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Autore: SagaFrirry    01/03/2015    1 recensioni
Seguito di un'altra storia pubblicata in precedenza (Risveglio). Sono passati degli anni e molte cose sono cambiate al santuario. Questa volta i cavalieri si ritroveranno faccia a faccia con l'origine di ogni cosa: il Caos. come si rapporteranno con la sua progenie? e quante volte può morire un cavaliere?
chiedo perdono per i risvolti deprimenti. io sono una persona fondamentalmente depressa ;)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Thanatos, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Risveglio'
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XVII

 

FAMIGLIA

 

“Come ti senti?” domandò Apollo, osservando la figlia.

“Sono stanca” ammise Ninive.

La donna, accarezzandosi il ventre, osservava le stelle dal patio.

“Che serata splendida” commentò Apollo.

“Già. Mio figlio dev’essere di buon umore”.

“Ultimamente Ahriman pare stare proprio bene”.

“Credo sia innamorato”.

“Davvero?”.

“Sì. Mi pare una buona cosa che voglia sistemarsi”.

“E tu?”.

“Io cosa?”.

Ninive guardò il padre, che non rispose subito.

“Tu..” iniziò Apollo “..pensi di sistemarti un giorno di questi o progetti di sfornare altri figli senza un padre?”.

“Non è ciò che fai tu?”.

“Io ho molte donne e molti figli, ma è quello che voglio. Tu, invece, non sembri felice di questa situazione. Mi sembri una che desidera tanto una famiglia, un uomo accanto e cose del genere”.

“So io che cosa desidero, papà”.

“Non lo metto in dubbio. Ma, ad esempio, il papà di colui che presto metterai al mondo dove sta? Perché non sei accanto a lui?”.

“Sono affari miei!”.

“Lo so. Voglio solo sapere. Ti ha forse abbandonata? O è stata una tua scelta?”.

“Lui non sa che io sono incinta”.

“E perché non glielo hai detto?”.

“È complicato”.

Apollo alzò un sopracciglio, non capendo del tutto quel discorso.

“Ad esempio..” riprese lui “..quell’Arles con cui hai avuto i gemelli..era un umano, un mortale, però mi piaceva. Era forte, determinato e..”.

“Pazzo”.

“Già, era anche pazzo. Ma nessuno è perfetto”.

“Tu affideresti dei bambini ad una creatura come lui?”.

“Sì, perché no?”.

“Perché è pazzo!”.

“Ahimè, era pazzo. Ma se fosse in vita, non credo avrei problemi ad affidargli un bambino. Hai visto come si comportava con Ariadne ed Ahriman? Non mi è parso tanto male”.

“Ahriman lo detesta”.

“Ahriman è una testa calda. Lo sai meglio di me”.

“Io non amo Arles, papà”.

“Non lo amavi. Ma questa è un’altra faccenda. Ormai lui è morto. Però come padre, credo che avrebbe fatto il suo lavoro egregiamente”.

Ninive si fissò il pancione, sospirando.

“Meglio che mi stenda. Oggi scalcia tanto” parlò.

“Riposa, figlia mia”.

Apollo la baciò sulla fronte e lasciò che si allontanasse. Che complicata era la vita!

 

Ahriman era piuttosto nervoso. Davanti alla porta del palazzo nero, stringeva la mano di Neikos. Poi prese un respiro profondo ed entrò. L’atmosfera di fece pesante, come pensava.

“Vieni” lo invitò Neikos “Mio padre è per di qua”.

Gli altri abitanti della casa osservarono la scena con sospetto e fastidio. Cosa ci faceva quell’essere lì?

“Signor Kydoimos?” domandò Ahriman, entrando nella stanza.

Kydoimos sedeva su uno sgabello e tentava di ricreare il suono della cetra di Thanatos. Non era affatto semplice. Con le mani, liberava piccole dosi di energia per plasmare la materia ma il suono non era quello che desiderava. Si voltò, stupito nel vedere il Dio del cielo.

“Ciao, Ahriman” lo salutò “Che posso fare per te?”.

“Forse posso sembrare un po’ avventato” iniziò il Dio “Ma sono qui per chiedere la mano di vostra figlia”.

“Neikos?”.

“Non conosco le altre figlie..”.

Kydoimos poggiò a terra ciò che stava facendo, cercando le parole giuste.

“Non mi aspettavo una cosa del genere” ammise.

“Lo so, papà” parlò Neikos “So che Ahriman non è molto apprezzato in questa casa. Ma io lo amo e lui ama me. Mi trasferisco al palazzo nel cielo”.

“Ma..insomma..parliamone! Ahriman tu..sei vecchio!”.

“Papà! Ahriman è un Dio! Non invecchia!”.

“Nemmeno io, ma so di avere una certa età e non ci provo con le ragazzine”.

“Non sono una ragazzina”.

“Ha il doppio della tua età! E poi..c’è un’altra cosa che..”.

“Non voglio sentire!” sbottò Neikos “Le tue sono solo scuse! Ahriman è innocente, non ha ucciso nessuno”.

“Questo so per certo che non è vero. Non è così, Ahriman?”.

“Beh..” ammise il Dio del cielo “Gente ne ho uccisa. Ma nessuno bambino. Lo giuro”.

“Quello che cerco di dire, è un altro!” insistette Kydoimos “Ma è complicato e..”.

“E io non lo voglio sentire! Lo sapevo che era una follia venire qui per chiedere il tuo permesso!” interruppe Neikos, prendendo per mano Ahriman.

“Mi lasci parlare?” sbottò il padre e la figlia lo ignorò.

“No. Io me ne vado. E tu non potrai fermarmi. Io..aspetto suo figlio e quello che pensi non mi interessa”.

“Tu cosa?!” si stupirono entrambi gli uomini nella stanza.

“Hai sentito benissimo”.

“Torna subito qui!” insistette Kydoimos, ma ormai Neikos aveva già lasciato la stanza.

Ahriman si voltò, piuttosto confuso. Non era certo che scappar via così fosse la cosa più giusta. Poi lo sguardo di quell’uomo..quell’occhio, che ricordava grigio e cieco, da sotto un grosso ciuffo di capelli neri, pareva scintillare di verde. Di un verde familiare..

 

Ninive si svegliò nel cuore della notte, in preda al dolore. Sentì il rumore della pioggia ed un tuono. Il tempo era cambiato di colpo. Si mise seduta, piuttosto preoccupata. La gravidanza non era giunta ancora a termine ma qualcosa non andava. Si accorse di star perdendo sangue ed andò nel panico. Non era il momento! E solo l’idea di soffrire come nel caso dei gemelli, aumentò la sua ansia.

“Papà!” chiamò, spaventata.

Apollo corse da lei, piuttosto preoccupato. La vide e capì che era molto agitata. Si inginocchiò e le prese le mani. La guardò negli occhi.

“Ninive!” la chiamò “Calmati! Guardami! Ci sono qui io ed andrà tutto bene. Però devi stare calma”.

“Ho paura. Cosa succede?”.

“Tranquilla. Avrà solo un po’ di fretta. A volte succede”.

“Ma sta bene?”.

“Respira. Mando a chiamare Artemide, ok? Lei ti aiuterà ed andrà tutto bene”.

Ninive annuì, gemendo per un’altra contrazione. E fuori si udì un altro tuono.

 

“Non credi di essere stata un po’ troppo precipitosa?” domandò Ahriman.

Assieme a Neikos, ora era di nuovo nel palazzo del cielo.

“Ti stavano tutti guardando con odio. Non vedevo l’ora di andarmene” rispose lei.

“Sì, ma tuo padre forse doveva dirci qualcosa di interessante”.

“Non volevo ascoltare, scusa”.

“Quell’uomo mi da strane sensazioni. Non so spiegartele”.

“Non voglio saperle”.

Ahriman guardò Neikos e non disse altro. Le sorrise. Non importava più niente, ormai. Lei era lì con lui e fanculo tutto il resto!

 

“Coraggio, sei bravissima” sorrise Artemide.

Ninive gridò. Sua zia, Dea della luna e famosa levatrice fin da piccolissima, guardò con fastidio il fratello Apollo, rimasto in piedi nella stanza.

“Sparisci!” lo sgridò “Abbiamo bisogno di privacy noi donne!”.

“No, ti prego!” supplicò Ninive “Fallo restare qui, accanto a me”.

Apollo raggiunse la figlia e sedette accanto al letto, stringendole la mano.

“Fammi dare un’occhiata” continuò Artemide, rassegnata.

Il suo gemello un po’ la infastidiva, anche se era stata lei stessa a farlo nascere. Un atto che solo una divinità poteva compiere.

“Sta andando tutto bene, Ninive” rassicurò la nipote.

“E il sangue?”.

“Ha bisogno di uscire, nipote mia. Non lo senti spingere?”.

Ninive gridò di nuovo.

“Devi rilassarti, almeno un po’, mia cara” tentò di calmarla Apollo “Così renderai le cose più facili”.

“Il tuo piccolo smania dalla voglia di venire al mondo!” sorrise Artemide “Perciò spingi”.

Ninive spinse con tutte le sue forze, piangendo per il dolore. Tuoni, lampi e tanta pioggia accompagnavano quelle lacrime e quelle grida di dolore.

Erano passate delle ore. Ninive, ormai sfinita, raccolse le ultime forze e finalmente il piccolo nacque. Lanciò un vagito molto potente, che fece sorridere tutti i presenti.

“È un maschio?” chiese lei.

“Un bel maschietto” annuì Artemide.

Il piccolo si dimenò quando venne lavato. Poi, avvolto in un asciugamano, la Dea della luna lo mostrò alla nipote, pronta a farglielo prendere in braccio.

“È bellissimo” commentò Apollo, vedendo che il nipote aveva i capelli ramati, come lui e la madre.

Solo in quel momento il piccolo aprì gli occhi. Artemide sobbalzò e fu Apollo a prendere al volo il bambino, lasciato cadere. Lo osservò in viso. Lo sguardo del neonato era quello delle creature del Caos. Quegli occhi, simili a quelli di un gatto come forma, ed interamente rossi, lo turbarono.

“Che significa questo?” domandò, rivolto alla figlia.

Ninive distolse lo sguardo. Non voleva raccontare la verità. Apollo afferrò per la collottola il nipotino, come fosse un gatto, e lo osservò. Solo gli occhi erano diversi dall’ordinario.

“Devi disfartene” esclamò.

“Come?” mormorò, piuttosto confusa, Ninive.

“Guardalo! Non può vivere in questo mondo!”.

Lei fissò suo figlio. Era vero. Ma non voleva che morisse.

“Lasciamelo per questa notte” chiese “Domani mattina, potrai farci ciò che vorrai”.

“Benissimo. Anche se non mi spiego come tu possa esserti mescolata con simile sangue”.

“Non è a te che devo rendere conto. E ora lasciami dormire. Sono stanca”.

Artemide non commentò. Non sapeva cosa dire. Cambiò le lenzuola e le vesti sporche della nipote e poi la lasciò riposare. Il bimbo fu messo in una culla e ignorato. Piangeva, perché affamato, ma la madre non voleva abbracciarlo e allattarlo. Dentro di sé, chiamò il nome del padre di quella creatura. Forse lui era il solo in grado di prendersene cura.

 

Kydoimos si toccò la testa. Che strana sensazione. Qualcuno lo chiamava.

“Ninive?” si stupì.

Com’era possibile? Che stava succedendo? Non lo capiva, ma quella voce nella sua mente si faceva sempre più forte. La doveva raggiungere al più presto. Senza dare spiegazioni, si avvolse in un pesante mantello e lasciò la casa. Saltò nel nero che la circondava e sparì alla vista.

“Dov’è andato?” si chiese Tartaros.

“Forse a spaccare il culo ad Ahriman” ghignò Erebo “Io lo farei”.

 

Nel buio della stanza, Kydoimos non capì subito dove fosse finito. Vide Ninive, addormentata sul letto. Poi udì un vagito e rizzò l’orecchio a punta. Si avvicinò alla culla, molto alta, e fissò il neonato all’interno.

“È tuo” mormorò la madre, svegliandosi.

“Io..non sapevo che tu..” provò a parlare Kydoimos, senza trovare le parole.

“Non volevo che lo sapessi. Volevo crescere questo bambino da sola. Ma è nato con quello sguardo e in questo mio mondo non può stare”.

“Capisco..”.

“Prendilo tu. Sono certa che sarai un buon genitore e lui starà di certo meglio nel palazzo nero”.

“Ninive! Vieni con me! Cresciamolo assieme!”.

“Arles...sono la figlia di Apollo! La figlia del Dio del sole! Non puoi chiedermi di vivere per sempre in un luogo privo di luce”.

“Io..”.

“E poi, io e te non siamo fatti per stare assieme. Tranquillo, non crucciarti per me. Ora che ho capito quel che desidero, vedrai che non ci metterò molto a scovare un uomo con cui concepire tanti marmocchi di cui prendermi cura”.

“Se è questo quel che vuoi..”

“Quel bambino qui non avrebbe futuro. La sua famiglia è al palazzo nero. Qui verrebbe ucciso”.

Kydoimos prese in braccio il piccolo, che si lamentava per la fame.

“Come si chiama?” domandò il padre.

“Non gli ho dato un nome. Sceglilo tu. E ora vattene”.

Lei aveva girato la testa. Probabilmente piangeva. Kydoimos chinò la testa.

“Scusami, Ninive” disse, piano “Ogni mio tentativo di farti felice diventa un nuovo tormento per te. Mi dispiace. Se solo potessi..”.

“Va via. E non tornare mai più. Questo mi renderà felice”.

L’uomo fece un cenno con il capo. Riluttante, guardò per l’ultima volta la donna e poi sparì, con il bimbo in braccio. Ninive, la mattina dopo, raccontò al padre Apollo di aver trovato il bambino morto e di averlo seppellito in fretta.

 

Kydoimos arrivò al palazzo con il mantello fradicio di pioggia. Lo gettò in un angolo e raggiunse la cucina. Il bimbo aveva fame e doveva preparargli qualcosa. Sapeva di avere ancora un biberon da qualche parte. Frugò fra gli scaffali, sempre con il neonato in braccio. Sospirò, un po’ scocciato dalla confusione che regnava in quella casa. Si voltò e sobbalzò. Tartaros lo stava fissando. Dietro di lui, Gaia.

“Cos’hai in braccio, fratellino?” domandò l’uomo.

Kydoimos aprì la bocca per rispondere ma Gaia lo interruppe, con un grido d’entusiasmo.

“È un bambino!” esclamò lei e lo strappò alle braccia del padre.

“Che cercavi?” continuò Tartaros.

“Un biberon” rispose Kydoimos e Gaia si corrucciò.

“Non serve un biberon, vero tesoro?”.

La donna sorrise al piccino e si scoprì il seno generoso, da cui il neonato iniziò a succhiare avidamente.

“Tutti i bimbi dovrebbero essere allattati” commentò la donna “Altrimenti diventano cattivi. Ahriman si vede subito che non è mai stato allattato!”.

“Se vuoi, puoi prendertene cura tu” propose Kydoimos “Io, con tutta la mia buona volontà, non posso attaccarlo al seno!”.

“Direi di no. Però con le tette saresti carino” ridacchiò Tartaros.

“Che succede qui?” entrò il Caos.

L’entusiasmo di Gaia aveva richiamato quasi tutta la casa e presto capirono il perché.

“Un bimbo!” sorrise Nyx.

Tutti risero ed andarono a salutare il nuovo nato, che continuò a mangiare.

“Hanno fatto tutto questo casino anche quando sono nato io?” domandò Nàgiri.

“Oh sì, anche peggio! Perché, quando sei nato tu, in questa casa non nasceva qualcuno da millenni!” rispose Kydoimos, ricordando quel giorno.

Il Caos fissò il figlio, felice.

“Credevo che la maledizione ti impedisse di avere figli”.

“Lo credevo pure io” ammise Kydoimos.

“Chi è la madre? Perché non è venuta qui?”.

“Non se l’è sentita di vivere al buio per sempre”.

“Ma..è una mortale, vero? Non è una divinità legata a Zeus ed alla sua stirpe, immagino. Non voglio mezzo sangue bastardi”.

“È figlio di una mortale” mentì il figlio adottivo, sapendo che il Caos avrebbe ucciso il piccolo senza pietà, sapendo che in lui scorreva il sangue della progenie di Zeus.

   
 
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