XVIII
VIXI
Il piccolo
fu chiamato Dhòro,
ovvero “dono”. Fu sistemato in una bella culla dai
bordi intagliati e avvolto
in una copertina ricamata. Erano tutti felici del nuovo arrivo. Solo
Nàgiri non
pareva molto contento.
“Wo!”
furono le uniche parole che
riuscì a dire Tartaros quando, qualche ora più
tardi, andò a controllare il
piccolo.
Il bambino
era cresciuto.
Sembrava avere sei o sette mesi ed aveva a malapena un giorno. Gaia
attribuì la
cosa al potere del suo latte. Erano in molti attorno alla culla. Il
Caos girò
la testa. Dietro di lui, stava Kydoimos, che un po’ si
spaventò perché il padre
gli stava lanciando la peggior occhiataccia possibile.
Il bambino
ridacchiò e si sporse
dalla culla. Kydoimos gli sorrise. Era carino, dopotutto, anche se
aveva
decisamente qualcosa di strano. Gaia lo prese in braccio e lo
riempì di baci.
Era troppo felice di avere lì quel piccolo da coccolare.
Lasciando la
stanza, Kydoimos
incrociò Nàgiri.
“Sei
soddisfatto?” domandò il
figlio.
“Prego?”
rispose il padre.
“Ti
vedo sorridere”.
“La
cosa ti disturba?”.
“Abbastanza.
È come se tu non ti
rendessi conto di quel che fai”.
“Che
dici?”.
“Spiegami
che stai facendo. Ogni donna
che avvicini, finisce col soffrire o allontanarsi. Invece di tentare di
salvare
la tua famiglia e aiutare chi hai vicino, te ne vai a scoparti
sconosciute e
concepire mostriciattoli”.
“Dovresti
moderare i termini, mio
caro”.
“E
perché?”.
“Perché
sono tuo padre! E giro a
questo mondo da prima di te!”.
“E
chissenefrega! Ti metto
davanti alla realtà. Mia madre è morta, la madre
di Neikos si è ammazzata, le
altre sono tutte scappate. Perfino Neikos, ora, è andata
via. Eppure non mi
sembra che la cosa ti turbi”.
“E
in base a cosa tu decidi che
non mi turbi?”.
“Lo
vedo. Andare in giro a fare
figli non pare una cosa da persona ragionevole o addolorata”.
“Ma
che cosa vuoi da me,
Nàgiri?”.
“Voglio
sentirti dire che ti
dispiace! Vivi la tua vita, fai soffrire le persone, ma non ti importa!
E ora
cerchi di fare il gentile con Nyx e Gaia. Perché? Che cosa
speri di ottenere?
Oh, Dei, quanto mi disgusti!”.
Kydoimos non
seppe che rispondere
a quelle parole. Era vero. Aveva tentato in ogni modo di rendere felici
le persone
che aveva attorno ed aveva fallito miseramente. Suo figlio era deluso.
E sua
figlia probabilmente lo odiava tanto quanto lo odiava Ahriman.
Sospirò. Non
sapeva che altro fare.
Aphrodite
giocava con le farfalle
dei campi elisi. Che belle erano! E che profumo tutti quei fiori! Era
felice di
stare in quel luogo, lo appagava.
“Saga”
lo stuzzicò con una spiga
“Smettila di fare quel muso lungo e andiamo a farci un bagno.
Che dici? Ti è
sempre piaciuto rilassarti nell’acqua e..”.
“Quello
era Arles” lo interruppe
Saga.
Aphrodite
rimase qualche istante
a riflettere. Ammetteva di aver avuto a che fare molto più
con Arles che con
Saga. Però doveva esserci qualcosa da proporgli!
“Tua
figlia pare si sia trovata
il fidanzato” parlò poi, deciso a cambiare
strategia.
“Già.
Così dice Deathmask. Sono
felice per lei, se è un ragazzo come si deve”.
“L’importante
è che sia felice”.
“Pare
che lo sia. Quindi mi sta
bene”.
“E
un giorno diventerai nonno”.
“Prima
o poi, capiterà”.
“Ne
sei fiero?”.
“Certo.
Sempre stato fiero della
mia bambina. E tu sei fiero della tua allieva? Pare se la cavi
bene”.
“Lo
sono. È forte e bellissima. E
sembra apprezzare l’erede di Deathmask”.
“Ai
nostri tempi non c’erano
tanti intrecci sentimentali”.
“Ovvio.
Eravamo praticamente
tutti maschi!”.
“Già.
Pensa che noia”.
“Io
non mi annoiavo”.
Saga
guardò Aphrodite, che
sorrise, mettendosi una rosa fra i capelli.
Kydoimos se
ne stava tranquillo
nella sua stanza quando un gridolino infantile lo scosse.
“Guardami!
Guardami!” gridava una
voce che non conosceva.
Si sporse
lungo il corridoio e
sobbalzò. Dhòro stava correndo, inseguito da Gaia
con cui stava giocando.
Sembrava avere almeno quattro anni.
“Ciao,
papà” lo salutò il
piccolo, ed andò oltre.
Kydoimos non
capì come questo
potesse essere possibile. Ma il Caos pareva saperlo molto bene. Si
parò davanti
al figlio e lo costringe a rientrare nella stanza. Chiuse la porta
dietro di
sé.
“Mio
gioiello..” iniziò il padre
“..lo sai che a me le bugie non piacciono”.
“Lo
so”.
“E
allora perché me le
racconti?”.
“Io..”.
“Kydoimos..tu
non eri niente.
Avevi rinunciato a vivere ed io ti ho donato una nuova esistenza. Mi
spiace che
anche questa sia stata costellata di sofferenza
però..”.
“Non
l’ho chiesto io” abbassò la
testa Kydoimos.
“Scusa?”.
“Non
ho chiesto io di avere nuova
esistenza o cose del genere. Io, quel giorno, volevo morire. Ma mi
avete fatto
vivere tanti momenti felici, questo lo ammetto”.
“Quindi
tu mi vuoi bene? Mi
rispetti?”.
“Certo”.
“E
allora perché mi hai detto una
bugia? Questa casa ha poche regole, perché
infrangerle?”.
“Mi
dispiace”.
“Solo
le divinità crescono alla
velocità con cui sta crescendo tuo figlio. E tu non hai le
capacità per poter
generare un Dio, se non congiungendoti con un’altra
divinità. Perciò, dimmi, di
chi è figlio Dhòro? Chi è la madre di
quel piccolo prodigio, la cui forza
reputo già ora straordinaria?”.
“Ninive
è la madre, signore”.
“Ninive?!
Intendi quella con cui
hai concepito Ahriman?”.
“Sì,
lei”.
“Mi
stai dicendo che nella mia
casa sta gironzolando il fratello della creatura che vorrei
distruggere?”.
“Già”.
“E
lo dici con tanta sufficienza?
È ancora in vita solo perché me lo hai chiesto
tu!”.
“Ahriman
è in vita perché è il
Dio del cielo e come tale deve vivere”.
“Cazzate!
Io..sono senza parole!
Kydoimos..come hai potuto? Questo lo considero un tradimento”.
“Scusatemi”.
“Non
bastano le scuse! Secondo te
io, ora, che dovrei fare? Mi metti in una posizione che proprio non
vorrei,
ragazzino”.
“Ragazzino?”.
“Non
hai l’età giusta per
definirti un uomo davanti a me”.
“Io
ho solo cercato di vivere la
mia vita!”.
“Tradendo
colui che ti ha dato
più fiducia di chiunque altro? È questo il tuo
modo di ripagare chi ti vuole
bene? È questo?”.
“Oggi
avete tutti voglia di farmi
la predica?”.
Il Caos,
famoso per il suo scarso
autocontrollo, perse la testa e colpì violentemente
Kydoimos, che sfondò la
porta della stanza e sbatté contro il muro del corridoio di
fronte. Il colpito,
a terra, gemette.
“Fratellino!”
esclamò Erebo,
tentando di avvicinarsi.
Ma il Caos
fu perentorio.
“Lascialo
lì dov’è” ordinò
“Lascialo che soffra. E rifletta”.
Gli altri
abitanti della casa si
guardarono, piuttosto confusi. Mai era successo prima che il Caos
alzasse le
mani sul suo gioiello.
Kydoimos si
riprese solo dopo
qualche tempo. Indolenzito, si alzò a fatica. Senza parlare,
raggiunse la sua
stanza e recuperò la spada di Ares. Dhòro dormiva
tranquillo e non lo disturbò.
Era cresciuto ancora. Il padre si avvolse in un pesante mantello e
lasciò la
casa.
Il Caos
riemerse dalla sua
stanza, dove si era rintanato. La casa pareva tranquilla. Raggiunse la
grande
sala da pranzo, dove un gruppetto di occupanti della casa stava
mangiando.
“Dov’è
Kydoimos?” domandò, non
vedendolo.
“Non
è qui” rispose Erebo.
“Ho
agito con troppa enfasi. Mi
sono lasciato prendere dall’ira. Non dovevo colpirlo e
nemmeno reagire in quel
modo. Volevo scusarmi con lui. Che sia in stanza?”.
“L’ho
visto rialzarsi ma poi non
so dove sia andato” commentò Tartaros.
“Io
l’ho visto andar via” si
aggiunse Nàgiri.
“Andar
via? Dove?” chiese il
Caos.
“Non
lo so. L’ho visto andare
via. È uscito dalla porta ed è andato via.
Sarà da qualche sua puttana”.
“Non
parlare così a tuo padre,
ragazzo. Non mi piacciono certi atteggiamenti! E poi..da quanto tempo
è fuori?
La maledizione..”.
“Io
parlo come voglio! Non ditemi
che quel bambino che ha portato a casa non è il frutto di
una serata passata a
puttane!”.
“Non
è affatto così. La madre di
Dhòro è legata a tuo padre da ben prima della tua
nascita”.
“Come
sarebbe a dire?”.
“Sarebbe
a dire che tu non sai
tutto, come credi”.
“Io
so quello che so, e quello
che so è che mio padre ha permesso a mia sorella di
andarsene via con quel
pezzo di merda di Ahriman e poi si è portato a casa un
bastardello di
ricambio”.
“Che
avrebbe dovuto fare, secondo
te?”.
“Uccidere
Ahriman. E tenere sotto
controllo gli istinti”.
“Kydoimos
non ucciderà mai
Ahriman. Piuttosto ucciderebbe se stesso”.
“Perché
è un debole”.
“No.
Perché è suo padre, Nàgiri”.
“Che?!”.
Il ragazzo
guardò il Caos senza
capire. Quella notizia non se l’aspettava. Non voleva
credergli. Non poteva
nemmeno lontanamente accettare il fatto di essere il fratellastro del
Dio del
cielo.
“Finalmente
hai chiuso la bocca!”
sbottò il Caos.
“Mi
stai dicendo che mio padre è
Arles, l’uomo del grande tempio?”.
“Te
lo farai spiegare da lui. Ora
lo devo cercare”.
“Come
mai me la riporti,
mortale?” domandò Ares.
Di fronte
lui, stava Kydoimos che
gli restituiva la spada al Dio della guerra. In silenzio.
“Piccolo
umano, il tuo animo non
lo comprendo più” continuò
l’essenza divina.
“Nemmeno
io mi comprendo più di
tanto” ammise Kydoimos.
“Perché
non tieni la mia spada?
Tanto, lo sai, finché non trovo un altro corpo che mi
ospiti, come anima io non
la posso usare”.
“Volevo
riconsegnarla. Questo è
il suo posto. Io il mio posto non so quale sia”.
“Ma
che dici?”.
“Sono
stanco. Voglio lasciare qui
la spada e andarmene sotto il sole di Grecia. La maledizione
farà il resto, ed
io potrò riposare in pace, cullato dalla mia terra
natia”.
“Questi
discorsi non sono da te,
Arles”.
“Arles
è morto tanti anni fa”.
“Non
è vero. Arles è qui, davanti
a me. E Arles è combattivo, forte, arrogante e pronto a
tutto”.
“Sono
stanco di combattere. E
poi, a che scopo? Credimi, ho tentato in ogni modo di cambiare la mia
vita.
Sono stato generato dalla malattia mentale di Saga e da
all’ora non ho fatto
altro che incasinare la vita di tutti coloro che sono venuti in
contatto con
me. Ho cercato di rendere felici le persone a cui voglio bene ma con
pessimi
risultati. Tutti soffrono attorno a me. Tutti mi odiano”.
“Io
sono il Dio della guerra.
Credi che qualcuno mi ami?”.
“Phobos
e tutti i vostri
sottoposti sarebbero disposti a tutto per Voi”.
“Continuo
a non capire. Avete una
vita così effimera, voi mortali, che io tenterei di viverla
al massimo in ogni
suo secondo. Invece no, te ne stai qui a piagnucolare”.
“Non
mi aspetto che capisca.
Riprendetevi la vostra spada e addio”.
“Aspetta.
Rifletti un attimo”.
“Sono
stufo di riflettere! Tutto
quello che faccio è sbagliato! Io volevo solo che ci fosse
una creatura, una
soltanto, che potesse provare per me ammirazione, affetto..”.
“Il
Caos ti vuole bene”.
“Il
Caos mi ha quasi spaccato la
testa stasera”.
Kydoimos non
aggiunse altro. Si
voltò e si allontanò.
“Phobos”
ordinò Ares “Prendi la
mia spada e seguilo. Fa di tutto per impedire che muoia”.
“Sissignore”.
“Ha
lasciato il palazzo nero”
parlò Deathmask.
“Ne
sei sicuro?” rispose Hypnos.
“Sì.
Dobbiamo agire in fretta”.
Il Dio dei
sogni annuì. Doveva
recuperare in fretta l’anima incompleta ed agire quanto prima.
Ahriman
storse il naso. Che stava
accadendo? Perché le forze del Caos parevano radunarsi e
lasciare il palazzo?
Era meglio informare quanto prima il grande tempio.
“Kydoimos!”
gridava il Caos,
nella speranza di ritrovare il figlio “Dove sei? Mi dispiace
per quello che ho
fatto. Lo sai che non sono bravo a controllarmi. Ti prego, vieni
fuori!”.
Il signore
della casa nera
percepiva la presenza del figlio adottivo ma non riusciva a scorgerlo.
Probabilmente perché protetto dall’aura del Dio
della guerra. Ma il Caos pensò
subito al peggio. Dovevano averlo preso quelli del grande tempio, le
creature
che tanto odiava! Kydoimos, dal canto suo, non udiva i richiami del
padre.
Sotto il sole di Grecia, camminava lentamente. Attorno a lui, non vi
era nulla
se non terra bruciata dal caldo. Era distratto. Non gli importava di
nulla e di
nessuno, così non capì quanto stesse accadendo.
Si fermò, quando una voce
familiare gli ordinò di fermarsi.
“Non
fare un passo di più” si
sentì dire.
Alzò
lo sguardo. Vide molte
armature d’oro e vestigia divine.
“Tornate
al palazzo nero!”
continuò Aiolos, il cavaliere d’oro che tendeva
l’arco.
Kydoimos si
voltò ed alle sue
spalle vide gli abitanti del palazzo del Caos. Cosa stava succedendo?
Lui si
trovava in una sorta di gola creata dal terreno. Sopra di lui, su due
sponde opposte,
le truppe di Zeus e quelle di suo padre adottivo. Si guardò
attorno, piuttosto
confuso. Il caldo e la maledizione lo stordivano.
“Indietreggiate!”
sbottò il Caos
“Tornatevene a casa e lasciateci in pace!”.
“Avete
sconfinato!” ribatté
Aiolos.
Ahriman
osservava il tutto
dall’alto del suo palazzo, insicuro sul da farsi.
“Signore!”
gridò Phobos, vedendo
Kydoimos sotto tiro.
Piantò
la spada in terra e lasciò
che l’armatura del Dio della guerra vestisse colui che un
tempo ospitava
l’essenza di Ares. L’armatura obbedì e
Kydoimos sobbalzò. Le scintillanti
vestigia rosso sangue lo coprirono ma subito si tinsero di nero, segno
che in
lui prevaleva il sangue del Caos. Nella mano destra, stringeva la
spada. Guardò
entrambi i fronti. Si volevano scontrare, portando morti e feriti per
l’ennesima volta nelle loro vite? No, non l’avrebbe
permesso. O meglio, avrebbe
fatto di tutto per impedirlo.
“Presto!
Corri!” incitò Hypnos.
Aiaco
portava l’anima con sé,
trascinandola. Dovevano uscire dall’oltretomba e raggiungere
il corpo che
ospitava la parte mancante di quell’essenza.
“Che
sta succedendo?” si chiese
il Dio dei sogni, percependo un po’ di subbuglio fra i
viventi.
“Si
staranno facendo la solita
guerra” alzò le spalle Aiaco “Niente di
nuovo”.
Un nutrito
esercito di specter
accorse, deciso a fermare i disertori. Hypnos sorrise. Che branco di
illusi!
“Aiaco!”
disse “Tu va. Qui ci
penso io”.
Quando i
colpi fra le due fazioni
partirono, Kydoimos tentò in ogni modo di fermarli.
“Perche
fai questo?” domandò
Ahriman, atterrando con un battito d’ali accanto al figlio
del Caos.
“Non
voglio una guerra” rispose
Kydoimos.
“Eppure
è colpa tua se ora
combattono”.
“Colpa
mia?”.
“Certo.
Sei qui. Il Caos è
convinto che loro ti abbiano rapito e loro, quelli del grande tempio,
sono convinti
che il Caos li voglia invadere. In realtà, sono tutti qui
per te”.
“Non
è vero!”.
“Bello
come neghi l’evidenza. La
colpa è tua. Perciò smettila di intrometterti e
fatti ammazzare”.
“No.
Fermerò tutto questo!”.
“Le
tue mani sono sporche di
sangue. Meriti di vivere?”.
“E
le tue? Sono forse pure,
Urano?”.
Il Dio del
cielo ghignò.
“No”
rispose “Le mie mani forse
sono più sporche delle tue”.
Urano
allungò una mano, mostrando
un’ombra nera su di essa. Ahriman la fissò e
sobbalzò nell’animo. Che fosse vera
la storia che tutti raccontavano? Quella in cui era stato lui ad
uccidere i
bambini del palazzo nero? Tentò di capirlo, chiedendolo al
Dio che ospitava.
Capendo la verità, lanciò un grido.
“Esci
dalla mia testa!” sbraitò.
Kydoimos
guardò il figlio con apprensione,
mentre questi lottava con il Dio del cielo.
“Che
succede?” si chiese Kanon,
senza capire.
“Non
lo so” ammise Hestia.
Entrambi
vedevano solo Ahriman
agitarsi in preda al dolore.
“Quella
creatura dal sangue nero
deve averlo ferito” interpretò Aiolos.
“Ahriman”
gridò Kydoimos,
tenendogli fermi i polsi “Guardami! Non lasciarti soggiogare
da una divinità
che non vuoi più ospitare! Combatti contro di
essa!”.
“Ma
cosa vuoi tu? Io sono un tuo
nemico!”.
“Non
ti considero tale, Ahriman.
Guardami!”.
Il Dio del
cielo spalancò gli
occhi. Aveva riconosciuto lo sguardo nel padre, in
quell’occhio un tempo cieco.
In realtà, da quando ricordava il suo passato, Kydoimos
aveva acquisito di
nuovo il colore verde dell’iride.
“Papà?”
mormorò Ahriman,
incredulo.
“Perdonami
per ogni cosa, figlio
mio. Ma ora, ascoltami. Lotta assieme a me”.
Padre e
figlio si fissarono. Poi
il figlio lanciò un grido fortissimo, rigettando il Dio del
cielo. Aiolos,
senza capire quanto accadeva realmente, scoccò una freccia,
che trapassò il petto
di Kydoimos. Ahriman lo guardò, spaventato, non sapendo che
fare.
“Scappa!”
ordinò Kydoimos “Ora
che il Dio del cielo ha lasciato il tuo corpo, sei un mortale. Non
sopravvivresti ad uno scontro come questo”.
“Ma
io..” tentò di protestare
Ahriman.
Una mano lo
scosse, piuttosto
brutalmente, scaraventandolo a terra.
“Scansati!”
parlò Aiaco,
apparendo a pochi passi da Kydoimos “Ho una consegna da
fare”.
Senza dire
altro, lasciò che
l’anima incompleta venisse inevitabilmente attratta verso la
sua parte mancante.
Kydoimos percepì una stranissima sensazione. Uno strano
calore, una carezza
morbida, lo attraversò. Dimenticò per qualche
istante il dolore della freccia
oro, consolato da quel tocco. Poi si accorse che dietro ad Aiaco
stavano
lentamente apparendo altri specter. E poi si mostrò Hades.
“Quell’anima
è mia!” gridò,
indicando Kydoimos.
“Ci
è riuscito!” sorrise Saga “Ha
ricongiunto le due parti dell’anima!”.
Deathmask,
seduto accanto a lui,
mostrava agli abitanti dei campi elisi quel che stava accadendo
attraverso un
piccolo portale.
“Ma
si fanno di nuovo la guerra”
sbottò Aphrodite.
“Così
morirà!” si alzò in piedi
Saga “Devo aiutarlo a reagire”.
“E
come credi di fare?” ridacchiò
Deathmask “Sei un’anima! Al di fuori
dell’oltretomba sopravvivresti sì e no un
paio di minuti”.
“Ma
ci devo provare! Ti prego,
Deathmask! Portami da lui”.
“Non
se ne parla! Se scompari,
non c’è ritorno! Scompari per sempre,
capisci?”.
“Non
mi importa”.
“Sei
impossibile. Non ti va mai
bene niente!”.
“Vedilo
come un mio ultimo desiderio.
Ti supplico”.
Deathmask
sospirò. Quanto era
complicato gestire i morti!
Kydoimos
usò il suo potere.
Richiamò gli elementi, cercando di creare una barriera fra i
contendenti.
“Quello
è Hades!” lo riconobbe
Camus.
“Ma
cazzo, son troppo vecchio per
un’altra guerra santa!” ringhiò Milo.
“Pare
sia solo interessato a
Kydoimos” notò il cavaliere
dell’Acquario.
“Ottimo.
Lasciamoglielo prendere,
così si risolve tutto” furono le parole di Ioria.
Le diverse
fazioni distrussero la
barriera creata da Kydoimos e ripresero a combattere.
“No!
Smettetela!” gridò lui,
sputando sangue.
Aiolos lo
centrò con un’altra
freccia, non capendo come facesse ad essere ancora in piedi.
“Papà,
adesso basta!” riuscì a
raggiungerlo Ahriman.
Kydoimos,
barcollando, si
estrasse entrambe le frecce dal petto, spaccando parte
dell’armatura.
“Vedo
il tuo cuore” gemette il
figlio.
“Ora
sai che ne ho uno” sorrise
il padre, con un fiotto di sangue che sgorgava dalla ferita.
“Ti
prego, ora smettila”.
Tutt’attorno,
si combatteva.
Aiaco lottava contro il suo stesso signore, Hypnos lo aiutava. Le schiere di Zeus, contro
quelle del Caos,
erano in svantaggio. Kydoimos
sentiva
l’odore del sangue. Barcollò, per un istante
sopraffatto dalla ferita. Ma si
rialzò subito. Doveva fermarli a tutti i costi!
Richiamò ancora a sé i suoi
poteri. Questa volta tentò di usare il fuoco, allontanando
le fazioni.
“Basta,
brutti idioti! Siete
tutti della stessa famiglia!” gridò.
Poi, sulla
sua testa, si
materializzò una luce violacea e Deathmask apparve,
rimanendo sospeso sopra il
capo del ferito, che parve non gradire.
“Torna
più tardi a prendermi, Dio
della morte!” sbottò Kydoimos.
“Arles!
Quando sarà il tempo, non
mi farò certo dare ordini! Non sono qui per te, ma per
accontentare lui!”.
Scansandosi
leggermente, Deathmask
mostrò l’anima di Saga, che si aggrappò
al Dio della morte.
“Saga!”
esclamò Kydoimos, mentre
molti al grande tempio si stupirono per averlo sentito chiamare
“Arles”.
Saga
sorrise. Brillava forte.
“Saga!
Sei un’anima! Non puoi
sopravvivere lontano dal regno dei morti!”.
“Ho
solo qualche minuto, è vero.
E lo voglio spendere con te”.
“Che?!”.
“Adesso
basta lottare, Arles. Basta!
Non morire di nuovo”.
“Sarebbe
l’ultima volta, te lo
giuro”.
Kydoimos
barcollò ancora e
stavolta cadde in terra. Sputò molto sangue ma
tentò di rialzarsi comunque.
“Basta,
Arles” supplicò Saga.
“Vattene!
Se non te ne vai,
sparirai per sempre! Cosa stai qui a perdere tempo con me?”.
“Arles!”.
L’anima
ora piangeva e Kydoimos
distolse lo sguardo. Poi una potentissima luce avvolse tutti. La
battaglia si
fermò. Nessuno capiva. C’era un essere, avvolto in
quella luce accecante, che
fluttuava accanto al gruppo che stava al centro della battaglia.
“Dhòro?”
mormorò Kydoimos,
alzandosi a fatica.
Il ferito
lasciò cadere le
braccia e respirò a fatica. Dhòro, ora uno
splendido uomo dai lunghissimi
capelli e lo sguardo sereno, sorrideva, senza parlare.
“Che
significa? Che succede?” si
domandò il Caos.
“Chi
è quello?” si chiese Milo.
Dhòro
non parlò. Alzò
semplicemente una mano, attorno a cui ruotava l’essenza di
Urano. La sua luce
si espanse ed iniziò ad avvolgere i presenti.
“Dhòro!”
parlò ancora Kydoimos
“Ti prego, Dhòro, mio dono. Il tuo è un
potere immenso. Perciò puoi riportare
Saga al giusto posto. Lui non merita di svanire, come sta
facendo”.
Saga in
effetti stava perdendo
luminosità, divenendo sempre più trasparente.
“Saga
è un’anima buona” continuò
Kydoimos “Non come me. Inoltre, è
l’unico che mi è rimasto sempre accanto.
Anche se era l’ultima persona che doveva farlo, visto come ho
rovinato la sua
esistenza”.
“Arles..”
sorrise Saga.
“Non
potrei mai sopportare che
sparisca per colpa mia”.
“Ed
io non potrei mai sopportare
di passare l’eternità lontano dalla tua
anima!” si sentì rispondere “Vieni con
me, Arles”.
Saga
allungò una mano, porgendola
a Kydoimos. La luce di Dhòro, nel frattempo, si faceva
sempre più ampia ed
intensa.
“Vieni
con me” ripeté Saga, ormai
quasi trasparente.
Kydoimos, in
ginocchio ed
incapace di rialzarsi a causa delle ferite, lo fissò
immobile. E pianse. Era la
prima volta nella sua vita. Poi chiuse gli occhi e cadde in avanti.
L’anima di
Arles raggiunse la mano di Saga ed insieme i due si abbracciarono,
mentre la
luce di Dhòro avvolgeva tutto e tutti.