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Autore: L o t t i e    06/03/2015    1 recensioni
«Sei una cretina», iniziò lui accomodandosi sul letto ad una piazza e mezza: aveva ancora la giacca. «Puoi accusarlo di tutto, tranne che non ti voglia bene... a modo suo.»
Ah, ecco.
William sottolineò, a mente, «a modo suo» un paio di volte, in rosso. Ripassandolo più volte.
Quelle semplici frasi stesero un velo scuro sul viso di porcellana della vampira, la quale preferì stare in piedi; se si aspettava la comprensione faceva prima a gettarsi dalla finestra, l'umano. Non dopo aver parlato al cellulare con una fanatica, non dopo aver ricevuto un bacio dal suo creatore ubriaco e con chissà quali sensi di colpa venuti a galla.
«Non ti permetto di parlarmi così», si impose pacatezza, danzando verso l'armadio per prelevare dei vestiti più leggeri. Vide il ragazzo schiudere le labbra, forse per parlare ancora, protestare. Fu più veloce.
[Da revisionare!]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire - the series.'
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Vino rosé diluito con un goccio tristezza.








Molte volte i sogni sono trappole utopiche, piene di ideali e persone a noi care che altrimenti vedremmo solo in foto; un po' è per questo che non dovremmo avvicinarci troppo. Come falene finiremmo scottati.
Eppure, dopo tanti supplizi, perché non far crogiolare la mente in un simile piacere? Proprio per questo tra un campo pieno di fiori, quelli celesti che crescevano nel balcone della nonna giapponese, William si lasciava cullare dalle braccia del padre. Il volto di Alexandre, pian piano andava sfumando, insieme al vento che iniziava a soffiare sempre più violento ― un pianoforte in lontananza suonava Sweet Dreams Are Made Of Screams. La melodia sembrava invitare le nuvole d'argento fuso che si incamminavano verso il prato ed il viso dell'uomo ormai era come una televisione bloccata su un canale statico: i tratti del viso erano distorti da tutte quelle interferenze. Decisamente il confine tra sogno ed incubo è troppo sottile.
In quel momento il freddo si fece strada sotto la pelle di porcellana e subito dopo lei cadde, dove non lo sapeva, ma stavolta vi era un braccio teso a salvarla. Quindi non ci pensò due volte ad afferrare quella mano che la tirò su. Non vide mai il proprietario di quella mano liscia e gelida, in quanto lentamente Morfeo decise di abbandonarla.
Quando riuscì a vedere bene di fronte a sé, riuscì a capire che era buio pesto. Non era agitata, nonostante l'incubo dalla quale era riuscita a fuggire. La stanza era priva di finestre, il letto morbido, confortevole: deliziosamente piccolo. Un comò era posto alla sua destra con sopra delle fotografie ed un orologio da polso ancora funzionante. Tutto ciò la fece rabbrividire o meglio, le persone che venivano ritratte la facevano star male ― lei e sua madre. Una piccola William in fasce era raffigurata in una cornice ovale ed accanto Yoshiko con una decina di anni in meno le sorrideva. Ora la domanda che le ronzava in testa era «chi poteva possedere quelle foto?»
Voltò il viso dalla parte opposta: vi era il baule, quello che avrebbe dovuto controllare nuovamente con Samantha.
Per quanto riusciva a ricordare era ancora in camera sua ad ascoltare la musica, forse un po' assonnata, ma poi tutto si interrompeva lì. Ed eccola, ora, nella stanza di un qualche potenziale stalker. Bene, benissimo.
Nella vita attirava solo gente disturbata, doveva farsene una ragione.
Indossava ancora i propri vestiti, solo le scarpe si trovavano ai piedi del letto. Si mosse sotto le coperte per poi sollevarle e poggiare i piedi al pavimento marmoreo. Con lentezza si mise in piedi, non senza un capogiro, come reduce da un'influenza ― il che era quasi nostalgico.
Allo stesso tempo lo scoccare di una serratura la fece immobilizzare sul posto, facendole trattenere perfino il respiro. Affinò l'udito, scorgendo il sospiro affranto di qualcuno, poi il fruscio di un indumento ed infine dei passi avvicinarsi. Perché non riusciva a muovere un passo?
Si sedette nuovamente stringendo tra le dita quell'anonimo copriletto bianco ― aspettò.
Sadicamente la maniglia si abbassava con pigrizia e la luce fioca del corridoio iniziava a proiettarsi attraverso la fessura fino ad un angolo della stanza, quindi l'uomo entrò, quasi esitando. Lei che accigliata studiava quella figura, per poco non perse i sensi scorgendo quel volto; sgranò gli occhi similmente a quando ci si trova di fronte uno spettro ed in effetti... era così.
Alla sua vista, Alexandre, invece addolcì i tratti del viso, gli occhi rosati languidi ― sul procinto di frantumarsi come uno specchio.
«Mon petit trésor
Era davvero lui, non la continuazione dannatamente reale del sogno.
«...Perché?», le labbra tremanti, che si arricciavano come boccioli di rosa ed una disperata voglia di far cadere ogni apparenza, ogni maschera. Suo padre abbozzò un sorriso e quella bella facciata cascò, sbriciolandosi in mille pezzi: non poteva più resistere, quindi pianse.
Grosse lacrime luccicanti come mille stelle corsero giù dal suo viso per poi scontrarsi con la superficie dei suoi pantaloni.
Senza sapere come, ecco che si ritrovava avvinghiata all'uomo, scossa da violenti singhiozzi mentre delicatamente, con la familiare dolcezza di quattro anni prima, Alexandre le carezzava il capo albino sussurrandole parole dolci all'orecchio. Si sentiva così a casa, così sicura tra le braccia forti di quell'uomo col codino.
«Non m-mi lasciare, ti prego. Non a-andartene più» e lo stringeva ancora, con la paura che potesse dissolversi da un momento all'altro.
Ma Alexandre non lo fece; rimase lì fin quando William non riuscì a calmarsi. Anche tentare di sciogliere quel semplice ma solido abbraccio significava far scattare sull'attenti la figlia.
«Mi metto seduto vicino a te, d'accordo?»
Lei annuì impercettibilmente, nonostante ogni fibra del suo corpo si rifiutasse categoricamente di farle aprire le braccia.
«Finalmente», ridacchio l'albino ― questo fece fare un sorriso anche a William.







* * *









«Hai mandato a casa la tua ragazza?»
«Non è la mia ragazza.»
«Dettagli, futili dettagli», due mani batterono e poi sfregarono tra loro. «Bene, che si fa della redhead
Una specie di grugnito provenne dal divano e Samantha, ancora priva di sensi, rotolò a pancia in giù, un braccio incastrato tra due cuscini.
«Verdammt, non ci sono più le fanciulle di un tempo!», melodrammatico, il vampiro portò una mano alla fronte.
«Aspettiamo che si svegli, no?»
«No. Ho una certa fretta, sai» ed ecco che incombeva sull'indifesa sedicenne.
«Mhh», mormorò quest'ultima alzandosi sui gomiti, ancora con un piede oltre il confine del sonno.
«Oh! Ma tu guarda che tempismo», esclamò Claude e Samantha sentì la mano ghiacciata del tedesco posarsi sulla nuca. Lei rabbrividì. Poi, come se fosse un micio, facendole riprendere tutta la lucidità la girò. A quel punto, avendo guadagnato la sua attenzione, sorrise mettendo in mostra, pavoneggiandosi con i lunghi canini. «Che ne dici di una donazione?», lo sguardo verde scintillò.
«Mai! A-aiuto..!», mormorò appiattendosi alla spalliera, fissando male il vampiro.
«Claude!», esasperato Trevor, corse in aiuto di Samantha. «Ci sono le sacche di sangue e Samantha è un'amica di Will.»
«Trevor, perché non mi lasci fare?»
«Dov'è William?!», strillò la rossa in mezzo ai visi dei due che sussultarono ed arretrarono, ognuno a cercare di capire se il proprio timpano si era rotto o meno.
«Ecco...», iniziò l'umano.
«Risparmiati l'epilogo: so già tutto», brontolò lei. «Dov'è William?»
«Ti sei incantata?», sbottò il vampiro.
«Non mi fai paura.»
«Hai visto troppi film, ed anche sbagliati, se te ne esci con questa frasetta», ringhiò Claude già al limite della propria pazienza. Generalmente non si sarebbe scaldato troppo, ma in quel frangente sentiva preso di mira il proprio orgoglio da vampiro in quanto non si era accorto di nulla ― nella stanza dell'albina, inoltre, c'era l'odore di qualcun altro. Assottigliò le palpebre riducendo gli occhi a due fessure, completamente perso nei propri pensieri: conosceva il sonno di William, così pesante che nemmeno i cannoni avrebbero potuta svegliarla ― fattore facilmente sfruttabile se doveva guardarla mentre teneva la guardia abbassata o per qualcuno intenzionato a rapirla. Ma chi avrebbe voluto rapire quella ragazzina? Tra i vampiri che volevano estirpare le generazioni di Cacciatori, oltretutto, l'identità dell'albina era pressoché sconosciuta.
Il campo si restringeva.
«Tu, Anna dai capelli rossi, cosa dovevate fare oggi pomeriggio?»
«Mi chiamo Samantha, se te lo fossi dimenticato. Dovevamo studiare insieme a dei nostri compagni», certo non sarebbe venuta meno alla promessa fatta: Claude non doveva sapere.
«E dove sono i tuoi libri?»
Oh-oh.
«Non potrebbe essere uscita per una passeggiata o che ne so? Non manca da molto, in fondo», suppose Trevor, cercando di calmare i bollenti spiriti dei due.
«No», rispose immediatamente il vampiro.
«Impossibile», sentenziò la rossa.
Poi entrambi si frustarono con gli occhi.
Trevor avrebbe giurato di scorgere delle scintille.
«Potrebbe essere stata Michela», ruppe il silenzio Claude.
«Ma... perché?»
«Non lo so», biascicò portando pollice ed indice alla base del naso.
A quel punto Samantha si alzò davvero stufa delle chiacchiere dei due, quindi si avviò verso le scale, diretta nella camera di William. O almeno, erano queste le intenzioni prima che il tedesco le si parasse di fronte, minaccioso.
«Dove pensi di andare, ragazzina?»
Lei deglutì, alle spalle poteva sentire gli occhi gelidi dell'altro ragazzo sulla propria figura. «Devo controllare se Will ha lasciato qui il cellulare.»
«Oh...», rifletté l'umano, «Samantha, sei un genio!», gridò quindi raggiungendo i due. «Scommetto che ti servirebbe anche un portatile.»
«Eh
Trevor guardò Claude, più che eloquente.
«Capito, capito», borbottò questo e, dopo un cenno sbrigativo con la mano, quasi fosse trasportato dal vento scomparì.







* * *









«Perché non ti sei fatto vivo prima? Ti credevamo morto, eppure―»
«Io sono morto», la interruppe bruscamente, stringendole poco la mano. «E anche tu», aggiunse con tono grave, abbassando le palpebre. «Sei davvero giovane ed inesperta e non ti sei accorta di nulla nella foga dell'abbraccio, quest lo capisco, ma anche tua madre ci ha fatto caso.»
«Co-cosa? La mamma già sapeva..?»
«Prima che partisse. Le ho consegnato io la chiave del baule.»
«A cosa non ho fatto caso, papà?», chiese con impazienza, non riuscendo ad intercettare lo sguardo rosato dell'albino. Non riusciva a comprendere, dannazione. Poi Alexandre la piccola mano sul proprio petto.
Ed ella capì.
Oh, eccome se lo fece.
Premette anche, ancora di più su quel petto, quasi volesse infiltrarsi tra quelle costole e la carne per raggiungere il cuore. In quel punto, dove da piccola poggiava il visino, assonnata, ora era come se vi fosse il nulla. Il cuore di suo padre non batteva ― alzò gli occhi celesti, scossi, trovando per fortuna il sostegno di quelli di Alexandre.
Quest'ultimo si aspettava una reazione disastrosa da William ed invece lei mantenne una compostezza degna della più bella statua dall'espressione apatica.
«Cos'hai fatto in questi anni?», domandò solamente lasciando scivolare il braccio sul materasso, sfuggendo al più grande quasi fosse sabbia tra le dita. Ripensando al giorno del funerale, al corpo di suo padre vestito di tutto punto per un viaggio di sola andata dentro una tomba, alla faccia addolorata i sua madre in abito nero. A tutto. Quindi, era solo una menzogna, quella? «Io... ho convissuto con i sensi di colpa di― per non essere stata una buona figlia e..!» e nulla. Non riusciva ad andare avanti senza rischiare di nuovo le lacrime. Inspirò.
L'albino rimase interdetto, poi smosse con le dita lattee il ciuffo di capelli immacolato che gli copriva la visuale. La sua bambina pensava di non essere stata una buona figlia e ciò lo riempiva di tristezza.
«Sono, anzi, ero un Cacciatore, prima di scontrarmi con lei», si alzò dal letto, lasciando che il materasso andasse alla deriva, mentre lui congiungeva le mani dietro la schiena, perdendosi nei ricordi di quel lontano giorno di quattro anni fa.
«Ovviamente era giunta la sua ora se mi avevano dato l'ordine, eppure era così tranquilla: accettava il suo destino. Mi ricordava te, in un certo senso. Suppongo avesse la tua età quando la trasformarono», sospirò.

«Il famoso Cacciatore Bianco, Alexandre, suppongo», la vampira lo osservò con un pizzico di curiosità nelle iridi marroni, studiandolo in modo alquanto esplicito, poi sorrise, porgendogli la mano. Il suddetto rimase alquanto perplesso a quel comportamento, in quanto, solitamente non incontrava in quel modo i vampiri e poi quest'ultimi non erano mai amichevoli. Nonostante ciò strinse la mano a quella ragazza.
«Henrike Krämer», mormorò.
«Henrike Ophelia Krämer, Nikie per gli amici», lo corresse sorridendo.
Bene, era una situazione davvero insolita. Ed ora, cosa avrebbe dovuto fare?
«Non dici nulla?», gli domandò lei chinando il visino di lato, lasciando la mano pressoché bianca del Cacciatore. Le illuminava lo sguardo ed ora capiva perché era anche nominato L'Ange de la Mort: sembrava sul serio un essere ultraterreno che donava la morte a quelle creature dannate come i vampiri.
«Di solito, sai, è tutto un po' diverso», le confessò.
«Capisco, sì», con l'aria pensierosa osservò il marciapiede. «Gli altri non si offrono così facilmente, presumo. Ma io ho la bellezza di quasi mille anni e la vita appare ormai così noiosa, la morte mi sembra l'ultima perfetta esperienza che potrei fare. Dimmi, Cacciatore, posso chiederti un favore?»
«Dipende, anche se dovrei solo ucciderti», sorrise appena. Di fronte a sé si erigeva praticamente un pezzo di storia e non riusciva a non provare rispetto per lei. Sembrava davvero una ragazza sui diciassette anni e gli occhi di un caldo color cioccolato erano limpidi, non come gli altri. Stare vicino a quella vampira infondeva una sorta di serenità.

«Qual era il suo favore?», chiese William ora del tutto rapita dal racconto del padre.
«Di lasciare vivere il suo compagno», Alexandre sorrise con amarezza poggiando le mani sul comò, inspirando profondamente, «Claude Von Ritcher.»
A quel punto tutto il mondo crollò sulle spalle della vampira e quelle parole le rimbalzarono addosso pesanti come mattoni. Il bisogno di sapere ora era irrefrenabile e, per quanto i pezzi del puzzle nella sua mente iniziavano ad unirsi, si alzò andando vicino al padre. Il nome di Claude le faceva venire solo i conati se pensava avesse avuto una relazione con la stessa vampira che uccise suo padre. Tutto era già segnato quindi e, forse, nemmeno quell'incontro mattutino era casuale.
«Comunque accettai, seppur sapessi che prima o poi toccasse anche a lui. Ma non fu così facile», la voce calda di Alexandre sembrava essersi congelata mentre osservava con insistenza il legno del mobile e, a tratti, si torturava le labbra, «Claude non sapeva. Era allo scuro di tutto, fin quando quella sera non trovò la sorella.»

Il patto era fatto, era finalmente arrivata l'ora di adempiere al suo compito. Non aveva mai discusso con un vampiro per tutto quel tempo ed ora capiva perché non andava bene: si iniziava a prendere una pericolosa confidenza con quella belva e quindi si abbassava la guardia. Si trovava di fronte a lei che finalmente era pronta ad andarsene per sempre, il legno contro la pelle del palmo della mano destra, l'impugnatura salda. Come doveva essere quella di un esperto.
«Nikie, allontanati da lui!», urlò il corvino, le zanne sguainate e gli occhi iniettati di sangue. Alexandre non l'aveva visto arrivare, e come poteva data la velocità inumana di quegli esseri? Scattò verso di lui senza pensarci due volte, in quel momento troppo occupato per preoccuparsi della promessa fatta alla vampira. Non conosceva per nulla il suo compagno, ma sembrava un tipo molto impulsivo, quindi anche molto ingenuo. In poche parole, stupido. Se osava presentarsi in quel modo ad un Cacciatore la quale fama precedeva sempre la sua persona.
Furono gli istanti più lunghi della sua vita quelli che videro frapporsi alla figura del vampiro quella di Henrike ed allo stesso tempo anche quelli più veloci. Disgraziatamente, non riuscì a fermarsi in tempo e trafisse la ragazza con il paletto, prendendo anche un'angolazione alquanto storta a causa del tentativo di arrestare il suo attacco. Forse, anzi, sicuramente la punta del legno aveva colpito il cuore della vampira non in pieno e nemmeno di striscio: una dolorosa via di mezzo che le avrebbe donato il peggiore ricordo della morte.

L'albino avrebbe voluto prendersi la testa fra le mani tanto non avrebbe voluto ricordare quell'episodio, invece i suoi pensieri vennero interrotti dalla suoneria di un cellulare ― William sussultò.
«Samantha!», esclamò sgranando lo sguardo. Poi si rivolse al padre chiedendogli indirettamente un consiglio, quello, leggermente sollevato le fece segno del via libera. Non era certo un sequestratore, in special modo se quella di fronte a lui era sua figlia.
«Ehy», rispose visibilmente nervosa.
-Oddio..! Will, stai ben―-
-Prinzessin!-
-William!-
«Samantha, dove sei?!» urlò sull'orlo dell'isteria l'albina, il campanello d'allarme che aveva trillato subito dopo l'esclamazione di Claude. Sentì Samantha borbottare qualcosa ai due, una sorta di rimprovero ed il tedesco protestare nella sua lingua madre.
-Dove sei tu, William Leroy!-
Alexandre aggrottò la fronte.
«In verità... Non... lo so, ecco», in parte era vero, no?













Deliri Note dell'autrice:
Fangirlo per il mio stesso capitolo. Il fatto è che tengo un sacco al personaggio di Alexandre, quindi spero di aver reso bene il tutto e di non aver creato confusione o fatto errori gravi, anche se a quest'ora il sonno gioca brutti scherzi. °A°
Quindi domani ricontrollerò il tutto, lo prometto. (?)
Come sempre si ringraziano i lettori silenziosi che con le loro visite mi rendono comunque felice e la Senpai che continua a sostenermi. uvu E mi55 rixxy, che ha recensito il prologo ed aggiunto la storia alle preferite. ♡
―L o t t i e.
  
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