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Autore: Paperback White    06/03/2015    3 recensioni
"Is there anybody going to listen to my story
All about the girl who came to stay?
She's the kind of girl you want so much it make you sorry
Still you don't regret a single day
Ah girl, girl"
Chi era questa misteriosa ragazza cantata da John, su un testo scritto insieme a Paul? E se fosse stata una presenza importante nella loro vita?
Questa è la storia del più grande gruppo rock degli anni sessanta, osservata attraverso gli occhi di una ragazza ai più sconosciuta, e di cui la cronaca non lascia alcun ricordo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon, Nuovo personaggio, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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4. I PRIMI ANNI: 1951-1954 PART.3
(Penny Lane)

 
Penny Lane is in my ears and in my eyes
A four of fish and finger pies in summer
Meanwhile back

Behind the shelter in the middle of the roundabout
A pretty nurse is selling poppies from a tray
And though she feels as if she's in a play
She is anyway

In Penny Lane the barber shaves another customer
We see the banker sitting waiting for a trim
And then the fireman rushes in
From the pouring rain
Very strange

Penny Lane is in my ears and in my eyes
There beneath the blue suburban skies I sit
And meanwhile back
Penny Lane is in my ears and in my eyes
There beneath the blue suburban skies
Penny Lane
 
Erano i primi di ottobre e come ogni anno il compleanno di John si avvicinava. Purtroppo non avremmo potuto passarlo insieme, ma ormai ci eravamo abituati. Quella data avveniva molto dopo il mio ritorno a Londra, con gli impegni scolastici che mi impossibilitavano di andare da lui; stessa cosa per il mio compleanno, poco prima della fine dell’anno scolastico. Insomma, sembrava che le nostre madri si fossero accordate per collocare le nostre nascite proprio quando non potevamo vederci. Ma questo non ci aveva impedito di poter celebrare a nostro modo quelle ricorrenze, con lettere che venivano spedite per arrivare almeno il giorno dopo la festività, accompagnate da un piccolo regalo. Entrambi imploravamo entità invisibili di proteggere il contenuto di quelle spedizioni, sperando giungesse sano e salvo a destinazione. Erano tutti oggetti piccoli, consoni ovviamente alle nostre finanze, ma sempre attenti ai gusti dell’altro. Una copia di un libro che ci mancava, oppure un nuovo set di matite colorate, insomma cose che ci piacevano e che ci permettevano di dimostrare con quel gesto il nostro affetto.
Quell'anno volevo tentare una cosa diversa e più personale del solito: guardando tra le vetrine dei negozi avevo notato alcune piccole cornici fatte a mano, e trovai l’idea davvero carina. Me ne procurai una molto semplice e con dei colori a tempera creai un qualcosa di nuovo. Guardandola ad anni di distanza la trovo ancora deliziosa, ma di certo non bella. Ma dopotutto l’impegno e il lavoro fatto non riuscivo a non guadare con orgoglio quella mia piccola opera, e sperai che anche a John potesse piacere. Era molto colorata, con vari motivi dipinti da me stessa e in alto i nostri due nomi scritti in nero “John & Freddie”. Ora ci mancava solo che John e Freddie prendessero posto all’interno di quel riquadro. Mi misi a cercare una nostra foto sperando di trovarne una che fosse adatta per l’occasione, ma non vi era una vasta scelta. Trovai solo quattro o cinque foto, di cui due sfocate e altre in cui eravamo venuti non molto bene. Ma la cosa peggiore era che risalivano tutte ad almeno tre o quattro anni prima; pensavo di aver fatto più foto insieme a lui, ma evidentemente mi sbagliavo. Delusa da quella scoperta mi misi a pensare riguardo a quel mio dono, poco convinta se mandarglielo o meno. Senza la foto perdeva metà del suo valore, almeno dal mio punto di vista. Fissavo quel piccolo oggetto davanti a me senza sapere bene cosa farci. Forse l’avrei mandata comunque a John, nonostante la sentissi davvero incompleta. Ma improvvisamente un’idea balenò nella mente. Presi carta e matite e iniziai a creare qualcosa. Non avevo nessun riferimento davanti a me e la mia mano procedeva libera, con la memoria come unica linea guida. Riprodussi esattemente i John e i Freddie dell’estate 1953: capello corto con ciuffo di lato per lui e un taglio di media lunghezza per me. Misi due bei dentoni al mio John, evidenziando anche il generoso naso aquilino che madre natura gli aveva donato, facendogli quello che ritenevo un ritratto veritiero. Ovviamente non mancai di rimarcare il mio viso paffuto, caratteristica che detestavo ma che era presente tra i miei lineamenti. Con soddisfazione ammiravo quella piccola aggiunta al mio regalo, corredandolo di una frase proprio al di sotto dei due personaggi:  

"Finché non avrai una nuova foto da inserire".

Sapevo perfettamente che con quelle parole avrei stuzzicato il mio amico e sicuramente avrebbe apprezzato quella mia idea. La sua risposta non tardò molto ad arrivare

“Ok, lo devo ammettere: quest’anno ti sei superata. La cornice è molto carina e soprattutto è davvero originale. Ma per quanto riguarda il disegno direi che proprio non ci siamo. Ma dico io, perché non hai messo anche me nel ritratto? Ci scrivi John & Freddie e poi inserisci te stessa e una tua amica (forse si chiama Johnny anche lei?)
Comunque devo ammettere che preferisco il nuovo taglio rispetto a quello che portavi questa estate: i capelli corti ti donano! Di la verità volevi copiare il mio fantastico look, non è vero?

E ricorda: attenderò la prossima estate per la foto che mi hai promesso, piccola Picasso”

Appena tornai a Liverpool e andai a salutare John, lui mi accolse con una bella macchinetta fotografica in mano, dicendomi “Facciamo subito questa foto, sono mesi che me la sto aspettando!”.
Di foto ne facemmo più di una, passando tutto il pomeriggio a ritrarci nelle maniere più singolari e buffe che ci venivano in mente. Alla fine tra tutto il mucchio, John ne scelse una dove in realtà nessuno dei due fissava l’obiettivo, troppo intenti a guardarci tra di noi, trattenendo a stento una risata che avrebbe deformato le nostre espressioni. Quella foto era bella non per i soggetti, due bambini sul punto di scoppiare a ridere di gusto, ma per il ricordo di quel pomeriggio, delle boccacce di John, dei miei insulti e delle nostre risate. Era la prova visiva di quello che era il nostro rapporto, della nostra complicità e della spensieratezza di quel periodo. John non mi spiegò mai apertamente quella sua scelta, ma sono sicura che non fosse molto distante da questo mio pensiero.
E il disegno? Nonostante avesse perso quel posto che aveva occupato per mesi, quel mio ritratto finì insieme a quei primi disegni di John, appeso accanto al letto. Appena lo vidi in camera sua, collocato orgogliosamente su quel muro, mi lasciai sfuggire un sorriso compiaciuto. Non l’avrebbe mai ammesso, ma nonostante fosse solo uno scarabocchio era qualcosa di mio e lui non sembrava volersene separare.
Dopo quel pomeriggio capii la grande importanza che avevano le foto: purtroppo la fragilità stessa dei ricordi è una cosa che fa parte della vita umana e quando mi resi conto che di un’intera estate trascorsa con John non mi rimaneva assolutamente nulla, decisi di rimediare. Iniziai a scrivere diari per memorizzare qualsasi cosa succedesse nella mia vita, ma soprattutto iniziai a desiderare di poter avere una macchinetta fotografica, capendo finalmente il grande potere evocativo che aveva quello strumento. Pregai per mesi mia madre di regalarmene una, ma lei sembrava contraria a tale acquisto, rispondendomi che la trovava inutile. Ero solo una bambina capricciosa ai suoi occhi, in fondo cosa dovevo farci con quell’oggetto? Cercai di farle capire che volevo solo un modo per conservare i ricordi delle mie estati, delle feste e dei pomeriggi con le mie amiche, sfogliando quelle immagini apposte su album fotografici. Ma al tempo non avevo ancora tredici anni e si sa, i ragazzini sono spesso volubili e desiderano una cosa finchè non l’hanno avuta. Credo che mia madre temesse che potessi prendere questa brutta abitudine, a sprecare soldi in oggetti che poi non avrei più voluto e quindi cercò di testare la mia forza di volontà. Dopo svariate suppliche e una sfilza di buoni voti, con l’aiuto di Mark riuscii a convincerla: per il mio tredicesimo compleanno scartai un bel pacchetto con dentro quell’oggetto che tanto avevo desiderato. Era una Baby Brownie della Kodak (1), una macchinetta usata ma per fortuna in ottime condizioni: una scatola di plastica nera con alcune righine in rilievo, un obiettivo circolare al centro e il mirino in metallo.  Mi fece varie raccomandazioni su quell’oggetto, regalo che doveva dimostrarmi la sua fiducia nei mie confronti, da usare in modo responsabile. Io annuì sempre più sicura di quel dono, pronta a prendermene cura. Tra me quell’oggetto fu subito amore a prima vista e la usai fin dai primi giorni, esercitandomi per capire bene come funzionasse. Per fortuna era un modello molto semplice e potei sfoggiarla con orgoglio durante le vacanze estive, ormai padrona del suo funzionamento. Quell’oggetto si trova ancora da qualche parte, riposto con cura insieme a tutte quelle innumerevoli foto che feci poggiando il mio occhio attraverso quell’obiettivo, pronto a catturare tutte le meraviglie dei miei anni adolescenziali.
 
***
 
Nel settembre del 1953 mia madre rinnovò la mia iscrizione alla Blackheath High School (2), un istituto femminile che si trovava vicino a Greenwich (3), il quartiere dove vivevo. Ci aveva tenuto a mandarmi in quella scuola sin dai primi anni: era un’istituto femminile tra i migliori a Londra, dall'educazione ferrea, che mi avrebbe permesso di prepararmi adeguatamente per il mio futuro. Avevamo anche una divisa: vestito scamiciato nero con maglietta giallo pallido, che sulla mia pelle molto chiara cozzava terribilmente. La maggior parte delle ragazze che frequentavano l'istituto erano di buona famiglia: io vi ero potuta entrare grazie ai grandi sacrifici che i miei genitori avevano fatto per pagare la retta e i libri. A causa del mio ceto sociale non ero ben vista a scuola dalle altre signorine, oltre il fatto che il mio nome era un buon biglietto da visita per le occhiatacce di chi non amava molto gli immigrati. Mi ero fatta ben poche amiche: le uniche che frequentai in quegli anni furono Hilary e Julia. Tutte e tre appartenenti ad una classe sociale inferiore, e fu naturale per noi unirci. Ma purtroppo vivevano lontane da me e questo ci rendeva difficile il vederci oltre gli orari scolastici.
In quel periodo però avevo stretto amicizia con Claire (4), una ragazzina della mia età che si era trasferita circa un anno prima a Blisset street (5), la via dove abitavo. Blisset era una delle classiche "vie dei poliziotti" dove quasi tutti gli abitanti lavoravano allo stesso distretto di polizia. La mia famiglia aveva ottenuto una piccola villetta in quella stradina, concessa dall’ufficio di polizia ad un prezzo d'affitto molto basso. La casa dove alloggiavamo era uguale a tutte le altre: piccolo giardino d’ingresso chiuso da un muretto basso che introduceva alla viletta con le stanze disposte su due piani, due al piano superiore, salone, bagno e cucina a quello inferiore.  
Anche il padre di Claire era un poliziotto, un nuovo collega di Mark: questo permise a me e a Claire di conoscerci e di poter stringere amiciziafin da subito. Ricordo ancora quel nostro timido incontro, quando la vidi aspettare che i suoi finissero di portare i mobili in casa. Quella piccola ragazzina seduta sul muretto mi ricordava una bimba spaventata, molto simile a quella che avevo conosciuto sin troppo bene negli anni passati. Inoltre non vi erano molti bambini a Blisset e l’idea di poter avere così vicino una ragazzina della mia età mi faceva davvero piacere. Decisi di avvicinarmi a lei e tentare di parlarle, cercando qualcosa di carino da dirle.

-Ciao- la salutai.
Lei alzò lo sguardo e mi abbozzò un timido sorriso –Ciao-
-Siete i nuovi vicini…-
-Siamo arrivati oggi- annuì lei.
Cadde un momento di silenzio imbarazzante, di quelli che non sai davvero cosa dire. Mi guardai intorno mordicchiando il labbro, nervosa. La situazione stava prendendo una piega imprevista, avevo immaginato che avremmo iniziato a parlare senza alcun problema ma sarebbe stato sin troppo semplice. Quindi decisi di dirle la prima cosa che mi veniva in mente, per rimediare a quel pesante mutismo.
-Ehm, benvenuta a blisset street!- tentai, accompagnando quel mio impacciato benvenuto ad un gesto delle braccia.
Lei di risposa rise, guardandomi contenta –Scusami se rido, ma sei davvero buffa-
Mi feci contaggiare dalla sua risata, capendo che non voleva offendermi.
-Io sono Federica Auster Martini, ma tutti mi chiamano Freddie-
-Claire Morgan, piacere-

Mi sedetti accanto a lei ed iniziammo a chiacchierare. Dopo quel mio gesto qualcosa si era sciolto, quella freddezza che pervade due sconosciuti era scomparsa, lasciando posto a due ragazzine che avevano solo voglia di conoscersi. E fu davvero una conoscenza importante per me perché con il tempo diventammo sempre più unite. Avevamo un carattere e un modo di scherzare molto simile e questa caratteristica ci fece legare in brevissimo tempo, facendo diventare Claire la mia migliore amica. Eravamo davvero inseparabili e qualche volta capitava che ci scambiassero per sorelle: eravamo tipologicamente molto simili, con occhi chiari e capelli castani, solo che Claire era più bassa di me, con i capelli mossi e un bel paio di occhiali che le conferiva un’aria intelligente. Era la persona con cui passavo gran parte del mio tempo libero, aiutate dalla vicinanza delle nostre abitazioni e dalla mancanza che sentivamo l’una verso l’altra, visto che frequentavamo scuole diverse.
I primi tempi la portai ad esplorare Greenwich mostrandole quello che mi piaceva di più del nostro quartiere: il Cutty Sark, l' Isle of Dogs (di cui mi divertivo tantissimo a percorrere il tunnel pedonale), e il Greenwich Park (6). Tutti posti che piacquero tanto anche a lei e che frequentammo abitualmente insieme.

Intorno al natale del 1953 conobbi Josh (7), il cugino di Claire. Era ospite dei suoi zii, che lo avevano invitato per fargli passare un natale in famiglia dopo il burrascoso divorzio dei genitori. Josh era un ragazzo sveglio e simpatico: aveva folti riccioli scuri e due occhi verdi come quelli della cugina. Era più grande di me di due anni e questo gli conferiva una sorta di aura molto particolare ai miei occhi. Iniziammo a frequentarci in quei giorni di vacanza e mi affezionai in poco tempo a lui. Nonostante fosse un ragazzo più grande non sembrava annoiarsi in nostra compagnia. Usciva e chiacchierava con noi senza alcun problema, anzi con lui ci divertivamo ancora di più. Conosceva un mucchio di cose e ci raccontava un sacco di cose interessanti. Inoltre amava moltissimo la lettura e questo ci legò ancora di più a lui. Decidendo di scambiare tra i noi i libri che ci mancavano, pronti a commentarli insieme quando li avevamo terminati di legere. Ricordo con tenerezza quei momenti in cui discutevamo su quale personaggio fosse il migliore tra quelli incontrati dal Piccolo Principe, oppure sull’ingegno di Tom Sawyer, che la fantasia mi faceva raffigurare con le fattezze di John, paragone quasi obbligatorio della mia mente (8). Quelle due settimane ci unirono talmente tanto che i nostri rapporti non finirono in quel momento: Josh tornava spesso a trovarci, sempre lieto di passare del tempo con noi.
Insieme a lui iniziammo ad conoscere altri luoghi a Londra, città piena di cose da vedere che sembravano non finire mai davanti ai nostri giovani occhi. Josh era il classico bravo ragazzo a cui si dava instintivamente piena fiducia, e fu per questo che le nostre madri dimostrarono poche reticense a farci uscire con lui. Visitammo moltissimi posti, dal il meraviglioso verde dell’Hyde Park al museo di Madame Tussauds (9).
 Inutile dire che verso la fine della primavera del 1954 avevo iniziato ad apprezzarlo molto più che come amico. Quella che inizialmente era solo un’ammirazione e una piccola amicizia divenne per me qualcosa di più, senza che Josh avesse fatto qualcosa per attirare il mio interesse verso di sé. Era semplicemente lui, con il suo modo di fare che mi faceva arrossire ad ogni parola gentile che mi rivolgeva. Ma presto sarei partita come ogni anno per Liverpool e i Morgan sarebbero andati dai loro parenti vicino Manchester, portandosi con loro il nipote. Insomma avevo avuto un tempismo perfetto nel sviluppare quel sentimento per Josh. Mi confidai subito con Claire che si dimostò una mia grande sostenitrice, incoraggiandomi a farmi avanti con lui. Già si vedeva una tenera zietta verso il grande numero di figli che, secondo lei, io e Josh avremmo avuto. Ridevo a quelle sue frasi che mi riempivano il cuore di gioia ed entusiasmo, scacciando le mie paure. Timori che riaffioravano sempre appena finiva quella risata. Non sapevo come l’avrebbe presa Josh e il mio primo pensiero fu la paura di perderlo se mi avesse rifiutata. Ma avrei sopportato di vederlo abbracciato ad un’altra ragazza? La risposta era chiaramente no: quindi dovevo farmi avanti.
Tentai più volte di confidargli i miei sentimenti ma non vi riuscì. Quando provavo a dire qualcosa le parole si fermavano in gola come se un tappo le impedisse di fuoriuscire. Claire mi diede mille e più occasioni per poter compiere quella “missione” ma io le sprecai tutte quante miseramente. Il giorno prima della loro partenza mi sfogai con lei, sentendomi una sciocca ragazzina senza coraggio. Lei fu subito pronta a consolarmi, rassicurandomi sul fatto che avrebbe badato lei al cugino, impedendo a qualsiasi ragazza di provarci con lui. Ma io dovevo raccogliere il coraggio e confessarmi una volta che l’avrei rivisto di nuovo. Le promisi che avrei lavorato per tutta l’estate su quella mia paura e che a settembre avrei confessato tutto. Mi abbracciò forte, dicendomi che era orgogliosa di me e che sarebbe andato tutto bene. Salutai i Morgan con ancora quella promessa che vagava nella mia mente, sempre più decisa a mantenerla.
 
***
 
Mentre io passavo il mio tempo con Josh e Claire, le lettere di John mi raccontavano dei nuovi ospiti che popolavano Mendips. Alcuni studenti si erano trasferiti momentaneamente in casa, accettati da Mimi per mancanza di soldi. Non credo che fossero effettivamente poveri ma le spese diventavano sempre più pressanti e di sicuro la presenza di quell’ulteriore fonte di guadagno faceva comodo alla famiglia, visto che George era stato costretto tornare a lavorare nella latteria del padre.
John era contento di quella situazione: il conoscere ragazzi più grandi gli faceva piacere. Non perché volesse imitare ogni cosa che facevano gli altri, non era da lui, ma gli piaceva moltissimo mettersi alla prova (10). Era sempre stato un tipo molto furbo e sveglio, di quelli che fanno a botte solo con i più deboli mentre con i più forti utilizzava la psicologia riuscendo a fargli credere che avrebbe potuto picchiarli. Ed era proprio per affinare le sue doti che cercava delle nuove cavie: diciamo che era stato costretto ad assumere un simile atteggiamento, visto che qualche giorno dopo aver iniziato la scuola era stato picchiato da un ragazzo più grande (11). Non poteva accettare di essere regelato in un ruolo subalterno, non di comando, e si adattò in quel modo per sopravvivere dentro la scuola.
Così questi occasionali affittuari di Mendips erano un modo per esercitare il suo potere di persuasione anche su ragazzi molto più grandi e dimostrare a sé stesso che era in grado di manipolare chiunque volesse. Ci teneva a mostrarsi alla loro altezza, anche se con alcuni di loro aveva più di dieci anni di differenza e questo rendeva le cose più complicate.
Un giorno, forse di novembre o di dicembre, John si ritrovò a parlare con due ragazzi che condividevano la stanzetta accanto alla sua. Li aveva sentiti suonare qualcosa con l'armonica, allugando l’orecchio verso il muro che li divideva, per non perdesi quella esibizione che aveva etichettato come mediocre. Appena li aveva sentiti uscire dalla stanza non si era trattenuto dal raggiungerli per dargli il suo responso sull’esecuzione. I due ragazzi non avevano nemmeno voluto ascoltarlo, continuando per la loro strada. John allora li aveva seguiti, indicando tutto ciò che avevano sbagliato e il modo in cui potevano corregersi. Finita la discesa dalle scale i due, già stufi di quel petulante ragazzino, avevano deciso di zittirlo definitivamente.
Si voltarono a fissarlo con uno sguardo severo, pensando lo intimorisse: al contrario John si sentì ancora più spronato a continuare, stavolta limitandosi a dedicargli lo sguardo più antipatico che potesse fare.
- Se sei tanto bravo perché non provi tu a ripetere il motivetto che stavo facendo? Se ci riesci ti compro un'armonica più bella e costosa di quella che possiedi- gli disse uno dei due studenti.
Per lui quella fu come la ricompensa di tutto quello che aveva fatto sino a quel momento: non aspettava altro che mettersi in mostra. Accettò rapidamente, concordando il giorno seguente come termine della sfida. John si rinchiuse nella sua stanza, iniziando subito le prove. Rimase con le labbra incollate su quella placchetta metallica per quasi tutto il giorno, senza fermarsi nemmeno la notte, ignorando chiunque battesse sul muro per intimargli di piantarla.
Risultato? Il giorno dopo di motivetti ne aveva imparati ben due, facendo ingoiare il rospo al suo sfidante (12).
 
***
 
Quel pomeriggio mi trovavo a scrivere un'altra lettera per John. Avevo terminato un nuovo racconto e volevo mandarglielo subito, per cui mi misi sdraiata a pancia in giù sopra il mio letto pronta a scrivergli.
Nel giro di pochissimo tempo avevo riempito la stanca di cartacce, costellando il pavimento di quei miei piccoli errori e sprecando innumerevoli quantità di carta. Ero una persona puntigliosa e detestavo mandargli una lettera piena di scarabocchi, per cui decisi di scrivere una brutta copia che avrei poi ricopiato in bella. In fondo non era mio diritto sperperare in quel modo quei poveri alberi, che si prestavano ai miei imbrattamenti segnati da grandi linee blu, cancellature dei miei ripensamenti.
Ringraziai il fatto che mia madre avesse deciso di portare Chris con sé, dovendogli comprare un nuovo paio di scarpe, operazione che mi avrebbe concesso almeno un paio di orette libere. Condividere la stanza con lui non era il massimo visto che dovevo stargli dietro e assecondare le voglie di quel bimbetto viziato, a discapito del mio tempo libero. Quindi quel breve pomeriggio da sola era un mometo più unico che raro che dovevo sfruttare nel migliore dei modi.
La nostra era una cameretta piccina con due lettini, mobili in legno chiaro e alcune foto appese sul muro. Non avevo molto di mio quella stanza perché qualsiasi cosa sarebbe stata distrutta da quel piccolo terremoto, ed ero costretta a tenerla nascosta in punti dove lui non poteva arrivare. Se avessi avuto una stanza simile a quella che zia Maggie mi aveva riservato a Liverpool! Per prima cosa era un posto solo mio quindi non dovevo temere incursioni da parte di mio fratello, potendo chiudere la porta a chiave senza che mia zia si lamentasse. Immagina la mia gioia nell’avere un letto comodo solo per me, una libreria contenente tutti i miei libri ed accanto una poltroncina dalla fantasia variopinta dove potevo sedermi a leggere. Inoltre poco distante dalla finestra, la scrivania spaziosa e il grosso baule rosso collocato ai piedi del letto erano i due oggetti che preferivo, avendo entrambi un gusto più antico rispetto al resto dei mobili. Di quella camera amavo tutto: dalle pareti color pesca alla finestra che dava sul piccolo cortile, così perfetta nei suoi colori e nella sua collocazione. Qui invece avevo a malapena una mensola per tenere alcuni libri, giocattoli ovunque e pareti color verde pallido, che mi ricordavano quelle di un ospedale. Non potevamo dipingerle perché non eravamo noi i proprietari della casa e quindi dovevo accontentarmi di quel che avevo.
Un deciso bussare alla porta mi svegliò da quei miei pensieri e mi fece uscire un piccolo sbuffo. La piccola peste era tornata.

-Se sei Chris non puoi entrare- dissi con un tono acido, sperando che mia madre si tenesse il marmocchio ancora con sé.
Sentii la risata della mia amica Claire che precedette la sua comparsa da dietro la porta. Sporse la sua testolina riccioluta, guardandomi con uno sguardo da cucciolo ferito.
-Io invece posso entrare?-
-Tu sei sempre la benvenuta!- risi, iniziando a farle posto sul letto.
Lei aprì la porta e vidi la sua figura slanciata attraversare la stanza a grandi passi, per poi sprofondare in quel comodo posto, facendo ondeggiare la sua bella chioma.
-Scusami tanto ma ho temuto fosse tornato Attila e non ero decisamente preparata a rivederlo-
-Lo immaginavo- rise –Mark mi ha fatta entrare dicendomi che stava in camera tua, godendoti qualche momento di libertà-
-E aveva ragione! Biosgna approfittare di questi attimi di riposo visto che non sono così frequenti- dissi con un tono sconsolato, ricevendo l’appoggio della mia amica.
-Da figlia unica non posso capire ma comunque ti sono vicina- disse fingendosi rammaricata, battendo una mano sulla mia spalla.
-Comunque noto che ti stai dilettando a sprecare quantità industriali di fogli- continuò, mentre il suo sguardo vagava tra le mie carte.
-Stavo tentando di scrivere qualcosa a John-
-Ah il nostro Winston! E cosa ha fatto stavolta? Ha alzato la gonna a delle ragazzine? Rubato caramelle e cioccolate da un negozio?- rispose, con una certa luce che brillava negli occhi.
Claire conosceva John Winston Lennon solo attraverso i miei racconti. Si divertiva a chiamarlo "il nostro Winston" e spesso lo prendeva in giro. Era sempre interessata a quei racconti che John mi faceva, ridendo fino a farsi venire le lacrime. Credo che per lei fosse una specie di eroe, una figura letteraria che da quando avevo espresso il paragone con Tom Sawyer aveva assunto le fattezze di quel ragazzino di Petersburg. Una reazione decisamente diversa da quella di Vicky, sempre pronta a criticare qualsiasi cosa facesse.
Scossi la testa, leggermente tesa. Questa volta non si trattava di un avvenimento molto divertente.
 -Magari guarda, sarebbe stato molto meglio! Quel deficiente è salito sul respingente di un autobus a Penny Lane (13) e mentre il mezzo stava facendo il solito giro John è quasi caduto a terra!-
Presi la lettera e gliela porsi, per farle leggere quell’episodio. La vidi sistemarsi gli occhiali e ripetere a voce alta quella disavventura.
-“Quell’idiota di un’autista per poco non mi scaraventava a terra prendendo in modo così largo la curva. Ma chi gli ha dato la patente? Fortuna che avevo Pete che mi ha aiutato a reggermi sennò avrei fatto un volo talmente lungo da arrivare a casa tua senza il bisogno di appiccicarmi nessun francobollo sulla testa! Quando sono riuscito a riprendere l’equilibrio ci siamo guardati per qualche secondo, per poi scoppiare a ridere. Che risata liberatoria, mi sono quasi cagato sotto dalla paura!"(14)-
-La prima volta che ho letto questa lettera mi è preso il panico al pensiero di cosa poteva succedere se Pete non l'avesse aiutato. E’ proprio un imbecille!- dissi con veemenza, ancora scossa da quel racconto. Se fosse successo qualcosa a John... Non so davvero come l'avrei presa.
Claire sgranò gli occhi -Cavolo potevano farsi male sul serio!-
-E' proprio un'idiota! E ora si aspetta pure che gli dia una risposta... e cosa dovrei dirgli?-
-Uhm, di portarsi delle cinture di sicurezza la prossima volta?- provò a sdrammatizzare lei.
-Dai Claire, dico sul serio. Ok fare qualche bravata ma rischiava di spezzarsi l'osso del collo!-
-Hai ragione scusami. Ma cosa pensi di poter fare tu? Da come mi parli di lui sembra il classico tipo che non dà retta a nessuno…-
Riflettei un momento. In effetti mettermi contro di John in maniera palese avrebbe solo prodotto l’effetto contrario; se volevo avere la benché minima possibilità che mi ascoltasse dovevo giocare d’astuzia.
-Dovrei comunicare con il suo stesso linguaggio, in modo che gli rimanga impresso il mio avvertimento-
Lei mi guardò, annuendo -Si, credo sia l’unico modo che permetterà a quello che scriverai di essere letto. Per quanto non so se ti darà retta- disse.
-Bé tentar non nuoce no?- presi a scarabocchiare qualcosa sul foglio di brutta copia che avevo davanti a me.
Appena terminai quelle poche righe mi schiarì la voce ed iniziai subito a leggerle.
-“Invece di salire sopra gli autobus, la prossima volta monta in groppa a Pete e fatti portare in giro da lui. Se dovessi cadere ti farai sicuramente meno male”-
-Ahah sai le battutacce che ti scriverà?-
Sospirai -Già. E' il re dei doppi sensi, ma almeno leggerà quello che penso-
-Io ci aggiungerei qualcosa tipo “Sul serio John, se puoi evitare di romperti l'osso del collo prima che io torni a Liverpool non sarebbe una cattiva idea”. Così gli dimostri che sei seriamente preoccupata per lui e non può davvero vederlo come un rimprovero.-
Annuii, trovandola una buona frase, e mi misi a scriverla.
Claire mi fissava, intrecciando una ciocca di capelli al dito, evidentemente a disagio. Colsi dal suo sguardo che aveva qualcosa da dirmi ma che non era sicura di poter fare. Ricambiai quella sua occhiata senza capire cosa le prendesse così improvvisamente.
-Che hai Claire?- le chiesi incuriosita.
-Senti Freddie... ci sarebbe una cosa che vorrei chiederti- si fece coraggio.
-Spara- le dissi.
-Sei... sei proprio sicura di non provare nulla per John? Oltre all'amicizia intendo-
Io scoppiai a ridere di gusto. Sia per la domanda così improvvisa che per l’assurda questione che mi aveva posto. Non diedi nemmeno il tempo al cervello di elaborare quella frase, etichettandola subito come qualcosa di insensato.
-Io e John? Ahahahah ti prego Claire, è la battuta del secolo!-
-Be guardala dal mio punto di vista: vi conoscete da anni, passate tutte l'estati insieme, vi scrivete e vi fate regali in continuazione... devi ammettere che è un'amicizia particolare. Inoltre, vedendo ora la tua grande preoccupazione verso di lui mi sono chiesta se non ci fosse altro-
-Ma è solo un'amicizia. Molto profonda, ma niente di più- gli risposi con tutta l'innocenza di cui ero capace.
-Uhm ok, se lo dici tu... io devo tutelare il mio Josh- si difese lei, forse vergognandosi di avermi posto una domanda simile.
-Tranquilla è solo a Josh che penso. E che spero di rivedere al più presto-
-Dai, allora appena lo sento gli dico di passare a trovarci- mi disse con un bel sorrisetto sul volto.
-Mi faresti felicissima!- le risposi.

E dopo quel giorno né io né Claire riprendemmo più quell'argomento. Per me era così e non esistevano ragioni che mi avrebbero fatto dubitare di quella convinzione: John era solo un caro amico. In un età fatta di continue incertezze quella sembrava l’unica cosa che potessi accettare. Perché non poteva non essere così, un simile cambiamento sarebbe stato qualcosa di troppo grande per me. Ero fermamente convinta che per John la nostra amicizia fosse una sicurezza e quindi doveva essere così. Dopotutto a tredici anni non è facile capire se stessi né i propri sentimenti e ci si attacca a quelle poche convinzioni che si hanno, seguendo solo quella che era una consuetudine nelle nostre vita.
E la mia unica convinzione era "io e John siamo solo amici".
 
***
 
L'anno 1954 fu una data che solo pochi fans di John Lennon conoscono: fu in questo periodo che avvenne il primo approccio di John verso la musica. In molti ritengono che è dal 1955/56 che il mio amico ha iniziato ad interessarsi a quest'ambito: in parte si può considerare vera questa data perché fu in quei due anni che uscirono le principali hits che lo fecero appassionare al Rock'n'roll (15). Ma John e la musica non erano due universi separati prima di quella data: sua zia Mimi amava la musica classica e in quelle poche volte in cui si concedeva un momento di tranquillità obbigava il nipote a partecipare a quell’ascolto, e per contro dimostrava in modi diversi il suo poco interessente. Anche sua madre era appassionata di musica: il suo cantante preferito era Bill Haley (16) che spesso faceva ascoltare a John quando era a casa con lei. Metteva un suo album sul giradischi e iniziava a ballare per il salotto cercando di coinvolgere anche John, facendolo trotterellare insieme a lei. John si divertiva in quei momenti con sua madre, anche se non era un grande amante di Haley. L’unica canzone che gli piaceva era Rock around the clock che curiosamente avrebbe poi riascoltato un anno dopo al cinema (17).
Liverpool era uno dei due porti più grandi dell'Inghilterra e quindi un punto dove attraccavano moltissime navi provenienti dall'altro capo del mondo, che portavano con loro merci e novità. Prima dell'arrivo del Rock'n'roll nella cittadina andava molto di moda la musica Country e Western, che venivano suonati in club e locali. A John piaceva molto Hank Williams (18), passione che aveva in comune con un suo compagno di scuola. Questo ragazzo possedeva a casa tutti gli album e John
cercava di andare spesso da lui per sentirli, visto che mai Mimi gli avrebbe permesso di mettere sul giradischi una "simile porcheria". John amava Honky Tonk Blues con lo stesso amore che avremmo provato entrambi per Rock Island Line di Lonnie Donegan e Blue Suede Shoes di Carl Perkins (19), predecessori della nostra infatuazione per Elvis.
Per quanto mi riguardava, paragonato al suo, il mio interesse musicale era ancora piuttosto flebile. Conoscevo alcune canzoni solo di riflesso perché iniziavano ad andare di moda anche qui, oppure attraverso i racconti di John. Ma questo non mi impedì di avere già a quel tempo qualche piccolo mito musicale. A differenza di John, che aveva apprezzato solo la cover di Elvis, io mi innamorai di alcune canzoni nelle loro versioni originali che conobbi grazie ai miei amici. Claire e a Josh avevano un cugino in America che passava alcune volte a trovarli, portandogli tutte le novità più interessanti che uscivano: grazie a questo contatto avevo potuto già ascoltare Hound Dog (20) e apprezzare la musica di Big Mama Thornton, artista che ebbe un piccolo successo da noi. Ma la mia regina, la mia musa del Rock'n'roll, sarebbe stata Wanda Jackson (21). Wanda era una bellissima ragazza dalla voce forte che attirava l’attenzione su di sé facilmente, cantando a pieni polmoni: era la dimostrazione che anche una donna poteva avere successo, in un mondo ancorato ad un'idea che le femmine dovessero rimanere protette dentro il focolare domestico. Inoltre io non avevo quella che si poteva definire una "voce da usignolo" e finalmente vi era una vera donna che si esibiva per un reale amore per la musica, senza cinguettare e ancheggiare sul palco.

Non so perché cercassi figure forti nella mia vita, tra John e tutte le donne che, sopra un palco o davanti ai miei occhi, dimostravano di essere indipendenti e diverse. Tutte tranne mia madre che dimostrava la sua forza in un modo che non poteva piacermi, riempiendomi di regole e imposizioni. Ma credo sia normale per un adolescente fuggire lontano dalle figure genitoriali, cercando esempi fieri e indipendenti. E dal mio punto di vista mia madre non lo era. E per quanto riguardava le figure maschili… strano a dirsi ma sentivo John come il mio principale punto di riferimento. Non so quale fosse il motivo ma rifuggivo dal cercare esempi in uomini più grandi, attuando un meccanismo strano e contorto. Solitamente le orfane di padre cercano uomini più grandi per coprire quell’immagine assente, ma per me non fu così. In Mark non vedevo propriamente un padre, era una figura adulta e amica e la sua costanza e la sua partecipazione alla mia crescita furono l’unico debole esempio che ebbi di una figura paterna. Forse fu per questo che non necessitai di cercare persone che fossero adulte secondo quanto indicava il loro foglio di nascita, volendo intorno a me solo figure solide. Come Josh, un bravo ragazzo con i suoi principi morali, e come John. Entrambi mi apparivano così forti e sicuri, ma non era così: nascondevano il loro lato più debole per paura di dimostrarlo agli altri. Con il tempo vidi io stessa quelle debolezze che non avevano il coraggio di ammettere e non potei rifiutarle: dopotutto facevano parte di due ragazzi a cui ero profondamente legata.
Eravamo tutti quanti solo dei ragazzi, io, John, Claire e Josh, e cercavamo di affrontare le nostre vite in preda ai classici sbalzi ormonali e alle indecisioni che quella condizione ci dava. Perché in fondo eravamo troppo grandi per essere considerati bambini e troppo piccoli per poter affrontare certe responsabilità. Ed ognuno aveva la sua valvola di sfogo e il suo modo da rifuggire da dubbi e problemi: il mio era il gettarmi in qualsiasi novità cercando qualcosa che potesse farmi stare bene, che riempisse quel vuoto che sentivo. Ma cosa poteva riempire una mancanza grande a cui non sapevo dare un nome?
L’unica cosa che aveva il potere di lenire temporaneamente quel senso di smarrimento che avvertivo era sempre la stessa, una certezza che mi accompagnava da anni: la scrittura.
 
NOTE
(1)= Baby Brownie della Kodak, prodotta tra il 1934-54, era una versione ridotta della Brownie in 117, con telecamera in formato 127 (uno dei formati della pellicola su cui la società si è concentrata di più nei primi anni '30 del Novecento e poi ancora negli anni '50/60 con la Brownie in plastica). Ha il corpo in plastica progettato da Walter Dorwin Teague e un semplice folding frame pieghevole per allineare il soggetto. Nata negli Stati Uniti venne esportata nel 1936-39 mentre la Kodak UK ha prodotto questo modello solo dopo il conflitto mondiale. Dovrebbe essere una macchinetta a buon mercato, ma per sicurezza ho preferito riferire che fosse stata comprata da un rigattiere in modo che il valore fosse più basso, considerando che venne donata ad una ragazzina di 13 anni.

(2)= La Blackheath High School è una scuola femminile, in Blackheath Village, a sud di Londra. Fu fondata dalla Principessa Louise, figlia della regina Victoria, nel 1880. Il Dipartimento più vecchio si trova nella ex Chiesa dell'esercito Wilson Carlile Training College (aperto nel 1965) in Vanbrugh park. L'edificio scolastico nel Blackheath Village è poi diventato il reparto Junior. Il motto della scuola è "Blackheath High School - un luogo per crescere, un luogo per eccellere". In precedenza era stato "La conoscenza non è più una fontana sigillata": un riferimento ai giorni in cui le ragazze hanno avuto scarso accesso all'istruzione, come è avvenuto nei primi anni della mia storia.
"Rinnovai la mia iscrizione" perché questo istituto ha un'istruzione che va dai 3 ai 18 anni e ho deciso che vi fosse già iscritta in precedenza. Per quanto riguarda la divisa mi sono attenuta alle foto che ho trovato su internet.

(3)= Greenwich è un quartiere situato a 9 km a sud est di Charing Cross, nella parte sud ovest di Londra. Greenwich è nota per la sua storia marittima e per aver dato il nome al Meridiano di Greenwich (longitudine 0) e al fuso orario di Greenwich.

(4)= Via all'interno del quartiere di Greenwich di cui mi sono inventata sia la storia delle case assegnate dall'ufficio di polizia, che il suo aspetto non trovando foto di come fosse negli anni ‘50.

(5)= Claire Elisabeth Morgan (29 Marzo 1940)

(6)= -Il Cutty Sark (una clipper -nave- varata nel 1869) è preservata in un molo ora asciutto lungo il fiume.
-Nei pressi del Cutty Sark, un edificio di forma circolare ospita l'entrata meridionale del tunnel pedonale di Greenwich. Questo tunnel, aperto nell'agosto del 1902, collega Greenwich con l'Isle of Dogs, sulla sponda settentrionale del Tamigi.
-Il Greenwich Park si trova a sud del National Maritime Museum, uno dei parchi reali londinesi di 0,7 km: si trova sul territorio collinoso a sud di Greenwich, noto come Blackheath Beds e si estende verso sud fino al quartiere di Blackheath (NB: vicino alla Blackheath high school). Sulla cima di questa collina, di fianco all'Osservatorio reale (noto perché vi passa il meridiano fondamentale), si trova una statua di James Wolfe, il comandante della spedizione inglese per la conquista del Québec.

(7)= Joshua Jackson Morgan (14 Marzo 1939)

(8)= -Il piccolo principe (Le Petit Prince) è l'opera più conosciuta di Antoine de Saint-Exupéry. Pubblicato il 6 aprile 1943 da Reynal e Hitchcock in inglese e qualche giorno dopo in francese, è un racconto molto poetico che, nella forma di un'opera letteraria per ragazzi, affronta temi come il senso della vita e il significato dell'amore e dell'amicizia. Ciascun capitolo del libro racconta di un diverso incontro che il protagonista fa con diversi personaggi e su diversi pianeti e ognuno di questi bizzarri personaggi lascia il piccolo principe stupito e sconcertato dalla stranezza delle "persone adulte". Ad ogni modo ognuno di questi incontri può essere identificato come un'allegoria o uno stereotipo della società moderna e contemporanea. È fra le opere letterarie più celebri del XX secolo e tra le più vendute della storia: è stato tradotto in più di 220 lingue e dialetti e stampato in oltre 134 milioni di copie in tutto il mondo. In un certo senso costituisce una sorta di educazione sentimentale.
- Le avventure di Tom Sawyer (The Adventures of Tom Sawyer) è un romanzo per ragazzi dello scrittore statunitense Mark Twain pubblicato nel 1876; si tratta della prima di due opere collegate tra loro, la seconda delle quali è sorta di seguito ideale, Le avventure di Huckleberry Finn. Sono raccontate le avventure di un ragazzino che vive nel sud degli Stati Uniti, in un periodo di tempo di poco precedente alla guerra di secessione ed è ambientato nella cittadina fittizia di St. Petersburg in Missouri, sulle rive del grande fiume Mississippi. Luoghi e persone sono in parte autobiografici, ispirati quindi alla vita di Twain, alla sua famiglia ed agli amici d'infanzia.

 (9)= Hyde Park è uno dei più ampi parchi del centro di Londra, grande circa 253 ettari. E’ diviso in due parti da un laghetto artificiale, il Serpentine lake, ed è contiguo al Kensington garden, che vengono ancora considerati come una parte di Hyde Park anche se dal 1728 sono separati in due parchi distinti.
-Madame Tussauds è uno dei più famosi musei delle cere sulla faccia della terra. Nacque a Londra, dopo che la sua omonima fondatrice portò i suoi ritratti di cera in città, nel 1802.
(NB: in questo museo, saranno poi inserite anche delle statue di cera raffiguranti i Beatles.)

(10)= E’ John che racconta di come, per raccimolare altri soldi, furono ospitati degli studenti a Mendips. Non ci spiega il motivo per cui proprio in quel momento necessitassero di maggiori entrate finanziare a casa.

(11)= Episodio realmente successo nel primo anno di scuola.

(12)= John racconta di questa sfida con i due ragazzi. Non accenna nulla al nome dei motivetti che aveva imparato e se poi quei ragazzi gli avessero comprato davvero la nuova armonica; conclude dicendo solo che era riuscito a vincere quella piccola sfida.

(13)= Penny Lane è il nome di una strada di Liverpool da cui prende il nome anche l'omonimo brano del 1967. La strada deve il nome a James Penny, un mercante di schiavi del XVIII secolo che si stabilì a Liverpool per i suoi traffici e che, quando a fine Settecento si cominciò a parlare di abolizionismo, assunse la difesa della tratta degli schiavi. Quando questa informazione superò i confini del rione venne lanciata una petizione per cambiare il nome della via ma le autorità respinsero la proposta con la motivazione che il brano dei Beatles Penny Lane era ormai diventato talmente popolare da rendere la strada (e la sua denominazione) di portata storica.
Penny Lane taglia diagonalmente il quartiere Church. Partendo da Greenbank Road, nei pressi di Sefton Park, la via procede in direzione nordest costeggiando sulla destra due grandi aree verdi.

(14)= John e Pete erano soliti salire sopra i respingenti dei tram di Penny Lane, per viaggiare gratis. Avevano molta paura ma non volevano ammetterlo. John racconta che una volta durante un viaggio quasi cadde dal bus, facendosi aiutare da Pete per non volare via dalla vettura.

(15)= Il Rock and roll (spesso scritto con la grafia rock & roll oppure rock 'n' roll) è un genere nato dalla musica popular negli Stati Uniti tra la fine degli anni quaranta e l'inizio degli anni cinquanta, originato dal blues, dal bluesgass, dal country, dall'R&B, dal jazz, dal gospel, e in misura minore, dal folk. Attorno agli anni sessanta si evolse in uno stile più generico e internazionale chiamato musica rock, sebbene sia stato continuato ad essere definito come rock'n'roll. Questo genere raggiunse proprio negli anni sessanta una vasta popolarità e un grande impatto sociale.

(16)= Bill Haley, William John Clifton Haley (Highland Park, 6 luglio 1925 – Harlingen, 9 febbraio 1981), è stato un cantante e attore statunitense, bandleader del gruppo Bill Haley & His Comets e primo interprete di Rock Around the Clock, uno dei brani rock and roll più conosciuti della storia della musica. Bill è stato il primo grande divo del rock'n'roll "bianco", sviluppato in seguito soprattutto da Elvis Presley e Gene Vincent.

(17)= Rock around the clock di Bill Haley apparve nel 1955 al cinema, usato come tema musicale nel film Seme della violenza (The Blackboard Jungle, film statunitense del marzo del 1955 con Glenn Ford come protagonista, mostra la storia di un professore che cerca di aiutare i suoi alunni, tutti ragazzi disadattati di una scuola popolare di avviamento al lavoro) .
Rock Around the Clock fu scritta nel 1952 da Max C. Freedman. Incisa nell'aprile 1954 da Bill Haley & His Comets per la Decca, la casa discografica di Bing Crosby, Pat Boone e Fats Domino (La stessa che nel '62 rifiutò i Beatles). Inizialmente pubblicato come B-side di Thirteen Women (and Only One Man in Town), raggiunse il grande successo l'anno successivo, arrivando al primo posto delle classifiche statunitensi Billboard Hot 100 nel novembre 1955, dove rimase per quattro settimane. Questa canzone, insieme alla leggendaria Maybellene di Chuck Berry, diede inizio all'epoca del rock and roll.

(18)= Hiram "Hank" King Williams (Mount Olive, 17 settembre 1923 – Oak Hill, 1º gennaio 1953) è stato un cantautore statunitense. È divenuto icona della country music e del rock 'n' roll ed uno dei più influenti musicisti del XX Secolo. Fu uno dei maggiori autori del genere honky tonk (In musica honky tonk definisce una sonorità, uno stile particolare del pianoforte che acquista una timbrica tipica, ad esempio, dei pianoforti verticali dell'epoca del Far West o nelle colonne sonore delle comiche.). Le sue composizioni compongono lo zoccolo duro del country ed altrettante sono considerate classici del pop, del gospel, e del rock and roll.

(19)= Rock Island Line di Lonnie Donegan fu incisa nel luglio del 1954, ma John l'avrebbe sentita poco dopo, quando nel gennaio del 1956 sarebbe uscito come singolo e sarebbe balzato in cima alle classifiche inglesi.
-Blue Suede Shoes è un brano musicale ritenuto ormai uno standard rock and roll scritto e registrato dal chitarrista Carl Perkins a gennaio del 1956. La canzone è considerata uno dei primi brani di puro rockabilly che incorpori elementi di blues, country e pop allo stesso tempo. Il brano è stato reinterpretato con successo da Elvis Presley (settembre 1956) che ne incise una cover più celebre dell'originale di Perkins.
(Curiosità: Il brano fu cantato da John Lennon durante le esibizioni dei The Quarry Men fino al 1961)

(20)= Hound Dog è una canzone blues scritta da Jerry Leiber e Mike Stoller, ed originariamente registrata dai Willie Mae "Big Mama" Thornton nel 1952 (Willa Mae Thornton, conosciuta come Big Mama Thornton [1926 – 1984], è stata una cantautrice statunitense di musica blues. Sebbene lodata dai critici musicali per la sua voce forte e potente e per le sue performance live piene di passione, non ha mai riscosso un grande successo commerciale).  Le numerose cover registrate da diversi artisti nel corso degli anni cinquanta, evidenziano le differenze fra i vari generi musicali adottati: il blues, il country ed il rock and roll. Sicuramente la versione più conosciuta del brano è quella del 1956 registrata da Elvis Presley.

(21)= Wanda Jackson (1937) è una cantante e chitarrista statunitense. Viene considerata la prima cantante donna ad essersi dedicata alla musica rock and roll ed è spesso citata come "Regina del Rockabilly" (il rockabilly, genere musicale sviluppatosi nei primi anni cinquanta, è una delle prime forme di rock & roll. È una fusione tra blues, R&B, bluegrass country ed originaria del sud degli Stati Uniti. Era tra i generi più suonati dai musicisti bianchi).

ANGOLO DELL'AUTRICE: Ok, questo è un capitolo decisamente più descrittivo ed incentrato sulla figura di Freddie. Ma è un capitolo che ritenevo davvero necessario per farvi conoscere la vita del personaggio e farvi capire come si stesse svolgendo la sua crescita. Vi prometto che nel prossimo ci sarà la presenza di John (è incentrato sull'estate del 1954) e... decisamente, sarà interessante da leggere!
Comunque, mi prendo uno spazietto per spiegare il motivo per cui ho scelto "Penny Lane" come sottotitolo, usando proprio quel pezzo della canzone: semplicemente viene citata la famosa rotatoria dove John ha rischiato di cadere. Mi sono dimenticata di fare questa cosa nei tre capitoli precedenti, quindi mi limito a spiegarvi ora e velocemente le scelte dei brani usati come sottotitolo: "Hello Little Girl" nel primo capitolo che trovavo adatta per indicare il primo incontro tra John e Freddie, "Strawberry Fields Forever" perchè è un luogo centrale nel secondo capitolo e "Julia" nel terzo capitolo per indicare la prima comparsa di Julia Lennon nella storia. Insomma, ritenevo necessario spiegarvi queste scelte (anche se mi rendo conto siano facilmente intuibili) e cercherò di farlo con regolarità ad ogni nuovo aggiornamento!
Detto questo volevo esprimere tutta la mia gratitudine verso chi mi sta commentando regolarmente, e cioè Lady_Jude e _SillyLoveSongs_ che mi rendono ogni volta felicissima! Grazie mille per il vostro supporto <3
Un grazie speciale va alla zietta Anya a cui John e Freddie dedicano tutto il loro affetto, e un enorme CHACHABOOM (soprattutto John, mica scemo <3).
Per ora mi limito a questi nomi e spero che nel prossimo "aggiornamento ai ringraziamenti" aumenti la lista degli utenti che a cui potrò regalare tanto amore per i loro commenti e il loro supporto! Qualsiasi recensione è gradita, mi servono per migliorare la storia quindi fatevi avanti senza indugi! <3
Vi lascio con un piccolo regalo, visto che siete stati tanto buoni ad ascoltarmi blaterare a vanvera: il prossimo capitolo sarà pubblicato mercoledì 11 marzo.
Ringraziate tutti la mia responsabile che mi ha dato degli orari perfetti per scrivere, facendomi avanzare di ben 2 capitoli in una settimana! (yeeeeehhh XD)
Baci
White
  
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