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Autore: _juliet    08/03/2015    1 recensioni
Ren aveva iniziato a uccidere per denaro a quindici anni e, dopo dieci anni di attività, era convinto che la sua vicinanza risvegliasse nelle persone una sorta di primordiale istinto di sopravvivenza che le spingeva a non interagire con lui.
{Semi-distopia}
Alken è una città martoriata da una guerra tra organizzazioni criminali. Ren è un assassino di professione, estraneo alla faida, un lupo solitario che ama lavorare per conto proprio. Ma quanto può sopravvivere un lupo solitario se i cani sono in branco?
Genere: Angst, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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IV





May si era consumata le corde vocali a forza di gridare insulti e minacce, ma non aveva ottenuto nulla se non un fastidioso mal di gola.
L'interruttore era troppo lontano, quindi dovette accontentarsi della flebile luce dell'abat-jour per cercare la chiave delle manette che la incatenavano al letto. Sempre che lui l'avesse lasciata.
«Oh, fanculo!» esclamò, quando finalmente la individuò sul pavimento.
Si raddrizzò, cercando di ignorare la fitta di dolore in mezzo alle gambe ed esaminò la caviglia. Era un po' ammaccata, ma il metallo non l'aveva tagliata.
«Stronzo.»
Come cazzo gli era venuto in mente di incatenarla al letto? Sì, ogni tanto scopavano, ma lei non era la sua puttana. E dove diamine era andato, comunque? Era tardi, l'ora di cena doveva essere passata da un pezzo. Non era forse lui a dire sempre che stare fuori di notte era pericoloso?
«Chi se ne importa!» esclamò May, interrompendo bruscamente il flusso di domande e pensieri. Si alzò e si vestì in fretta, indossando i primi indumenti che le capitarono fra le mani.
Quando ebbe finito, raccolse la Beretta dal pavimento e la infilò nella borsa. Estrasse poi la foto che ritraeva la sua famiglia e la guardò a lungo, concedendosi di perdersi, per qualche momento, nella sua vecchia vita. L'avrebbe fatta stare male, come tutte le altre volte, ma doveva farlo; doveva ricordare il motivo per cui aveva deciso di avere ancora uno scopo[*]: Ren aveva ucciso i suoi genitori; Ren non doveva vivere.
Mentre riponeva la fotografia, le capitò in mano un oggetto rettangolare. Quando lo prese, rimase a bocca aperta: era una tavoletta di cioccolato fondente. Erano secoli che non ne mangiava.
Lo scartò e lo addentò senza riflettere, godendosi il profumo e il sapore intenso del cacao.
Solo dopo averne inghiottito quasi metà realizzò di non averlo mai comprato. Chi poteva essere stato? Nessuno aveva accesso alla borsa a parte lei. E a parte...
May sospirò e fissò ostinatamente ciò che restava della tavoletta, come se potesse darle una risposta. Senza smettere di guardarla, si distese e affondò fra le lenzuola, che odoravano ancora di sudore e di sesso.
Non era stata la prima volta che Ren aveva sfogato su di lei le proprie frustrazioni: la cosa si ripeteva fin da quando era iniziata la loro improbabile convivenza – all'inizio lei si era ribellata, aveva lottato ed era anche riuscita, in alcune occasioni, a colpirlo abbastanza forte da fargli male, ma sempre più spesso lo lasciava fare senza reagire. Dopo tutto, anche se sentirlo dentro, talvolta, la ripugnava ancora, altri erano stati più ripugnanti. Inoltre, lui era bravo in quello che faceva; se la usava per soddisfare i suoi bisogni, non esisteva motivo per cui lei non potesse fare altrettanto –, ma quella sera c'era stato qualcosa di diverso.
May non era sicura di saper spiegare cosa, ma era certa che fosse così. Nelle battute sarcastiche, nel modo in cui l'aveva presa, nelle sue scuse c'era stata una frustrazione diversa dal solito, un'ira disperata che non gli aveva mai visto. Possibile che fosse solo arrabbiato con lei? E perché le aveva nascosto del cioccolato nella borsa?
«Stronzo» ripeté, nascondendo il viso nel cuscino.
Era un bastardo egoista e un assassino. E lei continuava a stare con lui.


 

***



«Per quanto lo sperassi, non ero convinto di rivederti così presto» disse Higuchi, porgendogli un calice di rosso. Aveva richiesto che gli portassero una bottiglia d'annata, che aveva stappato personalmente per festeggiare il lieto incontro.
Ren non capiva un cazzo di vino, quindi vuotò il bicchiere in un solo sorso e lo appoggiò con mala grazia sul tavolo di vetro che li divideva.
Quando era uscito di casa non aveva idea di come avrebbe fatto a ritrovare Higuchi, ma era bastato mettere piede nel territorio di Frozen Moon perché i suoi uomini trovassero lui. Senza dire una parola, l'avevano spogliato delle sue armi e gli avevano fatto strada fino all'albergo più lussuoso della zona, per poi scortarlo in una delle suites.
La stanza era enorme: aveva due camere e svariati bagni, e il salotto in cui stavano bevendo era più grande del suo intero appartamento.
Higuchi seguiva pazientemente il suo sguardo, senza perderlo di vista per un secondo.
«Questo hotel è di proprietà di Frozen Moon» spiegò. «Ne possediamo molti altri, in cui alloggiano i nostri collaboratori.»
Bevve un sorso di vino e lo degustò con calma, prima di fare un cenno d'assenso al maître che l'aveva scelto. L'uomo sorrise e Ren fu certo di vederlo sospirare di sollievo.
«Se ti unissi a noi, anche tu potresti vivere in una suite» continuò Higuchi, spiandolo da dietro le lenti degli occhiali. «Di solito i novellini hanno stanze normali, ma tu ti farai subito una reputazione, ne sono sicuro.»
«Ho già una casa» disse Ren, trangugiando il secondo calice.
«Ma certo.»
Qualcuno bussò alla porta e uno degli energumeni andò ad aprire, tornando dopo qualche attimo con una cartelletta marrone. La depose sul tavolo di fronte a Ren, lanciandogli un'occhiata minacciosa.
Il giovane ne estrasse una serie di schede che contenevano informazioni su alcuni “soggetti scomodi”. Le analizzò per qualche secondo, riconoscendo nomi e volti noti. Per quanto ne sapeva, nessuno di loro era parte dei Vigilanti.
«Come ho già detto» iniziò. «Non ho interesse a unirmi alla vostra organizzazione.»
«Purtroppo.»
«Ho sempre mantenuto un profilo basso e intendo continuare così. Non voglio guai, né con voi né con i Vigilanti. Sono fuori dalla vostra faida. Fuori.»
Higuchi giunse le dita delle mani e tacque, lanciandogli un'occhiata penetrante.
Ren non distolse lo sguardo. «Per questa volta vi farò un favore» disse, riponendo i fogli all'interno della cartelletta. «Solo per questa volta.»



«Eccellente!» esclamò Higuchi, osservando l'Audi che sbandava e finiva fuori strada. «Un altro lavoro portato a termine.»
“Sta' zitto, idiota”, pensò Ren, tenendo d'occhio l'auto attraverso il mirino. Aveva centrato la fronte della guardia del corpo alla guida, ma non era detto che il bersaglio fosse morto nell'incidente.
Dopo qualche minuto di caos, arrivarono i soccorsi e un'auto della polizia. Un corpo venne estratto dalle lamiere e adagiato sull'asfalto, ma fu subito coperto con un lenzuolo bianco. Non c'era modo di capire se fosse il bersaglio o la ragazzina con le tette rifatte che si stava portando in albergo. Nel frattempo i paramedici avevano montato una barella e si preparavano a trasportare qualcuno all'ospedale.
L'occhio destro di Ren lacrimava per lo sforzo di focalizzarsi sulla scena. Uno dei soccorritori stava sistemando una flebo e si era messo in mezzo, impedendogli di vedere il viso della persona ferita.
“Spostati, maledizione.”
Come se avesse udito l'imprecazione, l'uomo tornò verso l'ambulanza, probabilmente per recuperare qualche strumento utile.
Il colpo aprì una voragine nel petto del bersaglio, schizzando di sangue e tessuti il viso del paramedico rimasto, che si guardò intorno con aria spaesata e iniziò a chiamare a gran voce la polizia, poco lontana. Ma non importava: anche se avessero individuato subito il luogo da cui erano partiti i colpi, non sarebbero mai arrivati in tempo per catturarli.
Ren permise a se stesso di espirare. «Adesso è un lavoro portato a termine» disse freddamente, iniziando a riporre il fucile nella custodia.
Higuchi continuava a guardare la scena attraverso un binocolo, ridacchiando sottovoce. «Hai un'ottima mira e sei molto professionale» commentò ammirato. «È un peccato che tu sia un libero professionista.»
«La vita a volte è ingiusta.»
«Accetta di lavorare per noi» disse Higuchi. «Ti pagheremo bene.»
Ren aveva finito di sistemare il fucile. «Ho detto che ti avrei fatto un favore» ringhiò, issandoselo in spalla. «Non voglio i tuoi soldi. Voglio essere lasciato in pace.»
Il suo interlocutore sorrise, mente gli occhi dietro le lenti lampeggiavano di desiderio. «Ma ora ti voglio più di quanto ti volessi prima» spiegò.
Il giovane lo ignorò. «Questo era l'ultimo» disse, voltandogli le spalle. «Me ne vado.»
Raggiunse le scale in fretta, ma la voce di Higuchi lo bloccò.
«Ti prego di portare i miei saluti alla ragazza dai capelli biondi.»


 

***



Per l'ennesima volta, inconsapevolmente, May si ritrovò in piedi accanto alla finestra a osservare la strada buia. Ovviamente non c'era nessuno in vista.
Ren era sparito da quasi tre settimane e non l'aveva mai contattata. Non che di solito lo facesse.
La ragazza chiuse di scatto le tende e raggiunse la camera da letto. Non era preoccupata. Non lo era. Perché avrebbe dovuto esserlo?
Aveva quasi finito di lucidare la sua Beretta quando udì lo scatto della porta d'ingresso che si apriva, per poi richiudersi immediatamente.
Prima che lei potesse cambiare posizione, Ren irruppe nella stanza da letto, con il fiatone e uno sguardo allucinato. Le lanciò un'occhiata di fuoco e le si avventò addosso, togliendole di mano la pistola.
«Perché la luce è accesa?» la interrogò, indicando con un cenno della testa l'abat-jour sul comodino.
May tacque per alcuni secondi, sorpresa dalla domanda e dal vortice di sentimenti contrastanti che le stava scaldando il petto. «Perché sono ancora sveglia» disse dopo qualche istante, chiedendosi perché mai stesse rispondendo a una domanda stupida.
Ren fece scattare l'interruttore e rivolse la sua attenzione alla finestra della stanza, chiudendo le tende con un movimento brusco.
«Luci spente. Tende chiuse» ringhiò nella penombra. «Tu non esisti.»
«Cosa vuoi dire?»
«Quello che ho detto.»
May scosse la testa, sconvolta. Era come se la scena si stesse svolgendo davanti ai suoi occhi, ma lei non ne facesse parte.
Non riusciva a capire quale fosse l'emozione predominante in lei. Era sorpresa, contenta – contenta – di vederlo, ma una rabbia feroce e indignata le ribolliva nelle viscere: era lui a essersi comportato in modo strano, era lui a essersene andato senza una parola, era lui a essere sparito per settimane. Che diritto aveva di tornare e comportarsi da pazzo?
«Si può sapere che cazzo ti prende?» chiese.
«Cosa mi prende» ripeté lui. Gli sfuggì una risata soffocata, lugubre.
Coprì in un unico passo la distanza che li separava e la fece ricadere sul letto con una spinta. Con una mano le afferrò i polsi e li strinse in una morsa, inchiodandola al materasso, mentre con l'altra si faceva strada fra le sue gambe.
«Che cazzo fai?» strillò May. Si agitò e tentò di respingerlo, ma lui conosceva bene il suo corpo; sapeva dove toccarla e sapeva come farlo. Non ci volle molto perché lei lasciasse da parte la testardaggine e si arrendesse alle sue dita.
«Sei completamente indifesa» sussurrò lui, contro il suo collo. «E sciocca.»
La ragazza voleva rispondere per le rime, ma riuscì solo a reclinare la testa all'indietro, sciogliendosi come burro fra le sue mani.
«Sei una stupida» ribadì lui. «Stupida
May ammutolì. Non era insolito che la rimproverasse e le dicesse quel genere di cose, ma non l'aveva mai fatto con tanta cattiveria.
«Perché cazzo sei piombata nella mia vita?» ringhiò Ren, aumentando l'intensità del suo tocco. «Perché nessuno mi lascia in pace?»
«Ren-»
«Sta' zitta!»
La ragazza mugolò, cercando di allontanarlo. Solo pochi secondi prima sentiva di essere vicina all'orgasmo, ma ora avvertiva una tensione diversa; le faceva male il petto, come se qualcuno l'avesse colpita, come se le avessero infilato a forza qualcosa tra le costole. In un attimo la pressione passò alla gola e gli occhi le si riempirono di lacrime. Voltò la testa di lato, decisa a non mostrare alcun segno di debolezza, ma prima che se ne rendesse conto le sfuggì un singhiozzo.
La voce di Ren imprecò. Le sue mani si fermarono. Rimase immobile per qualche secondo, poi si allontanò da lei, facendo cigolare il letto.
Per alcuni secondi tacquero entrambi, lasciando che il loro respiro tornasse regolare.
May afferrò un lembo del lenzuolo e si coprì, asciugandosi il viso. «Perché ti sei fermato?» chiese. Era una domanda stupida, ma per qualche motivo temeva che, se non l'avesse trattenuto – avrebbe pensato poi a perché volesse trattenerlo –, lui sarebbe sparito di nuovo.
«A me non diventa duro se piangi» disse Ren, in tono brusco.
La ragazza non capì; avvertiva chiaramente la sua erezione attraverso il tessuto dei pantaloni.
«Cazzo. Non è questo» continuò lui. «Non sono come quelli del vicolo. Io non-»
Il cuore di May iniziò a battere più forte, mentre il ricordo delle luride mani di quegli uomini la faceva tremare.
«Dico sul serio» disse Ren. «Non so neanch'io cosa mi prende. Ma non piangere.»
Lei annuì. «D'accordo.»
«Cazzo!» imprecò lui, colpendo con un pugno il materasso. «Non ha senso. Non sopporto che tu pianga.»
«Ren.» May allungò un braccio nell'oscurità fino a sfiorare il suo viso con la punta delle dita, ma lui la bloccò all'istante, afferrandole il polso.
«Va tutto bene, Ren. Sto bene.»
Dopo qualche secondo di silenzio assoluto e immobile, il giovane si rilassò e la liberò dalla sua stretta.
La ragazza ritrovò il suo viso e ne percorse delicatamente i tratti, cercando di visualizzarlo nella mente. Sfiorò la fronte, accarezzò uno zigomo pronunciato, seguì il profilo dritto del naso; toccò le labbra, schiudendole lievemente, premette la pelle ruvida del mento e delle guance.
Era uno stronzo arrogante, ed era bello, e aveva una sua brusca, fredda, patetica gentilezza. E, si rese conto May, nell'oscurità della stanza era solo un uomo.
«Ren.»
Lui ribaltò le loro posizioni e la rovesciò sulla schiena, armeggiando con i suoi pantaloni. «Se non vuoi, ti conviene fermarmi adesso» disse.
May sorrise. Avrebbe pensato poi a chi fosse realmente, e si sarebbe punita per averlo desiderato con tanta forza.
«Non fermarti.»


 

***



La guardò dormire per una interminabile mezz'ora, prima di vestirsi e uscire dall'appartamento. Per qualche motivo l'idea di lasciarla lo infastidiva molto, quasi quanto averla sentita piangere, e dovette fare ricorso a tutta la sua razionalità per non tornare indietro.
Le sue lacrime l'avevano sorpreso, perché lei non aveva mai pianto; non la prima volta che avevano scopato, non quando la trattava male, neanche quando si erano incontrati, quasi tre anni prima, in un corridoio pieno di sangue[*].
Dopo aver lasciato Frozen Moon, Ren aveva camminato senza meta per un paio d'ore, riflettendo. Una volta arrivato nei pressi del suo appartamento, aveva intravisto May dalla finestra della camera. Sedeva sul letto, tranquilla, lucidava una pistola; le tende erano aperte, la luce accesa. Era un bersaglio perfetto, tanto indifesa da farlo sentire impotente. Per qualche motivo questo l'aveva fatto infuriare.
Come poteva proteggerla dall'organizzazione criminale più potente della città, se lei non era neanche in grado di esercitare un minimo di buon senso? E perché cazzo desiderava proteggere una stupida ragazzina? Era stata solo un peso per lui, fin da quando si era presentata davanti alla sua porta.
E poi lei aveva sorriso. Quando l'aveva visto arrivare. Aveva sorriso.
“Bella stronzata”, si disse Ren, ridacchiando di se stesso. “Cazzo.”
Prima che May piombasse nella sua vita, lui non aveva preoccupazioni. Sopravviveva da solo, non era mai stato tanto distratto da venire sorpreso alle spalle, non si curava eccessivamente delle organizzazioni criminali, perché non esisteva nulla con cui potessero ricattarlo. Perché non aveva niente da perdere. Perché prima di May non c'era niente.
“È ora di porre fine a questa ridicola situazione.”
Era molto tardi, ma le luci del No way out erano ancora accese e la porta era aperta. Ren entrò e sorrise quando vide Champagne trotterellargli incontro. Raggiunse il bancone e sedette su uno sgabello, ordinando la solita pinta.
«Stan» iniziò, dopo aver bevuto un sorso di birra. «Ho bisogno di un favore.»




[*] Questi episodi accadono in “Prime volte”, prequel della storia.

  
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