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Autore: rainicornsan    08/03/2015    1 recensioni
"Igrushka.".
"Igrushka.".
"Igrushka.".
Il nome con cui quella cosa la chiamava nei suoi sogni le metteva i brividi.
E significava 'giocattolo', in russo.
Giocattolo.
April era il giocattolo del suo mostro.
Oh, sì.
Sì, sì, sì.
Pazza pazza pazzapazzapazza.
April rise.
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Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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~l’incubo rosso~

parte due

La mia paura è la mia essenza, e probabilmente la parte migliore di me stesso.

 

April chiuse gli occhi, rannicchiandosi di più nel letto, contenta del calore.

Quando li riaprì, convinta di osservare la propria camera, si ritrovò in un immenso spazio bianco.

Tutto era bianco.

Non c’era niente a parte lei.

Guardò il pavimento, e vide che non indossava più i suoi calzini pelosi da letto, ma delle scarpe consumate.

Erano anfibi, ora che guardava meglio.

Si accorse di non essere in più in pigiama, ma di avere un paio di pantaloni larghi, a stampe militari, rovinati.

Sopra, una maglietta d’un verdastro sbiadito macchiata di sangue e di terra, e un camice sporco, color panna, adorno di qualche baffo di sangue in qua e in là.

Come un medico militare.

Si sentì tremare istintivamente: era esattamente il modo in cui era vestita la notte prima, solo che se n’era accorta solo in quel momento.

Le mani bruciavano, adesso.

April le guardò, e quasi non si stupì di trovarle incrostate di sangue, maciullate sulle punte delle dita.

In quel momento, avvertì un rumore fastidioso.

Un sibilo acuto.

L’universo che la conteneva si illuminò intensamente di un colore violaceo.

Solo un istante, e poi tornò normale.

Ma il suo mostro era lì.

Tremò piano.

Era lì, a circa un metro da lei, rannicchiato a terra nei suoi stracci sudici, che la guardava con quella faccia piccola e scarna e gli occhi grandi e bianchi.

“Igrushka…”.

April si trattenne dallo sbuffare; se non fosse stata terrorizzata, avrebbe trovato quella parola senza senso divertente.

Si ricordò improvvisamente del suo significato.

In quell’istante, lo vide in una maniera strana.

Come se, fra di loro, ci fosse stato lo schermo di una vecchia televisione in bianco e nero.

Le interferenze duravano anche qualche secondo, ma quando riusciva a vedere nitidamente la sua faccia, stava ancora sorridendo.

Lo vide ridacchiare, mentre tutto diventava di nuovo di quello strano color prugna. Un po’ di interferenze.

Bianco, grigio, viola. Veloce.

Bianco (veloce), grigio (fulmineo), viola.

Grigio-viola, grigio-viola.

Viola.

Tante stelle esplosero in cielo.

April le vedeva muoversi, percepiva i loro moti.

Poteva pensare alle incandescenti linee circolari intorno a loro.

Le disegnava nella sua mente.

E lui rideva ancora.

Interferenza.

In piedi, sulle sue gambe sottili, sporche e glabre.

Interferenza.

Davanti a lei, un braccio proteso verso il suo bacino.

April provò un moto di panico, ma in quel momento tutto mutò.

Era stesa su un letto.

Morbido, ma freddo e con le coperte consumate.

Con gli occhi aperti, vide il soffitto a meno di mezzo metro sopra la sua testa.

Era di un bianco sporco, lo stesso colore che continuava ad essere scendendo con lo sguardo.

Doveva essere sulla cima di un letto a castello.

E infine, qualcosa fra le sue braccia.

Un bambino. Un piccolo, morbido e sbavante neonato.

April era in vestaglia e il ventre le faceva male.

Non aveva più le dita sanguinanti.

Sentiva, muovendo la testa sul cuscino, una cascata di capelli profumati.

Sguardo con la coda dell’occhio: castani.

Un castano dolce.

Un bel colore.

Sentiva il corpo pulito e caldo, arrendevole.

Una sensazione di pizzicore le attraversò la schiena.

Notò solo in quel momento un altro letto a castello, alla sua sinistra.

Non c’era nessuno al suo fianco.

Si divincolò un po’, alzandosi sugli avambracci.

Nel letto di sotto, a sinistra, una donna la fissava.

Era magra, dalla pelle sporca e con i capelli grigi, arruffati e lunghissimi.

Gli occhi erano spalancati su di lei.

Erano enormi e chiarissimi, come quelli di…
Di chi? Non ricordava.

Il sorriso era sdentato.

Era una vecchia pazza, e quello era un manicomio.

Ma perché lei era lì, allora?

Lei non era pazza, né suo figlio.

All’improvviso, la vecchia calciò via le coperte.

Era nuda.

Alzò la gamba destra di scatto.

Più veloce di un fulmine e più lunga di un chilometro.

Il bambino svanì, esplodendo in uno spruzzo di sangue.

La riga rossa finì, liquida e scura, sulla sua vestaglia, su alcune ciocche di capelli, sul muro.

Una linea dritta, scarlatta, calda.

April gridò.

La vecchia la guardava.

Il letto scomparve, ed April cadde sulle sue ginocchia.

Per poco non se le spaccò.

Il pavimento era fatto da pietroni di almeno un metro quadrato.

Le orecchie le fischiarono quando alzò gli occhi, e si accorse di essere sulla cima di un castello.

Le mura medievali circondavano un passaggio esterno.

Tutta roccia.

Si affacciò, ma non vide altro che il cielo viola.

Non c’era la base del castello.
Solo l’universo viola, e le sue stelle.

Giravano, giravano, giravano.

Una piccola cascatella di suoni armoniosi, e sul pavimento era comparso qualcosa.

Un piatto.

Tondo e bianco.

In mezzo c’era un sasso striato, rosso.

Rosso esattamente come il sangue di suo figlio.

C’era pure un coltello.

April si avvicinò, gattonando, e lo prese.

Lo accostò al sasso, sicura che non tagliasse.

Spinse verso il basso, e il sasso si aprì in due, perfetto come un panetto di burro.

April sussultò.

Si sentiva girare la testa.

Un impulso feroce le riempì le membra.

Tagliare, tagliare, tagliare.

April tagliò, tagliò, tagliò.

I suoi movimenti erano convulsi, adesso.

Stava accoltellando il piatto.

Il sasso spruzzava goccioline rosse.

Sangue.

April si allontanò, sentendo la vertigine che le aveva invaso la testa andarsene.

Era cosparsa dal sangue, immersa.

Qualcosa le toccò la caviglia.

Lanciò un grido.

Basta, basta, basta.

Ma era solo il suo mostro.

Le si accoccolò sul piede, abbracciandole la caviglia.

Sorrise, e del sangue filtrò dai suoi denti, colandogli sul mento raggrinzito.

Suo figlio.

April gridò, gridò mille volte.

Spinse con un gesto secco il mostro a terra, lontano da lei.

Indietreggiò contro le mura.

Si stava avvicinando di nuovo.

“Igrushka!” sembrava un richiamo disperato, un guaito.

Adesso era completamente coperto di sangue.

Presa dalla paura, salì sulle mura.

Non bastò.

Lui era lì di fianco.

April guardò di sotto.

Solo l’universo.

Viola. Stelle.

Vuoto.

Aprì le braccia, e si lasciò cadere.

Interferenza.

Mentre volava, il cielo si tinse di rosso.

 

Suo figlio...

 

 

 

 

 

 

L’angelo dell’autrice

Ladies and gentlemen, ci tengo a precisare che questo capitolo non potrebbe avere la mia firma sopra più di nient’altro al mondo, poiché buona parte di ciò che ho scritto in questo capitolo viene da un mio incubo.

Ci tengo anche a precisare che non sono April.

Benché faccia sempre sogni strani, ho fatto solo un incubo molto inquietante (per l’appunto, questo da cui ho tratto ispirazione) e mi chiamo Michela. ((Piacere, comunque.)).

 

   
 
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