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Autore: SagaFrirry    01/03/2015    1 recensioni
Seguito di un'altra storia pubblicata in precedenza (Risveglio). Sono passati degli anni e molte cose sono cambiate al santuario. Questa volta i cavalieri si ritroveranno faccia a faccia con l'origine di ogni cosa: il Caos. come si rapporteranno con la sua progenie? e quante volte può morire un cavaliere?
chiedo perdono per i risvolti deprimenti. io sono una persona fondamentalmente depressa ;)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Thanatos, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Risveglio'
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XVIII

 

VIXI

 

Il piccolo fu chiamato Dhòro, ovvero “dono”. Fu sistemato in una bella culla dai bordi intagliati e avvolto in una copertina ricamata. Erano tutti felici del nuovo arrivo. Solo Nàgiri non pareva molto contento.

“Wo!” furono le uniche parole che riuscì a dire Tartaros quando, qualche ora più tardi, andò a controllare il piccolo.

Il bambino era cresciuto. Sembrava avere sei o sette mesi ed aveva a malapena un giorno. Gaia attribuì la cosa al potere del suo latte. Erano in molti attorno alla culla. Il Caos girò la testa. Dietro di lui, stava Kydoimos, che un po’ si spaventò perché il padre gli stava lanciando la peggior occhiataccia possibile.

Il bambino ridacchiò e si sporse dalla culla. Kydoimos gli sorrise. Era carino, dopotutto, anche se aveva decisamente qualcosa di strano. Gaia lo prese in braccio e lo riempì di baci. Era troppo felice di avere lì quel piccolo da coccolare.

Lasciando la stanza, Kydoimos incrociò Nàgiri.

“Sei soddisfatto?” domandò il figlio.

“Prego?” rispose il padre.

“Ti vedo sorridere”.

“La cosa ti disturba?”.

“Abbastanza. È come se tu non ti rendessi conto di quel che fai”.

“Che dici?”.

“Spiegami che stai facendo. Ogni donna che avvicini, finisce col soffrire o allontanarsi. Invece di tentare di salvare la tua famiglia e aiutare chi hai vicino, te ne vai a scoparti sconosciute e concepire mostriciattoli”.

“Dovresti moderare i termini, mio caro”.

“E perché?”.

“Perché sono tuo padre! E giro a questo mondo da prima di te!”.

“E chissenefrega! Ti metto davanti alla realtà. Mia madre è morta, la madre di Neikos si è ammazzata, le altre sono tutte scappate. Perfino Neikos, ora, è andata via. Eppure non mi sembra che la cosa ti turbi”.

“E in base a cosa tu decidi che non mi turbi?”.

“Lo vedo. Andare in giro a fare figli non pare una cosa da persona ragionevole o addolorata”.

“Ma che cosa vuoi da me, Nàgiri?”.

“Voglio sentirti dire che ti dispiace! Vivi la tua vita, fai soffrire le persone, ma non ti importa! E ora cerchi di fare il gentile con Nyx e Gaia. Perché? Che cosa speri di ottenere? Oh, Dei, quanto mi disgusti!”.

Kydoimos non seppe che rispondere a quelle parole. Era vero. Aveva tentato in ogni modo di rendere felici le persone che aveva attorno ed aveva fallito miseramente. Suo figlio era deluso. E sua figlia probabilmente lo odiava tanto quanto lo odiava Ahriman. Sospirò. Non sapeva che altro fare.

 

Aphrodite giocava con le farfalle dei campi elisi. Che belle erano! E che profumo tutti quei fiori! Era felice di stare in quel luogo, lo appagava.

“Saga” lo stuzzicò con una spiga “Smettila di fare quel muso lungo e andiamo a farci un bagno. Che dici? Ti è sempre piaciuto rilassarti nell’acqua e..”.

“Quello era Arles” lo interruppe Saga.

Aphrodite rimase qualche istante a riflettere. Ammetteva di aver avuto a che fare molto più con Arles che con Saga. Però doveva esserci qualcosa da proporgli!

“Tua figlia pare si sia trovata il fidanzato” parlò poi, deciso a cambiare strategia.

“Già. Così dice Deathmask. Sono felice per lei, se è un ragazzo come si deve”.

“L’importante è che sia felice”.

“Pare che lo sia. Quindi mi sta bene”.

“E un giorno diventerai nonno”.

“Prima o poi, capiterà”.

“Ne sei fiero?”.

“Certo. Sempre stato fiero della mia bambina. E tu sei fiero della tua allieva? Pare se la cavi bene”.

“Lo sono. È forte e bellissima. E sembra apprezzare l’erede di Deathmask”.

“Ai nostri tempi non c’erano tanti intrecci sentimentali”.

“Ovvio. Eravamo praticamente tutti maschi!”.

“Già. Pensa che noia”.

“Io non mi annoiavo”.

Saga guardò Aphrodite, che sorrise, mettendosi una rosa fra i capelli.

 

Kydoimos se ne stava tranquillo nella sua stanza quando un gridolino infantile lo scosse.

“Guardami! Guardami!” gridava una voce che non conosceva.

Si sporse lungo il corridoio e sobbalzò. Dhòro stava correndo, inseguito da Gaia con cui stava giocando. Sembrava avere almeno quattro anni.

“Ciao, papà” lo salutò il piccolo, ed andò oltre.

Kydoimos non capì come questo potesse essere possibile. Ma il Caos pareva saperlo molto bene. Si parò davanti al figlio e lo costringe a rientrare nella stanza. Chiuse la porta dietro di sé.

“Mio gioiello..” iniziò il padre “..lo sai che a me le bugie non piacciono”.

“Lo so”.

“E allora perché me le racconti?”.

“Io..”.

“Kydoimos..tu non eri niente. Avevi rinunciato a vivere ed io ti ho donato una nuova esistenza. Mi spiace che anche questa sia stata costellata di sofferenza però..”.

“Non l’ho chiesto io” abbassò la testa Kydoimos.

“Scusa?”.

“Non ho chiesto io di avere nuova esistenza o cose del genere. Io, quel giorno, volevo morire. Ma mi avete fatto vivere tanti momenti felici, questo lo ammetto”.

“Quindi tu mi vuoi bene? Mi rispetti?”.

“Certo”.

“E allora perché mi hai detto una bugia? Questa casa ha poche regole, perché infrangerle?”.

“Mi dispiace”.

“Solo le divinità crescono alla velocità con cui sta crescendo tuo figlio. E tu non hai le capacità per poter generare un Dio, se non congiungendoti con un’altra divinità. Perciò, dimmi, di chi è figlio Dhòro? Chi è la madre di quel piccolo prodigio, la cui forza reputo già ora straordinaria?”.

“Ninive è la madre, signore”.

“Ninive?! Intendi quella con cui hai concepito Ahriman?”.

“Sì, lei”.

“Mi stai dicendo che nella mia casa sta gironzolando il fratello della creatura che vorrei distruggere?”.

“Già”.

“E lo dici con tanta sufficienza? È ancora in vita solo perché me lo hai chiesto tu!”.

“Ahriman è in vita perché è il Dio del cielo e come tale deve vivere”.

“Cazzate! Io..sono senza parole! Kydoimos..come hai potuto? Questo lo considero un tradimento”.

“Scusatemi”.

“Non bastano le scuse! Secondo te io, ora, che dovrei fare? Mi metti in una posizione che proprio non vorrei, ragazzino”.

“Ragazzino?”.

“Non hai l’età giusta per definirti un uomo davanti a me”.

“Io ho solo cercato di vivere la mia vita!”.

“Tradendo colui che ti ha dato più fiducia di chiunque altro? È questo il tuo modo di ripagare chi ti vuole bene? È questo?”.

“Oggi avete tutti voglia di farmi la predica?”.

Il Caos, famoso per il suo scarso autocontrollo, perse la testa e colpì violentemente Kydoimos, che sfondò la porta della stanza e sbatté contro il muro del corridoio di fronte. Il colpito, a terra, gemette.

“Fratellino!” esclamò Erebo, tentando di avvicinarsi.

Ma il Caos fu perentorio.

“Lascialo lì dov’è” ordinò “Lascialo che soffra. E rifletta”.

Gli altri abitanti della casa si guardarono, piuttosto confusi. Mai era successo prima che il Caos alzasse le mani sul suo gioiello.

 

Kydoimos si riprese solo dopo qualche tempo. Indolenzito, si alzò a fatica. Senza parlare, raggiunse la sua stanza e recuperò la spada di Ares. Dhòro dormiva tranquillo e non lo disturbò. Era cresciuto ancora. Il padre si avvolse in un pesante mantello e lasciò la casa.

 

Il Caos riemerse dalla sua stanza, dove si era rintanato. La casa pareva tranquilla. Raggiunse la grande sala da pranzo, dove un gruppetto di occupanti della casa stava mangiando.

“Dov’è Kydoimos?” domandò, non vedendolo.

“Non è qui” rispose Erebo.

“Ho agito con troppa enfasi. Mi sono lasciato prendere dall’ira. Non dovevo colpirlo e nemmeno reagire in quel modo. Volevo scusarmi con lui. Che sia in stanza?”.

“L’ho visto rialzarsi ma poi non so dove sia andato” commentò Tartaros.

“Io l’ho visto andar via” si aggiunse Nàgiri.

“Andar via? Dove?” chiese il Caos.

“Non lo so. L’ho visto andare via. È uscito dalla porta ed è andato via. Sarà da qualche sua puttana”.

“Non parlare così a tuo padre, ragazzo. Non mi piacciono certi atteggiamenti! E poi..da quanto tempo è fuori? La maledizione..”.

“Io parlo come voglio! Non ditemi che quel bambino che ha portato a casa non è il frutto di una serata passata a puttane!”.

“Non è affatto così. La madre di Dhòro è legata a tuo padre da ben prima della tua nascita”.

“Come sarebbe a dire?”.

“Sarebbe a dire che tu non sai tutto, come credi”.

“Io so quello che so, e quello che so è che mio padre ha permesso a mia sorella di andarsene via con quel pezzo di merda di Ahriman e poi si è portato a casa un bastardello di ricambio”.

“Che avrebbe dovuto fare, secondo te?”.

“Uccidere Ahriman. E tenere sotto controllo gli istinti”.

“Kydoimos non ucciderà mai Ahriman. Piuttosto ucciderebbe se stesso”.

“Perché è un debole”.

“No. Perché è suo padre, Nàgiri”.

“Che?!”.

Il ragazzo guardò il Caos senza capire. Quella notizia non se l’aspettava. Non voleva credergli. Non poteva nemmeno lontanamente accettare il fatto di essere il fratellastro del Dio del cielo.

“Finalmente hai chiuso la bocca!” sbottò il Caos.

“Mi stai dicendo che mio padre è Arles, l’uomo del grande tempio?”.

“Te lo farai spiegare da lui. Ora lo devo cercare”.

 

“Come mai me la riporti, mortale?” domandò Ares.

Di fronte lui, stava Kydoimos che gli restituiva la spada al Dio della guerra. In silenzio.

“Piccolo umano, il tuo animo non lo comprendo più” continuò l’essenza divina.

“Nemmeno io mi comprendo più di tanto” ammise Kydoimos.

“Perché non tieni la mia spada? Tanto, lo sai, finché non trovo un altro corpo che mi ospiti, come anima io non la posso usare”.

“Volevo riconsegnarla. Questo è il suo posto. Io il mio posto non so quale sia”.

“Ma che dici?”.

“Sono stanco. Voglio lasciare qui la spada e andarmene sotto il sole di Grecia. La maledizione farà il resto, ed io potrò riposare in pace, cullato dalla mia terra natia”.

“Questi discorsi non sono da te, Arles”.

“Arles è morto tanti anni fa”.

“Non è vero. Arles è qui, davanti a me. E Arles è combattivo, forte, arrogante e pronto a tutto”.

“Sono stanco di combattere. E poi, a che scopo? Credimi, ho tentato in ogni modo di cambiare la mia vita. Sono stato generato dalla malattia mentale di Saga e da all’ora non ho fatto altro che incasinare la vita di tutti coloro che sono venuti in contatto con me. Ho cercato di rendere felici le persone a cui voglio bene ma con pessimi risultati. Tutti soffrono attorno a me. Tutti mi odiano”.

“Io sono il Dio della guerra. Credi che qualcuno mi ami?”.

“Phobos e tutti i vostri sottoposti sarebbero disposti a tutto per Voi”.

“Continuo a non capire. Avete una vita così effimera, voi mortali, che io tenterei di viverla al massimo in ogni suo secondo. Invece no, te ne stai qui a piagnucolare”.

“Non mi aspetto che capisca. Riprendetevi la vostra spada e addio”.

“Aspetta. Rifletti un attimo”.

“Sono stufo di riflettere! Tutto quello che faccio è sbagliato! Io volevo solo che ci fosse una creatura, una soltanto, che potesse provare per me ammirazione, affetto..”.

“Il Caos ti vuole bene”.

“Il Caos mi ha quasi spaccato la testa stasera”.

Kydoimos non aggiunse altro. Si voltò e si allontanò.

“Phobos” ordinò Ares “Prendi la mia spada e seguilo. Fa di tutto per impedire che muoia”.

“Sissignore”.

 

“Ha lasciato il palazzo nero” parlò Deathmask.

“Ne sei sicuro?” rispose Hypnos.

“Sì. Dobbiamo agire in fretta”.

Il Dio dei sogni annuì. Doveva recuperare in fretta l’anima incompleta ed agire quanto prima.

 

Ahriman storse il naso. Che stava accadendo? Perché le forze del Caos parevano radunarsi e lasciare il palazzo? Era meglio informare quanto prima il grande tempio.

 

“Kydoimos!” gridava il Caos, nella speranza di ritrovare il figlio “Dove sei? Mi dispiace per quello che ho fatto. Lo sai che non sono bravo a controllarmi. Ti prego, vieni fuori!”.

Il signore della casa nera percepiva la presenza del figlio adottivo ma non riusciva a scorgerlo. Probabilmente perché protetto dall’aura del Dio della guerra. Ma il Caos pensò subito al peggio. Dovevano averlo preso quelli del grande tempio, le creature che tanto odiava! Kydoimos, dal canto suo, non udiva i richiami del padre. Sotto il sole di Grecia, camminava lentamente. Attorno a lui, non vi era nulla se non terra bruciata dal caldo. Era distratto. Non gli importava di nulla e di nessuno, così non capì quanto stesse accadendo. Si fermò, quando una voce familiare gli ordinò di fermarsi.

“Non fare un passo di più” si sentì dire.

Alzò lo sguardo. Vide molte armature d’oro e vestigia divine.

“Tornate al palazzo nero!” continuò Aiolos, il cavaliere d’oro che tendeva l’arco.

Kydoimos si voltò ed alle sue spalle vide gli abitanti del palazzo del Caos. Cosa stava succedendo? Lui si trovava in una sorta di gola creata dal terreno. Sopra di lui, su due sponde opposte, le truppe di Zeus e quelle di suo padre adottivo. Si guardò attorno, piuttosto confuso. Il caldo e la maledizione lo stordivano.

“Indietreggiate!” sbottò il Caos “Tornatevene a casa e lasciateci in pace!”.

“Avete sconfinato!” ribatté Aiolos.

Ahriman osservava il tutto dall’alto del suo palazzo, insicuro sul da farsi.

“Signore!” gridò Phobos, vedendo Kydoimos sotto tiro.

Piantò la spada in terra e lasciò che l’armatura del Dio della guerra vestisse colui che un tempo ospitava l’essenza di Ares. L’armatura obbedì e Kydoimos sobbalzò. Le scintillanti vestigia rosso sangue lo coprirono ma subito si tinsero di nero, segno che in lui prevaleva il sangue del Caos. Nella mano destra, stringeva la spada. Guardò entrambi i fronti. Si volevano scontrare, portando morti e feriti per l’ennesima volta nelle loro vite? No, non l’avrebbe permesso. O meglio, avrebbe fatto di tutto per impedirlo.

 

“Presto! Corri!” incitò Hypnos.

Aiaco portava l’anima con sé, trascinandola. Dovevano uscire dall’oltretomba e raggiungere il corpo che ospitava la parte mancante di quell’essenza.

“Che sta succedendo?” si chiese il Dio dei sogni, percependo un po’ di subbuglio fra i viventi.

“Si staranno facendo la solita guerra” alzò le spalle Aiaco “Niente di nuovo”.

Un nutrito esercito di specter accorse, deciso a fermare i disertori. Hypnos sorrise. Che branco di illusi!

“Aiaco!” disse “Tu va. Qui ci penso io”.

 

Quando i colpi fra le due fazioni partirono, Kydoimos tentò in ogni modo di fermarli.

“Perche fai questo?” domandò Ahriman, atterrando con un battito d’ali accanto al figlio del Caos.

“Non voglio una guerra” rispose Kydoimos.

“Eppure è colpa tua se ora combattono”.

“Colpa mia?”.

“Certo. Sei qui. Il Caos è convinto che loro ti abbiano rapito e loro, quelli del grande tempio, sono convinti che il Caos li voglia invadere. In realtà, sono tutti qui per te”.

“Non è vero!”.

“Bello come neghi l’evidenza. La colpa è tua. Perciò smettila di intrometterti e fatti ammazzare”.

“No. Fermerò tutto questo!”.

“Le tue mani sono sporche di sangue. Meriti di vivere?”.

“E le tue? Sono forse pure, Urano?”.

Il Dio del cielo ghignò.

“No” rispose “Le mie mani forse sono più sporche delle tue”.

Urano allungò una mano, mostrando un’ombra nera su di essa. Ahriman la fissò e sobbalzò nell’animo. Che fosse vera la storia che tutti raccontavano? Quella in cui era stato lui ad uccidere i bambini del palazzo nero? Tentò di capirlo, chiedendolo al Dio che ospitava. Capendo la verità, lanciò un grido.

“Esci dalla mia testa!” sbraitò.

Kydoimos guardò il figlio con apprensione, mentre questi lottava con il Dio del cielo.

“Che succede?” si chiese Kanon, senza capire.

“Non lo so” ammise Hestia.

Entrambi vedevano solo Ahriman agitarsi in preda al dolore.

“Quella creatura dal sangue nero deve averlo ferito” interpretò Aiolos.

“Ahriman” gridò Kydoimos, tenendogli fermi i polsi “Guardami! Non lasciarti soggiogare da una divinità che non vuoi più ospitare! Combatti contro di essa!”.

“Ma cosa vuoi tu? Io sono un tuo nemico!”.

“Non ti considero tale, Ahriman. Guardami!”.

Il Dio del cielo spalancò gli occhi. Aveva riconosciuto lo sguardo nel padre, in quell’occhio un tempo cieco. In realtà, da quando ricordava il suo passato, Kydoimos aveva acquisito di nuovo il colore verde dell’iride.

“Papà?” mormorò Ahriman, incredulo.

“Perdonami per ogni cosa, figlio mio. Ma ora, ascoltami. Lotta assieme a me”.

Padre e figlio si fissarono. Poi il figlio lanciò un grido fortissimo, rigettando il Dio del cielo. Aiolos, senza capire quanto accadeva realmente, scoccò una freccia, che trapassò il petto di Kydoimos. Ahriman lo guardò, spaventato, non sapendo che fare.

“Scappa!” ordinò Kydoimos “Ora che il Dio del cielo ha lasciato il tuo corpo, sei un mortale. Non sopravvivresti ad uno scontro come questo”.

“Ma io..” tentò di protestare Ahriman.

Una mano lo scosse, piuttosto brutalmente, scaraventandolo a terra.

“Scansati!” parlò Aiaco, apparendo a pochi passi da Kydoimos “Ho una consegna da fare”.

Senza dire altro, lasciò che l’anima incompleta venisse inevitabilmente attratta verso la sua parte mancante. Kydoimos percepì una stranissima sensazione. Uno strano calore, una carezza morbida, lo attraversò. Dimenticò per qualche istante il dolore della freccia oro, consolato da quel tocco. Poi si accorse che dietro ad Aiaco stavano lentamente apparendo altri specter. E poi si mostrò Hades.

“Quell’anima è mia!” gridò, indicando Kydoimos.

 

“Ci è riuscito!” sorrise Saga “Ha ricongiunto le due parti dell’anima!”.

Deathmask, seduto accanto a lui, mostrava agli abitanti dei campi elisi quel che stava accadendo attraverso un piccolo portale.

“Ma si fanno di nuovo la guerra” sbottò Aphrodite.

“Così morirà!” si alzò in piedi Saga “Devo aiutarlo a reagire”.

“E come credi di fare?” ridacchiò Deathmask “Sei un’anima! Al di fuori dell’oltretomba sopravvivresti sì e no un paio di minuti”.

“Ma ci devo provare! Ti prego, Deathmask! Portami da lui”.

“Non se ne parla! Se scompari, non c’è ritorno! Scompari per sempre, capisci?”.

“Non mi importa”.

“Sei impossibile. Non ti va mai bene niente!”.

“Vedilo come un mio ultimo desiderio. Ti supplico”.

Deathmask sospirò. Quanto era complicato gestire i morti!

 

Kydoimos usò il suo potere. Richiamò gli elementi, cercando di creare una barriera fra i contendenti.

“Quello è Hades!” lo riconobbe Camus.

“Ma cazzo, son troppo vecchio per un’altra guerra santa!” ringhiò Milo.

“Pare sia solo interessato a Kydoimos” notò il cavaliere dell’Acquario.

“Ottimo. Lasciamoglielo prendere, così si risolve tutto” furono le parole di Ioria.

Le diverse fazioni distrussero la barriera creata da Kydoimos e ripresero a combattere.

“No! Smettetela!” gridò lui, sputando sangue.

Aiolos lo centrò con un’altra freccia, non capendo come facesse ad essere ancora in piedi.

“Papà, adesso basta!” riuscì a raggiungerlo Ahriman.

Kydoimos, barcollando, si estrasse entrambe le frecce dal petto, spaccando parte dell’armatura.

“Vedo il tuo cuore” gemette il figlio.

“Ora sai che ne ho uno” sorrise il padre, con un fiotto di sangue che sgorgava dalla ferita.

“Ti prego, ora smettila”.

Tutt’attorno, si combatteva. Aiaco lottava contro il suo stesso signore, Hypnos lo aiutava.  Le schiere di Zeus, contro quelle del Caos, erano in svantaggio.  Kydoimos sentiva l’odore del sangue. Barcollò, per un istante sopraffatto dalla ferita. Ma si rialzò subito. Doveva fermarli a tutti i costi! Richiamò ancora a sé i suoi poteri. Questa volta tentò di usare il fuoco, allontanando le fazioni.

“Basta, brutti idioti! Siete tutti della stessa famiglia!” gridò.

Poi, sulla sua testa, si materializzò una luce violacea e Deathmask apparve, rimanendo sospeso sopra il capo del ferito, che parve non gradire.

“Torna più tardi a prendermi, Dio della morte!” sbottò Kydoimos.

“Arles! Quando sarà il tempo, non mi farò certo dare ordini! Non sono qui per te, ma per accontentare lui!”.

Scansandosi leggermente, Deathmask mostrò l’anima di Saga, che si aggrappò al Dio della morte.

“Saga!” esclamò Kydoimos, mentre molti al grande tempio si stupirono per averlo sentito chiamare “Arles”.

Saga sorrise. Brillava forte.

“Saga! Sei un’anima! Non puoi sopravvivere lontano dal regno dei morti!”.

“Ho solo qualche minuto, è vero. E lo voglio spendere con te”.

“Che?!”.

“Adesso basta lottare, Arles. Basta! Non morire di nuovo”.

“Sarebbe l’ultima volta, te lo giuro”.

Kydoimos barcollò ancora e stavolta cadde in terra. Sputò molto sangue ma tentò di rialzarsi comunque.

“Basta, Arles” supplicò Saga.

“Vattene! Se non te ne vai, sparirai per sempre! Cosa stai qui a perdere tempo con me?”.

“Arles!”.

L’anima ora piangeva e Kydoimos distolse lo sguardo. Poi una potentissima luce avvolse tutti. La battaglia si fermò. Nessuno capiva. C’era un essere, avvolto in quella luce accecante, che fluttuava accanto al gruppo che stava al centro della battaglia.

“Dhòro?” mormorò Kydoimos, alzandosi a fatica.

Il ferito lasciò cadere le braccia e respirò a fatica. Dhòro, ora uno splendido uomo dai lunghissimi capelli e lo sguardo sereno, sorrideva, senza parlare.

“Che significa? Che succede?” si domandò il Caos.

“Chi è quello?” si chiese Milo.

Dhòro non parlò. Alzò semplicemente una mano, attorno a cui ruotava l’essenza di Urano. La sua luce si espanse ed iniziò ad avvolgere i presenti.

“Dhòro!” parlò ancora Kydoimos “Ti prego, Dhòro, mio dono. Il tuo è un potere immenso. Perciò puoi riportare Saga al giusto posto. Lui non merita di svanire, come sta facendo”.

Saga in effetti stava perdendo luminosità, divenendo sempre più trasparente.

“Saga è un’anima buona” continuò Kydoimos “Non come me. Inoltre, è l’unico che mi è rimasto sempre accanto. Anche se era l’ultima persona che doveva farlo, visto come ho rovinato la sua esistenza”.

“Arles..” sorrise Saga.

“Non potrei mai sopportare che sparisca per colpa mia”.

“Ed io non potrei mai sopportare di passare l’eternità lontano dalla tua anima!” si sentì rispondere “Vieni con me, Arles”.

Saga allungò una mano, porgendola a Kydoimos. La luce di Dhòro, nel frattempo, si faceva sempre più ampia ed intensa.

“Vieni con me” ripeté Saga, ormai quasi trasparente.

Kydoimos, in ginocchio ed incapace di rialzarsi a causa delle ferite, lo fissò immobile. E pianse. Era la prima volta nella sua vita. Poi chiuse gli occhi e cadde in avanti. L’anima di Arles raggiunse la mano di Saga ed insieme i due si abbracciarono, mentre la luce di Dhòro avvolgeva tutto e tutti.

   
 
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