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Autore: SagaFrirry    01/03/2015    1 recensioni
Seguito di un'altra storia pubblicata in precedenza (Risveglio). Sono passati degli anni e molte cose sono cambiate al santuario. Questa volta i cavalieri si ritroveranno faccia a faccia con l'origine di ogni cosa: il Caos. come si rapporteranno con la sua progenie? e quante volte può morire un cavaliere?
chiedo perdono per i risvolti deprimenti. io sono una persona fondamentalmente depressa ;)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Thanatos, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Risveglio'
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XIV

 

MOTIVAZIONI

 

Rientrati al palazzo nero, Caos e Kydoimos furono accolti dalla preoccupazione degli altri occupanti. Dove erano stai? Cosa era successo? E perché il padre reggeva fra le braccia il figlio adottivo, ferito? Kydoimos si agitò e fu messo a terra. Socchiuse gli occhi, mentre le ferite si rimarginavano. Era di nuovo a casa e si sentiva già meglio.

“Airis!” chiamò e la donna si avvicinò.

Con la spada di Ares stretta in una mano, Kydoimos allungò l’altra mano e toccò Airis. La donna sobbalzò. Una luce verde iniziò a scorrere dalla spada fino alla fanciulla. Gli altri presenti non capirono cosa stesse accadendo fino a quando Airis parlò.

“Cosa è successo?” disse, con la voce di Gaia “Dove sono? Sono…a casa!”.

“Gaia?” si stupì Tartaros.

La donna si girò e sorrise. Aprì le braccia, in cerca di un abbraccio.

“Gaia…sei tu?” continuò lui, senza muoversi.

“Sì, sono io!”.

“Ma…Kydoimos…tu…”.

“Sì” rispose Kydoimos, con tono piatto “Il marmocchio inutile ti ha riportato Gaia”.

“Ma è nel corpo di Airis!”.

“Lo so. Il corpo di lei è andato distrutto”.

“Sì ma così facendo rinunci ad Airis”.

Kydoimos non rispose. Si allontanò lentamente, semplicemente dicendo che era stanco, mentre alle sue spalle la casa faceva festa per il ritorno di Gaia.

 

“Perché lo hai fatto?” domandò Ariadne.

Deathmask, con l’armatura da Dio della morte addosso, fissò la moglie con un mezzo sorriso.

“Che problema c’è?” ghignò lui.

Era soddisfatto della sua scelta. Aveva di nuovo il suo corpo giovane e si sentiva potente e quasi invincibile.

“Perché lo hai fatto? Fare il Dio della morte è orrendo. Devi uccidere delle persone”.

“L’ho sempre fatto”.

“Ma potevi smettere. Non eri più cavaliere d’oro”.

“E stavo male. Ora invece sono felice. Ho di nuovo uno scopo”.

“Tu avevi già uno scopo. Sei mio marito. Un padre. Un amico”.

“Un uomo che invecchia e muore. Non volevo più essere questo”.

“Io ti ho sempre amato. Come mortale, come cavaliere, come uomo” sospirò Ariadne.

“E come Dio non puoi amarmi?”.

“Certo. Ma non era necessario che lo facessi”.

“Lo era. Credimi”.

“Se questo ti rende felice, allora sarò felice anche io”.

Lo sguardo di lei non era convinto, ma si sforzò di sorridere. Sperava d’avvero che fosse la cosa giusta.

 

“Perché lo ha fatto?” si chiese Ahriman.

Da solo, nell’immenso palazzo del cielo, sfiorò il braccio che aveva dovuto fasciare. Strinse i denti per il dolore. Maledette creature del Caos! Quell’essere oscuro era mostruosamente potente. Il Dio era consapevole di aver rischiato la vita. Poteva essere ucciso ma l’intruso, il ladro dell’anima di Gaia, aveva fermato il Caos. Per quale motivo? Ahriman non riusciva a capirlo. Zoppicando leggermente, camminò ancora seguendo le vetrate che davano sullo spazio.

“Smettila di scervellarti” parlò la voce di Urano.

“Come faccio?” sbottò Ahriman “Quell’uomo ha impedito al Caos di ucciderci. Perché?”.

“Era semplicemente in ansia per la sua vita. Lontano dal palazzo nero, stava morendo”.

“Poteva comunque farmi uccidere”.

“Non penserai mica ad un suo atto di pietà?”.

“Tu come lo vedi?”.

“Conosco bene il Caos”.

“Il Caos voleva uccidermi. È stato quell’altro essere a…”.

“Non farti impietosire. Il Caos non prova pietà. E nemmeno nessuno dei suoi figli”.

“Però vorrei sapere per quale motivo lui ha…”.

“Smettila. Concentrati sul dolore che provi. Ricorda tua madre ferita”.

Ahriman strinse il pugno del braccio sano. Non doveva farsi intenerire da quel gesto. Erano dei nemici e, ora che avevano l’anima di Gaia, era meglio controllarli molto più di prima. Era meglio allertare al più presto le altre divinità alleate. In quel palazzo, stava accadendo qualcosa.

 

“Perché lo hai fatto?” mormorò Erebo, rimboccando le coperte di Kydoimos, che si era addormentato.

Con quel gesto, l’addormentato si svegliò e mugugnò.

“Scusa” parlò Erebo “Non volevo svegliarmi”.

“Sei un bugiardo. Non saresti qui”.

“Non pensavo dormissi”.

Kydoimos mosse leggermente l’orecchio a punta e continuo a starsene mezzo abbracciato al cuscino.

“Ho visto come tutte le tue ferite si siano rimarginate” riprese Erebo “Non è cosa da tutti. Inoltre, hai rubato l’anima di Gaia e l’hai impiantata nel corpo di Airis. Sei dunque tu un creatore?”.

“No, non lo sono” brontolò, sbadigliando “Io modifico quel che già esiste. Non faccio le cose dal niente”.

“È comunque una cosa notevole”.

“Se lo dici tu”.

“E anche quello che hai fatto con Gaia…tutta la casa ti è grata”.

“Prego, non c’è di che”.

“Kydoimos! Parli come fosse una cosa da niente!”.

“Sono stanco, Erebo. Lasciami dormire”.

“Puoi spiegarmi perché lo hai fatto? Perché hai rinunciato ad Airis?”.

“Airis non è mica morta!”.

“No, ma ora prevale il lato di Gaia”.

“Gaia è importante”.

“Ora Tartaros ti tratterà molto meglio”.

“Sono felice che almeno lui sia soddisfatto. Il Caos pareva non approvare”.

“Il Caos si è preoccupato molto per te. Non vuole perderti e tu non fai altro che cacciarti nei guai!”.

“Chiedo scusa”.

Kydoimos si mosse solo lentamente sul cuscino.

“Non lo hai fatto per ricongiungere una coppia, vero?” domandò Erebo.

“A che ti riferisci?”.

“Non lo hai fatto per ricongiungere Gaia e Tartaros, vero?”.

“Lui la ama”.

“Certo. Ma hai mai sentito la frase "madre natura è una puttana"? Nel caso di Gaia calza a pennello”.

“Non importa”.

“E Airis? Airis ti amava. Ma ora, con l’anima di Gaia dentro di lei, non sarà lo stesso”.

“Airis non mi ha mai amato. Mi idolatrava, perché l’ho creata. Mi adorava. Questo non ha niente a che fare con l’amore”.

“Ma tu lo hai mai conosciuto l’amore, che fai tanto l’esperto?”.

“Preferirei non parlarne”.

Erebo notò lo sguardo triste di Kydoimos e non insistette.

“Non te la prendere per il Caos” parlò “Lui è arrabbiato perché ha paura che tu soffra. Non comprende il legame che unisce un uomo ed una donna. Lui è asessuato”.

“Lui è cosa?! Credevo fosse un maschio!”.

“La voce è maschile. E tutti noi lo trattiamo come tale. Però, tecnicamente, non lo è. Lui non ha sesso. Ha generato me e gli altri non accoppiandosi con una donna, capisci? Lui non comprende il desiderio di creare legami d’amore o sessuali. Lui vuole bene a tutti quanti noi ma in modo diverso da come io voglio bene a Nyx. Quindi credo sia arrabbiato perché vede tutto questo come un tentativo stupido di renderti amico Tartaros. Non è per questo che lo hai fatto, giusto?”.

“No. Ma ora sono stanco. Va via”.

“Sei sicuro? Hai l’aria di chi ha qualcosa non va”.

“Non sono affari tuoi!” alzò la voce Kydoimos.

“Va bene! Non serve trattarmi male!”.

“Scusami. Ma sono davvero stanco. Voglio restare da solo. Ne parliamo un’altra volta”.

“Come vuoi. Però ricordati una cosa: io sono nato prima del mondo. Perciò non puoi nascondermi nulla e nemmeno mentirmi. Non farlo, perché potrei arrabbiarmi”.

“Me lo ricorderò. E grazie. Tu mi sostieni sempre”.

“Sei il mio fratellino. E ora riposa”.

 

Le anime di Ares ed Athena camminavano, fianco a fianco, per i campi elisi. Quel luogo di infinita pace e delizia, facevano sorridere entrambi. Nessuno più aveva desiderio di guerra o provava odio nei confronti di qualcun altro. I fiori profumavano l’aria ed i due seguivano il corso di un ruscelletto limpido. Tutti erano felici, tranne un’anima. Un’anima sola, che se ne stava seduta a fissare il vuoto, sospirando.

“Cosa ti rende tanto triste, amico mio?” domandò Aphrodite, poggiando una coroncina di fiori sulla testa dell’anima di Saga.

“Niente” mentì Saga.

“E allora perché quel muso lungo? Qui sono tutti sereni! I campi elisi sono un luogo di infinita gioia per tutti coloro che vi albergano. Ma tu no, tu sei triste. Dimmi perché”.

“È che…” iniziò Saga, giocherellando con una farfalla “…credevo che ci saremmo rincontrati tutti qui, un giorno. O, comunque, tutti insieme”.

“Molti di noi non sono morti”.

“Ma non tutti i morti sono qui”.

“Parli di Arles?”.

Saga girò la testa, ignorando il passato cavaliere dei Pesci.

“Saga?” insistette Aphrodite “Rispondimi!”.

“Lasciami in pace” sbottò Saga, levandosi dalla testa la coroncina.

“No, non ti lascio in pace. Perché tu sei mio amico, lo sei sempre stato, e non voglio vederti triste”.

“Ma lo sono. E non c’è niente che tu possa fare”.

“Dimmi perché!”.

“Lo sai già il perché!”.

“Arles?”.

“Sì! Sì, Arles! Sempre e fottutamente Arles! La fonte di ogni singolo guaio nella mia vita, mi sta rovinando anche la morte”.

“Ti manca?”.

Saga fissò ancora il vuoto, qualche istante. Si portò le ginocchia al petto e vi poggiò la testa, lasciando che i capelli lo coprissero in parte.

“Lo sai…” iniziò a parlare, senza guardare negli occhi Aphrodite “Quando sono caduto in terra, quel giorno, ed ho sentito la vita scivolare via da me, io l’ho visto. Ho visto il suo viso. Mi sorrideva”.

“Arles non sorrideva. Arles ghignava, è diverso”.

“Mi ha sorriso! Ed io mi sono sentito felice. Ero in pace. Era come se avessi trovato qualcosa che cercavo e che avevo smarrito da tanto, tanto tempo. Ero convinto di ritrovarlo qui. Ero certo che sarei stato finalmente ricongiunto a lui”.

“Ma per quale motivo ti manca così tanto? Per quale ragione vuoi ricongiungerti con l’essere che ti ha portato a compiere gesti ignobili?”.

“Perché? Non lo. Se ci ragioni, è vero. Non ha senso che io aneli a riaverlo vicino. Eppure è così”.

“Sei sicuro che sia lui a mancarti? Tua moglie e tua figlia…”.

“A loro auguro una vita lunga e prospera. Spero di non vederle tanto presto qui”.

“E non preferisci startene qui, felice, in pace, senza pensare ad altro?”.

“Certo. Lo vorrei tanto ma, porca puttana, non ci riesco!”.

L’anima di Saga scoppiò a piangere e molte altre anime la guardarono, stupite. Nessuno piangeva ai campi elisi, se non di gioia.

“Qui non c'è” singhiozzò “Perché non c'è? Perché, una volta riaperti gli occhi, non l'ho visto accanto a me?"
"Forse perché ha commesso troppi crimini per riposare ai Campi Elisi"
"Non ha importanza. Io lo voglio qui".
"E perché?".
"Perché mi manca. Mi manca più del mio stesso respiro. E, credimi, il respiro mi manca parecchio".

 

“Perché mi chiedi questo?” domandò Neikos.

“E perché no?”.

“Che cosa devi fare?”.

Nàgiri aveva appena chiesto alla sorella di accompagnarlo al grande tempio per una sera. Gli abitanti del palazzo nero iniziavano ad insospettirsi. Quella sera, per rassicurarli, si era inventato una festa dove anche la sorella avrebbe partecipato. In realtà lui andava al grande tempio per incontrare Heiwa.

“Io non vengo con te” protestò Neikos.

“Dai, è solo un piccolo favore che ti chiedo”.

“Ma per quale motivo? Cosa ci vai a fare al grande tempio?”.

“Io…ho conosciuto una ragazza” ammise Nàgiri.

“Come?!” si stupì Neikos “Ma tu…avevi promesso che…io e te…” balbettò Neikos, sconvolta.

“Sorellina, sii seria. Ci siamo divertiti, ma io questa donna la amo”.

“Avevi detto di amare me!”.

“Sono cose che si dicono”.

Neikos gridò di rabbia. Iniziò a piangere. Lui non parve in alcun modo preoccuparsi o addolorarsi.

“Vieni con me” propose Nàgiri “Al grande tempio c’è tanta gente. Solo così potrai conoscere il vero amore. Il nostro era solo un passatempo”.

“Sei uno stronzo” mormorò lei.

“Ti prego, non farla così grave. Vieni con me. Ti prometto che ti divertirai”.

“Vaffanculo”.

“Smettila!”.

Nàgiri insistette, arrivo quasi a supplicare. Alla fine Neikos cedette.

“Ti odio” sbottò lei.

“Lo so che non è vero” sorrise lui, dandole un bacio sulla guancia.

 

Il Caos bussò alla porta di Ahriman. Erebo non era ancora uscito così il padrone di casa trovò i due figli nella stanza. Li guardò e sorrise.

“È tardi, miei cari. Non è ora di dormire?” commentò.

“E per te no?” rispose Erebo, ghignando.

“Lo sai che io non dormo mai”.

“Andate via!” si lamentò Kydoimos “Ho sonno”.

“Voglio solo farti una domanda, mio gioiello” insistette il Caos e Erebo si offrì di uscire.

Il padre, però, invitò il suo primogenito a restare. Kydoimos borbottò e ficcò la testa sotto il cuscino.

“Volevo farvi una domanda, piccoli miei”.

“E non puoi farmela domani? Sono stanco” ringhiò il più piccolo dei figli e il Caos si sedette sul letto.

“A te, piccolo, vorrei chiederti perché sei infelice”.

“Non sono infelice”.

“Stronzate. Sei alla ricerca di qualcosa. Di che cosa?”.

“Ma che dici? Sparisci!”.

“Cosa ti manca? Hai dei figli che ti adorano, noi tutti ti vogliamo bene. Eppure tutti mi fanno notare che hai rinunciato ad Airis e devi essere triste. Perché?”.

“Perché sono tutti degli impiccioni. Io sto benissimo. Voglio solo dormire”.

“Nàgiri e Neikos litigano. Tartaros è geloso perché Gaia non è di certo fedele. Tu, Kydoimos, quasi cadevi dal balcone per salvare Shuna che si suicidava. Questo io…non lo capisco. Perché tutti voi cercate l’amore, se fa così male?”.

I due fratelli rimasero in silenzio. Kydoimos non sapeva che risposta dare. Non lo sapeva davvero. Erebo capì che per il fratellino non era un argomento molto piacevole e non parlò. Non descrisse la gioia che provava nel stare accanto a sua moglie Nyx. Kydoimos si spostò. Si raggomitolò attorno al padre, come in cerca di conforto. Il Caos gli accarezzo i capelli e rimase in silenzio. E il suo gioiello iniziò a cantare.

 

“Dormi ora che

tutte le stelle assieme cantano per te.

Sogna ora che

un poco il cielo appartenga pure a te

e che ti culli poi spiegandoti il perché

il mondo è strano ma sorridi

dico io.

Chiudi gli occhi e

se ti riesce stanotte sogna proprio me

e se il tuo sogno sarà bello come vuoi

allora per sempre uniti insieme saremo noi.

Se davanti a te

vedi battaglie e morti tutti accanto a te

voglio che sappia che qui ci sono io

e che ogni volta che di notte tremerai

sarà la mia voce a scaldarti, vedrai”

 

Kydoimos non poteva sapere che la stessa canzone, in quel momento, la stavano cantando anche Saga, Ninive ed Ahriman.

   
 
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