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Autore: Lux in Tenebra    06/03/2015    4 recensioni
[-Creepypasta-]
(Volevo raccontare la storia di uno Slenderman diverso dal solito, ispirata da alcune fan art e racconti che si trovano sul web (e non intendo le solite ficcy xD). Se siete fan della versione crudele dello Slender vi consiglierei comunque di leggere questa fic perché offre una visione differente sul personaggio. Tutta la storia è incentrata dal punto di vista del nostro protagonista maschile.)
La vita era una lunga routine, piena di mal di testa, rose invadenti, vestiti alla moda e pois multicolore che apparivano misteriosamente sulle sue cravatte.
Slender voleva fuggire via da quel caos, ma non poteva lasciare i suoi fratelli senza una guida.
Probabilmente si sarebbero autodistrutti.
Nel profondo c'era qualcosa che gli diceva che doveva restare e che, forse, prima o poi ci sarebbe stato un cambiamento, uno spacco in quel circolo vizioso:
Una tempesta si approccia impetuosa, scaraventando via tutte le barriere che proteggono il cuore e l'anima di quella creatura chiamata mostro.
Solo una cosa è certa, niente sarà più come prima.
Genere: Comico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Offenderman, Slenderman, Splendorman, Trendorman
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le disavventure degli Slenders'
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19. The right thing to do.

 


Pochi secondi dopo quella sconcertante scoperta, mi ritrovai con la schiena poggiata sul muro, scivolando giù lentamente, privo di forze. Era come se qualcosa dentro di me fosse stata strappata via con violenza, facendo colare del sangue vivo dall’interno del mio cuore, martoriato e confuso dall'improvvisa onda di dolore che mi aveva travolto.

La amavo ma, infondo, non sapevo neanche chi fosse in realtà e il suo passato mi era completamente ignoto. Perché era una proxy? Lo era diventata volontariamente o era stata costretta? Aveva mai avuto una famiglia, degli amici o qualcuno che la stava aspettando e a cui apparteneva ora il suo cuore? Era davvero tutta una bugia ciò che mi aveva detto?

Appoggiai la testa tra le gambe, contemplando il silenzio nella stanza, interrotto a tratti dal suo respiro irregolare e dal suono del vento che soffiava con una snervante calma, sfiorando i vetri delle finestre, creando così in me un profondo senso di irritazione.

Non sapevo cosa fare allora, sebbene in quel momento il dovere e la salvezza dei miei fratelli mi imponessero una sola ed estrema scelta: qualcosa che desideravo evitare con tutto il cuore ma che, probabilmente, sarebbe stata la soluzione più sensata.

 

Erano passati tanti anni da quel giorno in cui mio padre mi insegnò una lezione che mi sarebbe stato difficile mettere in un cassetto tanto facilmente. Fu proprio prima della nostra partenza improvvisa, mentre il mondo tranquillo in cui avevamo vissuto prima si sgretolava sotto i nostri occhi, rivelando la sua vera faccia: un volto crudele, pieno d'oscurità e desiderio di potere a tutti i costi, in cui valori come l'amicizia e l'amore erano solo meri concetti astratti.

Le sue parole ancora riecheggiavano per le pareti di quella stanza, rimembrandomi i miei doveri nei confronti della mia famiglia:

Slender, rimembra in futuro ciò che sto per dirti, non ti è permesso scordarlo. Tu sei il maggiore e il tuo dovere è quello di proteggere i tuoi fratelli a tutti i costi. Sembrerà deprimente, ma io non vivrò per sempre, non so nemmeno se riuscirò ad arrivare a domani, quindi devi sapere che, quando quel giorno arriverà, la responsabilità di tutto ricadrà sulle tue spalle. Quello che è successo alla mamma è solo l'inizio, dovete andarvene da qui. Questo posto non è più sicuro e voi non siete ancora abbastanza forti per difendervi da soli e, sopratutto, ricorda che, quando sarete soli, a te toccherà il peso delle loro vite. Eliminare ogni pericolo che troverai sulla strada sarà il tuo compito e non importa se questa minaccia deriverà da qualcuno a cui terrai, l'importante è che rimaniate uniti: tutto il resto è sacrificabile, persino i sentimenti personali.”

 

 

Ritrovai un po’ di forza in quelle parole che mi permise di rialzarmi e di accostarmi alla sua figura: era così debole e indifesa in quel momento, tanto che sarebbe bastato poco per assicurare la salute di tutti gli abitanti della casa. Un movimento veloce e ogni cosa sarebbe finita così come era iniziata.

 

Ma è davvero ciò che voglio?

 

Pensai, mentre nella mia testa regnava la confusione più totale.

Senza rendermene conto, una strana sensazione di gelo mi avvolse improvvisamente, mentre quelle parole riecheggiavamo come un comando, una legge imposta a cui non potevo sottrarmi, tirando fuori ciò che io consideravo come il lato più subdolo del mio essere. Alzai un viticcio che iniziò ad ondeggiare minaccioso nell'aria, irrigidendosi di botto e mettendosi in posizione per colpire. Ma, piano piano, quell'arto iniziò a tremare, colto dall'esitazione, mentre quel pensiero assumeva sempre più consistenza. Il senso del dovere che si era impossessato di me trovò un muro nato dall'affetto che si era sviluppato per quella donna durante tutto quel tempo. Comparve poi, come una reazione a catena, una traccia di paura, grande quasi quanto una piccola scheggia.

Prima che potessi fare qualsiasi cosa, i suoi occhi si dischiusero piano, fissandomi, offuscati dal sonno e dalla stanchezza, facendo ingrandire così quella piccola scheggia, finché non poté più essere ignorata.

“Slender?” chiese con un filo di voce, richiudendo le palpebre con lentezza, notando il viticcio che aleggiava minaccioso nell’aria.

La fissai senza parole, mentre incontrai nuovamente il suo sguardo. Qualsiasi cosa stesse architettando e se veramente era venuta per ucciderci, i suoi occhi non ne mostravano alcuna traccia: mi fissavano con quella solita espressione dolce, facendomi sentire terribilmente bene e al sicuro, rendendomi impossibile compiere quell’unico difficoltoso gesto.

“Slender, perché?” pronunciò, fissando il mio prolungamento che stava puntando al suo cuore, con lo sguardo che si riempì di tristezza ma, cosa assai sospetta, non paura.

Non riuscii a rispondere, non riuscii a dirle niente, riuscii solo a fissarla negli occhi. Di lì a poco sarebbero diventati vitrei, privi di ogni luce vitale e di tutte le emozioni che avevo visto scorrere su di essi con forza.

E, senza che me ne accorgessi, mi intrappolarono nel loro incanto, bloccando la mia mente e facendo afflosciare al suolo quell’arma puntata contro di lei.

Non riuscivo, non potevo, non avevo la forza per porre fine alla sua vita. I miei sentimenti per lei mi avevano intrappolato, quasi come se una catena fosse stata fissata sul mio cuore, impedendomi di porre fine a tutto e di compiere il mio dovere. Mi aveva catturato e non avevo alcuna voglia di liberarmi.

Appoggiai le mani sul volto, scosso da tremiti incontrollabili, maledicendomi per essere stato così debole e incauto da farmi guidare da emozioni effimere. La colpa era mia, avevo permesso che ciò accadesse e ne avrei pagato le conseguenze.

Sentii qualcosa posarsi sulla mia testa e, rimembrando quel contatto a cui prima mi ero affidato così ciecamente, mi ritrassi di scatto, terrorizzato dall'idea di venir di nuovo intrappolato da quell'incanto.

Mi faceva ancora piacere, persino con maggiore intensità di prima, ed era terrificante per me: dovevo temerla, odiarla, non continuare a provare quelle sensazioni così positive!

“Slender, che diavolo sta succedendo?” chiese lei, mettendosi a sedere e gemendo dal dolore nel processo. Si cinse le spalle con le mani, un’espressione spaesata sul volto, continuando a cercare il mio sguardo per trovare una spiegazione, mentre le mie parole venivano soffocate da lacrime di frustrazione e pena.

“… traditrice” pronunciai quell’unico suono a fatica, sputandoglielo in faccia con un disprezzo profondo, ancora scosso da fremiti. Le lacrime si prosciugarono lentamente.

“C-cosa?” chiese piano, colta di sorpresa, stringendo di più le mani sulle braccia.

“Traditrice, come ti sei permessa?!” sibilai parole che trasudavano una profonda malevolenza, maledicendola silenziosamente per avermi attratto in quell'inganno. Il mio cuore in quel momento gridava di dolore, sopraffatto dal sospetto e dal tradimento della persona che credeva lo amasse con tutta se stessa, soffocato da sentimenti negativi che mi avvelenavano piano l'anima.

“Slender, di cosa stai-?“ iniziò lei, inclinando la testa e strizzando gli occhi persi più che mai. La interruppi prima che potesse completare la domanda, sapendo che se l'avessi ascoltata, sarei caduto nuovamente nella suadente trappola delle sue parole.

“Tsk! Come se non lo sapessi, Aliaga?! Se questo è davvero il tuo nome e non mi hai mentito ancora una volta!” esclamai, mettendo distanza tra di noi ed evitando il suo sguardo.

“Ma io non ti ho detto nessuna bugia!” ribatté lei, cercando di difendersi con estrema convinzione.

Infuriato dal fatto che lei riuscisse ancora a mentirmi con tanta spudoratezza, le afferrai il polso con violenza, alzandolo in aria e mostrando quella cicatrice.

“E questo?!” appoggiai di nuovo la bocca sopra, facendo risplendere quel marchio violetto, “Cos’è questo, Aliaga?!” gridai, stringendo con forza la presa, provocandole una consistente fitta di dolore.

Fu allora che il castello di cristallo si incrinò, creando una grossa crepa che solo il tempo avrebbe richiuso.

Il suo sguardo divenne vuoto all’improvviso, quasi senza emozioni, spaventandomi nel profondo: non avevo mai visto un’espressione simile prima d'allora, aveva qualcosa di terribilmente anomalo.

Liberò il polso con un movimento netto e mi osservò sottecchi senza mostrare alcun sentimento.

“E’ il mio marchio da proxy, non si vede?” chiese gelida, accarezzandosi il polso con estrema calma.

“Chi ti ha mandato?!” esclamai, preso alla sprovvista dal suo gesto improvviso, indietreggiando.

“Che domanda idiota! Non mi ha mandato nessuno, signor Slenderman” dichiarò, togliendosi di dosso le coperte e cercando di scendere dal letto con non pochi sforzi e gemiti di dolore.

Bloccai quella parte di me che stava cercando con tutte le forze di fermarla dal farsi male da sola, cercando di ricordare a me stesso il pericolo che quella donna comportava.

“Allora perché hai quel segno? Perché sei qui?” chiesi, spiazzato dalla sua risposta così incolore.

“Ma quante domande… se è la salute della tua famiglia che ti preoccupa” iniziò, scendendo dal letto e reggendosi in piedi a fatica, “non sono qui per fare del male a nessuno. Sono capitata in questo luogo per caso e, per quanto riguarda quel segno, c’è l’ho da quando ero una bambina e non per mia scelta” concluse, arrancando verso la porta e agguantando il pomello con fatica.

Girò lo sguardo verso di me: “Contento ora? Non torcerò un capello a nessuno” disse, aprendo la porta.

“Come faccio a sapere se non mi stai mentendo? O che qualcuno non ti controlla?” chiesi infine, incontrando di nuovo i suoi occhi ora così freddi.

“Non lo so, Slender, ma, a quanto pare, piuttosto che provare ad ascoltarmi, avresti preferito impalarmi il cuore direttamente. Ma sappi che non ti biasimo, non sei il primo a provarci e non credo sarai nemmeno l'ultimo.”

E così dicendo,spalancò la porta e la richiuse dietro di se.

Continuai a fissare quel confine di legno, mentre i suoi passi piano piano si spegnevano, attutendosi fino a scomparire. Un grosso vuoto si fece largo lentamente nella mia figura, portandomi ad ammirare l'improvviso silenzio del mondo in quell'istante di infinito. Sembrava quasi come se ogni cosa si fosse bloccata nel tempo e tutto ciò che rimaneva fosse solo il freddo pungente e un senso pressante di solitudine. Una solitudine profonda come un oceano sconfinato, ricolmo di creature terrificanti provenienti da un passato traboccante di tenebre e fobie irrisolte che aleggiavano nell'animo come fantasmi irrequieti.

Mi appoggiai sul letto e osservai il muro con sguardo vitreo, incapace di dormire.

 

°°°°

 

Passarono i giorni con una lentezza esasperante, mentre ogni secondo sembrava durare un'eternità. Constatai con dispiacere che, in quel momento, la normale routine mi era diventata insopportabile, arrivando fino al punto di dovermi rifugiare spesso nella foresta per non sbottare all'improvviso davanti ai miei fratelli. Lei era tornata a casa sua e si stava riprendendo abbastanza velocemente, ma il suo sguardo, da quella sera, era diventato di una freddezza insostenibile. Ma come biasimarla? Aveva tutte le ragioni, così come io avevo le mie per comportarmi in quel modo. Non accadde niente ai miei fratelli, né lei tentò di avvicinarsi a loro, rimanendo nella sua zona, senza allontanarsi mai, ma il dubbio rimaneva, senza mai assentarsi per un secondo. La stanza della zia si svuotò misteriosamente, senza che nessuno si rendesse conto di niente. Raggiungemmo la conclusione logica che fosse stato un ladro a trafugare la sua roba, sebbene fosse sospetto il fatto che non avessero cercato di rubare altro. Passarono due giorni da quella sera, quando qualcuno bussò alla porta di casa nostra. Come al solito stavo leggendo il giornale in salotto con la compagnia di Trender, seduto sul divano, che stava realizzando un maglione ai ferri da regalare a Splendor, le cui condizioni erano diventate piuttosto stabili.

 

Tok, tok!

 

Alzai la testa dal giornale, distratto da quel rumore inaspettato. Trender fece lo stesso, fermando lo sferruzzare che fino a poco prima riempiva l'aria.

Ci guardammo interrogativi, senza avere la minima idea di chi potesse essere.

“Aspettavamo visite?” chiesi a mio fratello, sperando di non aver dimenticato qualcosa a causa di tutto il caos che si era creato in quel periodo.

“Che io sappia, no” disse lui scuotendo la testa e girandosi incuriosito verso il corridoio.

Richiusi il giornale, poggiandolo sul tavolino, mi diressi verso di esso e mi fermai proprio davanti alla porta.

 

Tok, tok, tok!

 

Bussò qualcuno di nuovo con più insistenza. Appoggiai la mano sul pomello, indugiando un po' e poi l'aprii piano, lasciando solo un piccolo spiraglio per controllare che non ci fosse alcun pericolo. Rimasi completamente sorpreso da ciò che vidi: un'umana abbastanza bassa, mi fissava con due occhi verde acceso e dei capelli castano chiaro. Era vestita in un modo piuttosto bizzarro: indossava un vestitino ornato di pizzo e un piccolo cappellino sulla sua testa con una fascetta verde e due grossi cuori rossi cuciti su quest'ultima.

Lei mi sorrise in modo gioioso:

“Buon giorno!” esclamò, facendo un passo in avanti, per cercare in qualche modo di entrare.

Chiusi di più la porta per sicurezza, mentre lei mi fissò interrogativa, inclinando la testa di lato per il mio comportamento assai diffidente.

“Chi è lei, come ha fatto ad arrivare qui e cosa vuole?” chiesi, stringendo di più lo sguardo su di lei, cercando di farla sentire in imbarazzo.

Ma a quanto pare non funzionò.

“Io sono Sarah Caelum, piacere di conoscerla! Sono arrivata in questo luogo grazie alla piantina che è alle mie spalle, seguendo le indicazioni della signorina Aliaga scritte su questo foglio, e sono qui perché mi è stato detto che cercavate una strega con poteri di guarigione. Lei deve essere il signor Slenderman, dov'è il mio paziente?” disse tutta contenta, facendo la riverenza e mostrandomi un fogliettino di carta tutto malridotto con sopra delle indicazioni incomprensibili.

 

Ma che accidenti c'è scritto sopra? Sembra gaelico antico o qualche altra sorta di scrittura dimenticata dal mondo!

 

Dopo aver analizzato quel pezzo di carta straccia, mi sporsi dalla porta per guardare dietro di lei, notando una pianta dall'aspetto alquanto familiare che si allungò sopra di lei per osservarmi.

Di sicuro a quella ragazza non funzionavano bene gli occhi: era a dir poco gigantesca! Avvicinò la faccia alla mia, mostrando i suoi canini aguzzi, per esprimersi con un unico e dolcissimo suono.

 

Rawrr!!

 

Divenni più bianco del mio solito e chiusi d'istinto la porta, appoggiandomi sopra e bloccandola con i viticci, terrorizzato a vita da quella cosa.

Se avessi avuto gli occhi, mi sarebbero di certo caduti per terra!

 

Alla faccia della piantina!! Quella cosa è un mostro! No no, col cavolo che apro ora!

 

°°°°


 

   
 
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