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Autore: Shiren    05/12/2008    2 recensioni
“Bastò un momento per capire che in tutta la mia vita mi ero sbagliata. Non so cosa me lo fece pensare, non so se furono i suoi occhi a farmelo capire, o semplicemente il modo in cui mi guardava; ma capii che non ero più sola. Che c’era davvero qualcuno – solo lui sulla faccia della terra, ne ero certa – che poteva comprendermi.” (Storia scritta grazie all’ispirazione di Twilight- Stephenie Meyer, lo specifico nel caso qualcuno trovasse similitudini. Tuttavia ho messo la storia in Originali perché personaggi, luoghi ecc., del libro non coincidono né compaiono.)
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PRIMO CAPITOLO

SALEM



Io sono una ragazza normale. Ok, bugia, sono decisamente strana. I miei compagni di scuola mi guardano strano, gli insegnanti non mi capiscono e i miei genitori, nonostante farebbero per me qualunque cosa, hanno difficoltà nell’inquadrarmi, per loro infatti, qualunque mia risposta a questioni di media o grande importanza li lascia spiazzati, come è capitato ad esempio proprio ieri.
Ero nella mia stanza, seduta sul letto in una posizione non esattamente comoda, a leggere un libro (motivo per il quale non davo segni di scomodità), quando sentii mia madre chiamare il mio nome a gran voce.
-Eh- le urlai di rimando.
-Scendi, dobbiamo dirti una cosa-
Sbuffai e chiusi il libro dopo aver inserito un segnalibro a pagina 58. Andai dai miei genitori che si trovavano in salotto seduti sui divani in pelle nera.
-Siediti Ginny-
-No sto in piedi-. Non mi piacciono queste cose, parla e basta, perché tante scene, tu parli io ascolto e chiuso il discorso.
Si guardarono perplessi, poi mio padre prese la parola.
-Sai che con il mio lavoro…insomma, vi avevo avvisato che sarebbe potuto succedere prima o poi. Dobbiamo trasferirci altrove…andare via da Montrose.-
Annuii. Non potevo essere più felice. Odiavo Montrose per tanti motivi, i ragazzi stupidi, le casette tutte uguali, ma soprattutto la monotonia.
-Bene e dove andiamo?- chiesi come se mi avessero appena chiesto se preferivo il gusto cioccolato o vaniglia.
E ancora una volta mi guardarono perplessi.
-Non ti importa se ce ne andiamo? Non ti importa dei tuoi amici?-
-Io non ho amici mamma- risposi ora con una nota irritata e quasi arrabbiata nella voce. –Facciamola breve. Dove andiamo, quando partiamo, spero il più presto possibile, e a che ora…così mi preparo-
Mio padre mi guardò con intensità, abbasso per un momento lo sguardo poi tornò a fissarmi e mi rispose:
-Andiamo a Salem, nell’Oregon. Partiamo fra due giorni, mattina presto-
-La città papà? Ripeti la città perfavore-
-Salem-
Avevo capito giusto. Salem.
In quei due giorni fui particolarmente felice, il che fece bene anche ai miei genitori che, nel vedermi un po’ più attiva e contenta del solito, sembravano più allegri perfino loro. Preparai tutto, misi nelle valige i miei vestiti, i miei libri, parlai con la preside per il trasferimento…guardavo con disprezzo quella città che mi stava così stretta, che mi faceva essere così infelice. Volevo cambiare aria e finalmente ne ebbi l’occasione.


Sull’aereo principalmente dormii, ma pensai anche alla mia nuova vita, alla nuova città, alle persone. Chissà se avrebbe cambiato la mia vita o se ancora una volta sarei rimasta delusa dopo essermi fatta illusioni inutili.
Arrivammo a Salem, davanti alla nostra nuova casa, con un taxi e aiutai mio padre a portare i bagagli nell’ingresso, mentre mia madre pagava l’autista.
L’abitazione era nella normalità. Aveva un soggiorno abbastanza spazioso, una cucina luminosa e le camere erano abbastanza accoglienti.
L’indomani sarei andata nella nuova scuola quindi mangiammo e andammo a dormire presto per non svegliarci poco riposati. Tuttavia la sveglia del giorno dopo mi infastidì ugualmente e mi preparai con gli occhi chiusi come se stessi ancora dormendo. Salii in macchina e arrivammo davanti a scuola mentre gli studenti abituali attraversavano il cortile della scuola per entrare; io salutai rapidamente papà e mi avviai anch’io attraverso il cortile alberato per poi entrare nell’edificio dipinto di grigio; mentre camminavo alzai lo sguardo e vidi le grigie nuvole cariche di pioggia incombere minacciose, come un mostro che si avvicina alla sua preda.
Scossi la testa per pensare ad altro e, dopo essere passata dalla preside per i nuovi orari scolastici, entrai nell’aula di storia. I banchi erano in file da due e l’insegnante, il professor McGregor, un uomo non molto alto con capelli e barba di un grigio chiaro e occhiali tondi con la montatura dorata, che sembrava provenire da un'altra epoca, mi piazzò in prima fila, da sola. Quando la campanella suonò più tardi per segnalarci l’ora di pranzo, mi avviai con tutti gli altri studenti verso la mensa e fu lì, in fila con il vassoio in mano, che abbi una strana sensazione. Il mio sguardo si posò su quattro ragazzi che s stavano sedendo in quel momento e mi sembrò che il tempo si stesse fermando, camminavano come al rallentatore, sinuosi, eleganti, irreali. Li fissavo senza accorgermene, tuttavia loro non si erano accorti di nulla, mentre, purtroppo, il ragazzo che mi ante cedeva mi diede una spinta.
-Hey! Ti muovi? Non so tu ma io ho fame!- mi riscossi e posando il vassoio senza aver preso nulla, mi spostai dalla fila senza tuttavia togliere lo sguardo da quel gruppo. Fermai una ragazza che ad occhio e croce sembrò più piccola di me e a bassissima voce le chiesi:
-Chi sono quei quattro ragazzi vicino alla finestra? Quelli là in fondo?-
Lei mi guardò perplessa, poi seguì le mie indicazioni e infine assunse un’espressione strana.
-Sono i fratelli Chadwick- rispose con voce flebile.
Annuii senza sapere il perché.
-Stanne alla larga- mi disse alla fine prima di scomparire nella massa degli altri studenti.





Questa è per darvi un'idea dei personaggi come li ho immaginati: ^^ Image Hosted by ImageShack.us
  
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