XVI
SPERANZA
“Posso
restare qui per un po’?”
domandò Ninive, sull’ingresso della dimora del
padre.
“Certo,
figlia mia” sorrise
Apollo “Sei sempre la benvenuta”.
“Non
voglio esserti di disturbo”.
“Ma
quale disturbo! Sei la mia
bambina!”.
“Già…bambina…”.
Ninive
camminò lentamente, ad
occhi socchiusi.
“Solo
una cosa…” la fermò Apollo.
“Dimmi”
rispose lei, dando le
spalle al genitore.
“Chi
è il padre?”.
Lei
spalancò gli occhi. Non si
voltò.
“Lo
hai capito subito che sono…”
mormorò.
“Il
mio potere è anche legato
alla medicina, figlia mia. Allora, chi è il padre del mio
prossimo nipote?
Spero qualcuno all’altezza”.
“Lo
è, papà. Sta tranquillo”.
“Bene.
Ora va pure a riposare”.
“Non
sei in collera con me?”.
“E
perché?”.
“Perché
sono incinta. Pur essendo
a capo delle vestali”.
“Non
sono affari miei. Per quel
che mi riguarda, la castità è una cosa che non
concepisco. Perciò sono lieto
che tu abbia lasciato quella strada per abbandonarti ai meri piaceri
del mondo,
piccola mia”.
“Grazie
per la comprensione”.
“Però
non sei felice”.
“Sono
un po’ preoccupata. Gli anni
passano e tanto tempo è trascorso da quando ho messo alla
luce i miei gemelli.
Ho paura”.
“Mia
cara, sei una Dea. Il tuo
corpo sarà giovane per sempre. Inoltre, conosco una schiera
di divinità pronte
ad assisterti in ogni momento. Perciò sta tranquilla e non
ti preoccupare”.
“Ti
ringrazio”.
“Ma
lo vuoi?”.
“Cosa?”.
“Il
bambino. Lo vuoi? Perché, se
non lo vuoi, posso aiutarti a disfartene”.
“No,
lo voglio. Sarà la mia
meraviglia”.
Ninive si
congedò, sentendosi
piuttosto stanca. Forse doveva seguire il consiglio del padre ma
qualcosa le
diceva che quel bambino doveva vivere.
Kydoimos
attendeva pazientemente
alla tredicesima casa del grande tempio. Aiolos tardava a mostrarsi.
Finalmente, dopo parecchio tempo, il cavaliere apparve scostando la
tenda.
“Benvenuto”
salutò Aiolos e
Kydoimos fece solo un cenno con il capo.
Aiolos
sedette sul trono del gran
sacerdote, pronto ad ascoltare ciò che l’ospite
aveva da dirgli. Poco dopo,
Hestia apparve e salutò, con un sorriso più che
equivoco, e lasciò la stanza.
“Vedova
di fresco, e già con il
letto occupato” commentò Kydoimos.
“Non
credo siano affari che vi
riguardano” sbottò Aiolos.
Kydoimos non
aggiunse altro.
Sperò solo che Saga, nel suo riposo eterno, non sapesse
certe cose.
“Di
cosa volevate parlarmi?”
riprese il gran sacerdote.
“Ci
tenevo a farvi sapere che gli
intenti del palazzo nero non sono di guerra” rispose Kydoimos.
“Non
lo sono?”.
“No.
Ho liberato Gaia, lo
ammetto. Ma non per muoverla contro di voi”.
“E
allora per quale motivo?”.
“Perché
Gaia è la madre Terra. La
sua presenza è fondamentale”.
“Non
ne sono convinto”.
“Di
ciò che ti convince, a me
poco importa. Io dico le cose come stanno. Poi interpretate come vi
pare”.
“Io
giudico quel che vedo. Gaia
ci ha attaccati, portando alla morte tanti innocenti. Il suo ritorno
è ovvio
che desti preoccupazioni”.
“Lo
comprendo. Ma, se me lo
permettete, garantisco io”.
“E
tu chi sei, per poter
garantire?”.
“Non
valgono più le parole fra
gentiluomini?”.
Aiolos
storse il naso. Non si
fidava per niente. Però doveva lasciare aperte le porte alla
diplomazia.
Allungò la mano e strinse quella di Kydoimos. Saga
desiderava la pace, e
considerò quel gesto come una sorta di ultimo desiderio
dell’amico.
Thanatos non
trovava semplice
essere mortale. Non era abituato a dover mangiare, dormire e camminare
per
forza. Però alla quarta casa stava bene. Sedeva in un
angolo, da cui riusciva a
sbirciare tutto l’oltretomba. Sorrise, vedendo suo fratello
Hypnos, anche se
non capiva cosa ci facesse in quell’anfratto di
aldilà. Poi notò l’anima
incompleta.
“Sei
qui, dunque” sentì dire dal
Dio dei sogni “Violatte ti ha trovato proprio un bel posto
dove nasconderti”.
L’anima
fu afferrata da Hypnos e
gridò. Thanatos sobbalzò. Che il fratello fosse
così crudele?
“Devo
trovare il modo di
rimetterti a posto. Le lagne di Saga non le sopporto
più!” sbottò il Dio dei
sogni.
Il gemello
dai capelli argento
guardò con apprensione l’anima. Stava regredendo.
La sua memoria ed il suo
aspetto andavano scemando. Stava divenendo un semplice involucro privo
di personalità,
cattiveria, paure o desideri. Era una cosa non molto positiva.
Rischiava di
rimanere errante per sempre. O di essere eliminata per
pietà.
“Fratello,
fai in fretta” mormorò
Thanatos, sperando che anche Deathmask facesse la sua parte.
Nyx girava
per i corridoio. Non
capiva cosa aveva spinto Thanatos e divenire mortale. Si chiedeva dove
avesse
sbagliato. C’era qualcosa che poteva fare? Sospirò.
“Cosa
ti rattrista?” domandò
Kydoimos, appena rientrato dal grande tempio.
“Il
silenzio” rispose lei.
“Silenzio?”.
“Sì.
In questa casa non c’è
musica, non c’è alcuna melodia”.
“Ti
manca la musica di
Thanatos?”.
“Anche”.
Kydoimos
rifletté qualche
istante. Poi sorrise. Le porse la mano.
“Vieni
con me” le disse “So come
far tornare la musica”.
La
accompagnò di corsa fino alla
grande stanza dove il Caos aveva trovato il modo di far crescere varie
piante.
Kydoimos tolse i sandali e affondò i piedi nella terra
umida. Ghignò, vedendo
diversi altri abitanti della casa.
“Venghino,
signori, venghino!”
commentò, sarcastico.
“Cosa
hai in mente?” domandò il
padrone del palazzo, senza capire.
“Madama,
posso avere una ciocca
dei suoi capelli?” domandò Kydoimos, prendendo la
mano di Nyx.
Lei sorrise.
Non capiva, ma porse
una ciocca al suo fratellino adottivo. Lui ringraziò con un
inchino e la tagliò
facendo frizzare un po’ di energia fra le dita. Si
guardò attorno. Aveva tutto
ciò che gli serviva. Sciolse i capelli, che si aprirono in
terra ben oltre le
caviglie, e chiuse gli occhi. Ruotò le braccia, lasciando
che la ciocca di Nyx
rimanesse sospesa a mezz’aria. Con il suo gesto, la terra,
l’acqua ed i profumi
della stanza crearono una spirale attorno a Kydoimos, che
guidò quel flusso con
le mani. La capigliatura seguì quel corso e lui rise,
solleticato dai suoi
stessi capelli. Gli elementi iniziarono a fondersi, mentre chi li
dominava si
sollevava da terra. Si creò una forma, che emise un suono
forte e melodico. Si
espanse e prese vita. Era un enorme volatile del colore dei capelli di
Nyx.
Spalancò le ali e volò. Il suo canto
incantò i presenti. Kydoimos tornò a terra
e sorrise. Era fiero di quanto aveva creato. Gli atri fissarono
l’animale con
ammirazione.
“Sei
il mio gioiello” esclamò il
Caos, accarezzandogli la testa con orgoglio.
“Questo
è un regalo per Nyx.
Spero le piaccia” rispose Kydoimos.
La donna
annuì, ascoltando il
canto di quell’uccello.
“So
che non può sostituire la
musica di Thanatos, però spero che ti rechi gioia”
riprese il fratello adottivo
ed uscì dalla stanza.
“Aiaco!”
chiamò Hypnos,
trascinando l’anima incompleta.
Il giudice,
che si stava facendo
medicare da Violatte, si stupì di quella visita.
“Mio
fratello ha espresso il
desiderio di salvare quest’anima e io mi devo sorbire Saga
che piange tutto il
giorno” parlò il Dio “Perciò
devo fare in modo che le cose si risolvano. E tu
mi aiuterai”.
“In
che modo?”.
“Non
posso farla ricongiungere
alla parte mancante finché questa non lascia il palazzo
nero”.
“La
parte che manca è al palazzo
del Caos?”.
“Me
lo ha svelato mio fratello.
Ma finché non mette piede fuori da esso, non posso far
nulla”.
“Capisco.
E che posso fare?”.
“Quando
io te lo chiederò, tu mi
ubbidirai. Chiaro?”.
“Chiarissimo”.
“Bravo.
Ora tieni qui con te
quest’anima e non temere: Hades non ti
infastidirà”.
Per
Deathmask le cose non erano
cambiate più di tanto. Girellava per il regno dei morti come
sempre. Però ora
poteva accedere ai campi elisi. Era un bel posto, lo doveva ammettere.
“Allora,
come vanno le cose al
grande tempio?” domandò Aphrodite.
“Bene,
direi” sorrise Deathmask “Anche
se sono tutti un po’ agitati perché temono nuovi
attacchi”.
“Non
si riesce mai ad avere la
pace” sospirò Saga.
“No,
mi sa di no”.
“Che
schifo. Quante lacrime,
sangue e cadaveri sul nostro cammino. Quanti orfani!”.
“Ti
do ragione. Ma io non posso
farci niente”.
“Nessuno
cerca mai di fare
niente”.
“Questo
non è vero! È solo che ci
sono troppi sospetti. Ahriman, per quanti buoni propositi possa avere,
è
comunque il figlio di Arles. E questo crea dei pensieri non bellissimi
nella
mente dei nostri”.
“Che
cosa c’entra Arles, adesso?”
sbottò Saga, cambiando di colpo espressione.
“Ahriman
ha comunque il suo
sangue. Nessuno di noi si stupirebbe se in realtà
nascondesse chissà quale
intento malvagio”.
“Cazzate.
La cattiveria non è
ereditaria! Allora dovrei credere che anche tuo figlio decapita la
gente!”.
“Non
lo fa, ma poco ci manca!”.
“Ahriman
non è cresciuto con il
padre. Non lo considera nemmeno tale”.
“Il
sangue non mente”.
“Sono
tutte stronzate”.
“Senti..non
mi va di picchiare un
morto!”.
“Tanto
non provo dolore. Fai
pure”.
“Fatti
curare da uno bravo!”.
Deathmask si
alzò, stufo di quei
discorsi. Hypnos lo fissò, per qualche istante. Ancora non
si abituava all’idea
di vedere l’armatura del gemello su quell’uomo.
“Ti
dovrei parlare un attimo, Dio
della morte” mormorò il Dio dei sogni.
“A
che proposito?”.
“Su
una faccenda che riguarda
entrambi”.
Deathmask
guardò Saga.
“Riguarda
l’anima incompleta?”
domandò.
“Vieni
con me” continuò il Dio
dai capelli oro e, insieme, lasciarono i campi elisi.
“Come
mai, quando sono tornato a
prenderti, tu non c’eri?” domandò
Nàgiri alla sorella.
“Non
sono affari tuoi” ribatté
lei.
“Io
mi preoccupo”.
“Non
è vero. Mi hai lasciato lì
da sola!”.
“Certo!
Volevi forse assistere
alle mie scopate? Però mi dovevi aspettare”.
“Mi
annoiavo. Ho trovato di
meglio da fare e poi sono rientrata da sola”.
“So
bene che tu sei più brava di
me nel viaggio fra dimensioni. Ma non ha niente a che fare con il fatto
che non
ti sei fatta vedere. Mi è venuto un colpo”.
“E
perché? Credevi che andassi a
dire a papà cosa fai?”.
“A
papà non deve importare quello
che faccio”.
“E
allora diglielo, così non ti
servo come scusa. Anche perché, ti informo, ora ho da
fare”.
“Hai
da fare? E che cosa?”.
“La
stessa cosa che hai da fare
tu”.
“Cosa?!
Io ti porto una sera al
grande tempio e tu…”.
“E
io sì, mi sono goduta la
serata ed ho piena intenzione di ripetere
l’esperienza”.
“E
con chi?”.
“Non
sono affari tuoi”.
“Fammi
capire…la mia sorellina va
in giro a fare la troia e non sono affari miei?”.
“Abbiamo
solo pochi mesi di
differenza, smettila di fare il superiore! E poi…tu fai lo
stesso!”.
“Io
amo la donna con cui faccio
sesso!”.
“Anch’io
amo l’uomo con cui
passerò le serate d’ora in avanti”.
“Come
fai ad amarlo? Lo hai visto
una sola sera”.
“La
cosa non ti riguarda!”.
“Puttana”.
“Stronzo
bugiardo”.
“Ragazzi!”
urlò Kydoimos, per
farli smettere “Piantatela!”.
“Non
ho iniziato io” dissero i
due, in coro.
“Non
mi interessa chi ha
iniziato. Chiedetevi scusa!”.
I fratelli
si guardarono
piuttosto male ma, con l’insistenza del padre, si chiesero
scusa. Nàgiri lasciò
di corsa la stanza. Neikos tentò di fare lo stesso ma
Kydoimos la fermò.
“Figlia
mia” le disse, serio “Ti
do un consiglio, se ti va di ascoltarlo”.
“Dimmi,
papà”.
“Non
concedere il tuo corpo ed il
tuo cuore solo per ripicca o vendetta. Finirai per rimetterci solo
tu”.
“Quest’uomo
mi piace davvero”.
“Sul
serio? O è solo un modo per
tentare di dimenticare in fretta Nàgiri e le sue
bugie?”.
“Sul
serio”.
“In
questo caso, spero tu sia
felice. Così lo sarò anch’io”.
Neikos si
congedò. Kydoimos la osservò
con una punta di amarezza. Com’erano cresciuti in fretta i
suoi piccoli! Il
Caos gli si avvicinò lentamente, inclinando la testa. Il
figlio sollevò la sua,
per poterlo guardare in viso. Si fissarono per qualche istante.
“Io
non so che parole usare..”
esordì il Caos “Perché non conosco il
legame che voi chiamate amore”.
“Siete
fortunato” rispose
Kydoimos.
“Fortunato?”.
“Sì.
L’amore è un’inutile
debolezza”.
“Una
debolezza?”.
“Ci
rende vulnerabili e sciocchi.
Perché uomini e Dei sono incompleti?”.
“Forse
perché la perfezione è
noiosa”.
“Ma
l’amore..”.
“Rende
anche felici”.
“No.
L’amore non mi ha mai reso
felice”.
Kydoimos
strinse i pugni e non
aggiunse altro. Era frustrato. Per quanto si sforzasse, la sua vita
comunque
non era mai completa.
Quando
Ahriman rivide la madre,
diversi mesi più tardi, non trovò le parole. Non
sapeva se ciò che provava era
sdegno, disgusto, rabbia o smarrimento.
“Fra
quanto nascerà?” domandò,
indicando il ventre della madre.
“Non
molto” rispose lei.
“Ma
tu, non avevi giurato di fare
la casta vestale?”.
“Avevo
giurato, sì”.
“E
allora cosa è successo? Non
sarai mica stata violentata! Se è così, dimmi chi
è stato, che lo eviro”.
“Calmati,
Ahriman!”.
Ninive
sedette sulla sedia a
dondolo che il padre le aveva donato e si accarezzò la
pancia gonfia. Il
bambino scalciava e chiedeva un sacco di energia.
“Sei
contenta?” le domandò il
figlio “Ariadne sa di questa cosa?”.
“No,
Ariadne non lo sa. Perché,
come te, pensa alla madre solo un paio di volte
l’anno”.
“Scusami
tanto se mi hai abbandonato
e non ho questa gran voglia di vederti”.
“Allora
vattene. Di certo non
puoi aiutarmi a partorire”.
“Non
ci penso nemmeno!”.
Ninive non
aggiunse altro.
Sperava di poter rimediare agli errori del passato con quel piccolo.
Anche se
non ne era affatto certa. Ahriman pareva confuso. Era giunto fin
lì per parlare
alla madre della donna che frequentava da mesi, piuttosto orgoglioso.
Ma si era
scordato ogni cosa. Vedendola incinta, non aveva pensato ad altro. Chi
aveva
osato toccarla? Si scosse. Non erano affari suoi. E di certo quel
moccioso
nascituro non aveva nulla a che fare con lui!