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Autore: Thiliol    04/03/2015    1 recensioni
Galmoth non ha più nulla, nè onore, nè titolo, nè ricchezze, nulla se non la sua piccola nave da contrabbandiere e Laer, la figlia del suo migliore amico morto anni prima. Laer è giovane e ha la testardaggine di una ragazzina, ma non ha mai smesso di sognare i sogni di quando era bambina.
E poi c'è Silevril, il figlio di un amore morboso che vorrebbe solo andare per mare e che invece sconvolgerà le vite di entrambi.
Galmoth osservò con sguardo inquisitore l'elfo che gli stava di fronte:era nato e cresciuto a Dol Amroth e lì non era raro imbattersi nei Priminati e conoscerne anche qualcuno, ma quel Silevril aveva qualcosa di diverso, come un fuoco latente in lui. Non era come i Silvani che sempre più spesso salpavano da lì, diretti alle loro terre al di là del mare, riusciva a percepirlo chiaramente: riconosceva un elfo di alto lignaggio, quando lo vedeva.
< Dici che vuoi metterti al mio servizio? >
< Desidero solo il mare e la compagnia degli uomini, inoltre, la tua nave è meravigliosa. >
Galmoth rise, strofinandosi il mento sporco di barba non rasata.
< Sei un elfo ben strano, Silevril. >
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Finrod Felagund, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Narn o Alatariel ar Aeglos'
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I don't feel right when you're gone away



Il dolore fitto e lancinante gli attraversò il braccio e gli arrivò dritto al cervello, esplodendo in lampi di luce accecante che gli offuscarono la vista. Probabilmente gridò, ma non ne era sicuro.

Aprì gli occhi, ma attorno a lui non c'era niente se non eternità, bianca come un vuoto infinito in cui non esisteva più lo spazio.

Silevril aveva la sensazione che il suo corpo non fosse davvero in quel luogo, nonostante riuscisse a vedere con chiarezza le gambe, le mani e tutto il resto.

Percepiva se stesso come non era mai accaduto, come se lo fosse per la prima volta e completamente.

Di fronte a lui comparve una donna. Semplicemente era lì, ma fino a un istante prima era sicuro di essere solo... anche se in realtà la sua convinzione vacillava.

I capelli bruni della donna si spandevano in ogni direzione, sembravano non avere una fine, e man mano divenivano indistinti, evanescenti, come acqua.

La donna gli sorrise e tese una mano verso di lui in un gesto di invito, ma dai suoi occhi sgorgavano lacrime argentee che brillavano di una luce soffusa, come se fossero fatte di cristallo.

< Vieni, Silevril, > lo chiamò, ma la sua bocca non si mosse. < Vieni da me >.

Era bella e triste, irresistibile come un sogno, ma stranamente reale. Le andò incontro e le prese la mano che lei aveva teso; la sensazione di calore che emanava era reale e contrastava con tutto il resto.

< Chi sei? > le chiese.

< Non lo sai? > la sua voce era rotta di pianto, straziante.

< Sento di conoscerti da sempre > e nel momento esatto in cui lo disse, si accorse che era vero, che quella donna era dentro di lui, in qualche modo.

< Custodiscimi nel tuo cuore, Silevril, le mie lacrime ti accompagneranno. >

La donna iniziò a svanire, allontanandosi da lui come portata via dalla corrente, i capelli che si spandevano intorno come avvolgendolo.

< Aspetta! > gridò, tentando di afferrarla, < Dimmi chi sei! >

< Sono la Signora di ogni Mare > disse, scomparendo, < custodisci il mio cuore nelle tue mani. >

Silevril si lanciò verso l'ultima immagine di lei, ma invano. Non ne rimaneva che un vago sentore, come di brezza sulla battigia.

< Uinen > sussurrò, ma lei era andata via.




Era accaduto tutto talmente velocemente che non era riuscito nemmeno a prendere fiato. La fanciulla si era liquefatta proprio davanti ai suoi occhi stupefatti non appena l'elfo aveva afferrato il gioiello dal suo collo. Lui si era gettato in avanti, ma il grido dell'elfo lo aveva bloccato e aveva fatto appena in tempo ad afferrarlo mentre cadeva come fulminato.

Lo aveva chiamato per nome, in preda a un cieco terrore, ma Silevril giaceva immobile e come morto senza apparente motivo, con gli occhi semichiusi e vacui.

Aveva provato a scuoterlo, ma non aveva ottenuto alcuna reazione.

Nessun battito, nessun alito di vita, nulla che facesse pensare che l'elfo fosse ancora vivo.

Galmoth aveva sperimentato un senso di smarrimento totalmente nuovo, una sensazione che lo avveva gettato nel panico.

< Non pui morire, stupido elfo, > aveva gridato, < non così, dannazione! >

E poi, dopo un tempo che gli parve innaturalmente lungo, Silevril aprì gli occhi e inspirò violentemente, per poi iniziare a tossire, come un annegato.

Galmoth era così sollevato che avrebbe voluto picchiarlo, invece lo strinse in un abbraccio.

< Maledetto elfo! Stupido idiota! Mi hai fatto prendere un colpo! >

Silevril sorrise, gli occhi lucidi per la mancanza di fiato, ma uno scintillio sarcastico sempre presente.

< Non è facile liberarsi di me > disse, tra un colpo di tosse e l'altro.

< Cosa ti è successo? >

L'elfo alzò la collana che aveva in mano e guardò il gioiello: la pietra a forma di goccia splendeva di un azzurro intenso, che cambiava sfumatura a seconda dell'angolazione, come acqua racchiusa in un involucro di vetro scintillante.

Il Tesoro di Ulmo irradiava bellezza e potere nelle mani di Silevril.

< È stato come essere colpiti da un fulmine, un attimo ero qui e il dolore era insopportabile e l'attimo dopo ero... beh, non so esattamente dov'ero, ma lei era lì. >

L'elfo fissava la pietra pensieroso.

Galmoth lo scrutò, come se potesse leggergli la mente, ma non disse nulla, attendendo che lui continuasse.

< Uinen... >

< Di cosa diamine stai parlando? >

< Ha detto “custodisci il mio cuore nelle tue mani”... Galmoth > improvvisamente si voltò a guardarlo, < questa pietra non appartiene a Ulmo, ma a Uinen. >

Silevril lo guardava come se si aspettasse una reazione da lui, ma Galmoth non sapeva come reagire. Quel nome aveva fatto parte di racconti a lungo dimenticati, di leggende della sua infanzia, favole che parlavano di Elfi e Divinità di tempi antichi che nella sua mente non potevano essere reali. Quale uomo aveva mai visto le Potenze dell'Ovest? Cosa poteva saperne lui?

< Ascolta, Silevril, > disse, mentre entrambi si alzavano in piedi, < non è cosa che ci riguardi. Noi portiamo la pietra a Rùth, lei fa quel che deve fare, poi io torno a Dol Amroth con il Tesoro e mi riprendo il favore del Principe. Non mi interessa nient'altro. >

L'elfo sembrava quasi non sentirlo. Osservava la pietra come se quella gli stesse parlando, poi sospirò e se la mise al collo, nascondendola sotto la casacca.

Non appena l'ebbe indossata vacillò, ma quando Galmoth fece un passo verso di lui, lo respinse.

< Sto bene, Capitano, > sorrise, < riesco a percepirne il potere e per un attimo mi ha sopraffatto, ma ora è passato. >

< Dalla a me, se vuoi. >

< No, lei l'ha affidata a me e la terrò io per il momento. >

Uscirono silenziosamente dal palazzo vuoto. Nessuno era accorso, nessuno si era minimamente accorto di nulla e la Città continuava la sua vita come al solito, nonostante gli uomini morti per mano loro.

Galmoth sapeva che non sarebbe passato poi molto prima che qualcuno li trovasse, ma a quel punto chi poteva risalire a loro due?

Gli tornò alla mente Silevril e la dura efficienza con cui aveva ucciso. Sicuramente anche nel caso remoto in cui la loro posizione fosse stata in pericolo, quell'elfo non sarebbe stato una preda facile.

Aveva acquistato ai suoi occhi un'aura di misticismo che un po' lo spaventava e un po' lo affascinava, ma allo stesso tempo riusciva a percepirne chiaramente la giovinezza.

Arrivarono sull'uscio della casa di Rùth e bussarono con circospezione prima tre volte e poi una quarta, per poi entrare velocemente non appena la porta si aprì.

Il valletto che li aveva accolti la volta precedente li condusse in una piccola stanza finemente arredata, dove la luce che passava attraverso le tende semitrasparenti donava al tutto un'atmosfera irreale.

Rùth era lì, vestita con semplicità, interamente di bianco, con i capelli rossi fiammanti lasciati sciolti sulle spalle, di una bellezza assoluta che lo lasciò stordito. Un gatto altrettanto candido faceva le fusa tra le sue braccia, mentre un altro, tutto nero, era seduto ai suoi piedi.

< Non vi aspettavo così presto, > disse e la sua voce squillante fu persino più armoniosa di quanto ricordasse.

Galmoth avrebbe voluto annullare quei metri che li separavano e affondare le mani tra quei capelli, baciare le sue labbra morbide. Voleva prenderla lì, in quella stanza, in quel momento, incurante di tutto, se non dell'incantesimo della sua voce.

< Vi avevo sottovalutato. >

Posò il gatto sul pavimento e si avvicinò a lui, per poi accarezzargli dolcemente una guancia.

< Caro Galmoth. >

Strinse la mascella a quel tocco, tentando invano di dominarsi. Lei sapeva cosa provocavano in lui quei tocchi? Lo tormentava di proposito? Aveva la sensazione che fosse così, ma in un certo senso la cosa lo eccitava maggiormente.

Quando si voltò verso Silevril, Galmoth si accorse di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo in cui lei gli era stata vicino.

< Ah, Silevril, > disse Rùth, andando verso l'elfo, < appena ti ho visto ho capito che eri diverso, ho capito che tu avevi il potere necessario. Chiunque possegga il tesoro di Ulmo può governare i mari, o almeno così dicono, e chi governa il mare, governa Gondor. Ma chi può farlo? >

Si sporse verso l'elfo e lo attirò a sé, baciandolo con delicatezza a fior di labbra.

Galmoth era affascinato dalla propria gelosia, dal desiderio improvviso di ferire l'elfo e fargli più male possibile. Sapeva che non poteva essere reale, osservava le sue sensazioni dall'esterno e non riusciva a distogliere lo sguardo da lui che baciava Rùth.

E poi fu troppo.

Uscì quasi correndo finchè non si ritrovò in strada, rimanendo accecato dalla luce del sole e dalla gente che viveva la propria vita ignara di tutto.

L'incantesimo era passato e in lui rimaneva solo un vago senso di delusione.




Solo con lei, in una stanza che sembrava uscita da un antico racconto, Silevril non riusciva a pensare lucidamente, troppo preso dal desiderio che Rùth accendeva dentro di lui.

Riusciva a sentire il Tesoro di Ulmo contro il suo petto, freddo e pulsante, una pietra che sembrava quasi viva. Il cuore di Uinen... cosa poteva significare?

Sapeva che Rùth gli avrebbe chiesto la gemma, in fondo erano quelli i patti ed era giusto, prima a lei, prima per fare qualsiasi cosa quella fazione doveva fare e poi a Galmoth, per riprendersi il suo onore. Lo sapeva, ma non voleva separarsi da quel gioiello che teneva ora contro di sé.

< Lo so, mio adorato, che vorresti fuggire via con il Tesoro di Ulmo, > disse Rùth, la sua voce soave come sempre.

< Non ne capisco il motivo > ammise ad alta voce, suo malgrado, < non mi interessa di quanto accade a Gondor. >

< Ah, Silevril, mio caro, > Rùth gli si avvicinò maggiormente e gli accarezzò i capelli, < sappiamo entrambi che non è quello il problema, vero? Colei che spande il suo volere sulle onde ti ha parlato e tu non riesci a non pensare a lei. Lo capisco. >

Lo baciò delicatamente su una guancia, lasciandogli una traccia che sembrava rovente.

< Ma non è che un'illusione. Dobbiamo far presto, perché Felagund è ormai su di noi e presto verrà da me ed io non ho il potere di combattere contro di lui. >

< Come conosci le intenzioni di Finrod Felagund? >

< Conosco molte cose in questa Città. >

Lo sguardo di Rùth si fissò nel suo, intrappolandolo.

Un gatto gli passò tra le gambe, strusciandosi su di lui, sbattendo la testa contro il suo polpaccio.

La sensazione del pelo morbido dell'animale lo fece rabbrividire e dovette deglutire a vuoto.

Rùth era così vicina che poteva vedere le venature delle sue iridi verde chiaro.

< Non permetterò a Felagund di farti del male, > le disse.

Tutta la fascinazione che aveva provato nei confronti dell'elfo sembrava svanita, un ricordo lontano, quasi un sogno dimenticato. Era consapevole che per un breve, intenso, istante lo aveva amato, aveva desiderato la sua compagnia, ma era come se quei sentimenti fossero di qualcun altro.

Il Tesoro di Ulmo pulsò più forte contro il palmo della sua mano quando se lo tolse dal collo e lo mise a quello di Rùth.

Lei lo accarezzò con le dita, ma non distolse lo sguardo da lui.

Silevril annullò completamente la distanza che lo separava da lei e la baciò.

Ogni cosa era come l'aveva sognata, la bocca di Rùth morbida contro la sua, i suoi riccioli di fuoco, la pelle serica del collo, i suoi seni che premevano contro di lui.

La voleva, come non aveva mai voluto nient'altro. Le aprì la bocca e le accarezzò la lingua con la lingua, cercando in ogni modo di impossessarsi di lei, della sua essenza, di ciò che era.

Eppure sapeva, dentro di lui, che in realtà era lei a possederlo, a trarre da lui forza, e più la baciava, più il suo desiderio cresceva e resisterle diventava impossibile.

C'era solo Rùth e lei prendeva da lui ogni cosa.

Ma non gli importava.




Si sentivano solo i gabbiani e il mormorio dell'acqua contro la chiglia, tutto il resto era silenzio e pace, rotto dal suono secco di vetri infranti.

Il vino che stava bevendo macchiò il ponte, ma a lui non importava altro che di sorreggerla.

Non capiva cosa era accaduto, ma i morsi del panico gli strinsero spiacevolmente lo stomaco.

Lei era pallida e tremante, gli occhi sbarrati, il viso impassibile come sempre, ma a lui non era nescessario leggerla, la conosceva troppo bene e da troppo tempo per farsi ingannare dalle apparenze.

Raramente un tale sconvolgimento aveva attraversato quello spirto inquieto.

< Che succede? > le chiese, ansioso.

Lei si voltò a guardarlo, scossa e impaurita.

< Qualcosa dentro di me si è spezzato. >

Aeglos guardò Alatariel negli occhi, chiedendole silenziosamente di non dire quello che stava per dire, ma erano speranze vane.

< Lui è andato via, > esalò, la voce rotta dal pianto, < il mio legame con Silevril si è spezzato. >












Non riesco a crederci nemmeno io, eppure eccomi qui con il nuovo capitolo dopo poco più di due settimane. Comunque, so di aver provocato stravolgimenti psichici e morti ormonali con la comparsa a sorpresa di Aeglos, ma oh, donne, non potevo avvertirvi prima. Spero che stiate tutte bene. Il titolo di questo capitolo è un verso di “Broken” di Seether, che è anche un richiamo a 'Saesa omentien lle' in cui era Aeglos a cantare questa canzone in uno dei suoi tipici momenti emo depressivi. Qui l'autoreferenzialismo si da via come il pane.


Ora, sapete che sono solita salutarvi alla maniera vulcaniana, perciò permettetemi di dedicare il capitolo al grandissimo Leonard Nimoy, un uomo che per me è stato molto più che semplicemente Spock, più di un attore che amavo, ma un vero esempio di umanità, un amico, anche se lui non sapeva nemmeno che esistessi. Grazie, Leonard, non ti dimenticherò mai.

Lunga vita e prosperità.

   
 
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