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Autore: gaudium    07/03/2015    1 recensioni
Per andare avanti dobbiamo abituarci al cambiamento.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo.

La tour Eiffel è composta da diciottomilatrentotto pezzi metallici ed è alta trecentoventi metri. Ogni anno è visitata da circa due milioni di persone e tutti la elogiano. 
Cléa è composta da duecentosettanta ossa e a fatica riesce a stare in piedi.
Non le piace la tour Eiffel e non le piace neanche Parigi. L'ha guardata mille volte e non riesce a scorgere il fascino che tutti notano. 
Eppure Cléa è brava ad osservare. Osserva i fiori del balcone che iniziano a prendere le tonalità del rosso, la signora del piano di sopra che passa l'aspirapolvere alle tre del pomeriggio, la sorella Yvette che ha qualche lentiggine in meno, le assi del pavimento che si stanno rovinando. Presta attenzione alle manie dei professori e ad ogni sfaccettatura del carattere dei suoi amici. È attenta ad aggiustare i capelli corti e le mani sempre ordinate, a non avere mai qualcosa fuori posto e a non rimandare mai niente al giorno dopo. È attenta ad ascoltare le chiacchiere dei suoi compagni di scuola, a cercare dei difetti nella madre e a camminare senza movimenti goffi.
Cléa presta attenzione ai cambiamenti ma ancora non riesce a capire come mai ci sono le valige preparate e la porta chiusa, le amiche salutate e la sua casa rossa e bianca in rue de montreuil che si fa sempre più piccola. Ci sono i passaporti, le corse per l'imbarco e la solita frase "sarà per poco tesoro" della madre che ora le da un bacio e nasconde le lacrime. 
C'è l'aereo che sale e Cléa che vorrebbe piangere ma non lo fa perché non è adatto a lei e ripensa a Lucie e Marie che non vedrà per un bel po'. Ci sono le sensazioni che Cléa ha già provato e la voglia di correre in bagno a piangere.
Cléa però è ferma e la mascella è serrata e si ripete che non deve essere arrabbiata con la madre. 
Ordina i pensieri e si concentra sul respiro di Yvette che dorme.
Ed è attenta, come sempre.

Liverpool è una delle città più grandi e popolate dell'Inghilterra. Ha infiniti pub, locali e ristoranti e delle zone più apprezzate dai giovani. Ci sono musei e gallerie d'arte moderna. Ci sono parchi, teatri e cinema. 
Il taxi sfreccia veloce e Cléa può vedere una nuova città aprirsi al suo passaggio. Per un tempo indefinito quella sarà la sua città e Cléa una sua cittadina. La mattina si sveglierà e, percorrendo una strada che conosce bene, arriverà alla sua scuola, incontrerà i suoi amici e avrà dei propri luoghi dove andare quando avrà voglia di stare da sola.
A Parigi era sempre al café de Flore con Lucie e Marie, che parlavano in continuazione riempiendo i silenzi e facendo sentire Cléa a casa. Mangiavano il gelato vicino la Senna e salivano i gradini di montmatre quasi tutti i giorni per andare a casa di Lucie. 
Cléa era diventata una sua cittadina ma Parigi non era la sua città. 
Con casa Cléa pensa ad aix-de provence, nel sud della Francia. Una città molto più piccola di Parigi, e con meno abitanti.
Lì aveva una casa col giardino e un padre che tornava a casa alle otto di sera per aiutare le figlie a studiare. Aveva una vita piena di impegni e amicizie, la casa dei nonni poco lontana dalla sua e Pauline e Léon. Aveva le passeggiate vicino la fontane du roi rené, i nomi dei cittadini che conosceva a memoria, i caffè da Sandre nel jardin de romegas. 
Aveva anche i capelli lunghi e una bizzarra predilezione per le stampe floreali. Aveva la voglia di svegliarsi tutte le mattine e aveva un padre e una madre che si amavano.
Adesso Cléa ha davanti a sè una casetta a mattoni rossi con un piccolo giardino poco curato e una porta marrone. L'entrata da sulla cucina a vista e un soggiorno con pochi mobili antichi. Le camere da letto sono tre e sono giallo canarino e a Cléa non piacciono affatto perché il giallo canarino fa proprio schifo. 
La sua camera ha la vista sul giardino e la mamma si scusa ancora perché neanche a lei andava di cambiare Paese, solo per eseguire gli ordini della multinazionale per cui lavora e poi a lei piaceva Parigi e la loro casa ben arredata e piena di fiori, ma tanto è per poco e Cléa non si lamenta mai.
Yvette guarda la casa ed è l'unica a cui piace per poi riempire la nuova camera con i suoi oggetti parigini.
"Gli inglesi puzzano" dice Cléa perché vuole tornare a Parigi e non le piace neanche l'inglese.
"Allora puzzeremo anche noi" sospira Vivianne.
"Tu non parli bene l'inglese" 
"Mi sarai una mano tu"
"Quando torniamo?"
"È questione di mesi" continua Vivianne con i capelli scuri e la mano sulla spalla di Cléa.
Le dice scusa e va a disfare le valige e a Cléa non va bene neanche un po' perché il giallo canarino la infastidisce, gli inglesi puzzano e non sanno fare il caffè, perché nessuno sa parlare francese e perché è solo una straniera d'oltremanica. Ma non piange perché in fondo non lo fa mai e perché tingerà le pareti e si abituerà a non sentire la signora del terzo piano che passa l'aspirapolvere alle tre del pomeriggio, e si abituerà al caffè di inglese che è acquoso e insapore. 
È quello che Cléa fa meglio d'altronde, abituarsi. 
Secondo la legge di Darwin non sopravvive la specie più forte, né la più intelligente, ma quella più reattiva al cambiamento. 
E allora Cléa sopravvive.



Ciao eccomi dopo un bel po', è una storia un po' diversa dalle altre e non mi incentrerò solo su questo personaggio, spero che vi piaccia comunque, Gaudium.
  
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