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Autore: Viviane Danglars    10/12/2008    3 recensioni
Ichigo è un investigatore, ha un cliente e un “caso” da risolvere.
Non è pulito, non è delicato e non finisce bene.
[ Respirò a fondo nell’aria ancora fresca della mattina, senza aprire gli occhi. Non ne aveva bisogno per visualizzare il luogo dove si trovava; sapeva com’era fatta la ringhiera di ferro che sentiva premergli, fredda, contro le reni. E sapeva che, sotto di lui, c’erano numerosi piani e poi soltanto l’asfalto, non liscio né propriamente grigio, ma sicuramente duro.
Numerosi piani di poveracci e disperati, prostitute e drogati, ubriaconi e malati e, sopra di loro, lui: Renji Abarai, con i suoi tatuaggi, le mani robuste infilate nelle tasche, la maglietta lisa che profumava della lavanderia di Momo e i capelli rossi raccolti in una coda spettinata.
]
~ [Liberamente ispirato al film Million Dollar Hotel.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Renji Abarai
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo sesto.
Because the night




[ Come on now try and understand
the way I feel when I'm in your hands.
Take my hand come undercover.
They can't hurt you now,
can't hurt you now, can't hurt you now ]




Quando Renji era rientrato all’Hotel, Shunsui non era nel suo gabbiotto all’estremità della hall, e Nanao sembrava particolarmente infuriata mentre discuteva con Shinji.
Il ragazzo aveva colto qualcosa come “e se non sai fare il tuo lavoro” ma non si era fermato ad ascoltare, troppo di cattivo umore a causa dell’incontro avuto con Kurosaki. Aveva salutato con un cenno della mano Kenpachi, impegnato a giocare a carte con la figlia – lei stava vincendo – ed aveva preso l’ascensore con l’intento di salire il più in alto possibile.
A volte lo faceva, quando restare lì cominciava a farsi soffocante e lui sentiva il bisogno di scappare, se non nel tempo almeno nello spazio.
Gli era sempre piaciuto il tetto del Million Dollar Hotel. Non ci andava quasi mai nessuno, perché era decisamente sgangherato e l’insegna pericolante non faceva presagire nulla di buono. Era una scritta grossa in caratteri occidentali, tracciata da doppie file di luci rotte da un pezzo. Forse accesa poteva avere avuto un suo perché; ora di sicuro poteva solo contribuire all’atmosfera di abbandono, che nell’edificio già non mancava. Ma non c’era niente di meglio se si voleva stare un po’ in pace e illudersi di stare respirando aria pulita.
L’aria non era mai pulita in quel posto, non davvero. Niente era pulito, lì.
Renji si appoggiò alla balaustra chiudendo gli occhi. Aveva voglia di un’altra sigaretta, ma, un po’ per la salute, un po’ perché i soldi non abbondavano, aveva cercato di darci un taglio negli ultimi tempi.
Erano state le cattive abitudini di Kurosaki a fargli tornare la voglia.
- Ti viene la pelle gialla, così. E fa schifo baciarti. -
Si massaggiò una tempia, irritato. Le domande di quel dannato investigatore erano sempre più fastidiose. Sentiva che l’altro stava invadendo un campo che non era il suo, dove non avrebbe dovuto mettere piede, e questo lo innervosiva.
Ma non aveva paura, si disse. No. Non c’era proprio motivo di avere paura.
Non c’era proprio niente per il quale dovesse temere.
Gli venne in mente la prima volta che aveva parlato con Grimmjow. Era stato in quel posto, il ragazzo lo aveva seguito vedendolo salire, e gli aveva proposto di vendergli qualcosa. A un prezzo onesto, diceva, perché erano vicini di casa.
Renji aveva mostrato il mozzicone e aveva detto di avere già i suoi casini. Grimmjow non era ancora granché ben avviato – era arrivato lì da poco, il fratello nascosto in camera per timore che qualcuno li rintracciasse, e una ragazzina troppo magra con gli occhi enormi al seguito – e così, quando Renji gli aveva parlato in tono quasi paterno, aveva sbattuto nervosamente le palpebre sugli occhi azzurri dall’aria allucinata. Non aveva insistito.
Non aveva ancora il mestiere.
Casualmente, Renji gli aveva chiesto quanta ne usasse per uso personale, della roba che avrebbe dovuto usare per guadagno. Nessuna risposta. Allora gli aveva suggerito di guadagnarci, invece, di non buttarla via in quel modo.
Poi gli aveva proposto di fare un patto; le sigarette per le pasticche. Era stato proficuo, da un certo punto di vista. Grimmjow sosteneva, quando poi erano diventati amici, che prendere per il culo l’aria da tossico di Renji in astinenza da nicotina sapeva rallegrargli la giornata.
Quanto a lui, Grimmjow era meno ligio alle sue promesse, ma Renji non era fiscale. Non lo era affatto.
E poi chi era lui per rompere le palle a qualcun altro su come salvarsi la vita?
Respirò a fondo nell’aria ancora fresca della mattina, senza aprire gli occhi. Non ne aveva bisogno per visualizzare il luogo dove si trovava; sapeva com’era fatta la ringhiera di ferro che sentiva premergli, fredda, contro le reni. E sapeva che, sotto di lui, c’erano numerosi piani e poi soltanto l’asfalto, non liscio né propriamente grigio, ma sicuramente duro.
Numerosi piani di poveracci e disperati, prostitute e drogati, ubriaconi e malati e, sopra di loro, lui: Renji Abarai, con i suoi tatuaggi, le mani robuste infilate nelle tasche, la maglietta lisa che profumava della lavanderia di Momo e i capelli rossi raccolti in una coda spettinata.
Era così assurdo da dargli la nausea.


Rangiku aveva alzato la voce, col risultato di renderla acuta e stridula; una bella differenza rispetto al suo solito tono roco e sensuale. La perdita della calma aveva trasfigurato il fascino della sua figura, e conferito una strana forza alla sua statura notevole; per contro, Toushiro, freddo persino nella rabbia, benché piccolo sembrava ghiaccio sul punto di esplodere.
- Osi dire che non è colpa tua? – stava dicendo, gli occhi freddi puntati verso l’alto con qualcosa di più della rabbia; era quasi sdegno.
Rangiku si stava agitando. - Momo è mia amica! Aveva bisogno di un lavoro e… -
- E ti sembra normale suggerirle di prostituirsi? E’ questa la tua idea di aiutare gli amici? – la interruppe Toushiro.
Lei parlò ancora più forte. – Non le ho detto di prostituirsi! Le ho offerto un posto nel night… -
- Bella differenza! – ribatté lui.
- Stammi a sentire, ragazzino, - Rangiku gli puntò un dito contro, indignata, mentre l’altra mano si stringeva a pugno – mi dispiace se non ho conoscenze abbastanza altolocate per te, ma questo è quello che le potevo offrire, e se andava bene per me… -
- Il fatto che a te non importi della tua dignità non significa che sia lo stesso anche per gli altri – replicò Toushiro, il tono gelido, gli occhi giovani ma incredibilmente freddi sollevati verso di lei.
Questo ebbe davvero il potere di zittirla, interrompendo la frase che stava pronunciando. Rangiku strinse entrambi i pugni, serrando le belle labbra carnose, i capelli un po’ spettinati che le oscuravano il viso.
- Almeno io un qualche lavoro lo avevo – rispose infine. – Che è più di quanto si possa dire di te. -
Stavolta fu l’altro a incassare, con una piccola smorfia. Anche se non concesse all’altra grande soddisfazione, era evidente dalla rabbia a malapena controllata nella sua voce, che Rangiku aveva toccato il tasto giusto. – Ripetitelo pure. Ripetitelo e liberati dal tuo schifoso senso di colpa sulle spalle di quella che dovrebbe essere tua amica. -
- Non è mia la colpa di quello che le è successo! – protestò lei. Anche il suo tono era disarmonico, spezzettato dalla rabbia e da una generica agitazione che rendeva frenetici i suoi movimenti.
Vestita succintamente di nero, i capelli svolazzanti attorno alle spalle e gli occhi pesantemente truccati, Rangiku era l’ultima persona che ci si sarebbe aspettati di trovare a litigare sulle scale con un ragazzo giovane, riservato e ben vestito come Toushiro.
Gli abitanti del quarto piano non sapevano neppure come quella diatriba fosse iniziata. Era tardi, e Momo evidentemente non era a portata d’orecchio – altrimenti, suo marito non avrebbe mai permesso che la discussione si svolgesse in toni così alti quando lei poteva sentire.
Forse Rangiku, che stava scendendo per andare al lavoro, era particolarmente nervosa; o forse Toushiro, che tornava con la sua ventiquattrore in mano, era particolarmente stanco e deluso da un’altra giornata infruttuosa. Doveva essere bastato poco; il malcelato rancore di Toushiro verso Rangiku non era un segreto per nessuno, nemmeno per l’interessata.
Quel che è certo, è che ora stavano urlando, dimentichi dei vicini che si erano affacciati alle porte delle camere per vedere – e Toushiro sembrava stare avendo la meglio.
- Certo che non è tua la colpa, eri semplicemente troppo idiota per prevedere che infilare una ragazza come Momo in un posto come quello avrebbe portato dei guai! -
Rangiku gli rivolse un’occhiata cattiva. – Ti brucia così tanto, eh? Lo sai che nonostante tutto lei lo rimpiange, quel posto… lo sai benissimo che rimpiange Sousuke. – Il nome aveva qualcosa di proibito, era come un tabù che non avrebbe dovuto essere pronunciato in quel posto; e fece sì che Toushiro sbarrasse gli occhi, ancora prima che lei avesse finito. - Chissà… forse lui, a furia di frequentare delle poco di buono come me, almeno sapeva come darle piacere… -
A quel punto, si vide il ragazzo lasciar cadere la sua cartella di cuoio rovinato, e qualcuno temette seriamente che Rangiku avrebbe avuto dei lividi la mattina dopo. Ma Renji afferrò Toushiro per le spalle e lo tenne fermo sul posto, mentre quello respirava con difficoltà, il pugno sollevato. Rangiku era indietreggiata di un paio di passi.
- Calmiamoci – disse Renji dopo un istante. – Tutti e due. -
Rangiku aveva due occhi enormi, puntati con un’espressione bizzarra, quasi comica, su Toushiro. Sembrava incredula e spaventata al tempo stesso. Nella sua determinazione, così discordante con la sua giovane età, Toushiro era davvero in grado di fare paura.
- Allontana questa puttana dalla mia vista – sibilò il ragazzo, liberandosi dalla stretta di Renji con uno strattone.
Rangiku sobbalzò, leggermente, istintivamente, forse ferita o forse solo sorpresa. Anche Renji era stato un po’ preso alla sprovvista e le lanciò un’occhiata, prima di guardare nuovamente Toushiro: - Mi sembra che stiamo esagerando. -
- Mi ha aggredita senza motivo – protestò Rangiku, la voce ancora stridula. – Senza un solo motivo plausibile… -
- Al posto tuo starei zitta, - la apostrofò Renji, voltandosi verso di lei, ma prima che lui potesse continuare o che la donna potesse reagire un’altra figura fece capolino dalle scale, e la scena sembrò fermarsi per un istante mentre tutti e tre fissavano il nuovo arrivato.
Gin Ichimaru veniva spesso al Million Dollar Hotel, ma non abitava davvero lì, o, in ogni caso, trascorreva moltissimo tempo fuori. A fare cosa, esattamente non lo sapeva nessuno, ma si diceva che fossero affari grossi, abbastanza grossi da far sì che neppure i meglio informati li conoscessero. Di sicuro, non li conosceva Rangiku; ma Rangiku era forse la meno informata su Gin Ichimaru, e quello era un altro dei motivi per i quali lui aveva la reputazione di un poco di buono.
Delle sue attività, l’unica nota era stata quella avviata con l’amico Aizen qualche anno prima: il club dove lavorava Rangiku e che da solo fruttava loro un bel po’, anche se il principale proprietario era proprio Aizen, ed era lui a gestire la maggior parte delle faccende riguardanti il night.
Rangiku, comunque, non incontrava mai Gin al lavoro.
- Oh, che succede qui? -
Il tono cantilenante e vagamente beffardo era un altro dei motivi della cattiva reputazione di Gin.
A quell’esordio, Toushiro sbuffò apertamente, lanciando all’altro un’occhiata chiaramente ostile.
- Ichimaru – lo salutò Renji, freddo. Neppure a lui quell’uomo piaceva, anche se, nel suo caso, ciò era dovuto principalmente al modo in cui Ichimaru trattava Rangiku. Lei, dal canto suo, non rispose, e si limitò a distogliere lo sguardo, dopo averlo posato un po’ troppo a lungo sul suo amante.
Gin era di fianco a loro, e lanciò un’occhiata educata a tutti e tre, soffermandosi un attimo di più su Toushiro.
- Ma come, nessuno me lo vuole dire? -
- Non è niente, una discussione – spiegò Renji.
Ichimaru lo ignorò. – Che succede, Ran? -
Lei si strinse nelle spalle. - Niente, Gin... -
Toushiro teneva lo sguardo basso, torvo, chiaramente furioso e umiliato che Rangiku lo stesse coprendo. Perché era proprio quello che lei stava facendo; nessuno sapeva esattamente quanto fosse rischioso, da 1 a 10, incorrere nelle ire di Gin Ichimaru, ma sicuramente non era una cosa che si sarebbe voluto scoprire in prima persona.
L’uomo spostò ancora una volta lo sguardo dall’una all’altro, con espressione innocentemente curiosa, e poi parlò; una singola nota inquietante aggiunta ad arte nella voce apparentemente calma: - Be’, meglio così, direi. No, Ran? Non sarebbe stato carino se avessi trovato che c’era un problema. -
- Non c’è nessun problema, Gin. – Rangiku si voltò, la voce di nuovo ferma, e lo prese per un braccio. – Andiamo, devo finire di prepararmi per andare a lavorare… -
Toushiro sollevò lo sguardo, sostenendo quello dell’altro, ma Gin si limitò a sorridere prima di voltarsi per seguire la ragazza.
- Buonanotte, allora, Hitsugaya. Abarai… -
- Buonanotte – rispose Renji, guardandoli allontanarsi.
Appena furono nella loro camera, Rangiku allungò una mano verso il muro cercando l’interruttore, ma le sue dita incontrarono invece le nocche di Gin, che aveva chiuso la porta e si era fermato dietro di lei.
- Il piccolo Hitsugaya è nervosetto, pare… -
Rangiku non reagì al tono beffardo dell’altro, e ritrasse la mano. Tornare in camera per finire di prepararsi era stata una scusa: era già pronta. In verità aveva istintivamente portato Gin con sé sperando in un momento di conforto, ma ora che erano soli le era evidente che Gin era l’ultima persona dalla quale lo avrebbe ricevuto.
Come aveva potuto pensarlo? Dopo tanti anni non aveva ancora imparato a conoscerlo?
Gin andò a sedersi sul loro letto mentre Rangiku rimaneva in piedi al centro della stanza. Poiché lei non parlava, lui aspettò poco prima di chiedere: - Che cosa c’è, Ran? Ti ha davvero dato tanto fastidio il bisticcio col piccoletto? -
Lei si voltò, dandogli le spalle. – No – rispose, la voce sorda. Sapeva che lui stava osservando la sua schiena, con calma, come si fa con ciò che ci appartiene. Avrebbe voluto darsi un tono facendo qualcosa come fingere di truccarsi o pettinarsi, ma era piuttosto difficile con la luce spenta. Eppure non voleva accenderla.
Non voleva vedere il ghigno di Gin, non quella sera. Voleva che lui stesse zitto e, con il suo silenzio, le permettesse di immaginare d’avere con sé un amante dolce e comprensivo, qualcuno in grado di non farla sentire sola, qualcuno che potesse darle delle risposte; e non l’uomo perverso, amorale che lui era, fragile e insieme contorto, così dannatamente doloroso, così bravo a farla sentire ancora più sporca di quanto non si sentisse già.
Sporca. Per aver rovinato Momo. Per aver insultato Toushiro. Per essere la vipera e la puttana che era e per l’orrenda tonalità eccessiva dell’ombretto azzurro che indossava tutte le sere.
- Cosa c’è, allora, Ran? -
Lui non sembrava volerla lasciare in pace. Eppure qualcosa nella sua voce stavolta la colpì. C’era quella piccola sfumatura di incertezza che lei aveva imparato a conoscere sin da quando erano entrambi dei bambini; il tono che Gin si permetteva di usare soltanto con lei.
Lo sentì alzarsi e venirle incontro, e cominciò a tremare ancora prima che lui le prendesse il braccio.
Gin era soltanto un bambino, pensò Rangiku. Aveva bisogno di conferme, aveva bisogno di sentirsi amato.
- Sono stufa di essere la tua puttana, Gin - confessò. - Lo farei, lo farei, davvero – mormorò, facendo di tutto per non guardarlo negli occhi, anche se lui cercava di voltarla verso di sé. – Ma non posso farci niente, mi fa male… mi fa così male – concluse, lasciando che la voce le morisse in gola. Sentiva che lui la stava stringendo con più forza; lui era lì, accanto a lei; eppure lei non riusciva a liberarsi dai pensieri cupi che la prendevano quando era sola, dai ricordi subdoli che le sussurravano parole cattive sull’unica persona che l’avesse mai amata.
No, di più ancora; lui era l’unica persona che contasse qualcosa nella sua vita.
Eppure…
Perché quando erano stati in difficoltà lui non le aveva impedito di farlo? Perché non aveva detto “qualsiasi cosa, piuttosto che questo”?
Perché non aveva difeso il suo onore come faceva il piccolo Shiro con Momo?
A Gin non dava tanto fastidio che lei battesse il marciapiede, purché portasse qualche soldo a casa… E lei aveva rinunciato a danzare. Per lui. Per loro. Perché potessero farcela, assieme… perché lui potesse farcela.
Poi, lui aveva trovato la sua via, fatto i suoi affari. Si era allontanato da lei.
Ce l’aveva fatta, indubbiamente.
E lei era rimasta incastrata, in quel posto, in quel lavoro, in quella situazione.
Ma lei lo amava. Lei lo avrebbe amato qualsiasi cosa lui avesse fatto.
Questo pensiero le scaldava il cuore, ma, in qualche modo, riusciva a farle ancora più male.
- Tu non sei questo, Ran. – Ed ecco, ecco la sua meravigliosa voce. Era musicale, dolce, come se le stesse raccontando una favola, per farla addormentare.
Una pietosa bugia.
- Io ti amo. – Le dita sottili di Gin le sfogliavano i capelli sugli zigomi, come con i petali di un fiore. - Tu sei mia, e… - - … e tu sei mio – concluse lei istintivamente, annuendo piano, mentre lui le prendeva la base della nuca in una mano spingendola ad adagiarsi contro di lui.
Era quello che si erano detti per quasi trent’anni, da che si conoscevano. A volte Rangiku pensava che era la bugia più dolorosa di tutte – perché se lui l’avesse amata l’avrebbe portata via da lì. Perché se lui fosse stato suo, sarebbe rimasto con lei, sempre con lei. Perché se fossero stati l’uno dell’altra, e basta, lui l’avrebbe salvata.
Era tutta la vita che Rangiku aspettava di essere salvata.
Era la bugia più grande.
Era l’unica verità di Rangiku, e di Gin.
Rangiku si lasciò andare e Gin la portò ad appoggiarsi al muro, facendo scendere velocemente entrambe le mani sui suoi fianchi.
- Non piangere, Ran. – La voce di Gin diventava più roca e più spezzata man mano che le baciava il viso, confuso e quasi speranzoso in quei movimenti che cercavano una risposta. Lei gli cinse il collo con le braccia e lasciò che lui aderisse meglio al suo corpo, facendola scivolare sul pavimento, puntellandosi al muro per sovrastarla mentre le mordeva le labbra.
Nella penombra lo vide scostarsi, guardandola dall’alto. Sentiva il suo respiro affrettato sulla pelle delle guance mentre Gin riprendeva fiato e la sondava, cercando nella sua espressione una conferma.
Voleva sentirsi dire che Rangiku era allegra come sempre, che Rangiku era la Rangiku di sempre ed era sua.
Era solo un bambino, si diceva lei, col cuore colmo di lacrime e di amore, e gli occhi secchi. Aveva bisogno di lei persino più di quanto lei ne avesse di lui.
- Non piango, Gin… -
Lui la baciò ancora, col desiderio dell’adulto che era diventato e insieme la giocosa beffa del bambino che era stato. La baciò stringendole il busto e sollevandola, spingendola a premere il bacino contro il suo, a fargli spazio contro le curve del suo corpo.
Che dormissero insieme o facessero l’amore, Gin stava sempre vicinissimo a lei; solo per ignorarla o poco più, appena non erano soli.
Ma andava bene così. A Rangiku andava bene.
- Brava, Ran… -
- Ti amo, Gin. -


- Non piangere. -
- Non sto piangendo, io… -
Ma l’aveva sentita tutta la notte e sapeva che stava piangendo. Ormai era l’alba: l’alba del secondo giorno.
- Non mentire… non sei mai stata capace di mentire a me. -
Si era morsa un labbro e si era stretta contro di lui, sotto le coperte. Lei era piccola e le coperte erano leggere. – Ho paura, Renji. -
- Di cosa, hai paura? -
- Che mi trovino… mi troveranno, se lui decide di cercarmi. Ha tanti di quei soldi… può fare qualsiasi cosa. -
Lui odiava sentire la sua voce così spaventata e flebile. – Lui…? -
- Mio cognato – aveva risposto lei, in un sussurro.
- Non ti troveranno. Te lo prometto. Ci sarò io, con te. I problemi svaniranno, come… come gocce al limone. –
- Gocce al limone? -
- Era in quella canzone, ti ricordi. -
Lei aveva annuito, piano. – E’ vero. Dicevamo che volevamo andare su una spiaggia bianca… con l’arcobaleno. -
- Ci andremo… prima o poi. Magari ci vorranno dieci o vent’anni di lavoro in officina… -
Lei aveva riso. Lui l’aveva stretta, posando il mento sulla sua spalla. – Mi prendo cura io, di te. Come quando eravamo bambini, ricordi? -
- Me lo ricordo… -

Renji si rigirò nel buio, dando le spalle alla finestra. Non riusciva a dormire; la sua mente continuava a rimuginare. E le stelle, fuori, non aiutavano.



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Spero di non essere andata troppo ooc con Shiro e Ran. O meglio, che Ran sia ooc lo so; lei non è tipo da urlare così. Ma per qualche motivo il piccoletto, invece, mi pare abbastanza fedele. Cioè, so benissimo che non darebbe mai della puttana a una signora, ma per qualche motivo questa sua rabbia non mi sembra del tutto fuori dai binari – come sappiamo è capace di prendersela sul serio se gli toccano Momo.
Insomma, spero che questa tensione si intuisse perché nelle mie intenzioni era solo questione di tempo prima che il rancore accumulato tra loro si mostrasse. Aggiungo che è stato molto divertente descrivere questa interazione tra loro, considerato come di solito (e non solo nella MatsuHitsu) vadano assolutamente d’amore e d’accordo. XD
Dopodiché… ditemi che ve ne pare di Gin. :P Arduo definire ooc un personaggio del quale non si sa una mazza di certo, ciononostante il mio Gin indubbiamente lo è, ma spero che vi piaccia lo stesso. XD

@Ino_Chan: Sì, in effetti anche per me è difficile definire il rapporto tra Hime e Uryuu… ma penso che, dicendo che sono teneri, si sia reso il succo :P Quasi quasi ci spero ancora per il canon (visto che mi aspetto che Rukia e Ichigo finiscano assieme ù.ù), Orihime mi sembra il genere di pg capace di rendersi conto a un certo punto del valore di Uryuu, non pensi? (Visto che la UlquiHime è, temo, al di fuori della nostra portata! XD) Comunque, tornando a noi… sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo! In effetti l’argomento era piuttosto delicato… a me fanno una tristezza immensa. T_T Considerando quanto Shunsui appaia sempre forte e protettivo (specie verso Nanao) mi stuzzicava l’idea di porlo in una situazione nella quale, anche se sarebbe disposto a dare qualsiasi cosa per salvare l’uomo che ama, non può fare proprio niente. (Mi, ma sono sadica o.o)

@Helen Lance: Sì… in effetti la malattia di Ukitake non ha toni troppo drammatici nel canon, probabilmente perché essendo loro delle anime la cosa si stempera un po’. E quindi, chi prende in mano il personaggio nelle AU, tende a renderla “non troppo grave” perché in fondo Ukitake ci appare comunque un ragazzotto robusto. Ma potevo io forse accontentarmi di ciò? U_U Certo che no! XD
E Nanao… non so, forse sono solo io, ma per qualche motivo ho sempre pensato che avesse un ruolo da spettatrice (spettatrice che vorrebbe essere qualcosa di più) di fronte al rapporto straordinario tra questi ragazzi d’oro, dal passato con il quale lei non può competere.

@AllegraRagazzaMorta: Anche io li adoro *o*< br>Comunque, cerchi educatamente di dirmi che Shunsui è ooc? XD Perché può essere, eh… mi ci sono accanita, poraccio. O_ò Anche se bisogna ammettere che non so come una persona reale – cioè non shinigami – reagirebbe in una situazione simile. Come ho detto anche rispondendo ad Ino, penso che in realtà Shunsui sia una persona molto forte, una che se potesse prenderebbe tutte le sofferenze dell’amico su di sé… solo che non può proprio farlo, e questo lo rende debole, lo fa sentire impotente – e ovviamente si sente in colpa per non poter aiutare l’altro, si sente in colpa per essere così irrequieto e disperato mentre Jyuushiro sa affrontare la malattia con serenità. E così anche se lo ama moltissimo, vederlo è ogni volta una sofferenza tremenda, il ricordo di tutti gli errori che lui pensa di aver fatto, e gli sembra quasi di leggere l’accusa sul volto di Jyuu. Ecco, direi che questa è la spiegazione integrativa del capitolo (il che già vuol dire che non ho fatto un buon lavoro con il capitolo, se no non ce ne sarebbe bisogno XD).

@belialcross: Benvenuta e… grazie mille XD Non merito tutto questo entusiasmo ^^ Spero che anche questo capitolo ti piaccia :P

@Kaho_Chan: Grazie :P Sono molto contenta che ti piaccia, sei troppo buona *_* Fammi sapere! :P

E come sempre grazie a tutti.
   
 
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