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Autore: Hank Gadamer    07/03/2015    0 recensioni
Le serate alquanto pulp di un ragazzo, in giro con i suoi amici, nell'immaginaria città di Aberdi tra feste, drogati solitari, personaggi alienati e meditazioni nichiliste...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Violenza
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-Hey voi due...- ripete la voce femmile.
Io e Sergio ci giriamo e vediamo due ragazze dentro una Punto scura. Ci avviciniamo lentamente mentre loro ci guardano, si dicono qualcosa e ridacchiano. La ragazza seduta di fianco alla guidatrice sguscia tra i sedili e va ad occupare quelli posteriori.
- Sì? Che succede?- chiede Sergio.
Le due ragazze erano entrambe bionde, quella nel sedile posteriore aveva i capelli mossi mentre l'altra li aveva sottili e lisci.
- Che fate stasera? Volete divertirvi un po'?.
La domanda delle ragazze mi lasciò perplesso.
- In che senso?- chiese prontamente il mio coinquilino con un sorriso lascivo, di chi sapeva già a cosa puntare.
-Come in che senso? Usate la fantasia... La mia amica è stata lasciata dal suo ragazzo e voglio farla distrarre un po'. Mi aiutate?-  La ragazza che guidava ora aveva lo stesso sorriso di Sergio e lo guardava.
- E dove volete portarci?- Chiedeva Sergio mentre apriva la portiera del sedile anteriore.
- In un posto dove ci possiamo divertire.- Disse la ragazza ridendo.
Io rimasi fuori, pensavo a Camilla che fin'ora aveva occupato i miei pensieri. Lei che era così diversa da quella  bionda che mi aspettava sul sedile posteriore.
- Oh allora? Che stai a fa'?
Sergio aveva già deciso come finire la serata ma io avevo ancora Camilla nella testa. Guardai la ragazza che sorrideva lievemente. Forse anche lei non aveva ancora deciso come finire la serata, il suo sguardo era insicuro come il mio. Il suo sorriso però era dolce e mostrava delle piccole fossete sulle guancie. Che avrei dovuto fare? Diciamo che non avevo deciso io, diciamo che avevo semplicemente lasciato fare al destino e io non posso fare altro che assecondarlo. Entrai nell'auto e questa partì a razzo.
- Benissimo, credo che questa sarà una magnifica serata- Sergio viaggiava già a mille -Io sono Samuele ma voi potete chiamarmi Samu.
Un altra volta. L'aveva rifatto. Sergio aveva l'infantile fissa di presentarsi con nomi falsi agli estranei. Ogni volta un nome nuovo, stasera mi toccava chiamarlo Samu davanti a quelle ragazze, eh sì, perchè quel bambinone pretendeva poi da noi che gli reggessimo il gioco.
Mi presentaì immediatamente, prima che Sergio potesse farlo al posto mio. Il fatto era che Sergio non si limitava a creare una nuova identita solo per se, ma presentava tutti gli altri con nomi assurdi. Quel bastardo una volta mi presentò come Ubaldo Sfonnamano, o come Carlo Pallemosce, o come Gaio Chiavato, tutti nomi improvvisati per metterti in ridicolo. Stavolta però ero stato piú veloce. Le due ragazze si presentarono: Anna e Chiara. Anna era la pilota di F1 che sfrecciava a cento all'ora per le strade di Aberdi, mentre Chiara era la timida e piccola ragazza al mio fianco. Raccolta nel suo spazio, attaccata alla portiera e ancora troppo impaurita della situazione dove l'aveva gettata l'amica, Chiara non faceva altro che guardare fuori dal finestrino forse pensando al suo ex ragazzo, Sergio e Anna invece avevano già iniziato a chiacchierare tra loro. Provai a iniziare un dialogo con Chiara, ma lei rifiuto il mio tentativo di socializzare con un sorriso distratto e risposte brevi. La cosa mi fece girare i coglioni e cominciai anche io a guardare fuori dal finestrino in silenzio. Le strade erano deserte e quella città era morta e fredda. Come Chiara. Mi girai verso di lei e la osservai: il suo sguardo era lontano e triste, sicuramente pensava al suo ex ragazzo. Sentendosi osservata lei si girò e incrocio il mio sguardo, le sorrisi e subito dopo mi ritrovai col viso spremuto sullo schienale del sedile davanti. Quella psicopatica di Anna non sapeva neanche frenare. Imprecai.
Mentre salivamo le scale verso casa di Anna al secondo piano di un condominio, Sergio o meglio Samu mi si avvicinò per avvisarmi che le ragazze avevano quattro anni più di noi. La cosa mi sorprese, non sembravano più grandi. Sergio le aveva detto che eravamo coetanei. Avevo già mentito sulla mia età con ragazze sconosciute per non sembrare un bambino ai loro occhi. Ma al massimo mi davo un paio di anni in più. Nessuno ci avrebbe creduto se me ne davo quattro. A quanto pare loro ci avevano creduto.
Mi ritrovai sul divano di Anna con una Peroni in mano, l'euforia mistica con cui ero uscito dalla festa di prima era sparita e adesso cercavo di ritrovarla con l'alcol. Anna e Sergio/Samu si erano chiusi in una stanza a pomiciare. Tra poco avremmo sentito le urla. Io ero seduto con Chiara, lei sembrava un po' in imbarazzo. La guardai un attimo: sembrava cercare qualcosa da dire. Non credo stesse pensando più all'ex tanto che si era fatta sempre più vicina sul divano. Era tesa. Le offrì la birra e lei accettò scolando tutto in un sorso. Iniziai  a chiacchierare con lei e notai con orgoglio che mi guardava con interesse, ma c'era sempre qualcosa che la bloccava e rimaneva tesa.
- Senti credo che sia meglio se ora te ne vai.
Io rimango bloccato con la birra a mezz'aria e la bocca aperta. Perchè? Credevo di aver capito male, quando lei mi invitò nuovamente ad andarmene.
Dalla stanza accanto arrivarono delle urla e Chiara scatto in piedi mi prese per una mano per farmi uscire. Ma la cosa era così improvvisa che mi aveva stordito. Dalla stanza accanto dove c'erano Anna e "Samu" uscì un uomo con una pistola in mano.
- Ma che cazzo...- Non capivo più quello che mi accadeva attorno.
Mi ritrovai un altra volta seduto sul divano di Anna, sempre che quella fosse veramente la casa di Anna e sempre che quello fosse veramente il suo nome. Davanti a me un uomo che poteva avere trent'anni con una giacca in pelle nera stava discutendo animatamente con Chiara, la ragazza coi capelli biondi con cui dovevo passare una fantastica serata, e io mi ritrovavo invece con una pistola puntata addosso.
Seduto a fianco a me c'era Sergio alias Samu alias Massiccio mezzo tramortito da una bella botta alla testa. Neanche lui ci stava a capire un cazzo. Del sangue gli colava dalla testa. Era una bella situazione del cazzo.
-Ok d'accordo ci vado piano... Mi stanno pure simpatici 'sti due ragazzi- Disse l'uomo rivolgendosi a noi -Ora è venuto il tempo di sganciare la grana...
Il suo tono era convincente come il buco scuro della sua pistola, presi il portafogli e ne estrassi tutto ciò che avevo. 20 Euro. Notai con sorpresa che la mano tremava. Eppure io non ero lì. Quella situazione del cazzo era al di fuori della mia comprensione.
- Venti euro e l'altro trentacinque. Ma che cazzo? Ma avete preso due ragazzi che ci uscivano da quella festa del cazzo? Ma guarda che impusteda del cazzo per colpa di voi due, stupide puttane.
L'uomo era nero di rabbia e la paura che ci avrebbe stesi alla fine di tutto mi fece gelare il sangue. Non potevo scappare, anche se l'uscita non era lontana rischiavo sempre di beccarmi una pallottola e anche se l'uomo era un pessimo tiratore e io scappavo sano e salvo, gli lasciavo comunque Sergio. Era troppo stordito per poter alzarsi in piedi. Rimaneva solamente strappargli la pistola di mano.
Poi lui infilò il ferro nei pantaloni, ad un metro dalla mia faccia, e tirò fuori la carta d'identità di entrambi, le fotografò col cellulare e poi lesse ad alta voce i nostri indirizzi. Io nel frattempo osservavo tutto dall'esterno. Non ero lì, almeno non spiritualmente, si può dire che mi sentivo come un bambino che osserva una scatola dove ha raccolto un gruppo di lucertole. Eppure io ero la lucertola.
- Allora, allora... Lasciate che vi spieghi come funziona la cosa da qui in avanti.  Io non voglio spararvi un  colpo in testa. Non è mia intenzione. Comprendi? Ma dovete promettermi che non andate dalle divise blu appena vi lascio uscire. Domani mattina non voglio trovarmi una iena sotto casa che aspetta me. Ci siamo intesi?
Feci sì con la testa, ma non avevo capito cosa aveva detto, la mia mente stava ancora elaborando una per una le sue parole per tramutarle in una frase di senso compiuto.
- Hey chico, parlo anche con te- disse colpendo con un pestone Sergio - Hai capito cosa ho detto?.
Sergio annuì ma era chiaramente ancora sotto shock per riuscire a comprendere appieno la situazione. Annuì perchè sentiva che era la cosa migliore da fare, non per altro, l'aveva intuito dal tono dell'uomo con la pistola. Quando ti puntano una pistola alla testa puoi avere due sole reazioni: quella che ti fa ammazzare e quella che ti salva la vita.
- Se malauguratamente qualcuno di voi dovesse parlare, beh in quel caso, so dove abitate...
L'uomo si fece cadere su una sedia e ci fece segno di andarcene. Tirandomi dietro un Sergio stordito mi alzai e fuggii verso la porta d'uscita.
-Andatevene anche voi due. Non voglio vedervi tra i coglioni sta sera. - L'uomo ora si riferiva alle due ragazze che veloci e silenziose ci raggiunsero per uscire da quella casa.
-Addios Hombre- Queste le ultime parole che pronunciò l'uomo, mentre la porta si chiudeva. Parole familiari che si facevano spazio nella mia testa in cerca di un particolare ricordo.
Quando ci ritrovammo in strada le ragazze tra l'imbarazzo e la vergogna vollero portare Sergio in ospedale con la macchina. La mia testa rimbombava del sangue che pompava sulle tempie. La vista diventava sfocata. Nella macchina nessuno disse una parola, arrivati all'ospedale dopo una breve corsa mi accorsi che il volto di Chiara era rigato dalle lacrime mentre singhiozzava silenziosa. Mentre uscivo dalla macchina un misto di rabbia e rancore si agitava in me: tutto quello che era successo era merito di quelle due. E ora piangevano pure. Ma per cosa piangi, non siete certo voi quelle che se la sono vista male.
La macchina partì sfrecciando appena Sergio chiuse la portiera.
- PUTTANE.- riuscì ad urlare solo questo.
Quando poi eravamo seduti nella sala d'aspetto dell'ospedale la mia mente stava ancora rielaborando ciò che ci era capitato. Addios hombre. La stanchezza del mio cervello che nonstante tutto aveva lavorato alacremente si manifesto di colpo quando il corpo si rilassò sulla sedia dell'ospedale. Gli occhi allora si chiusero mentre una voce in testa continuava a ripetere "Addios Hombre".
   
 
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