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Autore: Give_me_only_kiss    06/03/2015    6 recensioni
Zayn pensa, fuma e disegna. Stava bene sul muretto della stazione, poi è arrivato Louis.
Liam sarebbe stato il figlio perfetto, ma Louis rovina sempre tutto.
Se Harry dovesse dare un nome al suo principe, quello sarebbe Louis.
Louis è una maschera di bellezza evanescente. C’è chi vede solo l’esterno, e poi c’è Harry.
Niall in tutto questo non c’entra nulla, ma sarà colui che racconterà questa storia ogni volta che ne avrà voglia, perché questa favola rimarrà la sua canzone preferita.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Wake me up when september ends

A Irene, perché ha sempre fiducia in ciò che scrivo.

Zayn sa che ultimamente sta parlando troppo, che sta fumando di meno e che sta usando troppo l’azzurro. Cerca di mentire a se stesso, di tirare fuori il pacchetto delle sigarette più spesso, di parlare di meno con Niall, il buffo irlandese che, come lui, fa ufficialmente parte dell’arredamento della stazione di quella piccola città. Zayn praticamente vive sul muretto che divide il binario otto dal binario nove, quasi per illudersi che un giorno riuscirà ad attraversarlo e ad andare a Hogwarts. Sta lì e passa la giornate a disegnare, a fumare, a osservare, completamente annoiato dalle persone stereotipate, del tutto prive di particolari interessanti e dalla vita. L’unica persona interessante che Zayn conosce è Niall, tant’è che a volte scende dal suo muretto e gli si siede accanto, all’angolo tra la biglietteria e il piccolo bar, e canticchia con lui. Parla poco, Zayn, ma Niall parla abbastanza per entrambi. Così Zayn viene a sapere che è irlandese, che ama Justin Bieber, che ha un fratello e un nipote che adora e che una volta ha sbagliato a comprare tinta e ha avuto i capelli fucsia per tre mesi. Zayn pensa che Niall sia strano ed è una delle poche cose che gli dice, oltre al suo nome e al chiedergli se ha un accendino. Niall non ha mai un accendino.                                                        
Però ha una bella voce, la gente si ferma spesso ad ascoltarlo e gli lascia sempre qualche banconota. Quindi Zayn ne approfitta per vendere qualche suo disegno o cercare qualcun altro da ritrarre. Magari qualcuno che abbia un accendino sempre a portata di mano.                                                                                                               
Louis. Louis ha sempre un accendino, anche se lo porge a Zayn con reticenza e lui, in realtà, non lo usa mai, perché non fuma. In effetti, quello potrebbe essere uno dei motivi per i quali Louis è strano. Oltre che incredibilmente bello, rumoroso, perfetto in tutto.                                                                                                         
Ha sempre la risposta pronta, Louis, perfino alle domande che Zayn gli pone con lo sguardo. Quando sorride, intorno agli occhi si disegnano decine di piccole rughette che lui si rifiuta di definire “zampe di gallina”, nonostante su di lui siano belle, perché è Louis. È Louis e ha i capelli sempre spettinati ad arte; è Louis e ha le labbra sottili, ma Zayn ci scommetterebbe una sigaretta che sono morbide e carnose; è Louis e ha un fisico perfetto, da calciatore, tonico e allenato, macchiato da tatuaggi senza senso, proprio come i suoi, poiché, proprio come Zayn, Louis crede nella bellezza estetica e non simbolica dei tatuaggi. In sostanza, Louis è uno dei ragazzi più belli che Zayn abbia mai avuto il piacere di incontrare. Il suo unico problema sono gli occhi: azzurri, grigi e verdi a tratti, una tela di colori liquidi maldestramente mescolati tra loro da un pittore impaziente di sporcare la tela. Cosa c’è di strano?                                                                                    
C’è che gli occhi del perfetto, puntuale e strano Louis sono vuoti, freddi. La gioia di un sorriso mai li contagia e Zayn non lo ha mai sentito ridere.                                                                                                                      
“Perché ti porti sempre dietro un accendino, se non fumi?” gli chiede Zayn, quando Louis lo avvicina per la prima volta, incuriosito dal disegno che Zayn sta contemplando, in mezzo alla folla della stazione, senza curarsi di chi lo spintona e gli impreca contro, tentando di capire cosa manca.                                                         
“Per avere un pretesto” risponde Louis “per farmi nuovi amici e obbligarli a farli smettere. Senso del dovere, immagino.” Da lì comincia il loro rapporto, sempre se così si può definire. Non conversano, non scherzano: Zayn non sa nemmeno se si possano definire amici o solo strambi conoscenti che si fanno domande. Opinioni, cose personali, pareri. Su tutto. A Zayn pare un gioco, lo diverte; Louis continua perché ha tante cose da dire e gli piace guardare Zayn disegnare.                                           
Zayn non dice a Louis che lo aveva notato un sacco di tempo prima, il primo di quel mese freddo e umido: lo aveva visto piangere, correndo dietro a un ragazzo, chiamando il suo nome a gran voce. Non gli dice che lo aveva spaventato, perché dopo essere caduto a terra in preda ai singulti si era rialzato come se nulla fosse e aveva sorriso al buio, gli occhi malinconici e splendenti nell’oscurità. Non gli dice che da quando si parlano fuma di meno, perché sa che è quello l’obiettivo di Louis, ma lui non vuole che se ne vada.                     
Non gli dice nemmeno che il suo colore preferito è il nero, e non l’azzurro, ma una giustificazione doveva pur darla alla costante presenza di quel colore nei suoi ultimi lavori, che non fosse “amo i tuoi occhi.”              
Niall dice che dovrebbe lasciarlo perdere. Secondo il biondo, Louis è un robot: non è possibile, infatti, che un essere umano sia bravo a scuola, negli sport, nel canto e sia pure uno strafigo con un sacco di amici e strane teorie sulla vita. E quando Zayn alza gli occhi al cielo, Niall rincara la dose, aggiungendo che nessun ragazzo può indossare magliette a righe senza sembrare una balenottera. A quel punto, gli occhi di Zayn si zittiscono, ma poi scoppia a ridere e si chiede perché dà ancora corda a Niall. Quello mette su il broncio e canta una canzone di Justin Bieber per tirarsi su il morale. Zayn sa che, quando avrà finito di suonare As long as you love me, avrà già dimenticato tutto. Niall è fatto così.                                                                                                  
Dopo una settimana, Zayn sa che Louis ha cinque sorelle e un fratello, ma che ovviamente non hanno lo stesso padre, sa che odia le carote e i calzini, che ama il the e il mare. Sa che pensa che la vita sia qualcosa di fulmineo, un dono troppo grande che la maggior parte di noi non merita e che oggi la gente si è ridotta a cercare nelle convenzioni opposte una manovra per riuscire a distrarsi dal pensiero di appartenere a una generazione stanca e bruciata, riuscendo ad ottenere l’effetto opposto: una società conforme nello sguazzare in un anticonformismo che poi non è tale, in realtà. Louis ha una mente contorta, Zayn se ne accorge troppo tardi. Continua a parlare troppo, a usare troppo azzurro e, checche non voglia ammetterlo, non ruba più a Niall i soldi per le sigarette, perché sono ormai tre giorni che ha sempre lo stesso pacchetto.            
“Dove vivi, Zayn?” gli chiede Louis, una fredda sera di settembre. Sono sul muretto di Zayn, il moro sta fumando e Louis stringe a sé i libri che si è portato per studiare. Il cuore di Zayn ha fatto una capriola quando lo ha visto avvicinarsi, i libri in una mano e una merendina dietetica nell’altra, ma ha ignorato lo sguardo stranito di Niall alle sue guance probabilmente arrossate.                                                                               
“Qui” risponde, come se fosse la cosa più naturale del mondo “e quando fa troppo freddo, a casa di Niall.”   “E la tua famiglia?” domanda ancora. Zayn si stringe nelle spalle. Niall sta cantando non sa quale canzone di Bruno Mars, troppo orecchiabile per i suoi gusti.                                                                                                                            
“Immagino che sia dove l’ho lasciata.”                                                                                                                                           
“Non ti manca?” Domanda alla quale Zayn risponde scuotendo la testa, senza la minima esitazione.                            
“Non eri tu a dire che la mancanza di qualcuno o qualcosa è segno della debolezza umana?” gli fa notare Zayn, inclinando la testa. Louis sorride mestamente, abbassando lo sguardo sulla disequazione che sta tentando di risolvere.                                                                                                                                                               
“Beh, ma la famiglia è un’altra cosa.” Il suo tono è stanco, triste. Zayn si chiede se stia pensando a qualcuno in particolare e gli torna in mente quel ragazzo. Eppure, Louis gli aveva detto di aver solo un fratello minore.       
“Dovresti pensare a tutte le circostante, prima di parlare. Non credi, Louis Tomlinson?”                                              
“Probabilmente dovrei farlo, Zayn Malik.”                                                                                                                                              
Il sorriso che segue è probabilmente la risposta che Zayn darebbe se qualcuno gli chiedesse perché si è innamorato di Louis Tomlinson, l’unico ragazzo che può portare le righe senza sembrare una balenottera e che Niall non sopporta perché mangia merendine dietetiche.                                                                                          

Se c’è una cosa che Liam odia è arrivare in ritardo. Per questo la sera prima ha preparato i vestiti da mettere, provato e riprovato un discorso che saprebbe recitare anche nel sonno, impostato cinque sveglie e messo la benzina.                                                                                                                                                                  
Se c’è una cosa che Liam sa bene però, è che la sfiga, quando si annoia, punta tutto su di lui. A dimostrazione, la sveglia decide di non suonare e la macchina di non partire. Ovviamente, piove a dirotto. Liam, però, è previdente: ha fatto anche il biglietto per l’autobus e si è portato l’ombrello. Peccato che l’autobus sia in ritardo pazzesco.
Le persone ritardatarie sono inaffidabili e irresponsabili: quella non è esattamente l’idea che Liam vorrebbe dare di sé al colloquio per la borsa di studio. Non può fallire, assolutamente. Non anche in quello.                            
A sette anni aveva fallito con la squadra di calcio. A quanto pareva, un ragazzino cicciottello e con problemi di dialisi non è proprio l’idea per giocare agonisticamente.                                                                                                        
A undici anni aveva fallito con la sua prima cotta. Si chiamava Danielle ed era bellissima, ma evidentemente lui non era abbastanza. Con il tempo ci aveva fatto l’abitudine, Liam, a non essere abbastanza, ma quando Danielle gli disse, dall’alto delle sue scarpe con i lacci diversi e il frontino con il fiocco rosa, che non era abbastanza carino per pranzare con lei, Liam ci rimase talmente male che non parlò per giorni.                                     
A tredici era ormai lo sfigato della scuola: tornava a casa con un occhio nero e il labbro spaccato, la dignità sporca e le lacrime ormai secche all’altezza del mento. Nessuno faceva caso al piccolo Liam che si nascondeva in bagno a fissare il bianco del soffitto, a chiedersi se un giorno avrebbe potuto inghiottirlo.        
Non l’aveva fatto. Liam aveva continuato a collezionare fallimenti e sguardi delusi dei suoi genitori, uno dopo l’altro. Ancora oggi, Liam è la pecora nera della famiglia: a scuola non prende voti abbastanza alti, se la cava negli sport, ma non eccelle in nessuno, la sua bellezza non è nulla di particolare e ha pochi amici.        
Niente a che vedere con Louis, con le sue A, le sue comitive di amici infinite, alla sua borsa di studio procurata grazie al posto di capitano della squadra di calcio del liceo. 
Perché probabilmente Liam sarebbe anche stato il figlio ideale, ma Louis rovina sempre tutto, con la sua fottuta perfezione, sotto ogni aspetto. E non è che Liam lo odi, no: Liam disprezza Louis, non lo sopporta, delle volte avrebbe voluto non avere un fratello gemello, ma non lo odia. In fondo, ha avuto solo sfortuna. A Louis è toccata la faccia della medaglia illuminata dal sole. A Liam quella nascosta nell’ombra. Alla fine, è stata questione di fatalità.  Di destino, di fato, di sfiga. Sì, Liam crede a queste cose. Quello che non ci crede è Louis, Louis e il suo cervello razionale e ossessionato dalla psicologia. Non l’ha mai detto ad alta voce, ma Liam sa che negli occhi spenti e azzurri e fin troppo diversi dai suoi che si rifiuta di guardare, c’è disprezzo e dispiacere per quel suo fratello sbagliato.                                                                                   
La famiglia Tomlinson è un bellissimo quadro, Liam il punto nero in un angolo.                                                               
Liam è il ragazzo alla fermata dell’autobus, in ritardo di venti minuti per il colloquio per il college dei suoi sogni – o meglio dire, dei sogni dei suoi genitori - , completamente fradicio dalla testa ai piedi, poiché un automobilista ha pensato bene di prendere in pieno la pozzanghera sul bordo del marciapiede.                                                                                                                  
A quel punto, le lacrime scendono. Liam rimane a zero e la sfiga colleziona un altro punto.                                                         
Inizierebbe a correre: lo fa. Compone il numero dell’esaminatore, chiede un rinvio, l’ombrello sperduto in qualche meandro delle strade che ha superato di corsa.       
E lo risposta lo spezzerebbe: lo fa. No, non è possibile signor Tomlinson, ci dispiace. Riprovi l’anno prossimo.                                                                        
Liam piangerebbe, se ne avesse le forza: non lo fa. Impreca contro il destino e rimane lì, a chiedersi perché la vita abbia deciso di prendersela con lui, nonostante tutti i suoi sforzi.                                                                                      
Urlerebbe: non lo fa. Ha bisogno di ascoltare solo il suo fottuto cuore che va in pezzi, per rendersi conto.            
 
Tornerebbe a casa e piangerebbe in camera sua, con l’orecchio di Louis o di Lottie appoggiati sulla porta, perché sa uno dei due cercherebbe di parlargli e magari consolarlo: non lo fa.                                                                                           
Ha bisogno di stare solo. Di riorganizzare la giornata e prevedere gli imprevisti. Quando si rende conto che pensa solo al peggio, sorride, le labbra salate, forse di pioggia, forse di lacrime.                                                        
Si è talmente abituato ad avere merda addosso che riesce ad immaginare solo quella, per lui.                                               
Liam non ha mai avuto la fortuna di inciampare in qualcosa di bello, nella sua vita.                                                           
La speranza è l’ultima a morire, ma Liam è morto da tempo.

 

Davvero, Harry sa che quel luna park dovrebbe meravigliare e divertire Lux, annoiata dopo una giornata particolarmente uggiosa di quell’umido mese, ma non può farne a meno: adora le luci fosforescenti, i mille colori, le vecchie canzoncine per bambini, quelle che dopo un po’ ti stufano ma che non stufano mai Harry. Perché Harry non sa cosa vuole dalla vita, non sa chi vuole, non sa nulla. L’unica, forse la sola che mai saprà perfettamente su se stesso, è che vuole restare per sempre bambino. Oh, e che ama lo zucchero filato. Quello rosa, perché poi resta attaccato alle dita e sarebbe fastidioso se fosse di un altro colore, ma è rosa e Harry ama il rosa, quindi va bene. Anche la sua nipotina, Lux, ama il rosa: è uno dei motivi per cui vanno così d’accordo. Oltre al fatto che entrambi adorano il luna park fuori città e i libri di fiabe.                                   
Ah, Harry è un sognatore. Vorrebbe girare il mondo facendo il cantante: per ora si limita ad andare al liceo e a servire dolci cupcakes. Vorrebbe trovare l’amore della sua vita e vivere con lui in una casetta sull’albero, magari alle Hawaii: per ora, l’amore della sua vita è Lux, e lo sta pregando per l’orso di peluche esposto in una delle bancherelle meno appariscenti. Qualcun altro la scoraggerebbe, sì, forse: quel qualcun altro, però, non è Harry, che prende immediatamente un biglietto da tre palline per buttare giù abbastanza birilli per vincere il peluche. Non pensa minimamente, nemmeno per un nanosecondo, che il gioco possa essere truccato, perché è Harry e nel mondo di Harry sono tutti buoni e arcobalenosi. Sa, però, di essere molto scoordinato e goffo, mentre rassicura la sua piccola con un sorriso e le fossette.                                                            
Sbaglia clamorosamente il primo lancio, tant’è che sente distintamente Lux fare un piccolo sospiro e scuotere la testa, consapevole dell’imbranataggine cronica del suo zio preferito. Harry si morde il labbro e prende meglio la mira per il lancio seguente: stavolta prende di striscio una piramide di birilli, senza riuscire a farli cadere. Non vuole deludere la sua bambina, ma proprio non riesce.                                                                               
“Serve una mano?” Una persona normale diffiderebbe dello sconosciuto dalla voce cristallina che gli ha preso la pallina dalle mani, giocandoci con le mani minute. Qui, però, si parla di Harry, che sorride radioso e gli chiede con lo sguardo una specie di miracolo al primo colpo. Quello sorride, senza farlo veramente, e si mette in posizione di lancio. Harry lo osserva corrugando la fronte: è bello, terribilmente bello, e non sa perché, gli ricorda Peter Pan. Peter Pan, però, quando sorrideva, lo faceva sul serio. Il ragazzo che sta porgendo l’orsacchiotto a sua nipote, invece, per quanto carino sia, sorride come fosse un obbligo e non un piacere. Forse non gli piace il suo sorriso? In effetti, ha gli occhi stanchi e le unghia mangiucchiate, i piedi nervosi e le spalle basse di chi è insicuro. Sì, conclude Harry, deve essere per forza così.                                                   “Non ti piace il tuo sorriso?” domanda, senza nemmeno ringraziarlo. Sarebbe buona educazione ringraziare, ma la curiosità ha la priorità, se si parla di Harry. Quello inclina la testa e fa una smorfia.                     
“Che intendi, scusa?” ridacchia, ma non è una risata vera: è più il suono triste di un cd graffiato, di un Babbo Natale, di quelli elettronici che canticchiano Jingle Bells, con le batterie scariche e il cappello non più laccato di un bel rosso acceso.                                                                                                                                           
“Tu non sorridi davvero” constata Harry. Non è una domanda, ma lo sconosciuto aggrotta le sopracciglia come se lo fosse. Si morde le labbra sottili e abbassa lo sguardo in cerca della risposta, ben nascosta.                
 
“Davvero, non so cosa dirti. Non ci faccio caso.” Harry sorride, un sorriso tutto fossette e iridi color prato.       
“Scommetto che nessuno te l’aveva fatto notare prima, probabilmente.”                                                                   
Se Harry avesse saputo, quel giorno, di essere la prima persona a essere riuscita a far arrossire Louis perfezione Tomlinson, si sarebbe stretto nelle spalle e avrebbe ripetuto, con dolcezza, che Louis aveva solo bisogno che qualcuno lo facesse sorridere sul serio.                                                                                                                   
Lux sorride a Louis, mentre quello arrossisce, come a incoraggiarlo a imitarlo nel gesto. E Louis sorride, forse sforzandosi, forse no, ma lo fa, e Harry giurerebbe di non aver mai visto niente di più bello.                         
“Sai, dicono che la bellezza estetica sia tutto” dice il riccio, prendendo in braccio Lux, che stringe forte il suo nuovo migliore amico “ma io mi innamoro dei sorrisi” e Louis arrossisce ancora, ancor più di prima, forse stupito da se stesso “per questo Lux è la mia principessa.” La bimba ride, sorridendo ancora e mostrando orgogliosa le fossette che compaiono giocose sulle guance.                                                                                                  
 
“Sì, ha davvero un sorriso splendido” commenta Louis, a bassa voce, sorridendo stentatamente.                                         
Harry ricambia e gli porge una mano, guardandolo luminoso.                                                                                                
“Harry” dice. Una mano minuta stringe la sua, esitante, e ricambia la stretta.                                                           
“Louis.”                                                                                                                                                                                                   
“Lewis” pronuncia Harry, titubante e cercando di far scivolare al meglio quel nome dalla pronuncia bizzarra.         
“No, no!” esclama, lui, ridendo “è Louì, la s non si sente. È francese” spiega.                                                                          
“Sei francese?” chiede allora Harry, inclinando il viso.                                                                                                                         
“No” risponde Louis, incrociando le braccia. Harry corruga la fronte e storce il naso, forse troppo sproporzionato per quel viso squadrato e circondato da ricci scuri. Louis pensa che Harry è strano e che ha gli occhi più belli che abbia mai visto. Verdi, e poi azzurri, e poi ancora verdi, forse più scuri.                                                  
“E allora perché hai un nome francese?” Alla vista della sua espressione indispettita dal trovarsi davanti un ragazzo inglese con un nome che non rispetta la sua nazionalità, Louis non riesce a fare a meno di ridere.            
Se Harry avesse saputo che quella era la prima volta che Louis rideva per davvero, senza pensieri, senza preoccupazioni, senza dover risultare il perfetto Louis Tomlinson, si sarebbe scrollato ancora una volta nelle spalle e avrebbe detto che aveva solo bisogno di qualcuno che lo facesse ridere.                                            
 “Perché a mia madre piacciono i nomi francesi, immagino” ipotizza, visto che Harry non accenna a voler smettere di difendere la sua causa persa in merito alla nazionalità dei nomi.                                                              
“Eh certo” sbuffa il riccio “e a mia madre piace Harry Potter.” Louis ride. Ride tanto, troppo, quella sera.           
Harry gli racconta le sue teorie sul rosa e su come quel colore faccia diventare tutto migliore; gli parla di Lux, addormentata tra le sue braccia; gli descrive Gemma e il fatto che non abbia mai i capelli dello stesso colore quando la vede. Harry ha strane teorie su tutto: sul fatto che ami davvero una persona quando sei disposto a fare dei matching tatoos con quest’ultima, perché niente dimostra l’amore quanto dei tatuaggi collegati, sostiene che i panda siano in via di estinzione perché gli uomini sono invidiosi del loro essere adorabili e vuole far tornare di moda le boyband. Dice che Louis è strano perché si preoccupa troppo di quello che pensano gli altri: Harry non si fa problemi a fare qualsiasi cosa, che sia mettersi un paio di orecchini orrendi per una scommessa e portarli tutto il giorno o vestirsi da Miley Cyrus per Carnevale.           
Louis capisce che Harry è Peter Pan, il bambino mai cresciuto che lui voleva essere senza riuscirci.                        
Louis si convince che Harry è un angelo, e poco importa se piove, se si conoscono da nemmeno tre ore e che c’è una bambina che li aspetta sotto la veranda della casetta di Harry: è tutto perfetto.                                        
Se avessero detto a Harry che quella era la prima volta che Louis si innamorava, Harry si sarebbe stretto di nuovo nelle spalle, avrebbe sorriso e poi avrebbe affermato che ho capito che l’avrei amato quando l’ho visto sorridere.

Zayn continua a disegnare Louis. È ovunque: nei suoi schizzi, nei suoi murales, nelle sue parole.                          
“Amico, sei ossessionato” gli fa notare Niall, una mattina di metà settembre “dovresti togliertelo dalla testa.” Zayn però, non ha nessuna intenzione di togliersi Louis dalla mente: ormai è entrato, vi rimarrà. A ridacchiare con quel tono spento, a guardarlo con occhi scuri e straniti, a esporgli il suo pessimismo attraverso le teorie filosofiche che riempie di tantissime parolacce, perché le parolacce sono parole come altre, Zayn, il fatto che sentirle pronunciare ci faccia storcere il naso, a volte, deriva da questo eterno tabù che vi abbiamo imposto. In realtà, non c’è nulla di traumatizzante nelle parolacce, diciamolo chiaro. Infilarle nelle frasi, spesso, serve a dar loro forza, utilizzando questo tabù a proprio vantaggio.                                                 
“E non hai paura di quello che potrebbe dire la gente?” ha chiesto Zayn, quella sera che sembra risalire ad anni prima e invece è stata solo pochi giorni fa. Louis ha alzato gli occhi al cielo.                                                                       
“Ho paura tutto il tempo, Zayn.” E Zayn ha avuto timore per un attimo, che stesse per piangere.                                   
“Perché sai, a volte” ha continuato, con voce rotta e increspata, più del solito “la gente sente il tuo nome e pensa di sapere tutto, su di te. E tu li accontenti, un po’ perché non vuoi problemi e un po’ perché non vuoi essere quello strano. Finisci con l’essere quello che piace a tutti e l’unico a cui non piaci sei tu.”                                 “Louis…”                                                                                                                                                                                                     
 
“Ti dico queste cose, Zayn, perché tu sei come me. Insomma, stai qua, e la gente ti chiama il pittore della metropolitana, immagina uno che disegna su un muretto con un sacco di tatuaggi e finisce lì. Tu glielo lasci credere, perché ti fa comodo. E invece vengo qui, ti conosco, e scopro che alla fine sei pazzo quanto il cappellaio matto di Alice nel paese delle meraviglie e che i tuoi tatuaggi non hanno alcuna storia! Capisci il mio shock?!” Zayn ha riso, quella sera. Perché Louis pareva esasperato ma al tempo stesso divertito, insieme frustrato e guardava il treno con desiderio. Quasi avesse voluto scappare alla prima occasione.  Avrebbe voluto che Louis ridesse con lui, ma non l’ha fatto. Forse avrebbe dovuto capire da quello, che qualcosa in Louis non va sul serio, ma è troppo occupato a capire un’altra cosa: il suo cuore è negli occhi di Louis Tomlinson, perché loro due sono uguali e Zayn non si è mai sentito così capito in vita sua.                                         
Al diavolo Niall, i suoi sospiri, le sue ballate tristi. Zayn lo sa, che quando Niall suona Teenage Dream di Katy Perry allora vuole dire che qualcosa presto andrà male, ma si sforza di non farci troppo caso. Non fa caso nemmeno al suo pennello spezzato: l’ultima volta che ha spezzato un pennello è stato quando sua nonna è morta. Cerca di non pensarci. Ci riesce, perché Louis è in tutti i suoi pensieri e con lui, la luce.                               
“Hey, Zayn” la voce di Louis è meravigliosa, davvero. Talvolta Zayn immagina quella voce cantare e, diamine sì, la ascolterebbe tutti i giorni a tutte le ore. Non permetterebbe mai a Niall di farne cover, perché sarebbe la voce di Louis e basta.                                                                                                                                   
“Louis.” A Zayn piace pronunciare il nome del ragazzo con una punta di finto accento francese, anche se sa di dargli fastidio. Al leggero sbuffo del ragazzo, sorride lievemente contro il disegno che sta completando sulla parete. Non è nulla di particolare, un semplice fumetto, di quelli che fa quando si annoia, eppure il fischio ammirato di Louis lo fa sorridere silenziosamente.                                                                                                           
Unito a uno sbuffo annoiato.                                                                                                                                              
Quando si volta, accanto a Louis c’è un altro ragazzo. Sovrasta Louis di venti centimetri buoni, ha i capelli sudati, la mano fasciata e assomiglia a un orso. Di quelli di peluche. Molto arrabbiati.                                                  
“Zayn, lui è Liam” lo presenta Louis, con quello che dovrebbe essere un sorriso “Liam, lui è Zayn e fuma più di te.” L’orso Liam fa una smorfia e squadra Zayn, con un mezzo sorrisetto stampato sulle labbra.                        
Zayn si sente strano. Quel ragazzo gli è familiare. Oltre a essere terribilmente fastidioso.                                       
Zayn odia le convenzioni. Tutto, in Liam, è un convenzione. A partire dagli occhi da cucciolo ferito, i capelli rasati ai lati, i vestiti larghi e la smorfia arrogante che nasconde tutta l’insicurezza di questo mondo.                       
“Quindi hai una sigaretta?” chiede quello, quasi sollevato “Ho perso le mie e Louis è inutile, almeno in questo.” Pronuncia il nome di Louis con un dolore immenso, Zayn se ne rende conto.                                                    
Louis abbassa lo sguardo, mordendosi il labbro. E Zayn sa che tra quei due le cose non vanno bene.                             
Tira fuori il pacchetto dalla tasca della felpa e prende una sigaretta, porgendogliela.                                                        
“Grazie” dice solo quello, accendendola velocemente “allora Louis, hai intenzione di accompagnarmi a casa o no?” Zayn non sente il resto della discussione tra i due. Percepisce distintamente il suo nome, un paio di vaffanculo e forse un non ti sopporto quando fai la primadonna. Non riesce a distinguere lo sguardo dall’orso e non sa perché. Gli ricorda tanto Louis, eppure non si somigliano nemmeno lontanamente, e lui sa di odiarlo, perché quando una persona gli sta sulle palle lo sa al primo sguardo.                                                     
“Vado a prendere una cosa al bar e torno, okay?” sbotta infine Louis, esasperato, facendo un sorriso tirato a Zayn e allontanandosi velocemente. Zayn lo fissa andare verso il bar, mogio, e torna sbuffando al disegno.      
“Tu sei uno di quelli innamorati di mio fratello, ci scommetto” dice l’orso. Zayn sussulta dentro, e fuori si stringe nelle spalle. Sente Liam ridacchiare per poi scoppiare a ridere, amaro.                                                           
“Tutti s’innamorano di lui, in un modo o nell’altro. Perché è bello, perché è simpatico, perché è intelligente. Non ha difetti, giusto?” un’altra risata “Sei bello, Zayn. Molto.” E Zayn arrossisce, suo malgrado.                               
“Non innamorarti di Louis. Sarebbe solo uno spreco. Lui non sa nemmeno cosa sia, l’amore.”                                     
E ha buttato via la sigaretta, pestandola con la pianta della scarpa da ginnastica.                                                            
Se Zayn volesse essere sincero, direbbe che era abbastanza sicuro di aver appena conosciuto l’esatto opposto di Louis Tomlinson.                                                                                                                                                   

“Quindi tu e tuo fratello non vi parlate?” Il broncio di Harry è adorabile; la causa un po’ meno.                                 
Louis trova ammirabile il suo interesse per quella faida fraterna iniziata, con molta probabilità, nel feto, ma è inutile. Il problema è solo uno: tutti gli altri ammirano e sparlano in silenzio della sua “perfezione”; Liam, con la forza che Louis gli ha sempre invidiato, glielo dice in faccia. Gli dice che è irritante, che venire messi a confronto di continuo è frustrante e che non gli serve qualcosa che evidenzi ulteriormente i suoi difetti. Louis non sa mai cosa replicare, perché ha ragione. Lo ignora: ha paura.                                                                                    
“No, ci parliamo” borbotta, tentando di essere convincente “solo che non parliamo di cose belle.”                                         
“Non vi volete bene?” chiede, aggrottando la fronte e affondando le dita nello zucchero filato che Louis gli ha comprato. Non è un appuntamento, ha detto Louis, eppure continua a pagargli tutto.                                               
 
“Io gli voglio molto bene” afferma Louis “e anche Liam me ne vuole, suppongo. Non… ecco… non sappiamo dimostrarcelo. Credo.” Harry si imbroncia e punta lo sguardo su un punto inesistente, quasi stesse risolvendo un problema di matematica particolarmente difficile. Harry, Louis lo sa, odia la matematica: gli piacciono filosofia e lettere, ma il suo sogno è la musica. Louis finirà con ereditare l’azienda del padre; Harry lavora già nella panetteria dei genitori e risparmia per il suo futuro viaggio intorno al mondo.                                     
“A me, invece” domanda, con un filo di voce, eppure per niente esitante “a me vuoi bene?”                                               
La sua espressione è talmente seria e Louis scoppierebbe quasi a ridere, perché Harry è assurdo.                              
È assurdo che abbia riflettuto tanto prima di porgli quella domanda insieme diretta e ingenua. Come i bambini, ma Harry è un bambino, Louis lo sa, e gli sarà sempre infinitamente grato per questo.                        
È assurdo che crede che Louis non possa volergli bene, perché lo conosce da quasi dieci giorni e lo ha cercato in ognuno di questi. Non è come con Zayn, no. Con Zayn sta bene, perché lui lo capisce. Perché Zayn è il suo riflesso nello specchio, ma uno di quegli specchi dei luna park, deformanti. E Zayn è uno specchio di quelli che ti fa più alto e più bello. Zayn è lui, ma migliore.                                                                      
Con Harry, Louis dimentica di essere. Si dimentica di essere gentile, affabile, affascinante.                                 
Sorride. Sorride e basta. Ed è felice. Il suo cervello si spegne, eppure riesce a essere felice.  Ed è assurdo.                       
“È assurdo che tu me lo chieda” ridacchia, ed è un bel suono “perché è ovvio. Ti voglio molto bene, Harry.”           
Quando Harry sorride, il mondo lo fa con lui. O almeno il mondo di Louis si illumina.                                                                           
“Quindi se ti chiedessi di darmi un bacio” e lo chiede senza arrossire, imbarazzarsi o altro, quasi stesse chiedendo alla cuoca della scuola cosa c’è sul menu “qui” le dita lunghe di Harry sembrano ancora più belle nell’indicare le sue labbra invitanti “cosa mi diresti?”                                                                                                                        
Louis boccheggia e Harry ridacchia. Louis sorride e Harry arrossisce, mordendosi il labbro inferiore.                             
 
“Io..” prova, non riuscendo a distogliere lo sguardo da quella bocca di rose che lo implora in silenzio “io credo che..” Harry non lo lascia finire. Lo bacia.                                                                                                                           
A Louis piacciono le descrizioni dei baci tipiche dei romanzi. Le lingue che si rincorrono, che giocano, che danzano. I sapori, le labbra morbide. Miela, menta, i morsi, le sensazioni, l’eccitazione che prende a scorrerti nelle vene, i pensieri che si bloccano. Non gli piace quando gli scrittori se ne escono con “non descriverò quel bacio, perché sarebbe impossibile”. Non è giusto – vorrebbe scrivere agli autori dei suoi romanzi rosa preferiti – anche io voglio sapere di cosa sanno le sue labbra, se il suo cuore batte a mille, se vorrebbe che tutto questo non finisse mai.                                                                                                                            
Ora però capisce cosa vogliono dire quegli scrittori. Dire che le labbra di Harry sono calde e sanno di zucchero filato alla fragola, che i suoi ricci sono morbidi al tocco e che tirarli mentre le loro lingue fanno l’amore è terribilmente vero, terribilmente perfetto, ma anche e soprattutto, terribilmente scontato. Non va bene, perché quello che gli fa provare Harry non è scontato. Harry è quello che ha sempre voluto. E che ora ha, per puro miracolo, perché la vita ha deciso di fargli un regalo.                                                                                                     
Grazie.

Niall ha dovuto raccogliere i pezzi già una volta.                                                                                                                     
Si chiamava Chase. Aveva tutti gli attributi necessari per essere catalogato sotto la voce “principe azzurro ideale”, compresa un mascella ben definita. Tirava avanti con la paga da tatuatore e disegnava manga, di nascosto, alla luce di una piccola lampada da campeggio nel retrobottega. Aveva un bel sorriso e quando li vedeva, lui e Zayn, camminare mano nella mano, Zayn con lo zaino di scuola e lui con la sigaretta tra le dita, si rifletteva sul suo viso. A volte, uscivano in tre e Chase, tra le risate e gli sguardi adoranti di Zayn, gli offriva da mangiare e cercava di aiutarlo a rimorchiare qualcuna per non sentirsi solo. Era fantastico, Chase. Spiritoso, tanto a volte da essere sarcastico; bello, forse troppo, di una bellezza innocente in contrasto con i suoi adorati tatuaggi. Zayn non aveva tatuaggi, prima di Chase. Non gli piacevano, preferiva disegnarli sui muri invece che sulla sua pelle. Zayn era felice. Sorrideva, cantava, andava volentieri a scuola e aveva un sacco di speranze: avrebbe voluto frequentare l’accademia di arte e diventare un pittore famoso. Erano praticamente inciampati l’uno sull’altro, imbattendosi nell’amore quasi avesse teso loro una meravigliosa trappola. Avevano un mare di progetti, da un viaggio al mare nel weekend al vivere insieme.                                  
Poi, un uomo ubriaco aveva deciso di farsi un giro a bordo di una Mercedes sulla strada della bottega di Chase, e Zayn si era spezzato. Zayn viveva, letteralmente, per Chase. Si alzava la mattina col pensiero che l’avrebbe visto e baciato, che lo avrebbe disegnato alla luce della piccola lampadina del suo appartamento sopra al negozi.
Chase aveva passato una settimana in ospedale. Zayn si era praticamente accampato alla stazione, in quei giorni, in modo da prendere il primo treno: arrivava anche prima dei medici e delle infermiere.                                 
Niall c’era, quando gli diedero la notizia. Ricorda tutto, ogni minima cosa, e vorrebbe non ricordare nulla.     
Le parole dei medici, i loro volti dispiaciuti, quasi di routine. La madre di Chase che gemeva e piangeva, piegata in un angolo. Zayn era su una sedia di plastica rossa. Il sorriso gli era morto sulle labbra, gli occhi si erano spenti, offuscati da una coperta di lacrime. Lacrime che avevano continuato a scendere per quasi due settimane. Lacrime che Niall aveva dovuto asciugare. Era stata la prima e ultima volta che aveva visto Zayn piangere: probabilmente quelle crisi di pianto disperate gli erano bastate per tutta la vita.                                          
Era andato avanti, Zayn, ma non del tutto. Aveva coperto il suo corpo di tatuaggi. Era scappato di casa. Viveva in stazione, quasi fosse in attesa del treno che un giorno gli avrebbe riportato il suo Chase.                      
E ora Louis. Louis che poteva significare la svolta, Louis che, nonostante la sua propensione per le merendine dietetiche che a Niall non piaceva per nulla, faceva sorridere Zayn. Lo faceva star bene: Zayn aveva cambiato soggetto, niente più manga macabri o il profilo di Chase al chiaro di luna, ma azzurro, solo azzurro; aveva diminuito il numero di sigarette; parlava di più.                                                                                               
Niall sa che deve scattare nel momento esatto in cui vede Louis arrivare mano nella mano con Harry. Niall non ha mai visto Louis sorridere, ma vicino a Harry il suo è il sorriso più luminoso che abbia mai visto.              
Come quello di Zayn, quando si accorge che Louis si sta avvicinando. Solo che poi si accorge anche di Harry, e a Niall pare di rivivere tutto ancora una volta: il sorriso che si spegne, gli occhi che muoiono.                              
Lo guarda boccheggiare, il carboncino che cade a terra tentennando nel silenzio del caos della stazione. Niall è già a pochi passi dal muretto che divide il binario nove dal dieci, quando Zayn tira fuori una sigaretta. Quando Louis arriva, sorridente come un bambino giocoso, Zayn non gli dà il tempo di parlare. Gli chiede l’accendino e accende la cicca. Tutto qua. Poi torna al suo muretto, a disegnare.                                                               
“Questo è un addio” dice Niall. Louis si volta e boccheggia, dispiaciuto. Non vuole perdere Zayn, ma l’ha fatto. Niall fa un sorriso tirato, si stringe nelle spalle, mentre Harry osserva Zayn corrugando la fronte.     
Niall ha conosciuto Harry al campo estivo, quando avevano rispettivamente sedici e quattordici anni. Se lo ricorda bene, quel ragazzino tutto brufoli e boccoli che gironzolava per il campeggio con una coroncina di fiori in testa. Hanno parlato poche volte, ma sono bastate per fargli capire che Harry è un angelo dimenticato sulla terra per qualche bizzarro motivo. Forse per Louis. Di certo, non per Zayn.                                        
“Niall” lo chiama “perché il tuo amico è triste?” La sua ingenuità è impossibile da odiare, per quanto Niall si stia impegnando, in quel momento, non ce la fa. Fa un sospiro e guarda Louis fisso negli occhi, in quegli occhi perfetti, quel corpo perfetto che nasconde un’infelicità cronica. Louis avrà pur trovato Harry, ma ha perso Zayn. Una cosa stupenda per una cosa bella. Ma chissà qual è l’ordine.                                                                                     
“Perché è innamorato.” Gli occhi di ghiaccio di Louis si scuriscono e quelli di Niall scintillano, di rabbia.                    
“E non dovrebbe essere felice allora?” A volte Harry non si rende conto di rigirare il coltello nella piaga.             
Per lui tutto è semplice, è come avere a che fare con un bambino curioso che chiede alla mamma perché il cielo è blu, fino a ottenere una risposta sensata. O almeno, che gli vada bene.                                                                               
“Non sempre l’amore fa bene, Harry. A volte la persona che scegliamo non è la persona giusta. A volte ci fa male. E Zayn…” sospira piano, ripensa al sorriso di quello che considera il suo migliore amico con Chase e ha un’improvvisa voglia di piangere “Zayn ha scelto troppe volte la persona sbagliata. Ecco, perché è triste.”            
Ed è come se stesse dando la colpa di tutto a Louis. Dell’infelicità e della misantropia autoimposta di Zayn, della morte di Chase, della sua continua ansia per l’amico. Forse un po’ è così, perché Louis poteva rendere tutto migliore, ma non l’ha fatto. non l’ha fatto.                                                                                                                                       
“Harry, andiamo.” Harry potrà anche essere ingenuo e infantile, ma non è stupido. Capisce che è Louis la persona sbagliata, e storce la bocca, dispiaciuto. Louis lo accarezza, mentre vanno via: Niall li vede parlare, Louis che trema e Harry che lo coccola, dall’alto dei suoi sedici anni troppo maturi, con un sorriso innamorato sulle labbra. Sa che Zayn li sta osservando, quando si baciano. Sente un gemito strozzato.                                        
Pochi minuti dopo è accanto a lui, ma Zayn non piange. Ha gli occhi lucidi e Niall è quasi sicuro di aver sentito il suo cuore spezzarsi, ma non piange. Forse ha davvero finito le lacrime. Forse semplicemente, non ce la fa nemmeno, a disperarsi.                                                                                                                                                 
 
“Sono carini, insieme. Non trovi?” Chase diceva sempre che la voce di Zayn è meravigliosa: calda, suadente e leggera. Non l’aveva mai sentita rotta e incrinata da un pianto represso forzatamente.                                               
 
“Zay…” sussurra Niall, voltandosi verso di lui. Quello che vede è un volto distrutto, piegato, dall’amore che non vuole mai favorirlo. Probabilmente lo vede, Chase, e vede Louis. Li vede andare via. Vede le poche possibilità che aveva di essere felice allontanarsi da lui.                                                                                                               “Scusami, Niall” mormora, al vento, le lacrime che finalmente solcano il suo volto “è che non riesco ad essere felice, da solo, dopo aver assaporato l’amore.”

Liam ha solo un piccolo zaino. Soldi, cibo, qualche cambio di vestiti. Ha intenzione di diventare pompiere, come sognava da piccolo. Di comprarsi un piccolo appartamento al quindicesimo piano di un palazzo, così da poter ammirare la città illuminata nelle sere di solitudine. Vuole ricominciare, vuole andarsene in un luogo dove nessuno lo paragonerà a suo fratello o lo ricorderà come il paffuto e malato gemello di Louis Tomlinson. Sarà solo Liam Payne, con la sua sfiga e il suo aspetto da orso buono.                                                                           
“Come mai qui?” Se la ricorda, quella voce: è l’amico di Louis, quello innamorato di lui. Il pittore della metropolitana, lo chiamano, anche se quella è una stazione e Zayn protende di più per i graffiti.                                
 
“Devo prendere un treno” risponde solamente, stringendosi nelle spalle. Non lo guarda, Zayn è bello e i suoi occhi lo destabilizzano. Lui però, è innamorato di suo fratello, come tutti.                                                                   
 
“E hai intenzione di tornare?” Ora Zayn è accanto a lui, lo percepisce. Si volta e rimane sconvolto: Zayn ha i capelli stravolti, gli occhi cerchiati di nero e le guance scavate. Ha una sigaretta tra le labbra e la stringe nervosamente, come a volerla spezzare. Ci riuscirà, se non la smette di morderla in quel modo.                                         
“Bingo, Malik. Complimenti per la perspicacia.” Zayn ridacchia. Sul serio, non come suo fratello, ed è un bel suono.                                                                                                                                                                                                        
“Vengo con te” esclama quello, tornando al suo muretto. Liam si volta e corruccia la fronte.                                             
“Non è una domanda” osserva, quasi divertito. Quel ragazzo lo ammalia, lo diverte: è strano. E bello.                     
“No, infatti.” Raccoglie le sue cose in un piccolo fagotto, manco un viaggiatore da cartone animato “Ho voglia di andarmene. Tu hai i soldi e il cibo. Mi stai sulle palle, ma meglio di niente.”                                               
 
“Oh beh, buono a sapersi” ironizza Liam, incredulo sulla sua sfacciataggine. Zayn sospira, si passa una mano sul viso. Raccoglie il fagotto e se lo porta in spalla, avvicinandosi e guardandolo dal basso. Liam sarà alto nemmeno dieci centimetri in più di lui, eppure il fatto che sia il doppio in robustezza lo fa sembrare ancora più piccolo. E indifeso. È talmente bello. Liam scopre che riesce a pensare solo questo, quando lo guarda.             
“Senti” ha la voce rotta e Liam maledice suo fratello mentalmente, perché sa che è colpa sua “tuo fratello mi ha appena spezzato il cuore. Non è la prima volta e non sarà l’ultima.” Ormai sta quasi piangendo e a Liam piange il cuore. “Voglio andarmene da qui, voglio ricominciare. Lo vuoi anche tu, quindi perché no?”  
Liam non sa perché lo abbraccia, non sa perché lo accarezza mentre piange.                                                             
Quando il treno parte, però, sa solo che quel ragazzo potrebbe essere la cosa bella che cerca.

***

“Quindi è così” conclude zio Niall, i capelli biondi ingrigiti e un sorriso stanco sulle labbra “che i tuoi papà si sono conosciuti.” Il piccolo Josh batte le mani sorridente e gli chiede di continuare.                                                         
“Ma la storia è finita, piccolo mio” gli fa notare con un sorriso.                                                                                                    
“E poi zio Louis e papà Liam hanno fatto la pace?” chiede il bimbo, arrampicandosi sulle sue ginocchia.                           
“Diciamo che non era la mia priorità, Joshua” continua allora, per far contento il bambino “ero arrabbiato perché papà Zayn mi aveva abbandonato, ma lo capivo. Era distrutto, così gli lasciai il tempo necessario per riprendersi. Due mesi dopo, a Natale, tornarono al paese. Erano felici, mano nella mano, ed erano dolcissimi. Zayn voleva rivedere Louis e convinse Liam a far pace con lui. Erano due coppiette davvero adorabili” ridacchia piano “e al loro doppio matrimonio suonai Wake me up when september ends. Una cosa davvero romantica, da far venire i conati di vomito.”                                                                                                    
“Se non volevi cantare bastava dirlo.” E Niall lo sa, che Zayn e Liam sono sulla porta, abbracciati, a fissarli con occhi luminosi. Sa che Zayn sta arrossendo, che si sta mordendo il labbro e ha lo sguardo basso, perché Liam lo stringe orgogliosamente a sé, accarezzandolo piano.                                                                       
“Naah” dice Niall, guardandoli, innamorato di quell’amore “qualcuno doveva celebrare la fine di settembre.”

 

So che dovrei aggiornare Seven, ma avevo questa tra le bozze da oltre due mesi, e Irene l’aspettava. Spero di non avervi annoiato, anche perché mi piace un sacco come sono venuti i personaggi: per una volta sento di averli rappresentanti per come li vedo veramente. Perciò, ecco, spero vi sia piaciuta. L’ho riletta due volte, spero di non essermi lasciata scappare nessun errore. Grazie, se contribuite alla causa Fai felice uno scrittore con una recensione: bastano cinque minuti ed è gratis! Sì, è terribilmente squallida, ma morivo dalla voglia di usarla. Alla prossima, un bacione.    

  
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