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Autore: Yasha 26    02/03/2015    2 recensioni
Mi volto verso la foto sul comodino e la prendo tra le mani. Ritrae me e la mamma sedute al parco, sotto una distesa immensa di ciliegi in fiore.
“La Via dei Ciliegi” l’ha soprannominato lei quel posto. E' qui che mi rifugio quando voglio pensarla, restando ore ed ore seduta sulla stessa panchina su cui era solita sedersi lei.
***
Resto immobile a terra, rannicchiata su me stessa.
Piango e prego che la sua furia si plachi in fretta, non potendo far altro.
Vedi, Hiro Watanabe? Sono queste le uniche lacrime che mi concedo ogni maledetto giorno della mia vita e che non dedicherò mai a te!
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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In caso contrario, saranno presi provvedimenti legali.
Grazie.







 
Sono in ritardo, accidenti! Come ho potuto riaddormentarmi dopo aver spento la sveglia? Se non mi do una mossa, chiudono i cancelli!
Infilo velocemente i miei collant super coprenti bianchi e la gonna, il tutto saltellando per la fretta. Dovrei mettere il dolcevita sotto la camicia della divisa scolastica, ma c’è davvero troppo caldo oggi, malgrado siamo a fine ottobre. Come faccio? Trovato! Metto il foulard verde!
Finalmente vestita, passo al trucco, come sempre il più coprente possibile, con tanta matita nera, correttore, fard e rossetto. Spazzolo i capelli, che getto davanti al viso per coprirlo più che posso. Mi guardo allo specchio e credo vada bene così, non si nota nulla nemmeno oggi.
Scendo di corsa in cucina per preparare la colazione.
-Daiki! Non ti sei ancora alzato, dormiglione?- lo richiamo per la terza volta.
-Sì, eccomi sorellona.- risponde. sbadigliando.
-Ecco la colazione piccolo. Mangia in fretta, così voliamo a scuola!- dico, mentre butto giù la mia.
-Sorellona mi fa male la testa. Posso restare a casa oggi?- chiede con tono mesto.
-NO, NON PUOI!- esclamo con troppa enfasi, facendolo sobbalzare.
Il visino si rattrista e mette su quel piccolo broncio tipico dei bimbi quando stanno per piangere.
-Cioè, scusa fratellino, volevo dire che… non puoi restare a casa quando io non ci sono, lo sai.- cerco di spiegargli, addolcendo il tono.
-Lo so, ma io sto male.- insite lui, stringendomi il cuore.
-Facciamo così, ti porto ugualmente all’asilo, se starai troppo male, dici alla maestra di chiamarmi, ok? Chiama me però, non a casa, intesi?- chiedo preoccupata.
Lui annuisce e si alza senza finire la sua colazione. Ha l’aria abbattuta, segno che non sta molto bene, ma non posso proprio farlo restare a casa se io sono a scuola, e mi è impossibile saltare le lezioni oggi, per via di alcune verifiche. Se me le perdo, sono nei guai!
Mettiamo entrambi le scarpe, pronti per uscire, ma prima…
-Papà, noi andiamo!- lo avviso da dietro la porta della sua camera.
-Non fare tardi!- urla con voce ancora impastata dal sonno.
-No, saremo di ritorno per le cinque.- confermo, fiondandomi fuori casa finalmente.
Corro a perdifiato con Daiki in braccio, per far prima. Caspita, comincia a pesare adesso! Ha da poco compiuto cinque anni, non è più come quando era piccolo e lo tenevo tranquillamente con un braccio. Ora non me ne bastano due!
Arrivo all’asilo sfinita. Lascio Daiki alle maestre, con la raccomandazione di chiamarmi subito se sta male, poi mi fiondo nuovamente per strada, verso la mia scuola. Quanto detesto questo istituto. O meglio, chi lo frequenta!
 
-Eccola! È arrivata “Pippi calzelunghe”!- mi sbeffeggia il primo coglione della giornata appena entro in classe. Non rispondo, come sempre. Mi siedo al mio banco, ignorando le risate di tutti, pregando che anche questa giornata voli il più velocemente possibile.
-Ehi, non prenderla in giro Abe! Almeno oggi ha i calzettoni bianchi invece che fucsia, come ieri. Sembra meno scema così!- interviene un altro babbeo, ma ignoro anche lui.
-Sento delle belle risate. È arrivata la sfigata? Oh eccola, infatti! Buongiorno cozza! Anche oggi truccata come una troia, vedo.- prorompe quello che è lo stronzo per eccellenza: Hiro Watanabe.
 
Da quando ho messo piede in questa scuola, non fa altro che prendermi in giro a causa del mio abbigliamento. E’ il ragazzo più popolare dell’istituto e gli altri gli vanno dietro, imitandolo e prendendomi in giro a loro volta. Non ho amicizie qui, mi stanno tutti lontano, credendomi chissà che, ma se pensano che così facendo inizierò a frignare e a deprimermi, si sbagliano di grosso! Ho problemi decisamente peggiori di due bulletti che mi fanno scherzi e mi chiamano cozza o troia. Essere emarginata da loro non fa altro che aiutarmi a mantenere la facciata che ho costruito, ciò che voglio loro vedano, e non vedano soprattutto.
 
-Allora, maschera mal riuscita di Halloween, non rispondi?- continua lui, dando un calcio al piede della mia sedia e spostandola.
-Watanabe, perché non riesci proprio a lasciarmi in pace cinque minuti della tua vita? Non hai di meglio da fare che sprecare il tuo tempo con me?- chiedo sbuffando.
-E perdermi questo divertimento? No grazie, preferisco tormentarti, sfigata!- afferma, tirandomi via la sedia e facendomi finire per terra, gambe all’aria, mentre tutti ridono divertiti.
Ecco che le calze coprenti tornano nuovamente utili!
Come faccio sempre in questi casi, mi rialzo, senza fiatare, senza emettere alcun verso di dolore e senza versare le lacrime che lui vorrebbe. Mi rimetto seduta tranquillamente e apro il mio libro d’inglese perché la prima ora riguarda quella materia. Lui sta per dire altro, forse stizzito dal mio mutismo e dalla mia indifferenza, ma l’ingresso del professore lo zittisce.
-Signor Watanabe, vada a sedersi, cortesemente. Non ha sentito il suono della campanella o era così impegnato a corteggiare la signorina Tanaka da non averla sentita?- lo riprende il professore.
Oh no professore! Così mi mette nei guai più di quanto già non sia!
Mi volto a guardare Watanabe, il suo viso è livido di rabbia mentre prende posto qualche fila più dietro. Povera me! Va bene che non mi feriscono i suoi insulti, ma i suoi schiaffi fanno abbastanza male quando gli gira, e quelli preferisco evitarli!
 
Le ore di lezione passano veloci. Alle quattro, finalmente, posso tornare a casa. Mi stupisce non vedere in giro Watanabe, temevo me l’avrebbe fatta pagare cara per oggi. Tanto meglio. Prendo le mie cose ed esco dalla scuola. Arrivo all’asilo trovando Daiki addormentato. Povero piccolo, deve stare davvero male. Lo porto a casa in braccio, arrivando stanca morta in camera sua, dove lo metto a letto. In casa non ho trovato nostro padre, sarà uscito. Dopo aver fatto i compiti, vado a preparare la cena, una semplice zuppa di miso, non possiamo permetterci altro dato che papà non lavora.
All’ora di cena lui ritorna puntuale, sedendosi a tavola senza neanche salutarmi. Cominciamo bene!
Porto la zuppa a Daiki in camera sua. Preferisco non farlo scendere in cucina, sia per come sta sia per altro. Servo la zuppa e mi siedo, iniziando a mangiare.
-Questa brodaglia fa schifo! Quanto sale ci hai messo?- urla improvvisamente mio padre, facendomi sobbalzare.
-A me non sembra salata papà, forse è la tua boc…- nemmeno il tempo di finire la frase che me la getta addosso, prendendomi in pieno sul braccio destro, col quale sono riuscita a pararmi almeno il viso, prima che mi ustionasse.
-Osi contraddirmi puttana? Non solo mantengo te e quel moccioso, ma per sdebitarti non sei nemmeno in grado di cucinare una zuppa?! Siete totalmente inutili!- mi urla in faccia, dopo avermi afferrato e sollevata per la maglia.
La puzza di alcool che esce dalla sua bocca è talmente nauseante che volto il viso disgustata.
-Scusami papà! Hai ragione, la zuppa è salata! Te ne preparo subito un’altra!- tento io, anche se invano.
-Mi è passata la fame!- dice prendendomi a schiaffi e lanciandomi verso il tavolo, contro il quale sbatto la schiena, finendo a terra dolorante.
Resto immobile a terra, rannicchiata su me stessa, conscia che se provassi ad alzarmi continuerebbe a picchiarmi, peccato che stasera non vada come al solito, infatti si sfila la cintura dai pantaloni ed inizia a colpirmi ovunque.
-Papà…mi dispiace! Scusami ti prego! Basta! Fermati!- lo imploro tra le lacrime, con le braccia avvolte al viso e alla testa.
-Zitta, brutta stronza! Dovevate morire tu e quel moccioso, non lei! Non la mia amata Sakura! Dovevate morire voi, inutili parassiti! Lei era un’ottima cuoca! Lei si prendeva cura di me! Era la mia vita!- sbraita, accecato dalla rabbia, mentre mi colpisce le gambe e il fianco, ancora e ancora.
Il rumore delle cinghiate è perfino più doloroso del colpo che ricevo ogni volta. Piango e prego che la sua furia si plachi in fretta, non potendo far altro.
La tortura finisce quando non sento neanche più il dolore dei suoi colpi. Lo vedo andar via, borbottando qualcosa d’incomprensibile, asciugandosi gli occhi. Deve aver pianto. Come sempre.
Resto rannicchiata sotto il tavolo, non so per quanto, scossa dalle lacrime.
Anche per oggi sono viva.
 
Ecco…le vedi Hiro Watanabe? Sono queste le uniche lacrime che mi concedo ogni maledetto giorno della mia vita, e che non dedicherò mai a te! Ed è così dal giorno in cui la mamma è morta di cancro. Da allora  mio padre, per il dispiacere, ha iniziato a bere per dimenticare, riversando poi su di me il suo dolore.
La mia vita procede così da quattro anni e così sarà per altri tre, fino a quando non sarò maggiorenne e porterò via con me mio fratello, denunciando nostro padre per tutto il male che ci sta facendo, ma adesso no, non posso far nulla. Se parlassi con qualcuno, lo arresterebbero e porterebbero me e Daiki in un istituto. Lui è ancora piccolo e sono sicura sarebbe subito adottato, venendo allontanato da me. No! Non posso permetterlo! Ho giurato alla mamma, poco prima che morisse, che mi sarei presa cura di lui, che gli avrei fatto da mamma, oltre che da sorella maggiore. Devo solo avere pazienza e sopportare, sperando che quel bastardo non mi uccida nel frattempo.

Ho provato a comprenderlo, a giustificarlo i primi tempi. Mi dicevo che aveva perso la donna che amava e che, forse, era normale reagisse così, poi col tempo, e le botte sempre più frequenti, ho iniziato a odiarlo. Avevo quattordici anni e Daiki appena uno quando la mamma è morta. Era suo dovere prendersi cura di noi, non il contrario. Da quel giorno si è riversato tutto su di me, dalla gestione della casa a crescere Daiki. Viviamo di quel poco che mamma e papà avevano messo da parte con anni di duro lavoro, prima che accadesse tutto, ma quei soldi sono quasi finiti, quindi dovrò trovare un lavoro per mantenerci, e questo sarà un grosso problema per me. A chi lascerò mio fratello quando non sarò in casa? Non lo lascio di certo con quella bestia, potrebbe ucciderlo. Finora l’ho protetto, ma se lavorerò e sarò assente, come potrò proteggerlo?
-Sorellina che hai? Stai male?- mi chiede Daiki, cogliendomi di sorpresa.
-Daiki, che ci fai qui?- gli chiedo, tentando di alzarmi senza gemere dal dolore.
-Ho portato la ciotola vuota. Era buonissima la zuppa!- dice sorridendo e facendo sorridere anche me. Il suo sorriso e il suo benessere sono quelli che mi fanno andare avanti, o non so dove sarei adesso. Sicuramente lontano da questa casa!
-Ne sono felice piccolo. Ora fila a lavarti i denti e poi a nanna.-
-Vado! Notte Keiko!- esclama abbracciandomi per la vita, provocandomi un dolore atroce.
-Buona notte fratellino.- gli sorrido, trattenendo le lacrime.

Ripulisco la cucina meglio che riesco e mi rifugio nella mia camera. A fatica tiro da sotto il letto una cassettina piena di pomate, unguenti, fasce, disinfettanti e quant’altro per il primo soccorso. Mi spoglio il più delicatamente possibile, osservando il mio braccio completamente bordò e già pieno di vesciche, dovute all’ustione con la zuppa bollente. Ci spalmo su una crema per le ustioni e poi fascio il tutto, mordendomi le guance a sangue per non singhiozzare dal dolore. Mi guardo allo specchio per vedere dove passare altra crema e disinfettare le nuove e vecchie ferite. A volte avrei la tentazione di fare un bagno nell’acqua ossigenata per far prima, peccato non me ne possa permettere tanta. Quando finisco, sembro una mummia con tutte le bende che ho addosso. Ho il corpo martoriato grazie a quel maledetto. Vado a lavarmi il viso, struccando tutta la matita colata con le lacrime e rivelando altri segni, ancora violacei, ricordo dei pugni che mi ha dato cinque giorni fa. Beato il trucco e chi l’ha inventato! Senza i fiumi di matita e fondotinta che uso, tutti noterebbero i segni. Meglio passare per una sgualdrina che rischiare di finire in istituto e perdere Daiki. Stessa utilità hanno calze e dolcevita, coprono i segni altrimenti visibili da tutti. Porto le calze anche in pieno agosto e durante le lezioni di attività fisica. Soffro terribilmente con tutta questa roba addosso, ma che altro posso fare?
Capisco che il mio modo di conciarmi da adito agli insulti, lo noto da sola quanto sono stramba e ridicola, forse anche io mi definirei una sgualdrina vedendomi da fuori e non con gli occhi gonfi di dolore.
Purtroppo il primo difetto dell’essere umano è quello di giudicare dalle apparenze, etichettando la gente senza conoscere il perché dei loro gesti.
Quando esco dal bagno passo dalla camera di mio fratello. Come speravo l’ha chiusa a chiave, come gli raccomando ogni giorno. Sono perfino costretta a dormire con la porta chiusa, visto ciò che è accaduto qualche settimana fa. Quel giorno credevo davvero sarei morta, se non per le percosse per un infarto sicuramente. Fortuna che mi sono difesa o…basta! Non pensarci più Keiko! Ricorda sempre che quel maledetto non era in sé, rimane sempre tuo padre.

Padre…ma posso ancora definirlo tale?

Mi chiudo in camera e mi stendo, solo che le cinghiate fanno malissimo, da qualunque parte mi giri bruciano, per non parlare del braccio che sembra stia andando a fuoco. Pulsa in modo assurdo. Fa più male adesso che prima.
Mi alzo, mettendomi seduta, cercando una posizione in cui sento meno dolore. Fosse facile! Mi volto verso la foto sul comodino e la prendo tra le mani. Ritrae me e la mamma sedute al parco, sotto una distesa immensa di ciliegi in fiore. Sembra che la nonna ci abbia azzeccato chiamandola Sakura.*
“La Via dei Ciliegi” l’ha soprannominato lei quel posto, nel parco Ueno. Conservo ancora il ramo essiccato che le portai prima che morisse, proprio nella stagione dell’Hanami.* Quando lo vide sorrise, felice di rivedere per un’ultima volta quel delicato fiore di così breve durata, esattamente coma la sua vita, finita troppo presto a soli trentacinque anni.
Da allora, quando voglio stare da sola a pensare a lei, mi rifugio proprio nella sua Via dei Ciliegi , restando ore ed ore seduta sulla stessa panchina su cui era solita sedersi lei. Durante tutto il periodo dell’Hanami ricopro la sua tomba di fiori di ciliegio, sperando possa esserne felice.
I miei pensieri vengono interrotti dalla musica proveniente dal piano inferiore, ovviamente è papà che mette a palla le musiche che ascoltava con mamma. Un tempo mi faceva pena, ora provo solo disprezzo per lui. É soltanto un egoista! Anche io e Daiki soffriamo per mamma, ma a lui non è mai importato. Si crede la vittima della situazione, quando le vere vittime siamo io e mio fratello. A molta gente muore il coniuge, ad alcuni anche i figli ,che è peggio, ma non reagiscono così, ubriacandosi e picchiando i figli. Ormai la morte di mamma è una scusa per bere, perché gli piace e ne è dipendente. Non riesco più a provare compassione, ho smesso quando mi ha rotto la gamba a forza di calci e l'ho odiato del tutto quando mi ha rotto anche tre costole l'anno successivo.
No, non provo pietà per lui, è solo un bastardo! Perché non si è ammalato lui, invece di mamma? Perché devo subire tutto questo da colui che dovrebbe amarmi e proteggermi? Come può un padre tentare di strangolare la figlia?
Lo rinnego come padre, è solamente l'uomo che odio di più al mondo!
 
La notte passa lunga ed interminabile, tra lacrime e sospiri. Non ho chiuso occhio. Almeno oggi non farò tardi, vediamone il lato positivo.
Mi preparo come sempre con calze coprenti, foulard e tantissimo trucco.
Ho male ovunque. Le calze mi premono sulle ferite, facendomi bruciare la pelle. Il braccio non lo sento quasi più invece, e non credo sia un buon segno. Ho preferito non cambiare le bende, non me la sono sentita, lo farò quando torno.
Dopo aver accompagnato Daiki all'asilo vado a scuola anch’io. Vediamo cosa si inventa oggi Watanabe per offendermi. In classe stranamente non c’è, magari oggi non viene, speriamo! Visto che fino ad ora di pranzo nessuno mi ha rotto le scatole, decido di pranzare su in terrazzo. Peccato che appena varcata la soglia ho una brutta sorpresa: Watanabe è qui che dorme come se nulla fosse, ma vedi te, salta le lezioni per dormire! Eh sì che ha buoni voti anche. Se volessi potrei dargli una botta in testa in questo momento, se la meriterebbe. Per sua fortuna però, odio la violenza. Credo sia anche comprensibile.
Decido di andarmene silenziosamente per non farmi sentire, purtroppo però, il destino mi è sempre avverso e dietro di me ritrovo due ragazzi, amici di quell’idiota, che mi sbarrano il passaggio.
-Guarda chi abbiamo qui! Sei venuta per disturbare Hiro, non è così?- dice uno di loro ad alta voce, così che l’interpellato si svegli.
-Ero venuta qui per mangiare tranquilla, ho visto lui e ho girato i tacchi. Non voglio disturbare nessuno. Fatemi passare.- chiedo, cercando di farmi largo tra di loro.
-Eh no mia cara ! Ora che sei qui rimani a farci compagnia!- esclama il mio incubo scolastico.
-Avrei di meglio da fare che farvi compagnia, Watanabe.- rispondo stanca.
-Tipo?- chiede lui.
-Tipo… gli affari miei! Spostatevi!- dico ai due imbecilli, fermi davanti la porta del terrazzo.
-Immagino cosa devi fare…- afferma sicuro, con quel suo solito ghigno spocchioso.
-Non è difficile intuirlo avendo il pranzo tra le mani.- sostengo, scuotendo la testa.
Che imbecille!
-Questo è ciò che vuoi far credere tu. Lo so cosa nascondi sotto quei vestiti…- ripete, avvicinandomisi pericolosamente.
-Non…non so a cosa ti riferisci…- dico preoccupata.
Come può aver capito tutto? Non si vede assolutamente nulla. Certo, compio dei movimenti come se fossi un bradipo agonizzante, ma non credo che da questo si intuisca che vengo picchiata. Oh mamma, proteggimi tu!
-Invece lo sai! L’ho scoperto perché ti vesti in modo così ridicolo anche se fuori ci sono trenta gradi e perché usi tutto questo trucco. Confessa…sei una cazzo di emo! Ti copri le braccia per non far vedere i tagli!- dichiara soddisfatto.
Eh? Mi ha scambiato per una emo? Davvero? Do quest’impressione? Beh, il trucco dark ci sta, in effetti. Mi viene quasi da ridere però. Sia per la grossa cazzata sparata sia per il sollievo di non essere stata scoperta.
-Allora? Non rispondi? Sei così sconvolta da non avere parole?- incalza, aspettando forse che scoppi in lacrime?
-Devo deluderti mi sa, il tuo intuito da profiler ha fatto cilecca. Ti conviene cambiare lavoro.- rispondo, trattenendo le risate.
Mi rivolge uno sguardo omicida. Devo averlo fatto infuriare parecchio mi sa. Forse era meglio se stavo zitta! Lo vedo estrarre un coltellino dalla tasca, mentre gli altri due dietro di me mi afferrano per tenermi ferma.
-Ehi aspetta, che intenzioni hai?- chiedo spaventata, provando a divincolarmi.
-Ti consiglio di stare ferma se non vuoi farti davvero male.- minaccia, avvicinandosi al mio braccio sinistro col coltello.
-No! Lasciatemi! Aiuto! Aiutooo!- inizio a strillare, però mi tappano subito la bocca.
Chiudo gli occhi terrorizzata, non voglio vedere cosa sta per farmi. Aspetto solo di sentire anche questo nuovo dolore, che però non arriva. Sento solo il lacerarsi della manica della divisa.
Riapro gli occhi, osservando la camicia strappata fino alla spalla…ma che…
-Tzè! In questo braccio non c’è nulla. Vediamo l’altro!- ghigna, portando il coltello verso il polsino della manica destra.
No! Qui c’è la fascia che copre l’ustione! Se toglie la benda la vedrà!
-No! Ti prego fermati!- provo a supplicarlo, inutilmente visto che anche la manica destra fa la fine dell’altra.
-Oh oh…una fascia! Scommetto ci sono i tagli sotto!- afferma convinto, tagliando anche quella, ma la benda si è quasi del tutto attaccata alla mia pelle, quindi inizia a tirarla via, provocandomi un dolore inimmaginabile.
-Lasciami! Ti supplico, basta!!!- piango disperata, mentre chiazze di sangue appaiono dalla pelle lacerata.
-Ma che cazzo…che hai combinato?- chiede incredulo, osservando la benda tra le sue mani.
-Ti prego…ti prego…- singhiozzo solamente, sentendo come se il braccio stesse per staccarsi. Il dolore è talmente forte che le gambe mi cedono, ma i due che mi tenevano ferma mi reggono prontamente. Mi sento svenire. Aiuto!
-Che facciamo Hiro?- gli chiede uno di loro.
-Io…non lo so…-
-Portiamola in infermeria.- suggerisce l’altro.
Infermeria? Dottore? Medicazione…quindi via i vestiti!
-NO! No, in infermeria no! Sto benissimo! Lasciatemi andare, vi prego!- li supplico, ritrovando la forza nella disperazione.
-Tu devi essere completamente pazza! Come puoi dire di stare bene? Tra un po’ ti si vedono i muscoli da quanto sono profonde le ferite. Che accidenti hai combinato per ridurti così?-
-Mi sono solo bruciata con del brodo, nulla di che, passerà.- gli spiego, provando a fermare le lacrime mentre i due ragazzi mi liberano dalla loro stretta.
-Nulla di che? Hai un’ustione di secondo o terzo grado e per te è nulla?-
-Senti, sono affari miei se ho un’ustione anche da quinto grado! Ho detto che sto bene. Voglio solo che mi lasci in pace. E’ così difficile da capire Watanabe?-
-Non esiste un’ustione da quinto grado, si fermano al quarto. Comunque ok, fai quel cazzo che ti pare, sapessi che m’importa! Andiamocene ragazzi.- dice agli altri, lasciandomi finalmente sola.
Per stavolta l’ho scampata dall’essere scoperta, ma devo disinfettare subito le ferite o sarò nei guai, guai davvero seri. Non è la prima volta che mi ritrovo a curare delle ustioni, ma non sono mai state così estese. Accidenti!
Aspetto sul terrazzo che suoni la campanella che segna la fine della pausa pranzo, nel frattempo cerco di calmare il battito furioso del mio cuore. Il dolore è terribile. Mi assicuro che non ci sia più nessuno nei corridoi e mi fiondo al mio armadietto dove tengo delle bende e una casacca di riserva. Quell’imbecille me l’ha rovinata, come farò adesso a fare cambio quando quest’altra si sporcherà? Dovrò richiederne un’altra. Quanto ti odio Watanabe! Tu sia dannato, insieme quel maledetto di mio padre! Sembra che il genere maschile ce l’abbia con me, anche se non ne capisco il motivo!
Rifasciato il braccio metto la divisa ed esco dal bagno. Inutile ritornare in classe adesso, tanto vale che me ne vada fingendo un malore. Dopo aver ottenuto il permesso dal preside esco, decidendo di andarmene nel mio posto preferito. Non voglio tornare a casa.
 
Non siamo nella stagione della fioritura dei ciliegi, però mi piace ugualmente starmene seduta qui, sotto questi imponenti alberi che sembrano guardarmi e, in un qualche modo, proteggermi. Certo non mi proteggono da pugni e calci, ma dall’impazzire per davvero sì. Mi tengono coi piedi per terra. Questo luogo è l’unico sottile filo con mia madre, l’unico filo di lucidità che mi tiene ancorata in questo mondo.
Alzo la testa per guardare tra le fronde degli alberi, mosse dal leggero vento autunnale.
-Mamma...- la chiamo, sperando mi senta  -mamma ti prego, aiutami, o non arriverò viva ai vent’anni*. Ti prego, proteggimi da quel mostro ancora per un po’. Dammi la forza di resistere.- le chiedo nuovamente in lacrime, unendo le mani in una piccola preghiera.

Persa in quella dolorosa richiesta d’aiuto, non mi accorgo di qualcuno che mi osserva, nascosto fra i cespugli. Qualcuno che un giorno potrebbe salvarmi da tutto questo…mandato da me come in risposta alle mie implorazioni.
 







 
Note: (vi prego leggetele ^_^)
*In Giappone la maggiore età si consegue a venti anni. In questa storia ho lasciato questo particolare, rimanendo fedele alle leggi giapponesi.
*Il nome Sakura significa fiore di ciliegio. I sakura sono anche gli alberi di ciliegio.
*L’Hanami è una festa tradizionale giapponese, che consiste nell’osservare la fioritura degli alberi di sakura, nel periodo che va da inizio aprile fino a metà di maggio. I giapponesi, di giorno, usano fare dei picnic proprio sotto questi bellissimi alberi la cui tonalità varia dal bianco al vermiglio, dipende dalle varietà di sakura. Vi è anche la versione notturna di festeggiamenti, quella prende il nome di Yozakura. Quelli della mia foto sono sakura rosa intenso, di una varietà nata da alcuni incroci, quindi non da frutti. Se non conoscete questa usanza eccovi alcune foto ^_^
Hanami di giorno  ->  QUI
Yozakura di notte  ->  QUI
Parco in piena fioritura QUI
 
Salve ^_^ sì sono sempre quella che scrive con ambientazioni giapponesi XD in attesa di pubblicare anche qui Odio il giapponese antico, vi propongo questa storia dai temi abbastanza attuali e delicati, decisamente diversa da quella sopracitata, ma vi informo che non tratterò in modo troppo approfondito gli argomenti che leggerete.
La storia nasce dalla foto di quei ciliegi che vedete in copertina ^^ da lì ho costruito tutta la storia in base a ciò che ci vedevo (sì se state pensando che mi manca qualche rotella avete ragione XD ormai è risaputo questo)
Per chi mi segue di la, non temete, sono a lavoro ^_^ abbiate pazienza e arriveranno tutti gli aggiornamenti. Pubblicare questa versione non richiede tanto sforzo oltre una veloce correzione di errori e di nomi.
Detto questo vi saluto e spero che questa storia possa piacere anche qui ^_^
   
 
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