XVII
FAMIGLIA
“Come
ti senti?” domandò Apollo,
osservando la figlia.
“Sono
stanca” ammise Ninive.
La donna,
accarezzandosi il
ventre, osservava le stelle dal patio.
“Che
serata splendida” commentò
Apollo.
“Già.
Mio figlio dev’essere di
buon umore”.
“Ultimamente
Ahriman pare stare
proprio bene”.
“Credo
sia innamorato”.
“Davvero?”.
“Sì.
Mi pare una buona cosa che
voglia sistemarsi”.
“E
tu?”.
“Io
cosa?”.
Ninive
guardò il padre, che non
rispose subito.
“Tu..”
iniziò Apollo “..pensi di
sistemarti un giorno di questi o progetti di sfornare altri figli senza
un
padre?”.
“Non
è ciò che fai tu?”.
“Io
ho molte donne e molti figli,
ma è quello che voglio. Tu, invece, non sembri felice di
questa situazione. Mi
sembri una che desidera tanto una famiglia, un uomo accanto e cose del
genere”.
“So
io che cosa desidero, papà”.
“Non
lo metto in dubbio. Ma, ad
esempio, il papà di colui che presto metterai al mondo dove
sta? Perché non sei
accanto a lui?”.
“Sono
affari miei!”.
“Lo
so. Voglio solo sapere. Ti ha
forse abbandonata? O è stata una tua scelta?”.
“Lui
non sa che io sono incinta”.
“E
perché non glielo hai detto?”.
“È
complicato”.
Apollo
alzò un sopracciglio, non
capendo del tutto quel discorso.
“Ad
esempio..” riprese lui
“..quell’Arles con cui hai avuto i gemelli..era un
umano, un mortale, però mi
piaceva. Era forte, determinato e..”.
“Pazzo”.
“Già,
era anche pazzo. Ma nessuno
è perfetto”.
“Tu
affideresti dei bambini ad
una creatura come lui?”.
“Sì,
perché no?”.
“Perché
è pazzo!”.
“Ahimè,
era pazzo. Ma se fosse in
vita, non credo avrei problemi ad affidargli un bambino. Hai visto come
si
comportava con Ariadne ed Ahriman? Non mi è parso tanto
male”.
“Ahriman
lo detesta”.
“Ahriman
è una testa calda. Lo
sai meglio di me”.
“Io
non amo Arles, papà”.
“Non
lo amavi. Ma questa è
un’altra faccenda. Ormai lui è morto.
Però come padre, credo che avrebbe fatto
il suo lavoro egregiamente”.
Ninive si
fissò il pancione,
sospirando.
“Meglio
che mi stenda. Oggi
scalcia tanto” parlò.
“Riposa,
figlia mia”.
Apollo la
baciò sulla fronte e
lasciò che si allontanasse. Che complicata era la vita!
Ahriman era
piuttosto nervoso.
Davanti alla porta del palazzo nero, stringeva la mano di Neikos. Poi
prese un
respiro profondo ed entrò. L’atmosfera di fece
pesante, come pensava.
“Vieni”
lo invitò Neikos “Mio
padre è per di qua”.
Gli altri
abitanti della casa
osservarono la scena con sospetto e fastidio. Cosa ci faceva
quell’essere lì?
“Signor
Kydoimos?” domandò
Ahriman, entrando nella stanza.
Kydoimos
sedeva su uno sgabello e
tentava di ricreare il suono della cetra di Thanatos. Non era affatto
semplice.
Con le mani, liberava piccole dosi di energia per plasmare la materia
ma il
suono non era quello che desiderava. Si voltò, stupito nel
vedere il Dio del
cielo.
“Ciao,
Ahriman” lo salutò “Che
posso fare per te?”.
“Forse
posso sembrare un po’
avventato” iniziò il Dio “Ma sono qui
per chiedere la mano di vostra figlia”.
“Neikos?”.
“Non
conosco le altre figlie..”.
Kydoimos
poggiò a terra ciò che
stava facendo, cercando le parole giuste.
“Non
mi aspettavo una cosa del
genere” ammise.
“Lo
so, papà” parlò Neikos “So
che Ahriman non è molto apprezzato in questa casa. Ma io lo
amo e lui ama me.
Mi trasferisco al palazzo nel cielo”.
“Ma..insomma..parliamone!
Ahriman
tu..sei vecchio!”.
“Papà!
Ahriman è un Dio! Non
invecchia!”.
“Nemmeno
io, ma so di avere una
certa età e non ci provo con le ragazzine”.
“Non
sono una ragazzina”.
“Ha
il doppio della tua età! E
poi..c’è un’altra cosa che..”.
“Non
voglio sentire!” sbottò
Neikos “Le tue sono solo scuse! Ahriman è
innocente, non ha ucciso nessuno”.
“Questo
so per certo che non è
vero. Non è così, Ahriman?”.
“Beh..”
ammise il Dio del cielo
“Gente ne ho uccisa. Ma nessuno bambino. Lo giuro”.
“Quello
che cerco di dire, è un
altro!” insistette Kydoimos “Ma è
complicato e..”.
“E
io non lo voglio sentire! Lo
sapevo che era una follia venire qui per chiedere il tuo
permesso!” interruppe
Neikos, prendendo per mano Ahriman.
“Mi
lasci parlare?” sbottò il
padre e la figlia lo ignorò.
“No.
Io me ne vado. E tu non
potrai fermarmi. Io..aspetto suo figlio e quello che pensi non mi
interessa”.
“Tu
cosa?!” si stupirono entrambi
gli uomini nella stanza.
“Hai
sentito benissimo”.
“Torna
subito qui!” insistette Kydoimos,
ma ormai Neikos aveva già lasciato la stanza.
Ahriman si
voltò, piuttosto
confuso. Non era certo che scappar via così fosse la cosa
più giusta. Poi lo
sguardo di quell’uomo..quell’occhio, che ricordava
grigio e cieco, da sotto un
grosso ciuffo di capelli neri, pareva scintillare di verde. Di un verde
familiare..
Ninive si
svegliò nel cuore della
notte, in preda al dolore. Sentì il rumore della pioggia ed
un tuono. Il tempo
era cambiato di colpo. Si mise seduta, piuttosto preoccupata. La
gravidanza non
era giunta ancora a termine ma qualcosa non andava. Si accorse di star
perdendo
sangue ed andò nel panico. Non era il momento! E solo
l’idea di soffrire come
nel caso dei gemelli, aumentò la sua ansia.
“Papà!”
chiamò, spaventata.
Apollo corse
da lei, piuttosto
preoccupato. La vide e capì che era molto agitata. Si
inginocchiò e le prese le
mani. La guardò negli occhi.
“Ninive!”
la chiamò “Calmati!
Guardami! Ci sono qui io ed andrà tutto bene.
Però devi stare calma”.
“Ho
paura. Cosa succede?”.
“Tranquilla.
Avrà solo un po’ di
fretta. A volte succede”.
“Ma
sta bene?”.
“Respira.
Mando a chiamare
Artemide, ok? Lei ti aiuterà ed andrà tutto
bene”.
Ninive
annuì, gemendo per
un’altra contrazione. E fuori si udì un altro
tuono.
“Non
credi di essere stata un po’
troppo precipitosa?” domandò Ahriman.
Assieme a
Neikos, ora era di
nuovo nel palazzo del cielo.
“Ti
stavano tutti guardando con
odio. Non vedevo l’ora di andarmene” rispose lei.
“Sì,
ma tuo padre forse doveva
dirci qualcosa di interessante”.
“Non
volevo ascoltare, scusa”.
“Quell’uomo
mi da strane
sensazioni. Non so spiegartele”.
“Non
voglio saperle”.
Ahriman
guardò Neikos e non disse
altro. Le sorrise. Non importava più niente, ormai. Lei era
lì con lui e
fanculo tutto il resto!
“Coraggio,
sei bravissima”
sorrise Artemide.
Ninive
gridò. Sua zia, Dea della
luna e famosa levatrice fin da piccolissima, guardò con
fastidio il fratello
Apollo, rimasto in piedi nella stanza.
“Sparisci!”
lo sgridò “Abbiamo
bisogno di privacy noi donne!”.
“No,
ti prego!” supplicò Ninive
“Fallo restare qui, accanto a me”.
Apollo
raggiunse la figlia e
sedette accanto al letto, stringendole la mano.
“Fammi
dare un’occhiata” continuò
Artemide, rassegnata.
Il suo
gemello un po’ la
infastidiva, anche se era stata lei stessa a farlo nascere. Un atto che
solo
una divinità poteva compiere.
“Sta
andando tutto bene, Ninive”
rassicurò la nipote.
“E
il sangue?”.
“Ha
bisogno di uscire, nipote
mia. Non lo senti spingere?”.
Ninive
gridò di nuovo.
“Devi
rilassarti, almeno un po’,
mia cara” tentò di calmarla Apollo
“Così renderai le cose più
facili”.
“Il
tuo piccolo smania dalla
voglia di venire al mondo!” sorrise Artemide
“Perciò spingi”.
Ninive
spinse con tutte le sue
forze, piangendo per il dolore. Tuoni, lampi e tanta pioggia
accompagnavano
quelle lacrime e quelle grida di dolore.
Erano
passate delle ore. Ninive,
ormai sfinita, raccolse le ultime forze e finalmente il piccolo nacque.
Lanciò
un vagito molto potente, che fece sorridere tutti i presenti.
“È
un maschio?” chiese lei.
“Un
bel maschietto” annuì
Artemide.
Il piccolo
si dimenò quando venne
lavato. Poi, avvolto in un asciugamano, la Dea della luna lo
mostrò alla
nipote, pronta a farglielo prendere in braccio.
“È
bellissimo” commentò Apollo,
vedendo che il nipote aveva i capelli ramati, come lui e la madre.
Solo in quel
momento il piccolo
aprì gli occhi. Artemide sobbalzò e fu Apollo a
prendere al volo il bambino,
lasciato cadere. Lo osservò in viso. Lo sguardo del neonato
era quello delle
creature del Caos. Quegli occhi, simili a quelli di un gatto come
forma, ed
interamente rossi, lo turbarono.
“Che
significa questo?” domandò,
rivolto alla figlia.
Ninive
distolse lo sguardo. Non
voleva raccontare la verità. Apollo afferrò per
la collottola il nipotino, come
fosse un gatto, e lo osservò. Solo gli occhi erano diversi
dall’ordinario.
“Devi
disfartene” esclamò.
“Come?”
mormorò, piuttosto
confusa, Ninive.
“Guardalo!
Non può vivere in
questo mondo!”.
Lei
fissò suo figlio. Era vero.
Ma non voleva che morisse.
“Lasciamelo
per questa notte”
chiese “Domani mattina, potrai farci ciò che
vorrai”.
“Benissimo.
Anche se non mi
spiego come tu possa esserti mescolata con simile sangue”.
“Non
è a te che devo rendere
conto. E ora lasciami dormire. Sono stanca”.
Artemide non
commentò. Non sapeva
cosa dire. Cambiò le lenzuola e le vesti sporche della
nipote e poi la lasciò
riposare. Il bimbo fu messo in una culla e ignorato. Piangeva,
perché affamato,
ma la madre non voleva abbracciarlo e allattarlo. Dentro di
sé, chiamò il nome
del padre di quella creatura. Forse lui era il solo in grado di
prendersene
cura.
Kydoimos si
toccò la testa. Che
strana sensazione. Qualcuno lo chiamava.
“Ninive?”
si stupì.
Com’era
possibile? Che stava
succedendo? Non lo capiva, ma quella voce nella sua mente si faceva
sempre più
forte. La doveva raggiungere al più presto. Senza dare
spiegazioni, si avvolse
in un pesante mantello e lasciò la casa. Saltò
nel nero che la circondava e
sparì alla vista.
“Dov’è
andato?” si chiese
Tartaros.
“Forse
a spaccare il culo ad
Ahriman” ghignò Erebo “Io lo
farei”.
Nel buio
della stanza, Kydoimos
non capì subito dove fosse finito. Vide Ninive, addormentata
sul letto. Poi udì
un vagito e rizzò l’orecchio a punta. Si
avvicinò alla culla, molto alta, e
fissò il neonato all’interno.
“È
tuo” mormorò la madre,
svegliandosi.
“Io..non
sapevo che tu..” provò a
parlare Kydoimos, senza trovare le parole.
“Non
volevo che lo sapessi.
Volevo crescere questo bambino da sola. Ma è nato con quello
sguardo e in
questo mio mondo non può stare”.
“Capisco..”.
“Prendilo
tu. Sono certa che
sarai un buon genitore e lui starà di certo meglio nel
palazzo nero”.
“Ninive!
Vieni con me!
Cresciamolo assieme!”.
“Arles...sono
la figlia di
Apollo! La figlia del Dio del sole! Non puoi chiedermi di vivere per
sempre in
un luogo privo di luce”.
“Io..”.
“E
poi, io e te non siamo fatti
per stare assieme. Tranquillo, non crucciarti per me. Ora che ho capito
quel
che desidero, vedrai che non ci metterò molto a scovare un
uomo con cui
concepire tanti marmocchi di cui prendermi cura”.
“Se
è questo quel che vuoi..”
“Quel
bambino qui non avrebbe
futuro. La sua famiglia è al palazzo nero. Qui verrebbe
ucciso”.
Kydoimos
prese in braccio il
piccolo, che si lamentava per la fame.
“Come
si chiama?” domandò il
padre.
“Non
gli ho dato un nome.
Sceglilo tu. E ora vattene”.
Lei aveva
girato la testa.
Probabilmente piangeva. Kydoimos chinò la testa.
“Scusami,
Ninive” disse, piano
“Ogni mio tentativo di farti felice diventa un nuovo tormento
per te. Mi
dispiace. Se solo potessi..”.
“Va
via. E non tornare mai più.
Questo mi renderà felice”.
L’uomo
fece un cenno con il capo.
Riluttante, guardò per l’ultima volta la donna e
poi sparì, con il bimbo in
braccio. Ninive, la mattina dopo, raccontò al padre Apollo
di aver trovato il
bambino morto e di averlo seppellito in fretta.
Kydoimos
arrivò al palazzo con il
mantello fradicio di pioggia. Lo gettò in un angolo e
raggiunse la cucina. Il
bimbo aveva fame e doveva preparargli qualcosa. Sapeva di avere ancora
un
biberon da qualche parte. Frugò fra gli scaffali, sempre con
il neonato in
braccio. Sospirò, un po’ scocciato dalla
confusione che regnava in quella casa.
Si voltò e sobbalzò. Tartaros lo stava fissando.
Dietro di lui, Gaia.
“Cos’hai
in braccio, fratellino?”
domandò l’uomo.
Kydoimos
aprì la bocca per
rispondere ma Gaia lo interruppe, con un grido d’entusiasmo.
“È
un bambino!” esclamò lei e lo
strappò alle braccia del padre.
“Che
cercavi?” continuò Tartaros.
“Un
biberon” rispose Kydoimos e
Gaia si corrucciò.
“Non
serve un biberon, vero
tesoro?”.
La donna
sorrise al piccino e si
scoprì il seno generoso, da cui il neonato iniziò
a succhiare avidamente.
“Tutti
i bimbi dovrebbero essere
allattati” commentò la donna “Altrimenti
diventano cattivi. Ahriman si vede
subito che non è mai stato allattato!”.
“Se
vuoi, puoi prendertene cura
tu” propose Kydoimos “Io, con tutta la mia buona
volontà, non posso attaccarlo
al seno!”.
“Direi
di no. Però con le tette
saresti carino” ridacchiò Tartaros.
“Che
succede qui?” entrò il Caos.
L’entusiasmo
di Gaia aveva
richiamato quasi tutta la casa e presto capirono il perché.
“Un
bimbo!” sorrise Nyx.
Tutti risero
ed andarono a
salutare il nuovo nato, che continuò a mangiare.
“Hanno
fatto tutto questo casino
anche quando sono nato io?” domandò
Nàgiri.
“Oh
sì, anche peggio! Perché,
quando sei nato tu, in questa casa non nasceva qualcuno da
millenni!” rispose
Kydoimos, ricordando quel giorno.
Il Caos
fissò il figlio, felice.
“Credevo
che la maledizione ti
impedisse di avere figli”.
“Lo
credevo pure io” ammise
Kydoimos.
“Chi
è la madre? Perché non è
venuta qui?”.
“Non
se l’è sentita di vivere al
buio per sempre”.
“Ma..è
una mortale, vero? Non è
una divinità legata a Zeus ed alla sua stirpe, immagino. Non
voglio mezzo
sangue bastardi”.
“È
figlio di una mortale” mentì
il figlio adottivo, sapendo che il Caos avrebbe ucciso il piccolo senza
pietà,
sapendo che in lui scorreva il sangue della progenie di Zeus.