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Autore: IleWriters    06/03/2015    1 recensioni
[Storia scritta con Misery007]
Capelli biondi e occhi blu. Capelli neri e occhi viola. Le due gemelle Ilenia e Misery non potrebbero essere più diverse. Nate sotto l'influsso di una cattiva stella, entrambe sono costrette a convivere con un'immenso dolore. Una per via di un dolore che pian piano, segretamente, le sta divorando l'anima. L'altra per la malattia e le sue conseguenze. Una dovrà essere la luce per l'altra. Una le tenebre. I due ragazzi che hanno fatto breccia nei loro cuori dilaniati ce la faranno a salvarle? O le gemelle si autodistruggeranno prima?
Genere: Comico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Nathaniel, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo II - Home sweet home


 

Sorrido mentre ascolto papà che racconta alla mamma come sono stati questi tredici lunghi anni a Seattle. Muoio dalla voglia di abbracciarlo, ma allo stesso tempo sono avida di informazioni su Seattle e sulle cure di mia sorella. Così lo lascio parlare, spostando il peso da un piede all'altro, spesso mi guardo le punte dei miei tacchi in camoscio neri. Ora iniziano a farmi male i piedi, ma resisto e torno a guardare il volto di nostro padre, alla fine degli occhi ha delle piccole rughette, segno del suo stress per la malattia di Misery e dell'età che stava lentamente aumentando.

Quando papà finisce di fare il resoconto alla mamma, mi viene vicino e mi guarda, il volto gli viene attraversato da un sorriso.

 

«Pulcina mia» mi dice sorridendo e mettendomi una mano sulla testa. «Quanto sei cresciuta» sorride ancora di più e mi tira contro di lui per abbracciarmi forte.

 

Io non riesco a replicare per colpa del nodo che mi sento in gola, così lo abbraccio altrettanto forte e trattengo a stento le lacrime, affondando il volto nel collo di mio padre, che profuma di dopobarba e ammorbidente alle rose. Sorrido con gli occhi lucidi e respiro fino in fondo il suo profumo. Dio quando mi era mancato papà, quanto ho pianto a ogni compleanno, Natale, Pasqua e altre feste per la sua mancanza e quella di Misery. Chiudo gli occhi e ripenso alla volta in cui dovevo essere operata di appendicite e lui non c'era, al tempo avevo solo sei anni.

 

 

Sto male. Mamma è accanto a me, piange perché anche io piango da tanto tempo. Sta gesticolando al telefono mentre prende il mio piumino rosa. Perché mi sta mettendo il giacchetto e la sciarpa? Sto male! Non voglio mica uscire adesso! Poi è buio! La mamma adesso mi prende in braccio e scende di corsa le scale della nostra enorme casa.

 

 

Una volta uscite di casa il vento che soffia mi fa raffreddare le guance bagnate dalle mie lacrime.

 

«Mamma... Ho freddo...» le mormoro tenendo il viso contro il suo collo.

«Lo so piccola, ora andiamo in macchina» mamma ha smesso di piangere, ma la voce le trema.

 

Chiudo gli occhi e la sento posarmi sui sedili posteriori della nostra macchina. Ho sonno, ma il dolore al fianco destro non mi lascia in pace. E' persino più forte del dolore che ho provato quando Castiel mi ha dato un calcio nel polpaccio. Così ricomincio a piangere e mormoro qualcosa.

 

«Papà... Voglio papà» mormoro prima di crollare addormentata.

 

 

Mi sveglio quando mamma mi solleva dal sedile e sento un'altra sensazione di gelo sulle mie gote. Non capisco dove siamo finché delle luci bianche non mi fanno vedere meglio. Siamo in ospedale, vedo un dottore con il camice bianco guardarmi. Lo guardo a mia volta e tiro su con il naso.

Perché sono in ospedale? Siamo dove sono papà e Misery? Voglio papà. Sto male.

La mamma adesso sta parlando con qualcuno, e quel qualcuno adesso cerca di prendermi in braccio, così mi aggrappo di più a mamma e piango urlando. Ora ho pure più caldo e mi fa più male il fianco destro.

 

«Forse è meglio se la tengo io» dice la mamma allo sconosciuto.

«Decisamente, allora mi segua» a risponderle è una donna, credo pure di riconoscerne la voce, ma ora sono assonnata e dolorante.

 

I tacchi della mamma ticchettano lungo il pavimento bianco del corridoio. Le pareti celestine sono decorate con vari dipinti. Winnie The Pooh che inzuppa la zampa nel barattolo del miele, Pimpi che gioca con Tigro. Dei cuccioli della carica dei 101 e tanti altri cartoni. Ricordo di essere stata qui per qualche puntura che mamma dice che serve, ma io mica ne sono convinta! Poi le dottoresse mi parlavano con quella vocetta acuta fastidiosa, nemmeno fossi stata una neonata. Poi ricordo di esserci venuta con mamma e papà a trovare Misery quando la trattenevano qui. Ma non so bene il perché, ma quando tornava a casa stava meglio per un po', poi tornava a stare male e la riportavano qui.

 

 

Lo scenario davanti ai miei occhi cambia, la stanza è dipinta da terra sino a metà porta di verde, sopra il confine tra il verde e il celeste ci sono disegnati Bambi e Faline, Tamburino e Fiore. Non mi piace quel cartone. Nessuno vuole dirmi che fine faccia la mamma di Bambi! Bah gli adulti.

Mamma mi toglie il cappotto e la sciarpa, poi mi scocca un bacio sulla fronte accaldata e mi guarda con i suoi grandi occhi viola, come quelli della mia gemella.

 

«Mamma, qui ci sono Misery e papà?» la mia voce si carica di emozione.

«No piccola mia» lo sguardo di mamma cambia, non capisco che cosa stia provando, poi torna a sorridermi. «Ricordi la dottoressa Monreau?»

 

Guardo la donna accanto a mamma. Porta una strana divisa rosa con sopra un camice bianco, i lunghi capelli rossi sono legati in una coda di cavallo, e mi guarda con i suoi grandi occhi marroni, proprio come quelli di Bambi! La guardo meglio e ricordo di averla vista con Misery, così annuisco.

 

«Ilenia? Dovresti scoprirti il pancino» mi dice la dottoressa mettendosi dei guanti bianchi.

 

Io faccio come mi viene detto e mi stendo sul lettino, guardando il soffitto celeste. Poi sento i guanti freddi premermi sul fianco destro. Fa sempre male, ma è sopportabile, poi non riesco a capire cosa succede, ma un dolore sempre più forte mi investe il fianco, facendomi urlare e piangere la dolore. Voglio papà, adesso. Non mi piace questa donna! Perché mamma mi ha portato da lei?!

 

«Papà! Voglio papà!» piango e urlo.

«Temo sia proprio appendicite, Amandine, ma forse preferisci che prima le facciamo dei controlli» la dottoressa malefica parla con mamma.

 

Lei si limita ad annuire e chiamare qualcuno al cellulare, mentre la dottoressa mi porta via, ignorando i miei urli e i miei pianti.

 

 

Dopo ore, ma mamma mi assicura che è passata solo una mezz'ora, che cavolo è una mezz'ora? Bah, vengo riportata in stanza. La dottoressa mi ha controllato il fianco con uno strano macchinario. Prima di posarmi uno strano aggeggio sul fianco, mi ci ha messo del gel celestino, freddo. Poi ha iniziato a premere e guardare un piccolo schermo grigiastro. Sembrava andasse male, come quando a casa non funzionava la TV.

 

«Non funziona» mormoro alla dottoressa.

«In che senso?» mi guarda e piega la testa di lato. Mica mi incanta con quell'espressione dolce.

«La TV, è rotta, è tutto nero e grigio» le dico indicando lo schermo.

 

Lei si limita a ridere e continua con il suo lavoro.

 

 

Dice a mamma che le ecografie hanno rilevato che è proprio appendicite e che dovranno operarmi subito. Così vengo spogliata e vestita con un camice celeste tendente al verdognolo. E' davvero brutto. Guardo mamma disperata.

 

«Papà» le dico lacrimando.

 

Lei prende il cellulare, e dopo averlo tenuto un po' all'orecchio e aver detto qualcosa a chi le ha risposto me lo poggia sull'orecchio.

 

«E' papà» mormora sorridendo.

«Papà!» esclamo piangendo.

«Pulcina di papà, che hai? Stai male?» mi chiede lui, forse sorride.

«Sì! Mi hanno fatto male! Ti voglio qua» dico piangendo e tirando su il moccio con il naso.

«Pulcina sai che non posso» sospira alla fine della frase.

«Perché? Sto male! Ti voglio, ti voglio, ti voglio, ti voglio!» urlo e piango. Lo voglio qui.

«Sono lontano piccola, e devo stare con Missy» mi spiega lui.

«Tu preferisci lei a me! Non ti voglio più sentire!» gli urlo nel telefono e lo spingo via dal mio orecchio piangendo.

 

Mamma se lo riporta all'orecchio e mi da la schiena mentre parla, coprendolo un secondo mentre la dottoressa le dice qualcosa, vedo la testa mora di mamma annuire e tornare a parlare al telefono.

La dottoressa mi torna vicina e mi mette seduta sul lettino, spiegandomi che deve addormentarmi con una pozione magica che devo respirare, così che il mio dolore vada via. Io annuisco e mi asciugo le guance con i dorsi delle mani. Così la dottoressa mi mette una mascherina intorno al naso e alla bocca e mi dice di stare tranquilla e respirare. L'ultima cosa che ricordo prima di addormentarmi è che mi sento in colpa con papà per quello che gli ho detto.

 

 

Mi capita di svegliarmi mentre dormo, sento la mamma bagnarmi le labbra con una spugna, poi torno a dormire con la gola leggermente rinfrescata. Mi risveglio completamente dopo non so quanto, mamma dice che ho dormito quasi un giorno intero. Mi spiega che per far andar via il dolore hanno dovuto chiamare delle fatine che mi hanno tolto la parte brutta e cattiva e mi hanno lasciato un piccolo segno dove tengo le mutandine, per ricordarsi di me, e che mi sarebbe rimasto a vita, un po' come la cicatrice a saetta di Harry Potter. Quello stesso giorno feci chiamare papà e mi scusai piangendo e poi gli raccontai cosa mi era successo. E che provavo un leggero fastidio. Uscii dall'ospedale solo quando la mia febbre si abbassò.

 

 

Se ripenso ancora oggi a quell'episodio mi imbarazzo come una ladra, per il comportamento che ho avuto con papà, e per quell'insana gelosia nei confronti di Missy. Lascio andare papà sorridendo.

 

«Mi sei mancato così tanto papà» dico sistemandomi i capelli dietro la spalla destra.

«Anche tu mi sei mancata, pulcina» sorride poi mi guarda il naso. «Ma non sperare che io approvi quel coso che hai al naso» borbotta incrociando le braccia al petto e guardando la mamma.

 

Sorrido, toccandomi il piercing sulla narice destra. Al momento porto un piccolo brillantino blu, ma l'ho portato anche rosa, giallo, viola e una volta un piccolo anellino, ma non faceva per me. Così decido di non mostrare, per il momento, a papà il mio orecchino sulla parte alta del mio orecchio destro. Mi limito a ridere e gli faccio la linguaccia.

 

«E quei tacchi poi! E il trucco! E questa maglia che ti scopre la spalla destra! E i jeans strappati! Amandine ma che diamine!» esclama papà girandosi verso la mamma, che ride e si limita a scrollare le spalle.

«Che vuoi farci Jacques, ormai è grande» risponde la mamma ridendo dei borbottii di papà.

 

Misery mi viene vicina sorridendo.

 

«Il solito gelosone» mi ricorda ridacchiando.

«Me ne sono accorta» rido e mi avvicino all'orecchio della mia gemella. «Aspetterò ancora a lungo prima di dirgli che ero pure fidanzata» la mia affermazione alquanto seria provoca un attacco di ridarella a Missy

«Meglio, sì» mi dice una volta che ha smesso di ridacchiare.

 

La guardo e noto che la pelle è sempre candida come neve, ma è già più simile a quella di mamma, e meno bianca malaticcia. Le sorrido e non posso fare a meno di abbracciarla ancora per sentire il suo profumo di vaniglia e pulito. Amo questo profumo. E amo mia sorella. Sorrido quando ricambia l'abbraccio e chiudo gli occhi.

Li riapro quando sento una voce acuta maschile chiamare mia sorella.

 

«Missyyyyyyyyy!!» questa voce mi fa alzare la testa dalla spalla di mia sorella e guardare chi la chiama.

 

Un ragazzo dai capelli turchini e gli occhi di un violaceo rosato avanza verso Misery. E' vestito in modo molto colorato, anche troppo, ma non è male. Felpa arancione, maglia acquamarina con disegnato un atomo rosa e dei jeans con uno smile giallo sulla tasca. Sembra un piccolo arcobaleno che cammina. Misery gli sorride e mi prende per mano portandomi verso il ragazzo in questione, la guardo e mi sembra di intravedere un pizzico di... Fierezza e orgoglio nei suoi occhi.

 

«Alexy!» dice lei con la sua voce melodiosa e bassa. «Permettimi di presentarti Ilenia, la mia gemella» mi indica sorridendo a trentadue denti.

«Finalmente ti conosco! Missy parlava tantissimo di te» il ragazzo mi stringe la mano che gli ho porto pochi secondi prima. «Ma cavolo sembrate tutto tranne che gemelle» dice ridendo.

«Così pare» dico sorridendo e lasciando la mano di Alexy l'arcobaleno.

 

Il turchino si gira a chiamare qualcuno, poi sbuffa e trascina verso di noi un ragazzo moro, alto quanto lui, ha gli occhi celesti, come il cielo d'estate, noto che ha lo stesso volto affilato e zigomi alti di Alexy, forse è suo fratello. Però quest'ultimo porta una felpa nera con le maniche tirate su sino al gomito, sotto la felpa aperta porta una maglia bianca con la scritta “Assassin's Creed” e sotto il famoso simbolo degli assassini, i jeans sono neri e le converse che porta ai piedi pure. Concludono il look una collana di acciaio lucido con il ciondolo a forma del simbolo degli assassini e un polsino nero a sinistra. Ma lo sguardo di quest'ultimo è rapito dalla piccola console nera che si ritrova tra le mani. Una maledetta PSP vita. Smaniavo per averla.

 

«Lui è Armin, il mio gemello» dice il turchino indicando il moro.

«A quanto pare siamo tutti gemelli» dico io allungando una mano verso Armin. «Piacere, Ilenia» lo guardo e noto che non stacca gli occhi dallo schermo di quel dannato affare.

«Armin!» esclama esasperato Alexy, temo che non sia la prima volta che il gemello ignora il mondo esterno.

«Ah-ah. Sì sì. Ciao» dice Armin con una voce leggermente roca e distaccata.

 

Quando è troppo è troppo. Sento il mio sopracciglio destro inarcarsi e senza farmi troppi scrupoli gli tolgo di mano la PSP e guardo lo schermo.

 

«Assassin's Creed. Ezio Auditore. Davvero?» gli chiedo parlando in italiano, tanto per restare nel tema.

 

Misery e Alexy mi guardano sconvolti, poi guardano la PSP sconvolti, poi guardano di nuovo me sempre più sconvolti, e non capisco il perché. Forse mai nessuno aveva osato strappare dalle mani del moro la sua amata PSP?

 

 

-<>-*-<>-


 

Mamma continua a stringermi e a controllarmi in ogni più piccolo particolare. L’ho già fatta la perquisizione in aeroporto, grazie mamma della fiducia. In fondo però la capisco, è ancora iperprotettiva come la ricordavo. Mi sorride continuando a stringermi a se, mentre fa domande a papà che le spiega come abbiamo passato questi tredici lunghi anni a Seattle. Mentre tento, inutilmente, di liberarmi dalla presa, ormai oppressiva, di mamma guardo verso mia sorella Ilenia, lei ascolta attentamente le parole di papà, poi ad tratto inizia a guardarsi le punte delle scarpe, che per la cronaca sono stupende e se papà non fosse più protettivo di mamma forse ora ne indosserei un paio simile anche io. Sorrido a questo pensiero poi però torno a guardarla e a guardare il suo sguardo fisso a terra, conosco quello sguardo, io lo uso spesso, è lo sguardo malinconico di chi pensa a qualcosa che le è successo e che per qualche motivo la fa sentire in colpa, guardo papà e con la testa gli faccio cenno di avvicinarsi a lei. Mamma si volta giusto in tempo per vedere papà stringere fra le sue possenti braccia la mia adorata gemella e allenta la presa su di me, finalmente tra un po’ andavo in crisi respiratoria. Le sorrido e le do un dolce bacio sulla guancia.


 

«Ti voglio bene mamma.» Le dico prima di avvicinarmi ad Ilenia e sentire cosa papà le stava dicendo, mentre mamma mi seguiva ugualmente incuriosita.

«E quei tacchi poi! E il trucco! E questa maglia che ti scopre la spalla destra! E i jeans strappati! Amandine, ma che diamine!» Esclama papà, mentre volta gli occhi al cielo come era solito fare, girandosi verso la mamma, che ride e si limita a scrollare le spalle.

«Che vuoi farci Jacques, ormai è grande.» risponde la mamma ridendo dei tipici borbottii di papà che ormai conosco a memoria.


 

Mi avvicino ad Ilenia sorridendo.

 

«Il solito gelosone.» le ricordo ridacchiando.

«Me ne sono accorta» ride per poi avvicinarsi al mio orecchio e sussurrare. «Aspetterò ancora a lungo prima di dirgli che ero pure fidanzata.» La sua affermazione mi fece ridere in un modo quasi contagioso, come non facevo da tempo.

«Meglio, sì.» Le dico una volta che ho smesso di ridacchiare.

 

Lei aveva avuto un ragazzo, io avevo conosciuto due gemelli e ogni volta che venivano a casa mia ero controllata a vista peggio che in una caserma. Mentre ripenso a quello che fu lei mi sorride e mi abbraccia nuovamente, prima di riuscire a fare qualsiasi cosa sento il suo dolce profumo venirmi incontro, profuma di rose e di brezza estiva. Questo è il profumo che ho atteso di poter risentire per così tanto, non c’è profumo che ami di più al mondo. E non c’è persona che ami più di mia sorella. Chiudo gli occhi e ricambio l'abbraccio stringendola forte a me, come se avessi paura di dovermi separare nuovamente da lei, cosa che non dovrà riaccadere mai più.

Riapro gli occhi quando sento una voce acuta maschile chiamarmi.

 

«Missyyyyyyyyy!!!» Non mi serve nemmeno voltarmi per capire che si tratta di quella testa turchina di Alexy.

 

Mi giro sciogliendo, a malincuore, quel dolce abbraccio. Le stringo la mano e la conduco verso il mio amico color arcobaleno. Come al solito è vestito in modo molto colorato, felpa arancione, maglia acquamarina con disegnato un atomo rosa e dei jeans verdognoli con uno smile giallo sulla tasca. Scuote la testa sovrastata da quella massa di capelli azzurrini, sorride e socchiude appena quei suoi fieri e orgogliosi occhioni color violaceo rosato che sono da sempre stati dolci, premurosi e sinceri nei miei confronti.

 

«Alexy!» Dico sorridendo e indicando la mia adorata sorella «Permettimi di presentarti Ilenia, la mia gemella.»

«Finalmente ti conosco! Missy parlava tantissimo di te» Lui le sorride stringendole la mano. «Ma cavolo sembrate tutto tranne che gemelle» conclude ridendo.

«Così pare» Afferma lei sorridendogli e lasciandogli la mano.

 

Alexy si gira cercando di chiamare qualcuno, probabilmente Armin, poi sbuffa e trascina verso di noi il suo moro gemello. Armin è alto quanto lui, però ha gli occhi celesti e lucenti come due pietre di zaffiro, ha lo stesso volto affilato e zigomi alti di Alexy, ma uno stile molto diverso. Porta una felpa nera con le maniche tirate su sino al gomito, sotto la felpa aperta porta una maglia bianca con la scritta “Assassin's Creed” e sotto il famoso simbolo degli assassini che gli ho regalato circa un anno fa, i jeans sono neri e le converse che porta ai piedi pure, per finire completa il look con una collana di acciaio lucido con il ciondolo a forma del simbolo degli assassini, regalo che gli fece Alexy al loro ultimo compleanno e un polsino nero che gli avevo cucito io con il tessuto avanzato da un mio vestito e che lui portava sempre al polso sinistro. Come sempre il suo sguardo è rapito dalla piccola console nera che si ritrova tra le mani, lo sapevo che quella era l’unica cosa che gli interessava veramente prendere dalla valigia. La sua fidata PSP vita, mai che la sua attenzione ricadesse su una ragazza o su un libro.

 

«Lui è Armin, il mio gemello» Dice Alexy indicando il gemello.

«A quanto pare siamo tutti gemelli» Aggiunge Ilenia porgendogli la mano. «Piacere, Ilenia» Ma come sempre Armin non la calcola minimamente, se sta giocando non calcola nessuno, a suo tempo l’ha fatto anche con me.

«Armin!» Esclama Alexy esasperato mentre io e lui ci scambiamo uno sguardo di rassegnazione.

«Ah-ah. Sì sì. Ciao.» Dice Armin con una voce leggermente roca e distaccata.

 

Mi volto verso Ilenia cercando di scusare il comportamento del mio amico, ma prima che io e Alexy dicessimo o facessimo qualunque cosa Lei alzò uno dei suoi curatissimi sopraccigli e poi gli tolse la console.

 

«Assassin's Creed. Ezio Auditore. Davvero?» Gli chiede lei parlando in italiano.

 

Io e Al la guardiamo sconvolti, poi guardiamo la PSP sconvolti, poi guardiamo di nuovo lei sempre più sconvolti. La cosa strana è che non era tanto quello che aveva fatto a sconvolgerci, non era la prima volta che qualcuno gli levava di mano la sua amata PSP, ma la lingua in cui aveva parlato ci lasciava decisamente senza parole. Alexy non ci stava capendo un tubo, mentre io ringraziavo papà per avermi parlato della storia della nostra famiglia quando ero piccina e per avermi parlato ed insegnato quella che era la lingua che parlava sua madre, cioè l’italiano.

 

«Ilenia da quando parli italiano?» Chiedo sorridendole.

«Hum… Fammi pensare. Da… Hum, oddio quanti sono, dalle medie quindi circa sette anni credo.» Dice sorridendomi prima di aggiungere. «Però l’italiano a livello scolastico non mi bastava, quindi prendo tuttora lezioni private un ora al giorno da allora.»

«Io sinceramente non ci ho capito una parola. Italiano, ma che lingua è?» Aggiunge Alexy incrociando le braccia dietro la testa sorridendo.

 

Italiano è la lingua da cui deriva il nome di mia sorella, nome che le è stato dato in memoria della nostra cara nonna. Ricordo ancora oggi quando papà mi raccontò di lei.

 

 

Avevo circa sette anni e avevo da poco iniziato il ciclo di chemioterapia per fermare il meningioma al cervello ed evitare che si espandesse. Ero sul letto della mia camera con un libro tra le mani, come sempre, quando papà entrò in camera per portarmi una tazza di thè caldo alla mela, uno dei miei preferiti.

 

«Ecco il tuo thè tesoro mio, vuoi qualcos’altro?» Disse passandomi la mia tazza tiepida.

 

Ogni volta che i preparava un thè bollente lo versava in una tazza in ceramica viola che teneva in congelatore in modo tale che io non mi scottassi le mani prendendola tra di esse, era così premuroso con me. Io soffiai quattro volte, rituale che facevo ogni volta soffiando una volta per ognuno dei componenti della mia famiglia, e poi presi due grandi sorsi di thè mentre lui mi accarezzava la testa.

 

«Papà non riesco a ricordarmi la nonna.» Dissi con lo sguardo basso e malinconico sentendomi in colpa per ciò che avevo appena detto.

«Aspettami qui piccola mia.» Rispose semplicemente papà uscendo dalla stanza per tornare poco dopo con un album fotografico nero con rilegature bianche che mi disse in seguito aver confezionato mamma per me per momenti come questi.

«Quello cos’è? Non l’ho mai visto prima.» Chiesi poggiando la tazza sul comodino e sporgendomi incuriosita verso papà.

«Questo è un album fotografico. Guarda.» Disse lui mostrandomi le varie foto.

 

Cominciò con una foto di famiglia in cui c’eravamo io e la mia sorellina gemella tra le braccia di papà e mamma all’età di tre anni, poi mi mostrò tantissime altre foto fino ad una in cui vi erano lui e una donna dai lunghi capelli ricci e biondi con due enormi e dolci occhioni blu con sullo sfondo la torre di Pisa.

 

«Chi è questa donna bionda papà?» Chiesi indicandogliela. «E dove siete?»

«Tesoro mio quella è tua nonna Ilenia e quella è Pisa, la città dov’è nata.» Aggiunse sorridendomi e accarezzandomi amorevolmente la testa.

«Ilenia? Ma Ilenia non è il nome di mia sorella? E se questa è la nonna perché non l’ho mai vista?» Dissi guardandolo confusa.

«Vedi tesoro mio…» Disse diventando malinconico e circondando le mie spalle con un braccio. «Purtroppo tua nonna ha avuto un terribile ictus pochi mesi prima che voi due piccine nasceste e ora è lassù in cielo che veglia su tutti noi.» Aggiunse sospirando e alzando gli occhi al cielo mentre una lacrima gli rigava il volto.

 

Quella fu una pochissime volte in cui vidi uscire delle lacrime dai suoi occhi, lui non piangeva praticamente mai.

 

«Vedi quando la tua gemellina Ilenia è venuta al mondo aveva la stessa carnagione abbronzata che ho io e che a sua volta aveva mia madre e possedeva anche il suo stesso dolce sorriso e i suoi due enormi occhioni blu. Io guardai tua madre e lei mi disse che tua sorella poteva portare un solo nome e quello era Ilenia. Abbiamo chiamato così tua sorella in memoria della meravigliosa donna che il tempo sì portò via all’improvviso e troppo presto, in memoria di mia madre.» Disse stringendomi a se.

«Mi dispiace tanto papà» Dissi asciugandogli le lacrime dal volto malinconico su cui spuntò un amorevole sorriso. «Papà voglio imparare l’italiano, mi insegneresti la lingua che parlava la nonna?»

 

Detto ciò gli sorrisi, lui annuì, mi strinse forte a se e mi diede un dolce bacio sulla testa. Da quel giorno perdevamo almeno un ora al giorno o più a imparare l’italiano che ora padroneggiavo quasi quanto una madre lingua.

 

 

«Misery chi è questa ragazza? Perché mi ha preso la PSP? E che lingua parla?» Si lagna Armin, sembrando quasi un bambino piccolo, mentre scuotendomi per le spalle mi riporta alla realtà.

«Armiiin. Se continui così mi girerà la testaaa.» Dico afferrandomi ad Alexy e cercando di far smettere di girare tutto.

«Hai ragione. Perdonami Missy. Però non mi hai risposto. Uffa.» Continua a lagnarsi Armin mentre smette di scuotermi e io lascio la presa da Alexy.

«ARMIN!» Urla Alexy prendendolo per un orecchio. «Ma sei scemo o cosa? Se non dormissi in piedi ti saresti accorto che te l’abbiamo appena presentata, in più Misery non ha fatto altro che parlarti di lei in questi anni coglione!» Conclude lasciandogli l’orecchio sufficientemente torturato.

«He-hem… Coglione… He-hem…» Tossicchia Ilenia in italiano mentre io me la rido essendo l’unica a capirla.

«AIA!!! Alexy mi hai fatto male!!!» Continua a lagnarsi Armin mentre io smettendo di ridere aggiungo.

«Allora Armin, stai attento perché sta volta non lo ripeto più. Ti presento la mia sorella gemella Ilenia.» Dico indicandola.

«Perdonami, piacere io sono Armin.» Aggiunge porgendole la mano.

«Piacere Ilenia.» Dice lei stringendogli la mano. «Non si nota neanche un po’ che sei un fan di Assassin's Creed.» Dice sarcasticamente restituendogli la PSP.

«Tu dici?» conclude imbarazzato grattandosi la nuca.

«Al, Ar e cara Missy con chi state chiacchierando?» Dice Emily accarezzandomi la testa mentre Max la raggiunge trascinando dietro di se tre o quattro trolley.

«Emily, Max è per me un piacere presentarvi la mia adorata sorella gemella Ilenia, Ilenia loro sono Emily e Max i genitori dei gemelli.» Dico presentandoli.

 

Max non è un tipo molto loquace contrariamente a Emily che è un uragano di energie.

 

«Ilenia non sai quanto la cara Missy ha parlato di te in questi anni, ma sei addirittura più bella di quanto mi fossi immaginata da come lei parla sempre di te.» Dice Emily sorridendo ad Ilenia.

«Mi sembra logico che sia bellissima, è mia figlia dopotutto, Emily.» Aggiunge papà sorridendo orgoglioso, mentre lui e mamma ci raggiungevano. «Emily, Max. Per me è un vero piacere ed un onore presentarvi la mia splendida moglie Amandine.»

 

Conclude presentando la mamma agli altri poi continuiamo tutti a chiacchierare amabilmente per un po’.

 

«Beh ragazzi che ne dite di andare a fare colazione? In fondo se non vado errato sono le nove.» Dice ad un certo punto papà.

«Ottimo, sinceramente io ho un lieve languore.» Afferma Max sorridendo a papà.

 

Credo che quella fosse una delle sue conversazioni più lunghe.

 

«Ma dove? Noi siamo nuovi di Parigi.» Aggiunge Emily correggendo l’affermazione del marito. «Giusto Armin.» Dice fulminando con lo sguardo il ragazzo che è immerso nel suo gioco e non da retta a nessuno.

 

Lei si arrabbia, gli pizzica un orecchio, gli prende la console e la mette nella sua borsa.

 

«No, mamma perché?» Si lagna lui.

«Così impari a conversare educatamente. Sei sempre su quel coso.» Conclude irritata.

«Uffa.» Conclude lui.

«Che ne dite di andare al Café Ruc?» Dice mamma riportando l’attenzione sulla colazione.

«No mamma, quel posto è troppo antico e poi il servizio è lentissimo. Non è meglio Le Sable Doré?» Aggiunge Ilenia bocciando la proposta di mamma.

«Tesoro caro quel bar ha uno stile egizio troppo sofisticato per una prima colazione, non vorrai mica farli tornare a Seattle di corsa. Preferirei andare al Pierrier-Jouët, tu che dici?» Chiede picchiettandosi il labbro inferiore con l’indice della mano destra, cosa che faccio anche io spesso mentre penso.

«Ottima idea mamma, lì il servizio è stupendo e fanno delle fantastiche brioches.» Conclude Ilenia euforica, come se non fossero tanto le brioches che non vedeva l’ora di provare.

«Allora è deciso. Andiamo tutti al Pierrier-Jouët.» Concluse papà ridendo.

 

Detto ciò ci siamo diretti tutti verso l’uscita dell’aeroporto continuando a chiacchierare, la destinazione era chiara il bar Pierrier-Jouët per fare un’allegra collazione tutti insieme. La mia prima colazione con tutta la mia famiglia riunita come non lo era da tanto tempo.



Angoletto delle autrici:

Buon venerdì cari orsetti gommosi *O* buon fine settimana e buon inizio week-end!
Eccoci qua con il secondo capitolo di questa Fan Fiction! Speriamo che vi piaccia :3
Come avrete notato è moooolto più lungo del primo, e ci scusiamo, ma quando ci buttiamo nella scrittura siamo come dei piccoli fiumi in piena e non ci fermiamo finché non vediamo che abbiamo fatto un capitolo di tipo ventimilioni di pagine D: ma speriamo apprezziate la cosa v.v
In questo capitolo Ilenia conosce gli amici della sorella e già vorrebbe distruggere la PSP di Armin, oppure rubargliela e tenersela per lei xD è mooolto indecisa xD
Boh care meringotte mie, questo è tutto, speriamo vi piaccia il capitolo :3
Recensite se volete, accettiamo critiche costruttive, complimenti, biscottini alla nutella, 10.000€ a testa... Cosa volete fare fate :3
Ci leggiamo (?) il prossimo venerdì :D
Baci e abbracci :D
IleWriters & Misery007


 

Pubblicato il: 6 marzo 2015

  
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