameretta. Non era cambiata. Provò una certa nostalgia. Metà di quella stanza la divideva con Hypnos, tanto tempo fa.

“Immagino che ora sia un po’ infantile” notò Nyx “Potrai cambiarla a tuo piacimento”.

“Per ora va bene così, grazie. Tanto lo sapete che con il lavoro che faccio non sarò molto presente”.

“Ma è sempre bello avere un bel posto dove tornare”.

“Già…”.

Il Dio della morte lasciò che la sua armatura si staccasse e si accomodasse in un angolo della stanza. Con la tunica bianca, girò un po’ per la casa, ricevendo i saluti dei fratelli e degli zii. Anche il Caos lo salutò, sorridendo. Thanatos e Kydoimos si scambiarono solo uno sguardo rapido. Il Dio, in un istante, capì che la parte mancante della sua amata anima era in quell’essere ibrido. Tentò di escogitare un modo per risolvere la questione. Gli era bastato un’occhiata per notare la piccola parte di anima di Kydoimos e pochi secondi per capire che, nel caso l’anima errante fosse stata eliminata, per quell’uomo non ci sarebbe stato un futuro dopo la morte. Sorseggiando uno strano liquido verde scuro, ripensava a quando, da bambino, correva lungo quei corridoi che al tempo gli sembravano lunghissimi. Inseguiva Hypnos. Insieme, si divertivano a combinare un sacco di guai. Quella volta, il palazzo nera era allegro e le divinità poche. Ora nell’universo il sovrannumero era evidente e lì si respirava decisamente un’aria diversa. C’era malinconia. Tristezza. Un po’ sapeva di esserne la causa. Aveva portato via molte anime da quel luogo.

“Dai, tirati su” gli sorrise il Caos “Non amiamo molto i musi lunghi. Sappiamo che sarà difficile, per te, rimanere separato da Hypnos ma…”.

“Eravamo separati già da molto” tagliò corto Thanatos “Vivevamo in due parti diverse dell’oltretomba e lui era troppo impegnato a riprodursi per venirmi a salutare. Come io, del resto, ho un lavoro che mi impedisce di perdere tempo. Perciò…”.

“Spero che ti ambienterai presto. Non sono cambiate molte cose”.

“No, ho solo uno zio nuovo e tanti cuginetti”.

“Eh sì” sorrise Caos, fissando Kydoimos, che non sorrise.

Thanatos ricordò quando, da molto piccolo, aveva osservato con innocenti occhi argento suo nonno Caos, chiedendogli che cosa fosse la morte. Al tempo aveva le idee piuttosto confuse. Il nonno gli aveva accarezzato i capelli e gli aveva sorriso, rassicurandolo che era qualcosa che lui non avrebbe mai provato. “E come mai, nonno Caos?” aveva domandato, con le manine strette e lo sguardo curioso. “Perché noi siamo Dei” aveva risposto Caos “E gli Dei non muoiono”. Quella volta era così. Ora invece morivano tutti. Solo il Caos si salvava da quel destino. Si poteva ferire a piacimento. Questo perché era materia primigenia e quindi in continua creazione e morte.

“Vado a letto” mormorò Thanatos, alzandosi.

Non sarebbe stato facile, lo sapeva, abituato com’era ad udire le musiche del fratello per dormire. Ma doveva abituarsi a farne a meno. Calpestò nel buio uno dei giochi che aveva da piccolo. Com’era potuto rimanere intero dopo tutto quel tempo? Lo guardò, sorridendo. Poi scosse la testa. Era ora di lasciar perdere certi ricordi. Era il tempo di lasciarsi tutto alle spalle. Era il tempo di dire a tutto: “Addio”.

   
 
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