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Autore: Cono geLeto    08/03/2015    0 recensioni
She showed me her room,
isn’t it good,
Norwegian Wood?
Le note acute e dallo stile orientale del brano dei Beatles si diffondevano leggere nell’aria, attribuendo al piccolo caffè un’ambientazione mistica e rilassata.
Il tavolo di legno pieno di macchie di caffè esaltava l’aspetto del piccolo caffè vintage underground, ma nonostante gli conferisse un certo stile, ammetto che avrei preferito poter entrare in contatto con una superficie che non fosse così sudicia. Feci molta attenzione a non toccarlo troppo.
Lei sembrava invece non curarsene. Riprese dal posacenere la sigaretta lasciata a metà e la portò alle labbra. Era solita appoggiarla al lato destro per poi aspirare con disinvoltura, come se fosse una funzione vitale, come mangiare o pisciare, senza il minimo cambiamento.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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01:00 am

 

-Cosa leggi?-

-Cosa ci fai qui?-

Mi fulminò con lo sguardo, senza neanche accennare a un sorriso. Era sempre stata indecifrabile.

Mi limitai a osservare le dita affusolate dalle unghie mangiucchiate, poco femminili, di cui però non si curava: le mordeva selvaggiamente, a volte fino a farsi sanguinare le dita. -Scarico la frustrazione - sosteneva. Chissà quale frustrazione.

Il locale era poco affollato, le persone chiacchieravano silenziosamente, attente a non sovrastare il suono leggero della musica. 

 

She showed me her room, 

isn’t it good,

Norwegian Wood?

 

Le note acute e dallo stile orientale del brano dei Beatles si diffondevano leggere nell’aria, attribuendo al piccolo caffè un’ambientazione mistica e rilassata.

Il tavolo di legno pieno di macchie esaltava l’aspetto del piccolo caffè vintage underground, ma nonostante gli conferisse un certo stile, ammetto che avrei preferito poter entrare in contatto con una superficie che non fosse così sudicia. Feci molta attenzione a non toccarlo troppo.

Lei sembrava invece non curarsene. Riprese dal posacenere la sigaretta lasciata a metà e la portò alle labbra. Era solita appoggiarla al lato destro per poi aspirare con disinvoltura, come se fosse una funzione vitale, come mangiare o pisciare, senza il minimo cambiamento.

- Murakami. Stavo leggendo Murakami- nel rispondere esalò il fumo che elegantemente si dissolse nell’aria.

- Murakami. - feci una piccola pausa d’effetto, mi piacevano, mi davano un’aria da pensatore - Piace anche a me quello scrittore, davvero bravo. Norwegian wood… non era il romanzo che ti ha avviato al culto per i suoi libri? -

Sorrise divertita per la simpatica coincidenza, amava queste piccole casualità. Subito riassunse la solita espressione neutra.

- Sì, proprio quello. Non puoi pretendere di leggere Murakami e apprenderlo a pieno in tutta la sua straordinaria fantasia partendo da “Kafka sulla spiaggia” o peggio ancora da “1Q84” . Non puoi, sarebbe semplicemente sbagliato, non entreresti nella logica. Che spreco. -

Prese un’altra boccata di fumo, dopo di che si strofinò leggermente l’occhio, attenta a non rovinare la linea di eye-liner.

Sorrisi divertito. Era bello vederla così coinvolta in qualcosa.

-Ah, Murakami, grande scrittore. 

-Non sfottere, idiota -

La guardai negli ampi occhi marroni, resi ancora più grandi dal make up scuro. Erano belli, davvero belli. Erano l’unico spiraglio che mi permetteva di captare i suoi pensieri. Con il volto poteva pure essere in grado di eludermi ogni emozione, ma con gli occhi no. Erano gli occhi a fregarla.

-E’ l’una di notte e tu te ne stai qui da sola, in un caffè sudicio, a leggere Murakami, fregandotene dell’ambiente circostante o che il tuo caffè si raffreddi. Tutto ordinario…-

-Ognuno occupa il tempo nel modo che preferisce - farfugliò spegnendo la sigaretta consumata fino al filtro. Infastidita non sostenne più il mio sguardo e finse di tornare tra le pagine del suo romanzo. Sembrava anche piuttosto irata: non le piaceva che captassero i suoi pensieri. 

-Certo… certo. - ripresi, ben conscio delle mie capacità di disturbatore. In un altra vita avrei fatto il rivenditore ambulante, sarei stato davvero perfetto. 

-Ho visto un gatto nero che beveva da una pozzanghera, non puoi capire che pena mi ha fatto, davvero: era magrolino da far schifo, avrei potuto benissimo prenderlo sotto braccio e portarmelo a casa. Poveri gatti. -

-Perché sei venuto qui?! - adesso palesemente infuriata sollevò di scatto la testa verso di me, facendo ondeggiare i lunghi capelli neri. Mi fissò negli occhi, consapevole di non essere più munita di alcuna protezione nei miei confronti, facilmente decifrabile.

-Innanzitutto: non è molto educato interrompere chi sta parlando - la canzonai, ben conscio di non migliorare la situazione. - Comunque, per rispondere alla tua domanda, (perchè vedi, io sono una persona educata) sono qui semplicemente perché ti ho intravista nel locale mentre passavo e, essendo l’una di notte e soffrendo di una scomoda insonnia, mi era venuta voglia di parlare con qualcuno. Tutto qui. 

-Hai ragione, quel gatto era magro da far schifo. E tu sei un pessimo bugiardo. Da quanto mi stai seguendo? - scocciata si accese un’altra sigaretta.

Ogni suo movimento si riversava nella mia mente come a rallentatore, le fissai le dita nervose, gli occhi socchiusi, le lentiggini singolari su quella pelle candida, abbinata ai capelli corvini.

“Perchè ti amo” , pensai. 

Ovviamente non lo dissi ad alta voce.

 

01:30 am 

 

-Stavi camminando sola nel vicolo di fianco alla biblioteca, mi sembrava una situazione pericolosa per una ragazza: sola, a mezza notte, tra le vie della città. E poi mi sono sempre chiesto dove andassi dopo scuola, cosa facessi -

Sorrise leggermente imbarazzata, distrattamente si portò l’amata sigaretta alle labbra. Non riusciva a trovare una frase d’effetto che potesse ferirmi, non era abituata alle attenzioni delle persone. Stavo lentamente abbattendo il muro che aveva eretto contro tutti.

Recuperò un po’ del suo autocontrollo, ma avvertii nella voce un leggero tremolio di ansia e incredulità, ormai ero quasi penetrato nel suo campo base. NEMICO IN AVVICINAMENTO.

-E’ la frase che usi per conquistare le ragazzine in discoteca? Dovresti lavorarci su perché risulti più uno stalker piuttosto che romantico - ridacchiò in modo nervoso.

-Ormai dovresti sapere che le ragazze che mi piacciono, in discoteca non ci vanno -                     Ero anch’io conscio di essere stato troppo avventato, ma non mi importava, ero pronto a rischiare. Sarà stato per l’ambiente notturno di quel disgustoso locale, saranno stati i suoi occhi confusi, sarà stata quella sigaretta che invidiavo da matti per poterle stare così vicina alle sue labbra; ma il fatto era che quella notte, per la prima volta in assoluto, davvero non mi importava di niente.

-Non vedo motivo di interessarsi a me. Non faccio niente di che -

-Allora, riflettiamo: è mezzanotte, cammini da sola per i vicoli della città, saltelli nelle pozzanghere come una bambina di 5 anni, nonostante tu ne abbia 17; ti fermi a guardare un gatto che beve; quando riprendi a camminare sfiori i muri ruvidi dei palazzi trasandati, te ne freghi di quello che pensano gli altri, anzi no: hai imparato a fregartene. Allo stesso tempo fingi che il mondo non ti interessi, che anzi, neanche ti riguardi, e intanto stringi uno dei romanzi in cui hai imparato a immergerti, per evitare di respirare la squallida aria del mondo reale, che non è mai stato in grado di esaudire le tue aspettative. Vorresti di più, molto di più, ma pensi di non meritare niente. In realtà ami la vita, la affronti ogni giorno con l’entusiasmo di quella bambina di 5 anni che salta nelle pozzanghere e che ha tentato mille volte di ottenere l’attenzione del mondo, gli ha urlato contro, lo ha preso a calci, gli ha dato fuoco. Inutilmente. Infine, hai costruito una barriera per proteggerti da chi ti ha ferito e chi potrebbe ferirti, non distinguendo più però chi invece è pronto ad amarti. -

Altra pausa delle mie.

-Dicevi? Non fai niente di interessante? -

Rimasi io stesso senza fiato per l’audace discorso. Ma era tutto vero: tutto quello che avevo detto. Osservai le lacrime cristalline scorrerle lentamente sul viso, quel viso che nessuno ha mai saputo apprezzare. Amare.

Mi guardò dritto negli occhi, quello sguardo pieno di tristezza mi distrusse: avevo spezzato ogni suo tentativo di allontanamento e adesso ne ero addirittura spaventato.

Rimanemmo così per un po’: lei con gli occhi arrossati e il trucco leggermente sbavato, si fissava le dita, senza dire niente. Io seduto di fronte a lei, attento a non toccare il tavolo lercio.

Passò qualche minuto, io aspettai pazientemente che si ricomponesse. Quando smise di singhiozzare si alzò di scatto, afferrò il libro e, senza dire una parola, uscì svelta dal locale.

Io misi in fretta i soldi del caffè sul tavolo e la seguii nei vicoli bui della città. Ormai non facevo altro.

 

 

02:15 am

 

Camminava leggera e senza senza far rumore, sembrava quasi che i suoi piedi non toccassero terra.

Io, in confronto a lei, ero paragonabile a un pachiderma ubriaco che partecipa ad una fiera del vetro.

Si bloccò improvvisamente. Come un secondo prima si muoveva furtiva per le strada, un attimo dopo era immobile e fissava dritto di fronte a sé. Scrutava il buio.

Nei suoi occhi non c’era più tristezza: erano velati da un sottile strato di confusione. 

Si girò verso di me e in modo impercettibile mosse le labbra -Cosa ti aspetti adesso? Che ti stringa forte a me, che ti lodi e ti ringrazi per aver descritto quanto patetica sia stata la mia vita fino ad oggi?! Vuoi sentirti dire che grazie a te ho trovato la gioia di vivere e finalmente riesco a sentirmi amata?! -

Era molto arrabbiata, furiosa. A ogni parola il tono di voce aumentava, finché non iniziò a urlarmi furiosamente contro. Ero spaventato. -COSA TI ASPETTI?! NO! NON E’ COSI’ CHE FUNZIONA! NON PUOI VENIRE E SCONVOLGERE QUALSIASI COSA!-

Per mia fortuna dopo lo sfogo iniziò a rilassarsi e la sua voce assunse una tonalità normale.

-Ho smesso di tentare di ottenere le attenzioni del mondo, sono stanca delle delusioni, cerco di non crearmi pretese, almeno non posso rimanerci più male. E adesso non so se sono più pronta per l’amore di qualcuno. Non so se sono davvero in grado di dare amore a qualcuno. E se ti ho offeso, mi dispiace…-

Non mi guardava neanche più negli occhi: si limitava a fissare le Vans nere e consumate.

Le presi delicatamente la mano, l’attirai a me e la strinsi nel buio di quei vicoli. Lei non oppose la minima resistenza, si abbandonò tra le mie braccia con il volto affondato nell’incavo del mio collo. Odorava di caffè e sigarette, il calore del suo corpo era rassicurante. Senza che se ne rendesse conto, era lei che alimentava la mia forza d’animo, e solo grazie a lei ero in grado a mia volta di sostenerla.
Non la lasciai più andare.

 
   
 
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