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Autore: F L I S    09/03/2015    8 recensioni
[ FUTURO IPOTETICO ♦ NUOVA GENERAZIONE DI SEMIDEI ]
È successo qualcosa.
L'intero Campo Mezzosangue imprigionato dagli dei, perché hanno fatto qualcosa di davvero scandaloso e orribile.
Ma cosa, esattamente?
Dietro le ombre qualcuno si nasconde, la verità verrà a galla, si scoprirà cosa mette ordine e cosa succederà se quell'ordine verrà distrutto.
«Ester» disse semplicemente James, fissando la sorella. Lei sorrise e lui si sorprese: erano imprigionati chissà dove e lei aveva trovato un motivo per sorridere.
«Chirone ci ha chiamati tutti, vuole radunarci.»
«Che vuole fare? L’appello?» scherzò Garry, anche se si vedeva da lontano un miglio che era irrequieto.
«No,» negò James, alzandosi dal letto: «magari vuole semplicemente spiegarci che diavolo succede.»

STORIA INTERATTIVA | ISCRIZIONI CHIUSE!
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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PRENDETE SPUMANTI, VINI, BIRRE; QUALUNQUE COSA, 
LE  F L I S  HANNO
AGGIORNATO.

 
 
 
Ce l'abbiamo fatta! Finalmente abbiamo aggiornato. Non immaginate che casino, e soprattutto, le lacrime versate. La cosa che ci da un po' di dispiacere è forse il fatto che non siamo riuscite ad inserire tutti i personaggi, ma siamo fiere che almeno una parte di essi l'abbiamo inserita. Diteci se siamo andate OOC con i vostri personaggi, siamo molto timorose! Ora che abbiamo preso una strada {e finalmente T ha combattuto il suo pesante blocco-autrice} siamo sicure che gli aggiornamenti sempre non saranno il massimo della rapidità, ma nemmeno una lentezza esasperante! Ora che dire? Vi lasciamo al capitolo, e ci vediamo al prossimo, dove presenteremo il resto degli OC.
Grazie per la azienza :P
T&C



rderliness

primo_

[ quello che accade senza conoscenza
]
 


♦♦


Harvey non aveva la minima idea di dove fosse, il perché e il che cosa fosse successo. La testa gli doleva e i suoi ricordi si erano tutti accavallati tra di loro. Scosse il capo come a volerli riordinare e, inaspettatamente, la nebbia che aveva nella sua testa iniziò a diradarsi. Okay, si chiamava Harvey Stone, e fin qui ci era arrivato. Semidio, figlio di Hermes. Andava bene. Per ora questo gli bastava. Sospirò e si passò una mano sul viso massaggiandosi le palpebre calate: era come se mancasse qualcosa. Tastò con la mano il duro materasso finché non trovo ciò che cercava, inforcò gli occhiali e scese dal letto.
«Harv, sai che è successo?» una voce alla sue spalle lo fece voltare.
«Daniel» mugugnò con voce assonnata. «… Io no. Tu invece, hai qualche idea? » L’altro scosse la testa e il figlio di Hermes sospirò, sedendosi sul letto accanto all’amico. «Bene. Molto incoraggiante devo dire»
Harvey si guardò intorno: centinaia di letti uguali ai loro formavano una fila retta, scorse molte facce conosciute e non, ma nessuno sembrava avere la minima idea di cosa stesse accadendo né di cosa fosse accaduto prima. L’unica cosa che aveva capito di quel posto era che fosse chiuso e fuori dal mondo, trasmetteva un senso di prigionia che non gli piaceva affatto. Gettò uno sguardo distratto all’indirizzo dei più piccoli che, spaventati, si radunavano formulando ipotesi assurde e infantili. Almeno loro stavano bene.
«Harvey, tu ricordi qualcosa?» la domanda di Daniel lo riscosse, guardò con sospetto l’amico.
«Perché, tu?»
Daniel non si curò particolarmente del suo sguardo, si limitò a scuotere la testa sconsolato. «Sì, ma a pezzi… me ne mancano molti.»
Harvey ghignò. «Bene, spero che almeno il fatto che ti devo dei soldi sia tra questi»
Daniel rise, aveva sempre avuto una risata facile. E per questo Harvey non si stupì sentendolo ridere anche in una situazione simile.
«Beh, vedo che almeno un po’ di senso dell’umorismo lo possiedi» sorrise al suo indirizzo, e Harvey sbuffò.
«Tu ne hai anche troppo. Ridi per sciocchezze.» Daniel aggrottò le sopracciglia, ma non sembrò particolarmente offeso dal commento sfacciatamente sincero dell’amico.
«Sarà, ma non per battute squallide. Quelle non meritano neanche di esistere»
Harvey inarcò un sopracciglio. «Sì? Tipo: Cosa dice un paracadute al paracadutista? Non so se mi spiego.» Daniel scoppiò a ridere, e questo fece capire ad Harvey che forse quella non era abbastanza squallida per gli standard del figlio di Persefone. «Proviamo con questa: Ieri sono andato in un cantiere ma nessuno cantava» lì la risata di Daniel si spense, e dalla sua espressione Harvey poté capire di aver fatto centro. Ghignò e si aggiustò gli occhiali sul naso. «Qual è il colmo per un matematico? Non avere nessuno su cui contare» Daniel chinò la testa di lato e Harvey rise. Saranno anche intrappolati, ma questo non gli impediva certo di divertirsi un po’.
«Squallida» una voce conosciuta li fece voltare, James Dans e Riker Cameron li guardavano con un due poco rassicuranti ghigni sul volto.
«Se sai fare di meglio, artista da strapazzo, aspettiamo solo te» provocò Harvey.
Daniel non sembrava molto convinto della cosa, e Harvey sapeva bene il perché: James era sempre stato un tipo competitivo, e Riker non si tirava certo indietro in situazioni simili, prigionia o no ora Daniel davvero non aveva scampo.


 
 
♦♦
 


Riker si stava divertendo un mondo. Vero, forse non era il momento giusto per lanciarsi in una sfida di battutine squallide, considerando la prigionia, la temporanea amnesia e l’imminente annuncio di Chirone, anzi era proprio il momento meno adatto, ma James ne ricacciava certe di davvero squallide e divertenti. 
«Mi chiamo Massimo Della Pena per gli amici Ergastolo» Riker rise, Daniel si passò una mano sul viso esasperato mentre Harvey se la rideva troppo nel vedere le razioni di Daniel.
«James, ti prego…» mormorò quest’ultimo.
Riker alzò la mano: «Oh! Oh! Io, voglio provare io! Allora… ‘Lei: Amore dimmi qualcosa di profondo, lui: Pozzo. Lei: Ma non in quel senso! Lui: Tunnel» James scoppiò a ridere e Daniel lo guardò incredulo, come a dire Tu quoque Riky, amicus mii1.
Riker si limitò a ridere quando James intervenne nuovamente. «Questa è vecchissima: Un uomo entra in un caffè… SPLASH!»
Riker non fu da meno. «Ora tocca a me: Cosa dice l’amo all’esca? Io ti amo.»
«Come muore un pino? Di abete!»
«Cosa fa un terrorista in un orto? Semina il panico»
«Qual è il colmo per un gay pignolo? Farselo mettere per iscritto»
«Dio disse kung e kung fu»
«Cartello del congresso nazionale dell’Associazione Gay: ingresso sul retro.»
«Cosa dice il mago di OZ quando gli tirano uno schiaffo? Come hai OZato!»
«Colmo per un gay cinese: molile di un male inculabile»
«Il presidente della Bic ha avuto un incidente: ci ha quasi lasciato le penne» James fece per parlare ma Riker lo interruppe. «Non sarà mica un’altra sui gay?» domandò.
James scosse la testa, quasi offeso «Ma no! Non sono mica omofobo io. Comunque… Lanciata sul mercato una nuova lavatrice: quattro morti e tre feriti.»
Daniel scuoteva la testa, disperato. Troppo, troppo squallide, Harvey non faceva altro che ridere.
«Ragazzi…» esordì Daniel. «siete incredibili… davvero. Devo chiederlo a Chirone, se con queste freddure possiamo uccidere i mostri. Non mi sorprenderebbe.»
Una lampadina si accese nella testa di Riker. «Chirone!» esclamò.
Tutti si voltarono a guardarlo, ma a lui non importava. Non ci aveva minimamente pensato. Sicuramente Chirone sapeva dov'erano, cos’era quel posto, come ci erano finiti e perché. Non era sicuro che ci fosse anche lui, ma non gli andava di pensare proprio a questo. Doveva sperare, doveva sapere e farsi tutti quegli inutili dilemmi non lo avrebbe portato da nessuna parte. Avrebbe dovuto rifletterci un po' su, ma Riker un tipo riflessivo di per sé non lo era mai stato, né aveva la minima intensione di starsene con le mani in mano. Agì d’impulso e afferrò Harvey e Daniel per i polsi, rivolse invece un’occhiata a James. «Dobbiamo andare da Chirone»
Harvey strattonò bruscamente il braccio dalla presa ferrea del figlio di Eros. «Dobbiamo non esiste, Cameron, io ho un cervello e non faccio come te che fai la prima cosa che ti passa per la testa senza pensarci, se Chirone c’è ci chiamerà lui»
Riker sembrò perdere la pazienza, mentre ancora teneva stretto il povero Daniel per il polso. «Harvey, Chirone è qui, ne sono certo» sentenziò.
Harvey lo guardò come fosse un povero idiota. «Se davvero ci fosse ci avrebbe già chiamati» sibilò.
Riker sbuffò: «Ma che t’importa! Non stiamo mica andando in una missione suicida, forza!» spinse il figlio di Hermes verso la porta da cui Chirone era entrato, e trascinò con sé il figlio di Persefone, poi si rivolse a James che, ancora fermo, sembrava distratto a guardare un punto in particolare. «James muoviti, forza!»
Quello sembrò cadere dalle nuvole. «Cosa? E dove?»
Daniel sospirò. «Da Chirone, ma hai ascoltato Riky prima?»
Il castano sorrise a mo’ di scuse, aprì la bocca per parlare ma Riker lo anticipò: «Sì, sì okay ma ora andiamo!»
James voltò velocemente il capo di lato. «A-aspetta! Io… io ora vi raggiungo. Devo parlare un attimo con Ester…»
Riker sbuffò ma non aggiunse altro. Sapeva che se si trattava di Ester James diventava intrattabile.



 
 
♦♦
 


James avanzò rapido verso Ester che stava discutendo con Giuliette Blue, mentre parlava sorrideva e si lisciava i lembi dell’enorme felpa che indossava e che la faceva sembrare ancor più minuta di quel che era. Ridacchiò tra sé e sé nel notarlo: era incredibile che fosse così minuta nonostante tutto quello che mangiava. Si fermò per aspettare che finisse di parlare, ma non dovette attendere molto perché non appena lei lo vide gli si fiondò letteralmente tra le braccia. In un primo momento rimase un po’ spaesato, per poi ricambiare l’abbraccio stringendola forte a sé.
«Ester…» mormorò, mentre le sue labbra si stiravano in un sorriso. Sua sorella era sempre stata una ragazza alla costante ricerca d’affetto e, beh, chi era lui per negarglielo?
Lei dissotterrò il viso dal petto del fratello, guardandolo con i grandi occhi smeraldo così simili ai suoi. «James, secondo te ci sono dei traditori fra noi?»
Lui fece una smorfia. «Beh, se siamo qui un motivo c’è… ma non ti preoccupare, a meno che tu non mi nasconda qualcosa siamo apposto»
Ester sorrise. «Io non nascondo niente. Ma… perché stavate ridendo poco fa?»
James ridacchiò, staccandosi dalla sorella e scompigliandole i capelli color caramello: «Non sono cose di tua competenza, ragazzina»
Ester fece una smorfia infantile, facendo ridere il fratello, e spazzolandosi via dal viso una delle tante ciocche raccolte in trecce. «Non sono una ragazzina» si difese. «e ora dimmi di che stavate parlando»
«Battute squallide» rispose lui con un sorrisetto irritante, incrociando le braccia. «ma non ti dico di che tipo»
«Doppio senso?» indagò lei.
Il sorriso di James si allargò, mentre le sfiorava la punta del naso con un dito. «Questo non sono autorizzato a dirtelo fino ai tuoi diciotto anni»
«C’è una scorciatoia?»
«Smetti di essere mia sorella»
Ester sorrise radiosa, mentre i suoi occhi luccicavano, consapevole che anche se ne avesse avuto l’occasione non l’avrebbe mai fatto. Non poté che ricambiare, come non farlo? Aveva un sorriso meraviglioso, terribilmente presente anche nelle situazioni più gravose, sempre fresco, gioviale e contagioso. E lui, che era un artista, di meraviglie se ne intendeva eccome. Si somigliavano così tanto eppure James di se stesso, nella piccola Ester, non ci vedeva assolutamente niente. La tendenza a sdrammatizzare, forse? Non gli era mai interessato molto, sapeva solo di vedere due occhi smeraldo esattamente come i suoi, ma che brillavano in modo diverso, un sorriso costante in egual maniera, ma che a differenza sua di malizioso aveva poco e niente. Era puro e semplice, fatto anche allo scopo di stupire, e James lo amava. Amava soprattutto quando quelle piccole e morbide labbra si piegavano in un broncio infantile che, con lui soprattutto, non durava mai a lungo. Il sorriso di Ester era arte, qualunque artista ne sarebbe rimasto incantato, e James non faceva eccezione. Ma quest’ultimo sapeva bene che, nella vita di Ester, ci doveva essere un solo artista, e quello era esclusivamente lui. Non appena sentì quest’ultimo pensiero, si ritrovò a scuotere il capo. Che Alex avesse ragione? Forse era davvero troppo protettivo con Ester? Non ebbe il tempo di interrogarsi oltre, che Riker lo afferrò saldamente per le spalle:
«Sì okay bene, perfetto, perfetto, capito Ester? Non andare a letto con gli sconosciuti eccetera eccetera, te lo rubo un attimo, okay? Ciao!»
«Cos-» James non fece in tempo a finire la frase che Riker lo trascinò via imperterrito con Daniel alla calcagna. «Andare… dove?» chiese confuso.
«A letto, James. Tua sorella è una donna e prima o poi andrà a letto con un ragazzo, capito?» infierì con noncuranza mentre lo guidava dal Centauro.
Daniel si strisciò una mano sul viso, esasperato. Quanto accidenti poteva essere stupido Riker, a volte? Dall’espressione sul viso dell’unico indeterminato del gruppo, James, poté capire che quell’affermazione non gli piaceva affatto, fu questo a spingerlo a posargli una mano sulla spalla. «È
 un cretino» gli disse. «lo sai, vero?»
James annuì con una smorfia, borbottando qualcosa di incomprensibile, mentre Riker li guardava di sbieco. Sarà anche stato un cretino, ma comunque non aveva torto…



 
 
♦♦
 
 
 
 
Alexia Sarah Wood camminava frettolosamente tra la gente, studiando volti e riconoscendoli quasi tutti tranne qualcuno che probabilmente era arrivato da poco al Campo. Quando incontrava qualche fratello lo salutava con un cenno, e man mano che li vedeva uno ad uno, la stretta al cuore si allentava: si era svegliata in un posto del tutto diverso dal Campo e si era spaventata molto. Sembrava quasi una cella: non si riusciva ad intravedere nulla, solo letti. Letti infiniti. Doveva assolutamente trovare Chirone, doveva capire cosa stava succedendo.
«Alexia!» 
La ragazza si girò improvvisamente, facendo ondeggiare i suoi capelli arancioni, in quel momento legati in una treccia spettinata. Garry le si avvicinò, con il viso illuminato da un sorriso. Alexia dovette trattenersi dallo spalancare la bocca: come faceva quel ragazzo a sorridere in un momento del genere?
«Garry» rispose avvicinandosi a lui. Nonostante l’incertezza iniziale, era felice di vederlo. «Che succede? Dove siamo?»
Il sorriso di Garry si spense come una lampadina fulminata. «Non lo so. Appunto sono qui per dirti che dobbiamo correre, Chirone ci ha ordinato di radunarci.» Lei lo squadrò sott’occhi: non era vero. L’aveva raggiunta perché sicuramente non sapeva cosa diavolo fare. Ma preferì non dire nulla in proposito. 
«E dove?» chiese invece la figlia di Apollo, incuriosita.
«Beh, non ne ho la più pallida idea» esclamò lui, e prima che lei potesse aprir bocca, Garry continuò: «Seguiamo gli altri, ci incontreremo in un punto qualsiasi.»
Alexia puntò i suoi enormi occhi ovali verde smeraldo in un punto indefinito davanti a lei. Era spaventata, non sapeva dove si trovasse, ma era davvero contenta che con lei erano presenti anche i suoi amici e i suoi fratelli, o almeno alcuni di essi. La rendevano più forte, e la situazione diventava meno terrorizzante e assurda di quanto già non fosse. 
«Hai qualche ipotesi?» le chiese il figlio di Ade, facendole segno di avviarsi e seguire Duncan Street, un figlio di Demetra che sembrava deciso di quel che faceva e di quale strada intraprendere. Seguire qualcuno a random era l’ipotesi di Garry? Erano spacciati. 
«No» rispose, rassegnata all’assurdità del ragazzo, «Ma sono sicura che siamo qui per un motivo, e credo che non sia un motivo stupido, ma molto grave. Sembriamo dei prigionieri.»
Lui non aggiunse nulla, semplicemente iniziò a fissare un punto indefinito avanti a sé. Sembrava assorto nei suoi pensieri, e Alexia si trovò a prestare maggior attenzione alle voci che sentiva, sorridendo quando ne riconobbe alcune, con sua grande sorpresa. James Dans le passò davanti, preso sottobraccio da Riker Cameron e Daniel White, con una smorfia dipinta sul viso. Ester, sua sorella, stava a pochi metri di distanza, guardando il fratello e i suoi amici con un sorriso spento e gli occhi distanti. Alexia avrebbe potuto giurare di sentire i pensieri della piccola. E all'improvviso, non riuscì a pensar ad altro che non fosse centinaia ragazzini come lei; chi ancora dormiente, chi spaventato e chi cercava di fare il duro o il coraggioso nonostante fosse terrorizzato a morte. 
Scosse la testa con energia: doveva assolutamente trovare Chirone.
«Ester!» urlò Garry, come rinato, afferrando immediatamente la ragazzina. Ester sussultò e non ebbe nemmeno il tempo di salutarlo che Garry le cinse le spalle saldamente. «Dolcezza, devo chiederti una casuccia…» Alexia alzò gli occhi al cielo ma non riuscì a trattenere un sorriso divertito: Garry era proprio un idiota. «Tu sai dov’è il punto d’incontro per la riunione?»
Lei aggrottò le sopracciglia. «Beh, dove sta Chirone. Riconoscerai il punto dalla bandiera rossa, lì» La piccola puntò il dito in alto, indicando proprio la bandiera che Alexia e Garry non avevano notato fino ad allora. La figlia di Apollo annuì, complimentandosi con se stessa per la mancanza d’attenzione. 
«Ora ha tutto molto più senso!» esclamò Garry ridendo, a disagio. 


 
 
♦♦

 
 

«Maledizione» sbottò America serrando i pugni, irritata. Era nervosa, nervosa come non mai: mille domande le frullavano in testa ma nessuno lì poteva rispondere ad esse perché erano tormentati dalle medesime domande. Sciolse i lunghi capelli scuri e ricci per poi raccoglierli di nuovo in una coda alta. Che fare? Continuare a camminare cercando di esplorare un posto che sembrava non finire mai, oppure muoversi e cercare di far qualcosa?! Forse Chirone era la soluzione migliore, ma trovarlo era come cercare un ago in un pagliaio. E poi non era nemmeno certa che fosse presente. La figlia di Enio si guardò intorno, per l’ennesima volta, trovando intorno a sé solo un mucchio di semidei nel pieno di diverse azioni diverse: c’era chi smorzava la tensione con qualche battutaccia, chi tentava di non piangere, chi afferrava il proprio amico o familiare per il braccio trascinandolo chissà dove e chi urlava il nome di qualcuno. Un gruppo di figli di Atena reclutava i propri membri, alcuni figli di Apollo studiavano attentamente la breve amnesia che colpiva chi si svegliava da poco ed altre figlie di Afrodite cercavano qualcosa, come nel panico. America alzò di poco lo sguardo, in tempo per incontrare una bandiera sventolare da un punto ben definito, come se cercasse di indicare a tutti un determinato posto. Senza pensarci due volte prese a correre incontro a quella bandiera che, in quel momento, sembrò essere manna dal cielo. 
«Oddio!» 
Un urlo, poco dietro di lei, la fece frenare in modo preoccupante; si girò rischiando di cadere a faccia a terra: una ragazzina era nel pieno di un attacco di panico, diverse persone le si inginocchiarono accanto cercando di calmarla. America si precipitò vicino alla ragazzina e la scosse non troppo violentemente: «Respira profondamente, va bene? È tutto okay, non temere, non ti accadrà nulla di male» sussurrò. Sapeva già che sarebbe successo; insomma, non tutti sapevano reggere le situazioni di panico, soprattutto i “Nuovi Arrivati”, ovvero i semidei che non erano abituati a certe situazioni. Accanto a lei uno dei –probabilmente- amici della ragazzina grugnì. 
«Ma lasciala lì per terra» borbottò. «odio i nuovi arrivati»
In pochi secondi il ragazzo si trovò steso per terra dal pugno di America, furiosa. «Cos’hai detto, brutta testa di-»
«America» Giuliette Blue la fermò prima che potesse assestargli un bel calcio in bocca, ed America la odiò per quello. «non picchiare i miei fratelli, anche se dicono cazzate»
La figlia di Enio diventò rossa in viso dalla rabbia, odiava quando la trattenevano mentre cercava di far ragionare la gente. 
«Che succede qui?» Alexia Sarah Wood fece la sua entrata ad effetto nella discussione, seguita da Ester Dans e Garry IlRagazzoSenzaUnCognome
«Nulla» sospirò Giuliette aiutando la ragazzina ad alzarsi da terra. «America difende i diritti delle new entry
La ragazza in questione alzò gli occhi al cielo, «Non farmi parlare, Blue.»
«Muoviamoci» disse Alexia con un sorrisetto divertito: Giuliette e America erano proprio assurde. «Chirone ci vuole»
«E come diavolo facciamo a sapere dove andare?» sbottò Giuliette innervosita ed irritata, quella situazione non faceva che diventare più assurda ogni secondo di più. America ghignò e indicò in alto: una bandiera rossa indicava un punto ben preciso, un punto che, non tutti ma molti semidei stavano raggiungendo, chi con ansia, chi con decisione e rabbia. Quando la figlia di Ares annuì, America giurò di poter sentire le domande che le tormentavano la mente, domande che avevano il bisogno vitale di ricevere una risposta. Garry buttò una battuta davvero pessima, e i cinque si avviarono verso la bandiera, ignorando il fratello di Giuliette che tentava di rialzarsi, ancora scosso dal cazzotto della figlia di Enio. 
«Dove siamo secondo te?» Ester comparve affianco ad America, che sussultò leggermente per la sorpresa. Si girò a guardare la piccola: era minuta, le gote arrossate e gli occhi un po' lucidi di preoccupazione. America si sentì quasi leggermente scossa; era raro vederla impaurita. Sapeva che lei e suo fratello non erano ancora stati riconosciuti da alcun dio, ed entrambi risiedevano al Campo dalla bellezza di un anno. Ma nonostante ciò, sembravano tutt’altro che infelici. La ragazza si era trovata più volte a compatirli da lontano, quando li vedeva entrare nella Sala Grande. Erano davvero molto affiatati, si sostenevano a vicenda. 
«Non ne ho idea» rispose poi, «Ma di una cosa sono sicura: siamo come… imprigionati»
Ester spalancò gli occhi e sussurrò “Jamie” in maniera flebile, come se lo stesse chiamando. Sì, America ne era sicura: era come se tutto il Campo fosse stato rinchiuso da qualche parte. Come se fossero stati… puniti.


 
 
♦♦
 


«EROI!»
Giuliette sospirò
e ridacchiò nel vedere il centauro Chirone nel suo impacciato tentativo di richiamare l’attenzione di tutti. Non era tutto il Campo al completo, ma almeno si potevano considerare la maggior parte. Ovviamente non erano pochi, soprattutto perché in quell’estate il numero dei semidei era aumentato notevolmente.
Nonostante la difficoltà iniziale, Chirone sembrava deciso a parlare, anche rischiando che gli ultimi non sentissero una parola del discorso. Fece un respiro profondo e esordì con tono deciso: «So che site tutti molto impauriti ma soprattutto confusi, bisognosi di sapere cosa stia succedendo. Ebbene, con molta inquietudine, ho da dirvi che il Campo è stato imprigionato.»
Scoppiò il caos. Ogni semidio sembrò entrare nel panico più assoluto, mentre Giuliette sentì America, accanto a lei, irrigidirsi e sgranare gli occhi, incredula del fatto che ciò che aveva pensato fosse la verità. Il Campo era imprigionato. E non proprio il Campo in sé, ma i semidei che lo popolavano. Non poteva crederci: com’era possibile? Come ci erano finiti tutti lì dentro? Ma soprattutto, dov’erano di preciso? In una cella gigante? Le domande di Giuliette si moltiplicavano e il caos che Chirone cercava di placare non era d’aiuto. Chi li aveva rinchiusi? E soprattutto, come diavolo aveva fatto? Far scomparire una miriade di semidei non era certo un giochetto da ragazzi, anzi, era una magia molto potente. Chi poteva avere un potere così grande da riuscirci? 
«EROI! TACETE!» urlò Chirone in definitiva, facendo smettere solo la metà dei ragazzi. «Capisco il vostro disagio, la vostra paura e le domande che sicuramente vi starete ponendo. Ma è palese che sapere chi è stato a rinchiuderci non farebbe altro che duplicarle.»
Giuliette si trovò più irrequieta di prima, ma non riuscì a contenersi: «Non può esserne sicuro se prima non ce lo dice! Abbiamo bisogno di risposte! Non possiamo fare nulla se prima non ci viene detto chi è dietro a tutto questo!»
«Blue ha ragione!» l’appoggiò America, con sua enorme sorpresa: «È nostro diritto sapere ciò che sta succedendo!»
«Dai Chirone,» cercò invece di farlo ragionare James «abbiamo solo bisogno di sapere.»
«Tanto non succede nulla se ce lo dice» diede manforte Harvey Anthony Stone, dicendo liberamente ciò che pensava, come sempre.
Il centauro sospirò, quasi sconsolato, prima di decidersi, dopo qualche minuto di titubanza. «Siamo stati intrappolati… da…» si passò una mano sul viso, con aria afflitta: «siamo stati imprigionati dagli dei, i vostri genitori.»
   
 
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