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Autore: pink_pig    07/03/2015    4 recensioni
E se da un semplice contratto nasce qualcosa che non è previsto?
Lei è quello che solitamente si definisce "donna irraggiungibile": intelligente, laureata con il massimo dei voti, simpatica e molto bella. Ma ha un difetto. Più che difetto è un problema: a 32 anni non è ancora sposata. La madre la costringe a sposarsi, di mettere su famiglia e fare un figlio. Stressata, stanca e nervosa, a mani estremi, estremi rimedi: dato che non riesce a trovare il suddetto "vero amore", perché non può sposarsi stipulando un semplice contratto? Al mondo ci sarà pur qualche uomo che è nelle sue stesse condizioni, no?
Lui è quello che solitamente si definisce "uomo irraggiungibile", erede di un patrimonio enorme, intelligente, un business man con la camicia sempre abbottonata, che punta più al lucro finale che al processo, ma... ecco, anche lui ha un problema: prossimo ai 40 anni, non è ancora sposato. I genitori sono preoccupati e lo stressano a partecipare a dei "incontri al buio" finché non si sposerà quindi, mani estremi, estremi rimedi.
Quindi?
Firmeranno un contratto che li vincolerà in eterno: il contratto di matrimonio.
P.s: non sono una scrittrice quindi non aspettatevi chissà cosa
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Emily



Che cosa dovrei mettermi?

Prendo il lungo vestito da sera nero a maniche lunghe che lascia la schiena scoperta, che scende sinuosamente fino le caviglie e mette in risalto le mie curve e al contempo nasconde i difetti causati dalla troppa”attività” da sedentaria, con uno spacco vertiginoso sul lato. Con l’altra mano prendo l’altro vestito che, rispetto al primo, è oltraggiosamente semplice: sempre a maniche lunghe, è di color bianco, con una scolatura che lascia scoperto le spalle e scende morbidamente fino le ginocchia.

In casi come questi avrei bisogno di un consiglio, ma non ho ancora detto a nessuna delle mie amiche di questa cena. Dentro di me non capisco il motivo di tale riluttanza: è normale cenare con il proprio capo, no? Sono uscita così tante volte con Jerry (e sua moglie) che ormai ho perso il conto. Quindi, sì, è normale.

No, che non lo è!

Il signor supremo Delton non ha accennato affatto a degli accompagnatori e, da com’è stato formulato (per telefono) l’invito, sembrerebbe molto una cena privata. Non riusciro’ a mandar giù nemmeno un boccone, quindi sarà meglio mangiar qualcosa prima di uscire.

Dopo mezz’ora preferisco un altro vestito nero dal collo alto con la parte superiore fatta di pizzo trasparente, senza maniche e lunga fino le cosce.

Raccolgo i capelli in uno degli chignon che ultimamente vanno tanto di moda, applico il mascara, un ombretto marrone chiaro sostituito da quello scuro verso l’esterno, un po’ di blush rosa sugli zigomi e alla fine un bel lucidalabbra rosso ciliegia di Dior. Ora mi sento una diva.

Prendo la pochette e infilo i piedini nei decolleté neri brillantati come la borsa e prima di correre verso il taxi che mi sta aspettando, apro il cassetto di fianco all’entrata e prendo un involucro di plastica quadrato. Anzi, ne prendo due. Non si sa mai.

Prima di infilarli nella pochette, come rito appoggio le labbra leccate dal lucidalabbra sulla plastica sperando che questo mi porti fortuna. Ultimamente ne ho davvero tanto bisogno.

Durante il tragitto, mi trovo a ripensare a quello che è successo ieri durante la riunione con il signor Delton: come stabilito, gli ho mostrato l’elenco dei dipendenti da sostituire, quelli da promuovere e quelli da spostare in un’altra sede/ufficio. Dalla sua espressione (fronte aggrottata, sopracciglia corrugate) mi è parso di capire che la mia proposta non gli è piaciuta. Dopo gli ho mostrato l’idea che il mio stuff ha avuto per lo spot pubblicitario con Robert, ma neanche quello gli è piaciuto. In altre parole, ho pensato di aver fallito come non mai.

Questo fino a un paio di ore prima: dopo aver chiesto ai miei ragazzi di buttare giù delle nuove idee per lo spot, mi sono messa a (ri)sfogliato i cv di tutti i dipendenti dell’azienda con i loro pro e contro quando Gracie mi passa la chiamata del signor Delton.

Anche con chilometri di distanza e una cornetta che ci separa, sentire la voce bassa e fredda del signor Delton mi ha fatto venire i brividi per l’ansia. Non ho mai avuto tanto rispetto e paura di nessuno e non riesco a capire come possa lui avere un tale effetto su di me.

Sarà per l’energia che emana il suo fisico, lo sguardo diretto e sicuro, la sua postura da “io sono il tuo padrone” o i vestiti di alta classe fatti su misura.

- Buonasera signor Delton. – ho risposto, richiamando tutta l’aura positiva che ho imparato dall’unica lezione di yoga che ho fatto.

- Salve. – aveva risposto lui. – Spero di non averla disturbata.

Purtroppo sì, mi stai disturbando! Devo rifare la lista delle persone da sbattere fuori, e questo non è semplice come sembra! – No, si figuri. Come posso aiutarla?

- Ieri ha lasciato qui la sua penna stilografica. – ha detto e automaticamente ho aggrottato la fronte.

Penna stilografica? Mai avuta in vita mia. Anzi, quando ero piccola avevo rubato quella di mio padre, ma poi l’avevo fatta cadere e si era rotta. Solo dopo mi avevano detto che valeva quanto una borsa di edizione limitata di Louis Vuitton. – Ah, non penso che sia mia.

- Davvero? – mi è sembrato sorpreso, ma non più di tanto. Dopo un paio di secondi alquanto calcolati, ha continuato: - Facciamo così, gliela porto stasera così può controllare di persona.

- Ma sono sicura che… - prima di riuscire a finire la frase, mi ha bloccata lasciandomi sia stupefatta che sorpresa.

- Ora devo andare, le mando per messaggio la data e il luogo.

- Ma… ! - “ma” niente. Sono stata incastrata ed è dai tempi del college che non mi capita.

- Signora, siamo arrivati. – l’accento straniero del taxista mi porta brutalmente al presente e, cercando di essere il più possibile cortese, gli correggo la frase: -

Signorina, siamo arrivati.

Se quella svampita di Laura fosse qui con me, sarebbe morta dal ridere. Mi chiedo come mai non l’abbiano ancora licenziata: una cameriera che sa solo mostrare il proprio davanzale e che sparisce con i propri clienti per una sveltina non mi sembra molto professionale. Ma questa è solo una mia opinione. E si, sono proprio un’amica fantastica.

***

Johnny



Invitare Emily a cena non era in programma, ma dopo l’ennesimo fallimento all’appuntamento al buio organizzato dai suoi genitori, il suo miglior amico Dan gli ha cuccato in testa un’idea tanto strabiliante quanto fantastica. Se il matrimonio non è altro che un contratto, perché non scegliere una persona che possa aiutarlo anche nel suo lavoro? L’amore non è una clausola obbligatoria, neanche il fattore di provenire da una famiglia ricca, tanto meno che conosca le persone più importanti della città. La sua moglie ideale deve essere affascinante e intelligente, deve essere in grado di aiutarlo realmente, ma soprattutto non deve essergli d’intralcio.

- Puoi scriverlo nella lettera per Babbo Natale. – è stata la risposta di Dan all’altro capo della linea dopo aver ascoltato pazientemente il suo elenco.

- Oppure fare una lista di donne single in carriera in questa maledetta città. – ha replicato semplicemente lui. –

Diventare la moglie dello scapolo più ambito della città, se non del paese, è il sogno di tutte le donne.

Lo scoppio di ilarità di Dan è stato talmente imprevisto che Johnny si è ritrovato a fissare il telefono con fastidio. – Hai davvero un’alta, se non troppa, considerazione di te stesso, amico.

- Ho solo ripetuto quello che c’era scritto sulla rivista People lo scorso mese. “Un fisico da ex giocatore di football professionista, un cervello da Harvard, un patrimonio pari di Mark Zuckberg. Lo scapolo…” blablabla… - ha finito sventolando la mano con aria annoiata, in contemporanea dell’alzata di occhi dell’altro all’altro capo della linea.

- Cambiando argomento: come sta procedendo con la New Building?

- Non bene come speravo. – ha risposto Johnny appoggiando i gomiti sulla scrivania di legno scuro. – Emily mi ha presentato i nomi di cinque persone di cui tre sono dei giovani laureati nella miglior università della città. Come una donna sentimentale, ha intenzione di “salvare” i vecchi in procinto alla pensione e persone con problemi famigliari. Non che siano quest’ultimi quelli da licenziare, ma mi aspettavo qualcosa di più realistico da parte sua. – ha detto mentre cambiava posizione sulla poltrona di pelle nera. - I lavori nel villaggio turistico in Cina sono iniziati e stanno lavorando in fretta. Entro un anno dovrebbe essere tutto pronto.

- E con Robert?

- Lo spot che mi hanno fatto vedere faceva schifo. Ora la stanno rifacendo con l’aiuto dello SP Group. Finché l’idea non è buona, Robert non firmerà.

- È da lui. – ha confermato Dan e mentre parla si sente il sottofondo chiuso del traffico. – Quindi per ora l’azienda è nelle mani di Emily? Com’è?

- Finché tu non ritorni, sostituisce momentaneamente Jerry. Sembra una persona efficiente.

- Bene, ma è carina? – ha voluto sapere Dan.

Delton ha pensato ai suoi occhi a mandorla, a come lo guardava, è stato come se volesse stare il più lontano da lui per rispetto e per… paura? Le donne non hanno mai avuto paura di lui, semmai è il contrario. L’unica cosa che ha sempre visto negli occhi dell’altro sesso è stato il desiderio di lui, dei suoi soldi, della sua fama.

- Tecnicamente parlando, ha un viso con proporzioni perfet… - ma non ha fatto in tempo a finire che Dan l’ha interrotto.

- Quindi deduco che sia molto carina. – la soddisfazione mal celata dell’amico ha innervosito l’uomo, che cambia di nuovo posizione.

- Beh, sì… - e, dai ricordi che sono riemersi negli ultimi tempi, è anche molto bello andarci a letto, ma questo non gliel’ha detto, e non gli ha neanche detto che l’ha riconosciuta come la donna di quella dannata notte.

- Ok, ricapitolando: è bella, intelligente ed efficace… - Dan si è fermato un attimo per pensare e ha finito - è la tua moglie perfetta.

E di lì a dieci minuti Johnny ha chiamato Emily.



Johnny Delton è sempre stato un uomo affascinante: ha ereditato dalla madre la carnagione olivastra, i capelli e gli occhi castani, mentre dal padre la statura e il fisico robusto. Grazie a quest’ultime caratteristiche era riuscito a entrato nella squadra di football del college come quarterback, e dopo come giocatore professionista. Ha sempre saputo che non avrebbe giocato per sempre, ma non si aspettava di ritirarsi due anni dopo per una grave frattura alla spalla.

- Signor Delton, le posso portare altro? – chiede il cameriere chinandosi leggermente, ma lui lo manda via con un cenno della mano.

È in anticipo di dieci minuti, ma si aspettava che la donna fosse già lì ad attenderlo.

Il ristorante che ha scelto si chiama “Cena a Roma”, gestito da dei francesi che cercano di farsi passare per italiani, ed è stata arredata come uno dei ristoranti più sfarzosi del posto.

Situato al piano terra di uno dei palazzi del quartiere più ricco della città, è composto di una sala centrale con diversi tavoli e da un paio di stanze più piccole per avere un po’ di privacy, e Johnny è in uno di queste stanze.

Qualcuno bussa alla porta della stanza rettangolare e fa capolino un giovane cameriere biondo con la camicia su misura del ristorante. Sembra uno studente universitario e, da come si muove Johnny capisce che non è del posto.

- È arrivata la sua ospite. – annuncia e si sposta da parte per far entrare Emily.

Alla vista della donna, da gentiluomo Johnny si alza per salutarla, ma si ritrova a deglutire e a schiarirsi la gola per la sorpresa. Non si ricordava che fosse così bella. La prima cosa che nota è il suo sguardo, luminoso e profondo, come se riuscisse a vedere oltre l’apparenza, fino all’anima; poi le labbra, così delicate e sensuali grazie al lucidalabbra rosso, che sembrano chiamarlo per morderle e succhiarle; più giù lo sguardo gli cade sul collo libero e sul decolleté coperto dal pizzo trasparente, che mostra la sottile fessura tra i seni…

Johnny deve deglutire di nuovo e cerca di darsi una calmata.

Dopo tutto, non è la prima volta che vede una donna tanto attraente, ma è sicuramente la prima volta che si sente tanto sorpreso. Le volte precedenti l’aveva sempre vista coperta (cioè semplicemente vestita) dal collo fino ai piedi e… trovarla così bella, curata e sensuale per lui gli accende quel incendio violento nell’inguine che per molto era stato una fioca luce della candela.

- Buonasera. – dice quando ritrova la voce, e si avvicina per salutarla con un casto bacio sulla guancia. –

Bellissima come sempre.

Emily sorride al complimento e riesce a rispondere al saluto senza balbettare. Come si è ripetuta durante il tragitto sul taxi, questa è solo una cena di lavoro… Il giorno successivo farà rapporto ai suoi colleghi per farsi pagare la serata come ore di straordinari, anche se ha già superato il limite di ore di straordinari annuale stabiliti dallo stato.

Ritrovandosi come una bambina, si fa guidare all’altro capo del tavolo rettangolare, di fronte al posto del signor Delton, e si siede quando lui sposta leggermente la sedia.

- Grazie.

Johnny, alle sue spalle, alza l’angolo della bocca e bisbiglia dolcemente. – Prego.

Dopo che è tornato al proprio posto, si appoggia con nonchalance allo schienale della sedia.

- Vengo spesso in questo posto. – dice, cercando di non essere troppo espressivo. – Spero che possa piacere anche a lei.

Emily si guarda intorno, soffermando lo sguardo sulla parete di vetro che si affaccia sul giardino interno del palazzo, illuminato dalla luce artificiale dei lampioni. – Intende il posto o il cibo?

- Penso tutte e due. – risponde l’uomo seguendo il suo sguardo.

Emily si gira per incontrare il suo sguardo e, stringendosi l’avambraccio con mano per rimanere calma, dice. - Mi piace. – e abbozza un sorriso troppo rigido per passare naturale.

Dopo una decina di minuti il cameriere prende gli ordini e si allontana per portare da bere.

- Come mai non ha voluto del vino? Hanno un ottimo rosso italiano, perfetto con l’entrecote.

- Per un po’ preferisco non bere. – farfuglia la ragazza, arrossendo inconsapevolmente e Johnny alza un sopracciglio in risposta, cercando di nascondere il sorriso che sta per sbocciare sulle sue labbra come una rosa. A causa sua sta diventando astemia? Quasi (appunto: quasi) si sente in colpa.

- Come mai?

- Lunga storia. – risponde lei. – Ho capito da poco che io e l’alcol non andiamo tanto d’accordo.

- Non lo regge?

- Oh, - Emily si trova a sorridergli, e questa volta con una nota di sfida. – lo reggo anche troppo. Talmente tanto che mi sono trovata in blackout senza capire quale sia il mio limite.

- Ignora l’inizio della propria incoscienza? – chiede e quando Emily scrolla le spalle come risposta, continua: - Mi sento in dovere di aiutarla a definire questo limite.

Emily si irrigidisce, non capendo se sta flirtando con lei o se sta solo conversando amabilmente perché il tono della voce rimane invariato. Per distrarsi si sposta una ciocca di capelli scuri sfuggito dallo chignon e si morde il labbro inferiore alla ricerca di una risposta intelligente. Anzi, di una qualsiasi risposta, basta far uscire qualcosa dalla bocca per rompere il silenzio troppo imbarazzante. E alla fine le scappa: - Vuole ubriacarmi?

Questa volta tocca a lui rispondere ad una domanda troppo peccaminosa. – Forse no. La preferisco sobria.

Emily si sta odiando per la figura che sta facendo. Sembra una rimbambita a cui serve un’eternità per rispondere a delle semplici domande. Eppure il suo lavoro consiste nel tenere “viva” le conversazioni, trovare sempre delle risposte adatte, ma ora come ora non sa cosa dire: non vuole essere troppo sfacciata perché lui è il capo, non può essere troppo elusiva perché la conversazione morirebbe, non può fare allusioni o essere troppo “simpatica” perché ciò rovinerebbe la sua immagine di donna in carriera. A questo punto le sembra addirittura più facile buttarsi dal palazzo in tanga.

- In effetti, parlare con una donna ubriaca non è il massimo. – riesce a dire prima di mordersi di nuovo le labbra. E adesso lui come potrebbe rispondere? Doveva rispondere con qualcosa che facesse continuare la conversazione e invece… che figura.

Vedendo l’espressione corrucciata della donna, Johnny scoppia a ridere, sorprendendo a tal punto Emily che arriccia il naso.

- Non siamo al lavoro, non deve essere tanto nervosa. – dice e l’angola della bocca si alza leggermente, formando delle sottili rughe negli angoli degli occhi. – Non la mangio.

Emily sbuffa e si rilassa immediatamente. – Se lei non avesse avuto quella faccia seria da quando sono entrata, non sarei tanto nervosa.

- Quindi l’ho spaventata? – dice e il sorriso non vuole sparire, conferendo al suo viso severo una tonalità più tenero.

La donna scrolla le spalle e appoggia gli avambracci sul bordo del tavolo. – Come potrebbe non farlo? Quando sorride è notevolmente meno spaventoso.

- Lo terrò conto la prossima volta che ci vediamo.

La frase sembra alludere ad un altro appuntamento e questo disorienta la ragazza. Se lei si rifiuta di vederlo fuori dagli orari di lavoro, sarebbe un male? A parte che non ha nessuna ragione per rifiutare, ma se nel caso lo facesse sarebbe un problema?

- E, poiché siamo in vena di raccomandazioni, si ricordi di sostituire lo sguardo da esaminatore della patente con uno da persona normale.

- Esaminatore? – la parola sembra divertirlo particolarmente e annuisce con il capo per tenerne conto. – Non sapevo di avere lo “sguardo da esaminatore”.

- Sempre meglio di quello da dottore.

- Non la seguo.

- Beh, l’esaminatore guarda solo se guida bene e se sta seguendo le regole, il dottore invece controlla il corpo attraverso i raggi X. In pratica mette a nudo le pers… - Merda! Emily si morde subito il labbro inferiore per non finire la frase, anche se ormai è sicuramente troppo tardi. Stasera non riesce a dire niente di sensato: o le parole escono con fatica, oppure scorrono troppo tranquillamente da dire delle cose insensate. Ok, forse è un effetto collaterale all’astinenza dell’alcol.

- Ho bisogno di bere qualcosa di alcolico. – farfuglia con lo sguardo sul tavolo, e scosta nuovamente i capelli dal viso per tenere le mani occupate.

- Dottore… - mormora Johnny e puntella il gomito sul bracciolo della sedia, poi appoggia il mento sulla mano. – Sembra interessante.

Qualche secondo dopo entra il cameriere con le bevande, e Emily ringrazia Dio per l’interruzione. Le mani le stanno sudando dal nervosismo e, dopo tutte le volte che si è morsa le labbra, il lucidalabbra è andato a farsi benedire.

Dopo un po’ salgono anche le portate e Emily cerca di mangiare con calma per celare la propria ansia. Non sa cosa aspettarsi e ha la sensazione di essere leggermente imbranata (lei che non lo è mai) agli occhi del suo capo. Essendo una donna di trentadue anni dovrebbe essere benissimo in grado di gestire questa situazione, soprattutto perché di appuntamenti con uomini affascinanti ne ha avuti non pochi, ma come un’adolescente con gli ormoni scombussolati, non ha la più pallida idea di cosa fare. Non ha la più pallida idea di cosa lui voglia fare.

Tra le varie portate i due cercano di conversare parlando di tutto: dalle proprie origini alle scuole frequentate, dal tempo libero al lavoro. Johnny nota che la donna parla volentieri del proprio lavoro, meno della propria famiglia, e non accenna all’ansia della madre per il suo futuro. Non sono ancora così intimi da parlarne.

Nessuno dei due accenna al matrimonio, perché questo non è un argomento per una prima cena. Ma nessuno dei due ignora la tensione sessuale che regna nella stanza, e sembra che anche il giovane cameriere se ne sia accorto.

- In realtà stasera volevo farle una proposta. – dice Johnny dopo il dessert, tornando con al solito tono serio.

Ormai si sta facendo tardi e la serata è in procinto alla conclusione, quindi porge al cameriere la carta di credito: - Il conto.

Quando il giovane si allontana, Johnny dice: - Andiamo da lei.

***

Emily



- Andiamo da lei. – dice e si protende in avanti appoggiando i gomiti sul tavolo.

La sua non è una proposta ma qualcosa tipo un ordine, e come un robot che ha perso il dono della parola (e del cervello), deglutisco con una certa fatica e annuisco una volta con il capo.

Cerco di ignorare il rivolo di sudore sulla schiena e mi trovo a mordermi (nuovamente) nervosamente le labbra: è una buona idea? Ha detto che ha una proposta molto interessante da farmi, ma prima deve conoscermi meglio. E questo che c’entra con la mia casa?

L’uomo si alza lentamente dalla sedia e, nonostante la sua altezza, dove gli altri sembrerebbero goffi, lui è maledettamente elegante. Mi alzo a mia volta, ignorando il suo sguardo insistente su di me, dove da tutta la sera mi sta studiando. I suoi occhi scuri sono nei miei occhi, sul mio naso, sulle mie guance, sulle mie labbra, dove resta per un tempo incomprensibilmente lungo, come se volesse toccarle, assaggiarle, succhiarle e questo pensiero mi manda in fibrillazione come se fossi un adolescente con gli ormoni impazziti, poi scende sul mio collo, sul pezzo di pelle che si intravede dalla stoffa nera trasparente, sui miei seni, che si gonfiano quando lui si lecca involontariamente le labbra.

Impazzita, prendo il bicchiere di acqua frizzante ormai quasi vuoto e bevo le ultime gocce rimaste, ma una mi scivola dalle labbra e scende fino la mandibola.

Quando alzo la mano per asciugarmi, la sua vicinanza mi blocca le articolazioni e con la coda dell’occhio vedo che alza lentamente la mano e con un dito troppo morbido per un ex giocatore di football accarezza gentilmente la mia pelle, come se fossi fatta di porcellana.

- Faccio portare dell’altra acqua. – chiede, con la voce diventata troppo roca e sensuale per me.

- No… no, sto bene. – rispondo con la gola secca di desiderio primitivo. Se fossi abbastanza coraggiosa, abbastanza sfacciata, lo spingerei sul tavolo e farei l’amore con lui fino a svenire di piacere. Bacerei ogni centimetro della sua pelle, lo graffierei, lo morderei, e gli leccherei da per tutto da farlo implorare di concedermi a lui.

- Allora andiamo. – dice e fa scendere la mano fino alla curvatura della mia schiena.

Mi spinge verso l’uscita e il portiere ci consegna le chiavi della sua macchina, ricevendo dal signore multimiliardario una mancia troppo generosa, e mi spinge verso un fuoristrada nera con la parola Porche sul retro. Come un gentiluomo il signor Delton apre la portiera del passeggero e attende che metta la cintura di sicurezza prima di chiuderla.

Sotto la luce artificiale dei lampioni, il signor Delton appare maledettamente affascinante: la postura dritta, le spalle robuste e il corpo tonico coperto dal costoso smoking nero fatto su misura, troppo in contrasto con la camicia bianca che si aderisce al suo petto quando si muove, e le gambe lunghe che si appoggiano al suolo come se la terra sia sua.

Perché la prima volta che l’ho visto non mi sembrava tanto appariscente? Ah, c’era Robert. Qualsiasi uomo che sia vicino a lui si ritrova in secondo piano.

- Bella macchina. – dico dopo aver detto dove abito.

- Sì, ma troppo grossa. – risponde lui guardandomi con la coda dell’occhio.

Nonostante abbia le marce automatiche, tiene una mano sul volante e l’altra sul mal cambio e in questa posizione la camicia si stropiccia un po’ sui bottoni, dove cercano di restare il più possibilmente chiusi.

Alla sua risposta non riesco a meno di alzare gli occhi. È un cavolo di fuoristrada! Ovvio che è grosso.

Come se mi avesse letto nel pensiero, il signor Delton abbozza un sorriso che sparisce subito.

- Mi serve per fare scena. – dice e mi fa l’occhiolino come segno d’intesa.

Proprio come si aspetta lui, sorrido alla battuta (troppo penosa) e scrollo le spalle. – Io non ne ho mai avuto bisogno.

Durante la serata l’atmosfera che ha regnato è cambiata innumerevole volte: da prima severa, poi imbarazzante, poi confidenziale, per tornare a severa, poi a sensuale e alla fine di nuovo imbarazzante.

Perfetto.

Che genere di proposta vuole farmi? Qualcosa tipo “cinquanta sfumature di grigio”? Vuole fare sesso violento e vuole vincolarlo con delle carte legali? È questo che mi vuole proporre?

Beh, non che possa dispiacermi.

Ma in cambio cosa mi vuole dare? Solo il piacere? Purtroppo per lui non sarà così facile: non sono una santarellina che non ha mai scopato in vita sua, e non mi faccio comprare con il sadomaso. Anche se… forse… prima di escludere questa possibilità dovrei avere un “assaggio” di ciò che propone no? Non mi dispiacerebbe spogliarlo lentamente, leccare ogni suo muscolo perfetto grazie al football. Vorrei anche toccare la sua ferita, studiare ciò che gli ha causato la fine della carriera sportiva e morderlo, ma mi attenta molto di più frustarlo, magari non troppo forte, giusto per vedere la sua smorfia di dolore. Giusto un’altra espressione dalla solita aria seria.

L’aria si sta scaldando. No, mi sto accaldando solo io.

Apro leggermente il finestrino per far entrare la brezza della sera tipica di inizio maggio.

All’improvviso la pochette nera vibra, quindi tiro fuori il cellulare: è un messaggio da parte di George, l’uomo presentato da mia madre.

Uno strano senso di colpa mi serra la gola. Alla fine non ho fatto niente di male, non ha senso sentirmi in colpa.

“Poco fa ti ho vista al ristorante italiano Cena a Roma e volevo alzarmi a salutarti, ma eri in compagnia, quindi non volevo disturbarvi. Volevo solo dirti che stasera sei davvero bellissima. Sei ancora molto giovane quindi cerca di divertirti.”

Con la coda dell’occhio studio il profilo virile del mio capo, e cerco di frenare la tentazione di spostargli il ciuffo scuro dal viso o di appoggiare la mano sul suo viso con l’accenno della barba di un giorno per sentire se è ispida. E cerco di non pensare alla possibile reazione del mio corpo nel caso venga a contatto con la parte più sensibile della donna.

Cerco di riprendermi e digito velocemente: “Grazie George, spero che anche tu ti possa divertire.”

Dopo una decina di minuti regnato dal silenzio soffocante, l’automobile si ferma nel parcheggio di un palazzo di cinque piani, costruito nel secolo scorso dopo la guerra. Le mura di mattone trasudano di storia, di stile e di calore.

- Benvenuto nel quartiere storico. – mormoro quando mi apre la portiera, sentendomi stupida e umiliata.

Perché da me e non da lui? Ah, giusto. È per conoscermi meglio…

- Sembra un posto bello. – risponde lui, senza nessun emozione in particolare.

- Beh, non è male. – riesco a confermare. Dopotutto è la mia casa dolce casa, non posso permettere che sia giudicata troppo male, mi sentirei offesa. È da quasi tre anni che abito qui, dopo la promozione a responsabile Jerry mi ha trovato questo appartamento, che è a pochi isolati dall’ufficio, e come le altre spese di noi dipendenti di alto rango sono a carico della società. Forse il signor Delton non lo sa… O forse lo sa e vuole cambiare le regole. Spero proprio di no, altrimenti procedo con lo sciopero della fame.

Cercando di rimanere in equilibrio sui tacchi a spillo decisamente troppo alti, lo guido fino l'entrata del palazzo illuminata dalla lampada rotonda sul soffitto.

Quando le porte dell’ascensore si aprono, da gentleman il signor Delton mi fa cenno di precederlo e premo il tasto del terzo piano quando lui appoggia una spalla alla parete. Le ante di ferro si chiudono.

Entrambi non abbiamo intenzione di parlare e aspettiamo con desiderio la destinazione di questa lenta salita. I numeri sullo schermo sopra i tasti dei comandi cambia lentamente: dapprima compare “1”, poi viene sostituito dal “2” e, dopo un’eternità, compare il “3”.

Le ante di ferro si ritirano producendo un leggero ronzio.

Esco per prima e gli faccio cenno con il capo verso l’ultima porta a destra. Il mio appartamento si affaccia verso il parcheggio del palazzo, con di fronte l’altro edificio gemello.

Come panorama non è il massimo, ma è un posto tranquillo.

A qualche passo dal locale con il signor Delton alle spalle, apro la pochette per prendere le chiavi ma mi blocco quando il mio sguardo si ferma sulla porta.

È accostata, qualcuno l’ha aperto mentre ero via.

Il signor Delton mi appoggia una mano sul gomito per mettermi da parte e si fa avanti lentamente, camminando cercando di produrre meno rumore possibile. Quindi infilo la pochette sotto le ascelle, mi tolgo i tacchi e li tengo come se fossero dei pugnali letali.

Lui spinge l’anta della porta verso l’interno ma verso la fine viene bloccato da qualcosa. Nel buio riesco a riconoscere la forma di qualcosa di rettangolare e ingombrante che sbarra la strada e, quando la vista comincia ad abituarsi, capisco che è una grossa valigia.

- Ma che… - mormoro, ma lui si gira verso di me con l’indice sulle labbra. Ok, devo stare zitta.

Nonostante l’apertura angusta il signor Delton riesce a entrare e lo seguo a ruota.

La porta d’entrata conduce al salotto illuminato dalla fioca luce trasparente della porta finestra in fondo alla stanza. Nel buio si riescono a riconoscere alcune sagome, tipo l’enorme divano a L di pelle bianca che domina la stanza, situato di fronte caminetto e al televisore, ma non è questa la prima cosa che si nota. No stasera.

La tv che non ho quasi mai usato ora è acceso, e sta mostrando una scena di un film che non sembra Heidi. È decisamente qualcosa di vietato ai minori.

La scena è ambientata in un piccolo ufficio e la protagonista, una donna nuda con solo i tacchi addosso, è sdraiata con le gambe aperte sulla scrivania, e dall’angolazione della ripresa si riesce a vedere la lingua dell’uomo tra le pieghe… Il volume è regolato al più basso, ma riesco a sentire i gemiti della donna.

Oddei…

Che sta succedendo?

I gemiti non provengono dal film.

Dal divano spunta fuori la sagoma di un uomo maschile che sta spingendo nel mio divano.

Nel mio bellissimo divano bianco!

Ad un’altra spinta i gemiti salgono di tono.

Deglutisco e cerco di staccare lo sguardo dal divano, dal televisore, da loro, ma non ci riesco. È una scena talmente da pervertiti che mi sento eccitata. Alla fine riesco a spostare gli occhi, con il madornale errore di posarli sull’uomo che mi ha accompagnato. Anche lui sembra attratto inconsciamente dal loro sesso e lo vedo irrigidirsi sempre di più, diventando quasi una statua.

Un lungo brivido mi percorre lungo la schiena e, non potendo più di tutta questa carica erotica, a passo malferma e con il cuore in gola esco dal mio appartamento e mi appoggio al muro per reggermi, sperando che il freddo della parete possa farmi tornare in senno.

Dopo un paio di secondi lui mi segue e si ferma a pochi centimetri da me, con gli occhi scuri che brillano di eccitazione. Passa la lingua sulle labbra secche per inumidire e si passa la mano tra i capelli, spostando anche le ciocche che gli coprivano la fronte.

Lentamente il suo sguardo scivola sul mio viso, si sofferma sulle mie labbra e appoggia la mano sullo stipite della porta, a pochi centimetri dal mio viso.

- Quando ho detto di venire da te, non mi aspettavo di imbattermi in uno spettacolo a luci rosse. – mormora, con la voce impastata, roca e… molto eccitata. – Forse dovrei essere imbarazzato, o mortificato, ma non lo sono.

Detto ciò si avvicina di mezzo passo, fermandosi con il corpo schiacciato sul mio, e sento il suo gonfiore duro premere contro la mia pancia. Ad ogni suo respiro sento sempre di più la pressione del suo sesso e, al contempo il sangue nel mio corpo bollire, scaldando ogni parte del mio corpo per poi confluire tra le gambe.

- Solo… eccitato. – sussurra e sento il suo alito soffiare sul mio viso. Profuma di vino, di desiderio, e di tanto sesso selvaggio. – Molto eccitato.

Annuncia e abbassa lentamente il capo, bloccandomi con lo sguardo al muro alle mie spalle, e sfiora la punta del mio naso con il suo.







  
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