XIV
MOTIVAZIONI
Rientrati al
palazzo nero, Caos e
Kydoimos furono accolti dalla preoccupazione degli altri occupanti.
Dove erano
stai? Cosa era successo? E perché il padre reggeva fra le
braccia il figlio
adottivo, ferito? Kydoimos si agitò e fu messo a terra.
Socchiuse gli occhi,
mentre le ferite si rimarginavano. Era di nuovo a casa e si sentiva
già meglio.
“Airis!”
chiamò e la donna si
avvicinò.
Con la spada
di Ares stretta in
una mano, Kydoimos allungò l’altra mano e
toccò Airis. La donna sobbalzò. Una
luce verde iniziò a scorrere dalla spada fino alla
fanciulla. Gli altri
presenti non capirono cosa stesse accadendo fino a quando Airis
parlò.
“Cosa
è successo?” disse, con la
voce di Gaia “Dove sono? Sono…a casa!”.
“Gaia?”
si stupì Tartaros.
La donna si
girò e sorrise. Aprì
le braccia, in cerca di un abbraccio.
“Gaia…sei
tu?” continuò lui,
senza muoversi.
“Sì,
sono io!”.
“Ma…Kydoimos…tu…”.
“Sì”
rispose Kydoimos, con tono
piatto “Il marmocchio inutile ti ha riportato Gaia”.
“Ma
è nel corpo di Airis!”.
“Lo
so. Il corpo di lei è andato
distrutto”.
“Sì
ma così facendo rinunci ad
Airis”.
Kydoimos non
rispose. Si
allontanò lentamente, semplicemente dicendo che era stanco,
mentre alle sue
spalle la casa faceva festa per il ritorno di Gaia.
“Perché
lo hai fatto?” domandò
Ariadne.
Deathmask,
con l’armatura da Dio
della morte addosso, fissò la moglie con un mezzo sorriso.
“Che
problema c’è?” ghignò lui.
Era
soddisfatto della sua scelta.
Aveva di nuovo il suo corpo giovane e si sentiva potente e quasi
invincibile.
“Perché
lo hai fatto? Fare il Dio
della morte è orrendo. Devi uccidere delle
persone”.
“L’ho
sempre fatto”.
“Ma
potevi smettere. Non eri più
cavaliere d’oro”.
“E
stavo male. Ora invece sono
felice. Ho di nuovo uno scopo”.
“Tu
avevi già uno scopo. Sei mio
marito. Un padre. Un amico”.
“Un
uomo che invecchia e muore.
Non volevo più essere questo”.
“Io
ti ho sempre amato. Come
mortale, come cavaliere, come uomo” sospirò
Ariadne.
“E
come Dio non puoi amarmi?”.
“Certo.
Ma non era necessario che
lo facessi”.
“Lo
era. Credimi”.
“Se
questo ti rende felice,
allora sarò felice anche io”.
Lo sguardo
di lei non era
convinto, ma si sforzò di sorridere. Sperava
d’avvero che fosse la cosa giusta.
“Perché
lo ha fatto?” si chiese
Ahriman.
Da solo,
nell’immenso palazzo del
cielo, sfiorò il braccio che aveva dovuto fasciare. Strinse
i denti per il
dolore. Maledette creature del Caos! Quell’essere oscuro era
mostruosamente
potente. Il Dio era consapevole di aver rischiato la vita. Poteva
essere ucciso
ma l’intruso, il ladro dell’anima di Gaia, aveva
fermato il Caos. Per quale
motivo? Ahriman non riusciva a capirlo. Zoppicando leggermente,
camminò ancora
seguendo le vetrate che davano sullo spazio.
“Smettila
di scervellarti” parlò
la voce di Urano.
“Come
faccio?” sbottò Ahriman
“Quell’uomo ha impedito al Caos di ucciderci.
Perché?”.
“Era
semplicemente in ansia per
la sua vita. Lontano dal palazzo nero, stava morendo”.
“Poteva
comunque farmi uccidere”.
“Non
penserai mica ad un suo atto
di pietà?”.
“Tu
come lo vedi?”.
“Conosco
bene il Caos”.
“Il
Caos voleva uccidermi. È
stato quell’altro essere a…”.
“Non
farti impietosire. Il Caos
non prova pietà. E nemmeno nessuno dei suoi figli”.
“Però
vorrei sapere per quale
motivo lui ha…”.
“Smettila.
Concentrati sul dolore
che provi. Ricorda tua madre ferita”.
Ahriman
strinse il pugno del
braccio sano. Non doveva farsi intenerire da quel gesto. Erano dei
nemici e,
ora che avevano l’anima di Gaia, era meglio controllarli
molto più di prima. Era
meglio allertare al più presto le altre divinità
alleate. In quel palazzo,
stava accadendo qualcosa.
“Perché
lo hai fatto?” mormorò
Erebo, rimboccando le coperte di Kydoimos, che si era addormentato.
Con quel
gesto, l’addormentato si
svegliò e mugugnò.
“Scusa”
parlò Erebo “Non volevo
svegliarmi”.
“Sei
un bugiardo. Non saresti
qui”.
“Non
pensavo dormissi”.
Kydoimos
mosse leggermente
l’orecchio a punta e continuo a starsene mezzo abbracciato al
cuscino.
“Ho
visto come tutte le tue
ferite si siano rimarginate” riprese Erebo “Non
è cosa da tutti. Inoltre, hai
rubato l’anima di Gaia e l’hai impiantata nel corpo
di Airis. Sei dunque tu un
creatore?”.
“No,
non lo sono” brontolò,
sbadigliando “Io modifico quel che già esiste. Non
faccio le cose dal niente”.
“È
comunque una cosa notevole”.
“Se
lo dici tu”.
“E
anche quello che hai fatto con
Gaia…tutta la casa ti è grata”.
“Prego,
non c’è di che”.
“Kydoimos!
Parli come fosse una
cosa da niente!”.
“Sono
stanco, Erebo. Lasciami
dormire”.
“Puoi
spiegarmi perché lo hai
fatto? Perché hai rinunciato ad Airis?”.
“Airis
non è mica morta!”.
“No,
ma ora prevale il lato di
Gaia”.
“Gaia
è importante”.
“Ora
Tartaros ti tratterà molto
meglio”.
“Sono
felice che almeno lui sia
soddisfatto. Il Caos pareva non approvare”.
“Il
Caos si è preoccupato molto
per te. Non vuole perderti e tu non fai altro che cacciarti nei
guai!”.
“Chiedo
scusa”.
Kydoimos si
mosse solo lentamente
sul cuscino.
“Non
lo hai fatto per
ricongiungere una coppia, vero?” domandò Erebo.
“A
che ti riferisci?”.
“Non
lo hai fatto per
ricongiungere Gaia e Tartaros, vero?”.
“Lui
la ama”.
“Certo.
Ma hai mai sentito la
frase "madre natura è una puttana"? Nel caso di Gaia calza a
pennello”.
“Non
importa”.
“E
Airis? Airis ti amava. Ma ora,
con l’anima di Gaia dentro di lei, non sarà lo
stesso”.
“Airis
non mi ha mai amato. Mi
idolatrava, perché l’ho creata. Mi adorava. Questo
non ha niente a che fare con
l’amore”.
“Ma
tu lo hai mai conosciuto
l’amore, che fai tanto l’esperto?”.
“Preferirei
non parlarne”.
Erebo
notò lo sguardo triste di
Kydoimos e non insistette.
“Non
te la prendere per il Caos”
parlò “Lui è arrabbiato
perché ha paura che tu soffra. Non comprende il legame
che unisce un uomo ed una donna. Lui è asessuato”.
“Lui
è cosa?! Credevo fosse un
maschio!”.
“La
voce è maschile. E tutti noi
lo trattiamo come tale. Però, tecnicamente, non lo
è. Lui non ha sesso. Ha
generato me e gli altri non accoppiandosi con una donna, capisci? Lui
non
comprende il desiderio di creare legami d’amore o sessuali.
Lui vuole bene a tutti
quanti noi ma in modo diverso da come io voglio bene a Nyx. Quindi
credo sia
arrabbiato perché vede tutto questo come un tentativo
stupido di renderti amico
Tartaros. Non è per questo che lo hai fatto,
giusto?”.
“No.
Ma ora sono stanco. Va via”.
“Sei
sicuro? Hai l’aria di chi ha
qualcosa non va”.
“Non
sono affari tuoi!” alzò la
voce Kydoimos.
“Va
bene! Non serve trattarmi
male!”.
“Scusami.
Ma sono davvero stanco.
Voglio restare da solo. Ne parliamo un’altra volta”.
“Come
vuoi. Però ricordati una
cosa: io sono nato prima del mondo. Perciò non puoi
nascondermi nulla e nemmeno
mentirmi. Non farlo, perché potrei arrabbiarmi”.
“Me
lo ricorderò. E grazie. Tu mi
sostieni sempre”.
“Sei
il mio fratellino. E ora
riposa”.
Le anime di
Ares ed Athena
camminavano, fianco a fianco, per i campi elisi. Quel luogo di infinita
pace e
delizia, facevano sorridere entrambi. Nessuno più aveva
desiderio di guerra o
provava odio nei confronti di qualcun altro. I fiori profumavano
l’aria ed i
due seguivano il corso di un ruscelletto limpido. Tutti erano felici,
tranne
un’anima. Un’anima sola, che se ne stava seduta a
fissare il vuoto, sospirando.
“Cosa
ti rende tanto triste,
amico mio?” domandò Aphrodite, poggiando una
coroncina di fiori sulla testa
dell’anima di Saga.
“Niente”
mentì Saga.
“E
allora perché quel muso lungo?
Qui sono tutti sereni! I campi elisi sono un luogo di infinita gioia
per tutti
coloro che vi albergano. Ma tu no, tu sei triste. Dimmi
perché”.
“È
che…” iniziò Saga,
giocherellando con una farfalla “…credevo che ci
saremmo rincontrati tutti qui,
un giorno. O, comunque, tutti insieme”.
“Molti
di noi non sono morti”.
“Ma
non tutti i morti sono qui”.
“Parli
di Arles?”.
Saga
girò la testa, ignorando il
passato cavaliere dei Pesci.
“Saga?”
insistette Aphrodite
“Rispondimi!”.
“Lasciami
in pace” sbottò Saga,
levandosi dalla testa la coroncina.
“No,
non ti lascio in pace.
Perché tu sei mio amico, lo sei sempre stato, e non voglio
vederti triste”.
“Ma
lo sono. E non c’è niente che
tu possa fare”.
“Dimmi
perché!”.
“Lo
sai già il perché!”.
“Arles?”.
“Sì!
Sì, Arles! Sempre e
fottutamente Arles! La fonte di ogni singolo guaio nella mia vita, mi
sta
rovinando anche la morte”.
“Ti
manca?”.
Saga
fissò ancora il vuoto,
qualche istante. Si portò le ginocchia al petto e vi
poggiò la testa, lasciando
che i capelli lo coprissero in parte.
“Lo
sai…” iniziò a parlare, senza
guardare negli occhi Aphrodite “Quando sono caduto in terra,
quel giorno, ed ho
sentito la vita scivolare via da me, io l’ho visto. Ho visto
il suo viso. Mi
sorrideva”.
“Arles
non sorrideva. Arles
ghignava, è diverso”.
“Mi
ha sorriso! Ed io mi sono
sentito felice. Ero in pace. Era come se avessi trovato qualcosa che
cercavo e
che avevo smarrito da tanto, tanto tempo. Ero convinto di ritrovarlo
qui. Ero
certo che sarei stato finalmente ricongiunto a lui”.
“Ma
per quale motivo ti manca
così tanto? Per quale ragione vuoi ricongiungerti con
l’essere che ti ha
portato a compiere gesti ignobili?”.
“Perché?
Non lo. Se ci ragioni, è
vero. Non ha senso che io aneli a riaverlo vicino. Eppure è
così”.
“Sei
sicuro che sia lui a
mancarti? Tua moglie e tua figlia…”.
“A
loro auguro una vita lunga e
prospera. Spero di non vederle tanto presto qui”.
“E
non preferisci startene qui,
felice, in pace, senza pensare ad altro?”.
“Certo.
Lo vorrei tanto ma, porca
puttana, non ci riesco!”.
L’anima
di Saga scoppiò a
piangere e molte altre anime la guardarono, stupite. Nessuno piangeva
ai campi
elisi, se non di gioia.
“Qui
non c'è” singhiozzò
“Perché non c'è? Perché, una
volta riaperti gli occhi, non
l'ho visto accanto a me?"
"Forse
perché ha commesso troppi crimini
per riposare ai Campi Elisi"
"Non
ha importanza. Io lo voglio qui".
"E perché?".
"Perché mi manca.
Mi manca più del mio stesso respiro. E,
credimi, il respiro mi manca parecchio".
“Perché
mi chiedi questo?”
domandò Neikos.
“E
perché no?”.
“Che
cosa devi fare?”.
Nàgiri
aveva appena chiesto alla
sorella di accompagnarlo al grande tempio per una sera. Gli abitanti
del
palazzo nero iniziavano ad insospettirsi. Quella sera, per
rassicurarli, si era
inventato una festa dove anche la sorella avrebbe partecipato. In
realtà lui
andava al grande tempio per incontrare Heiwa.
“Io
non vengo con te” protestò
Neikos.
“Dai,
è solo un piccolo favore
che ti chiedo”.
“Ma
per quale motivo? Cosa ci vai
a fare al grande tempio?”.
“Io…ho
conosciuto una ragazza”
ammise Nàgiri.
“Come?!”
si stupì Neikos “Ma
tu…avevi promesso che…io e
te…” balbettò Neikos, sconvolta.
“Sorellina,
sii seria. Ci siamo
divertiti, ma io questa donna la amo”.
“Avevi
detto di amare me!”.
“Sono
cose che si dicono”.
Neikos
gridò di rabbia. Iniziò a
piangere. Lui non parve in alcun modo preoccuparsi o addolorarsi.
“Vieni
con me” propose Nàgiri “Al
grande tempio c’è tanta gente. Solo
così potrai conoscere il vero amore. Il
nostro era solo un passatempo”.
“Sei
uno stronzo” mormorò lei.
“Ti
prego, non farla così grave.
Vieni con me. Ti prometto che ti divertirai”.
“Vaffanculo”.
“Smettila!”.
Nàgiri
insistette, arrivo quasi a
supplicare. Alla fine Neikos cedette.
“Ti
odio” sbottò lei.
“Lo
so che non è vero” sorrise
lui, dandole un bacio sulla guancia.
Il Caos
bussò alla porta di
Ahriman. Erebo non era ancora uscito così il padrone di casa
trovò i due figli
nella stanza. Li guardò e sorrise.
“È
tardi, miei cari. Non è ora di
dormire?” commentò.
“E
per te no?” rispose Erebo,
ghignando.
“Lo
sai che io non dormo mai”.
“Andate
via!” si lamentò Kydoimos
“Ho sonno”.
“Voglio
solo farti una domanda,
mio gioiello” insistette il Caos e Erebo si offrì
di uscire.
Il padre,
però, invitò il suo
primogenito a restare. Kydoimos borbottò e ficcò
la testa sotto il cuscino.
“Volevo
farvi una domanda,
piccoli miei”.
“E
non puoi farmela domani? Sono
stanco” ringhiò il più piccolo dei
figli e il Caos si sedette sul letto.
“A
te, piccolo, vorrei chiederti
perché sei infelice”.
“Non
sono infelice”.
“Stronzate.
Sei alla ricerca di
qualcosa. Di che cosa?”.
“Ma
che dici? Sparisci!”.
“Cosa
ti manca? Hai dei figli che
ti adorano, noi tutti ti vogliamo bene. Eppure tutti mi fanno notare
che hai
rinunciato ad Airis e devi essere triste. Perché?”.
“Perché
sono tutti degli
impiccioni. Io sto benissimo. Voglio solo dormire”.
“Nàgiri
e Neikos litigano.
Tartaros è geloso perché Gaia non è di
certo fedele. Tu, Kydoimos, quasi cadevi
dal balcone per salvare Shuna che si suicidava. Questo
io…non lo capisco.
Perché tutti voi cercate l’amore, se fa
così male?”.
I due
fratelli rimasero in
silenzio. Kydoimos non sapeva che risposta dare. Non lo sapeva davvero.
Erebo
capì che per il fratellino non era un argomento molto
piacevole e non parlò.
Non descrisse la gioia che provava nel stare accanto a sua moglie Nyx.
Kydoimos
si spostò. Si raggomitolò attorno al padre, come
in cerca di conforto. Il Caos
gli accarezzo i capelli e rimase in silenzio. E il suo gioiello
iniziò a
cantare.
“Dormi
ora che
tutte le
stelle assieme cantano per te.
Sogna
ora che
un poco
il cielo appartenga pure a te
e che ti
culli poi spiegandoti il perché
il mondo
è strano ma sorridi
dico io.
Chiudi
gli occhi e
se ti
riesce stanotte sogna proprio me
e se il
tuo sogno sarà bello come vuoi
allora
per sempre uniti insieme saremo noi.
Se
davanti a te
vedi
battaglie e morti tutti accanto a te
voglio
che sappia che qui ci sono io
e che
ogni volta che di notte tremerai
sarà
la
mia voce a scaldarti, vedrai”
Kydoimos non
poteva sapere che la
stessa canzone, in quel momento, la stavano cantando anche Saga, Ninive
ed
Ahriman.