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Autore: Ferula_91    10/12/2008    6 recensioni
Saaaaalve!!! Eccomi pronta con una nuova ficcy...Un'idea che mi è arrivata improvvisa l'altra mattina...Naturalmente i personaggi principali saranno Sakura e Sasuke, ma qui li vedrete un po’ diversi… Non la solita Sakura che sbava dietro al bel moro tenebroso, ma una Sakura e un Sasuke… MIGLIORI AMICI!!!!!Se vi ho almeno un po' incuriositi, non mi resta che dirvi leggete la storia e magari commentate, che non fa mai male a nessuno! Baci8 da Ferula_91
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Da quando Sakura se n’era andata, Gaara era rimasto rinchiuso in camera sua, immerso in troppi, illogici, logoranti pensieri… Disteso sul letto, gli occhi vitrei che apparentemente fissavano il soffitto bianco e smorto, si trovava oramai in un mondo lontano da quello pieno di problemi e nient’altro che tristezza.

Vattene via... Nessuno ti vuole mostro!

Sbatté le palpebre per quella frase così improvvisa uscita fuori dal profondo della sua memoria. Il ricordo di un'infanzia travagliata, passata troppo lentamente e con troppa sofferenza.

- Zio perchè tutti i bambini non vogliono giocare con me?

- Gaara non dire sciocchezze: sono solo molto timidi e tu non hai provato abbastanza ad avvicinarti a loro.

Ma lui non capiva, non voleva capirlo!

 

Un bambino dai ribelli capelli rosso acceso si avvicinò al gruppo di coetanei intenti a costruire un castello di sabbia.

- Posso giocare anche io? -domandò osservando con infantile e cupida meraviglia la costruzione appena iniziata, assaporando già il fremito delle mani affondate nella sabbia soffice.

- No non ti vogliamo! -rispose un bambino frapponendosi tra lui e il castello.

- Perchè?

- Tu sei un mostro, come tuo papà! -gli gridò severo spingendolo e facendolo cadere a terra.

Gaara rimase a terra immobile, cercando di reprimere le lacrime e auto-convincendosi che niente di quello appena udito era vero.

- Mostro, mostro, mostro! -iniziarono a cantilenare i bambini puntando gli indici sporchi di terra contro il rosso, il quale accecato da un'istintuale rabbia si scagliò contro quelli scatenandone una zuffa.

Suo padre era un assassino, colui che aveva causato la morte della madre e poi si era tolto la vita -preso da chissà quale inutile senso di colpa oramai troppo tardi-, risparmiando per un inspiegabile motivo la vita del figlio.

La televisioni e i giornali lo avevano etichettato come un uomo violento, spietato perfino col figlio -che non esitava a picchiare senza motivo- un alcolizzato e uno spacciatore che già aveva ucciso. Ma niente di quello detto era vero! Gaara ricordava suo padre come un uomo buono, gentile e premuroso… Continuando però a sentire quelle notizie, assieme a tutti i pettegolezzi detti alle spalle del bambino, si era convinto che l’immagine che aveva lui del padre era sbagliata, che invece quella presentata da tutti fosse l’unica vera…

Da quel momento la vita di Gaara era stata stravolta, come quando si volta una pagina bianca e dietro non si trova altro che il nulla. In quel nulla però Gaara trovò un piccolo sbaffo nero, suo zio -fratello della madre-, che si accollò la cura del bambino.

- GAARA! Ma che hai combinato? -chiese allarmato lo zio vedendo apparire il nipote sullo stipite della porta pieno di graffi e sporco di sabbia fino alla punta dei capelli.

- Sono stati gli altri bambini... -spiegò mentre l'altro lo puliva- Dicevano cose cattive sul papà e su me...

L'uomo si fermò alzandosi improvvisamente- Ti ho detto mille volte di non dire bugie, Gaara.

Il ragazzino lo fissò confuso- Ma ho detto la verità! Continuavano a chiamarmi "Mostro"!

L'altro lo schiaffeggiò zittendolo- Non dire stupidaggini! Domani andremo dai genitori dei bambini che hai picchiato e gli chiederemo scusa.

- Ma... -cercò di dibattere.

- ... e gli chiederemo scusa! -puntualizzò severo nell'ultimo punto con un tono che non ammetteva repliche.

Il bambino non potè far altro che abbassare lo sguardo annuendo.

Non gli credeva, non aveva mai avuto fiducia in lui, vedendolo come il frutto di un amore depravato fra la sorella e un uomo troppo preso dalla sua vita per avere un briciolo d'umanità. Non riusciva ad amarlo, si ripeteva disperato Gaara ogni giorno, e anche se cercava in tutti i modi di renderlo fiero di lui portando a casa ottimi voti e dando una mano dove poteva, lo zio trovava sempre una pecca in tutte le azioni compiute.

Ma non demordeva, convinto in un piccolo angolo del suo cuore che continuando a tentare avrebbe strappato un tanto agognato "Sono fiero di te Gaara". Però passavano gli anni, i meriti si accavallavano uno sopra l'altro ma di quella fatidica frase neanche l'ombra.

Fu il primo giorno delle medie che quel foglio bianco voltato anni addietro si concluse richiedendone uno nuovo.

Le presentazioni di fronte a tutti i nuovi compagni erano sempre un qualcosa di imbarazzante e causa di forte angoscia per i più timidi; nell’aula aleggiava un'aria pesante che si poteva tagliare col coltello tanto era spessa. A turno ogni studente si alzava in piedi pronunciando nome e cognome e dando una dritta delle proprie informazioni personali.

Gaara stava guardando distrattamente fuor di finestra quando sentì pronunciare il suo nome: si alzò grattandosi dietro la nuca iniziando a descriversi come se stesse recitando una nenia, col suo solito tono piatto e basso. Fu per questo che riuscì a sentire alcuni sussurri alle sue spalle.

- Ma si ti dico che è lui... -bisbigliò un ragazzo al compagno, parandosi la bocca con una mano.

- Quel no Sabaku? Il figlio di quello che ha ucciso la moglie e si è ammazzato? -lanciò una fugace occhiata al rosso.

- Si... Certo che devono avere un bel coraggio a permettere a un soggetto del genere di frequentare questa scuola: sicuramente sarà uguale al padre...

Gaara non potè tollerare oltre di quel discorso già di per sè deprimente: essere equiparato al padre era per lui la massima delle offese. Si voltò con una calma agghiacciante verso il ragazzo che lo guardò tra il confuso e il terrorizzato.

Con un rapido gesto lo prese per il colletto alzandolo per un paio di centimetri da terra e portandoselo vicino al volto, mentre i suoi occhi vuoti lo spaventavano ancor di più. Quell'altro in risposta si muoveva cercando di liberarsi come un pesce fuor d'acqua, supplicando di lasciarlo andare.

Compiendo un movimento meccanico portò il pugno destro indietro, pronto a colpire il compagno, quando l'immagine dello zio gli attraversò la mente bloccandolo: non poteva deluderlo adesso!

Immerso in un sbigottimento generale riportò il ragazzo a terra che tossicchiò allentandosi il colletto.

- L'ho detto io... -disse tra un colpo di tosse e l'altro- Sei come tuo padre: un mostro!

"Mostro" fu l'ultima parola che riuscì a dire prima di essere scaraventato indietro tra i banchi, colpito al volto dal pugno lasciato in sospeso.

Furioso si scagliò contro quello come anni addietro aveva fatto coi compagni di asilo, rifilando al malcapitato sotto di lui una serie di cazzotti e graffi mentre il professore tentava senza risultato di fermare la rissa.

 

Dopo essere ritornato in sè, e sicuramente aver rotto il setto nasale allo sventurato compagno, Gaara era corso fuori di scuola vagando tra le strette e nascoste viuzze di Tokyo, come se qualcuno lo stesse pedinando. Si voltò anche varie volte per accertarsi che quel pensiero non fosse reale e non si stupì nel constatare che nessuno lo seguiva. Si ritrovò senza un perchè preciso alla stazione, pullulante di pendolari e turisti che la facevano assomigliare ad un enorme e sofisticato formicaio.

Dal tabellone nero appeso all'enorme muro guardò il primo treno in partenza e senza tanti rigirii di idee ne comprò il biglietto fiondandocisi dentro.

Si sedette al primo posto accanto al finestrino libero, accompagnato da un sospiro di sollievo, e buttò lo zaino nero in malo modo nel sedile accanto.

Poggiò i gomiti sul tavolino appeso alla parete, portando la sua attenzione così all'esterno sicuramente più entusiasmante dell'aria smorta e cupa che si respirava lì dentro assieme ad un insolito quanto nauseabondo puzzo di calzini sporchi.

Si guardò intorno indifferente e le uniche persone "normali" furono una vecchietta decrepita che accarezzava il suo cane, o almeno, un ammasso di riccioli bianchi cotonati con una coda a ponpon che scodinzolava; poco più indietro di lei un gruppo di tre ragazzi scherzava sventolando bottiglie di birra e cantando allegramente canzoni sbiascicate e rotte da risate. Furono proprio quei ragazzi a cogliere la sua attenzione, e senza rendersene conto si era già spostato sedendosi in uno dei sedili opposti ai loro, lanciando ogni tanto occhiate interessanti.

Fu soprattutto uno di quelli, un biondino con un ciuffo che copriva l’occhio e una coda da cavallo “chilometrica”, che lo colpì maggiormente. Questo, accortosi dello sguardo continuo del rosso, sorrise facendogli cenno di avvicinarsi indicando il posto libero.

Quasi scocciato, ma col cuore che batteva a mille, si sedette fissando gli altri due che si scolavano noncuranti le loro bevande: il primo era un ragazzo sulla ventina, dai corti capelli grigi mandati tutti indietro da una marea di gel; il secondo aveva uno sguardo imperturbabile, severo e austero al tempo stesso, con i capelli arancioni sparati a destra e a manca.

- Come ti chiami? -domandò il biondo porgendogli una birra che il rosso accettò ben volentieri.

- Gaara…

- Gaara… -guardò per un attimo lo zaino- Hai fatto forca eh?

Gaara storse il labbro ricordandosi l’episodio di qualche ora fa e alzò le spalle tirando giù un altro sorso avido.

- Tsè… Mi piaci sai?

Il rosso strizzò le palpebre fino a farle diventare due fessure- La tua non è un’avance vero? Comunque come ti chiami?

Il biondo rise di gusto avvicinandosi e dandogli una pacca sulla spalla, porgendo poi la mano destra- Piacere Deidara.

 

La sua vita era finalmente cambiata: si era liberato di quel pietoso velo di falsa perfezione, ora era libero!

Aveva cominciato a frequentare Deidara e il resto della banda e con loro aveva scoperto un mondo totalmente nuovo e affascinante dal quale uscirne fuori era praticamente impossibile.

Di suo zio non gliene fregava più nulla: aveva smesso oramai di spaccarsi la schiena per un tipo del genere. Adesso poteva vivere, che andasse pure al diavolo!

A scuola già da qualche mese ci andava sporadiche volte, il resto delle giornate le passava a casa di Deidara -che viveva da solo- in cui si riunivano gli altri, e lì fra alcol e chiacchierate, tra le quali non mancavano qualche azzuffate, passava le ore sempre troppo veloci.

Aveva capito fin da subito che il capo era Deidara, anche se a primo acchito non dava l’impressione di essere un buon leader, vista la sua aria di bonismo e i suoi modi tutt’altro che autoritari. Ma un giorno Hidan, quello che aveva i capelli perennemente impiastricciati di gel, gli raccontò che se voleva Deidara poteva diventare un vero e proprio demonio con chiunque gli si mettesse contro. Vista la severità con cui pronunciò quella frase Gaara non si stupì di essersi subito impresso quel concetto.

Ma anche il nuovo foglio, appena iniziato, giunge ad una fine -inaspettata o meno.

La sua vita sembrava così perfetta, nella sua limitatezza, fino a che non conobbe Sakura. Fu lei a voltare la pagina riempita di scritte in ogni angolo libero.

Aveva già sentito parlare di lei, o meglio, di una certa ragazza di cui si era interessato Deidara, ma non ci aveva mai fatto tanto caso, conoscendo la sua fama di playboy. Eppure quel nome si ripeteva in ogni discussione, come una nenia, facendo crescere in lui la voglia di vedere quella ragazza diventata motivo di chiacchiere intense.

Di punto in bianco poi, in una fredda mattinata di Dicembre, di Sakura Haruno non si seppe più nulla, né una parola a riguardo né un qualche collegamento: era sparita dalla vita della banda così come Deidara era finito misteriosamente -almeno per il rosso- in carcere. Lui e il resto andarono avanti, sapendo che prima o poi Deidara sarebbe uscito: e finalmente, dopo 3 anni, ciò avvenne.

Le parole che disse a Gaara appena si rincontrarono se la ricordava bene...

Deidara si sedette su uno dei divani di casa sua, circondato dal resto della banda, sorseggiando una birra e fumando ogni tanto la sua sigaretta.

- Quella puttanella da strapazzo... -iniziò sorridendo beffardo- Me l'ha fatta davvero grossa; ma se pensa di scamparla, bhè, si sbaglia di grosso...

Quello sguardo così freddo, duro, innaturale, spaventò tutti che risposero con un solenne silenzio. Quegli occhi iniettati di puro odio si posarono su quelli indifferenti di Gaara. Con la testa gli fece cenno di seguirlo nell'altra stanza, alzandosi subito dopo.

Con un veloce cenno della mano gli ordinò di richiudere la porta, non appena questo fu entrato, e si distese sul suo letto.

- Gaara credo che tu sia l'unica persona adatta per il compito che ti sto per affidare... -disse mettendosi a sedere a guardando il rosso che ricambiò lo sguardo.

Deidara gli porse una foto e l'altro la guardò curioso: una ragazza dai lunghi capelli stranamente rosa sorrideva davanti all'obbiettivo mostrando gli occhi brillanti e un sorriso sincero. La foto non era sgualcita, ma fra alcune pieghe appena percepibili si poteva capire la forte cura con cui quella era stata tenuta.

- Trovala, fai in modo di portartela a letto e scaricala... Falla soffrire! -urlò battendo un pugno sul materasso, in un improvviso e incontrollato eccesso d‘ira.

- Come lei ha fatto soffrire me... -sussurrò a voce talmente bassa che Gaara ne sentì a malapena il suono, quanto bastava però per capirne il senso.

Non disse nulla, si limitò a far cenno col capo e uscì.

  
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