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Autore: Shiren    11/12/2008    0 recensioni
“Bastò un momento per capire che in tutta la mia vita mi ero sbagliata. Non so cosa me lo fece pensare, non so se furono i suoi occhi a farmelo capire, o semplicemente il modo in cui mi guardava; ma capii che non ero più sola. Che c’era davvero qualcuno – solo lui sulla faccia della terra, ne ero certa – che poteva comprendermi.” (Storia scritta grazie all’ispirazione di Twilight- Stephenie Meyer, lo specifico nel caso qualcuno trovasse similitudini. Tuttavia ho messo la storia in Originali perché personaggi, luoghi ecc., del libro non coincidono né compaiono.)
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SECONDO CAPITOLO

LORO ESISTONO


Il giorno dopo tornai a scuola, preparandomi per la lezione che meno amavo: matematica. Entrai in classe con le guance arrossate per il freddo, nonostante fossi coperta il più possibile e la temperatura non fosse delle peggiori. Tuttavia ero estremamente freddolosa e preferivo coprirmi quanto possibile piuttosto che provare un brividino di freddo.
L’insegnante era un uomo di media statura, un po’ in carne e con occhiali piuttosto spessi che si posavano sul naso a patata. I capelli brizzolati gli coprivano la testa in parte, dato che aveva solo qualche ciuffo sopra le orecchie e sulla nuca.
Mi fece accomodare in uno dei banchi vuoti a metà dell’aula e io mi sedetti vicino ad un ragazzo dall’aria stranamente familiare…strano perché ero nuova di quel posto e – a meno che qualcuno della mia vecchia scuola si fosse trasferito guarda caso nella mia stessa città – non avrei dovuto trovare nessuna faccia “familiare”.
Decisi sul momento di non pensarci, poteva essere semplicemente un’impressione sbagliata, tuttavia mi ritrovai a gettargli occhiate furtive per il resto della lezione che come al solito trovavo noiosa, oltre che snervante.
Fu un sollievo quando suonò la campana e mi alzai raccogliendo la mia roba per andare alla lezione di storia, ma quando uscii dall’aula vidi il mio “compagno di banco” raggiungere altri tre ragazzi e allora capii. Erano i Chadwick. Quelli che la ragazzina del giorno prima mi aveva detto di evitare. Ma perché poi?
Ero confusa. Parecchio confusa. In fondo a guardarli – e lo feci circospetta – sembravano ragazzi normali, tutti piuttosto alti, in forma, uno sembrava più giovane…insomma, fratelli uniti, il che era una buona cosa…se non fosse stato per il fatto che tutti sembravano evitarli. Ma non semplicemente non parlandogli o guardandoli con occhi di rimprovero. No, non li guardavano proprio, era come se non esistessero.
Decisamente senza parole raggiunsi l’aula di storia e per le ore successive presi appunti distrattamente, perdendomi fra una data e l’altra, fra un discorso e quello successivo, perché continuavo a pensare a quegli strani ragazzi. O meglio, gli strani a me non parevano loro, anzi, erano tutti gli altri ragazzi che mi sembravano poco normali. Sbuffai e raggiunsi la mensa una volta che anche l’ultima lezione prima di pranzo fu terminata.
Stavolta presi qualcosa da mangiare e con il vassoio in mano giravo per i tavoli – sentendomi un imbecille – alla ricerca di un posto libero e mi capitò di passare proprio a qualche metro da loro. Senza volerlo gli rivolsi uno sguardo, come dire, forse un po’ troppo intenso, o comunque curioso e uno di loro, con i capelli corti e scuri, mi strizzò l’occhio. L’altro il più giovane gli diede una gomitata e sul viso gli comparve un’espressione indecifrabile.
Distolsi immediatamente lo sguardo e per fortuna trovai un tavolo quasi vuoto, abbastanza lontano perché non vedessero la mia espressione imbarazzata. Mi sedetti cercando di non disturbare i ragazzi che sedevano un paio di posti più in là e cominciai a mangiare.
Passarono i minuti e mentre mangiavo pensavo li guardavo. Mi vergognavo di me stessa. Stavo spiando degli sconosciuti. Non so perché fossi così attirata da loro, forse perché erano emarginati, forse perché davano quest’idea di unione che mi colpiva. Non lo so, non seppi spiegarmelo. Mentre riflettevo su queste idiozie, una voce mi chiamò e questa voce veniva da qualche posto più in là del mio.
-Ginevra?- ripetè.
Mi voltai e vidi una ragazza dal viso gentile, strano che qualcuno mi stesse simpatico di primo impatto…ero un tipo difficile.
Sorrisi.
-Vuoi venire qui con noi?- osservai gli altri. Erano due ragazze, una con i capelli biondi e la puzza sotto il naso e l’altra con il viso a cuore, le lentiggini e i capelli legati stretti in uno chignon. C’erano anche altri due ragazzi, ma al momento non me ne occupai. Annuii e ringraziai di cuore. Ero sincera, nessuno mi aveva invitato a mangiare insieme. Beh un po’ li capivo…
Scoprii chiacchierando che la ragazza che mi aveva per prima rivolto la parola si chiamava Meredith, quella bionda Hanna e la ragazza con le lentiggini Monica. I due ragazzi si presentarono velocemente, intenti com’erano a parlare di una partita di basket che si sarebbe svolta quel finesettimana. John e David. Durante il pranzo azzardai una domanda a Meredith, mentre Monica e Hanna erano impegnate a ripassare per un compito di inglese.
-Ehm…Meredith…se posso chiederti una cosa…-
-Dimmi pure- mi rispose a quella che non era una domanda ma voleva esserlo.
Io le sorrisi e tentai.
-I…- abbassai la voce -…fratelli Chadwick…cos’hanno di strano? Voglio dire perché tutti li evitano accuratamente?-
Lei fece una smorfia poi mi rispose.
-Non so dirti il motivo esatto per cui la gente li evita. A dire la verità non sembra che loro “soffrano” di questo, anzi, sono loro i primi a non avere contatto con gli altri- si interruppe un attimo per fare un sospiro –Comunque sono un po’ strani. Sempre insieme, appiccicati…insomma fratelli va bene, ma…sembrano una di quelle bande di bulletti, la differenza è che loro non infastidiscono nessuno. Non fanno i bulli. Ma alla gente sembrano un po’ inquietanti, ecco-.
-Mmm- mormorai, non avendo nulla da dire. –Non frequentano tutti lo stesso anno però…almeno così mi è parso di notare-
Mi guardò sospettosa, poi sembrò decidere che la mia era soltanto curiosità per il fatto che fossi nuova.
-Quello con i capelli corti scuri- disse e io pensai “quello che mi fatto l’occhiolino” –si chiama Henry e frequenta il quarto anno insieme ad Adam, quello con il giubbotto beige e i capelli castano chiaro. Mentre il più piccolo è William, si vede frequenta il secondo anno, che è quello di fianco a Henry con i capelli biondi. Infine c’è Arthur – lo riconobbi –che è il ragazzo che ti era seduto accanto stamattina a matematica. Da quel che so io poi…William Chadwick è l’unico vero figlio della signora Chadwick, gli altri dovrebbero essere tutti adottati, bah…- il suo tono era strano, ma non ci feci caso e la ringraziai distrattamente.
Fiera di tutte quelle informazioni e carica di un’adrenalina che non avevo mai provato prima, gettai i rifiuti nella spazzatura e seguii Meredith e gli altri alla lezione successiva.

  
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