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Autore: AlexEinfall    09/03/2015    3 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le cose che arriverò ad amare



   
   
  Kelly fu svegliato dal rumore di acqua scrosciante. Rotoltò sulla schiena, grugnendo all'idea di affrontare una piovosa giornata. Quando fu costretto a sbattere le palpebre contro un intenso sole, si accorse che non era la pioggia che sentiva, ma il getto della doccia oltre la porta del piccolo bagno. Si rilassò, stirando le braccia e strofinando il viso.
  Il quieto sorriso divenne una smorfia quando Matt uscì dal bagno indossando pantaloni e t-shirt.
  Si soffermò ad osservare le gocce intrappolate tra i capelli arruffati e le ciglia, al mattino sempre di quella tonalità dorata.
  «Dove hai intenzione di andare?»
  «Oh, buongiorno anche a te» scherzò lui frizionando i capelli con un'asciugamano. «Vado a fare una corsa. Se hai intenzione di venire, ti conviene muoverti, perché non ti aspetto.»
   Kelly si tirò a sedere e lo afferrò per i fianchi, attirandolo con facilità addosso. Lo baciò e, prima che potesse argomentare, rotolò su di lui per costringerlo a letto.
  «Non ci pensare» mormorò Matt poco convinto, un palmo sul petto nudo di Kelly.
  Il moro strusciò il bacino contro il suo e gli baciò il collo, sussurrandogli: «Andiamo, Matt, ho dovuto aspettare così tanto per questo.» Tracciò la linea del suo bicipite, lasciadogli un bacio all'angolo della bocca e sentendolo perdere resistenza.
  «Non lamentarti proprio tu.»
  Kelly si sollevò sul gomito, staccandosi da lui abbastanza per rivolgergli un'occhiata maliziosa.
  «Quanto?»
  «Quanto cosa?» sussurrò Matt, afferrandogli la nuca per baciarlo.
  Kelly resistette, fissandolo con un ghigno. «Quanto hai dovuto aspettare per avere questo» rispose, indicandosi il torace glabro.
  Matt lo spinse da parte, riuscendo a liberarsi dalla sua presa.
  «Oh no, non avremo questa conversazione ora» disse strisciando fino al bordo del letto. Si chinò ad afferrare le scarpe. «Anzi, non l'avremo mai.»
  «Dai, voglio sapere quanto il mio ragazzo ha dovuto patire per avermi.»
  Nell'esatto istante in cui le parole uscirono dalla sua bocca, Kelly desiderò rimangiarsele. Matt si bloccò con i lacci tra le dita e si voltò lentamente a guardarlo.
  Il mio ragazzo?
  Non avevano mai parlato di questo aspetto della relazione ed era la prima volta che quelle tre parole uscivano dalla bocca di uno di loro. Kelly si ritrovò a trattenere il respiro, sul punto di dire qualcosa, qualunque cosa che alleggerisse la situazione. Inaspettatamente, un ghigno illuminò il volto di Matt, che si chinò e lo baciò.
  «Allora chiediglielo» mormorò, prima di rivolgergli un'espressione turbata. «Aspetta, lui lo sa che sono qui? Perché non voglio problemi.»
  Kelly rise, spingendogli una spalla col pugno.
 «Hai programmi per oggi?» chiese Matt quando fu in piedi, pronto a uscire.
 Kelly scese dal letto e si stirò la schiena con un grosso sbadiglio.
 «Nha. Ho il turno stanotte. Certo, avevo in programma di passare il giorno a letto, magari non da solo» disse, facendo roteare gli occhi al biondo.
  «Colazione da Aldo's, tra quarantacinque minuti» propose Matt, ispezionando la sacca che Leslie gli aveva procurato. Si bloccò e vi gettò dentro una maglia, per poi passare una mano sul volto.
  Kelly colse il repentino cambio di umore e si avvicinò con cautela.
  «Che succede?»
  «L'ipod» mormorò Matt. «Immagino sia finito distrutto con tutto il resto.»
  Il moro non disse nulla, ma aprì il cassetto del comodino e ne estrasse un ipod.
  «Tieni, è il mio. Non romperlo, non dargli fuoco e non regalarlo a qualcuno solo per far bella figura.»
  Matt passò lo sguardo tra Kelly e il dispositivo nella mano tesa, aprendosi in un sorriso. Gli posò un bacio veloce sulle labbra, quindi afferrò l'ipod e corse via.
  «Figurati, non devi ringraziarmi» mormorò il moro, prima di passare il pollice sul labbro e sorridere.




   
   Matt sprofondò nel divano con un pesante sospiro. Odiava ammetterlo, ma non aveva previsto di stancarsi così in fretta. I primi giorni di libertà li aveva passati sforzando il suo corpo al limite, ignorando quelli che sapeva essere i confini tra una sana stanchezza e un doloroso sfiancamento.
  Ora aveva dovuto rinunciare al suo programma di allenamento dopo appena venti minuti di corsa, il tempo di arrivare all'emporio all'angolo e girare sui tacchi.
  Le gambe erano molli e in fiamme, il petto gli doleva e ogni giuntura sembrava piena zeppa di acido lattico.
  Non lo faceva sentire meglio il fatto che l'appartameno fosse totalmente vuoto e silenzioso. Odiava vivere da solo, malgrado avesse i suoi mille lati positivi; lo odiava soprattutto in momenti come questo, troppo prostrato per tenersi occupato con qualunque cosa. Matthew Casey era un dannato animale sociale, non un gatto sornione come Kelly. Accese la TV, cercando di riempire il vuoto con programi futili.
  Reclinò la testa contro i cuscini. Presto la sua mente si allontanò dai Tre tipi di taglio da grigliare per volare verso l'assenza che lo circondava. Quella mattina si era svegliato in un letto freddo, maledicendosi per essersi addormentato così pesantemente da non sentire Kelly e Leslie uscire.
  Se Kelly nel mezzo della notte lo aveva svegliato e salutato, lui non lo ricordava, ma poteva ben supporre il moro non se ne fosse curato poi tanto. Perché Kelly poteva solo immaginare il senso di disagio che Matt sentiva in fondo allo stomaco.
  Mentre le ore scivolavano, i canali si srotolavano sullo schermo e lui faceva la spola tra cucina e camere per trovare qualcosa da fare, quel senso di ansia non diminuì. A metà pomeriggio si risolse ad afferrare il cellulare. Scrollò la rubrica fino al numero di Severide, ignorando il modo in cui il suo pollice tremava, o il suo cuore accellerava con ogni squillo a vuoto.
  Finché finalmente ci fu una risposta, e lui crollò sulla sedia.
  «Hey, Matt.»
  «Hey. Sono di strada per il supermercato» mentì, lisciando il bordo di una tazza, «così mi chiedevo se tu e Shay avete voglia di qualcosa in particolare.»
   La risata di Kelly lo fece sussultare.
  «Amico, torniamo per colazione.»
  «Sì, giusto. Okay, allora pancakes?»
  «Pancakes sia.»
  Matt sospirò, sollevato che Kelly stesse bene e che non avesse intuito il vero motivo della chiamata.
  «Ah, non aspettarci alzati. Torneremo tutti interi.»
  Chiuse la chiamata per interrompere la risata di Kelly, imprecando a denti stretti. Severide lo conosceva meglio di quanto lui volesse ammettere.
  Rimase in silenzio a guardare nel vuoto, il cellulare in una mano e l'altra in un pugno sotto il mento. Si riscosse e decise di uscire, sapendo che avrebbe cucinato pancake anche per tutta la notte.
   Non credeva di potersi abituare al ruolo di Penelope che aspetta Ulisse tornare a casa, ma sapeva che mai, assolutamente mai, avrebbe dato a Kelly la soddisfazione di saperlo.

 
 

   Doveva essere un recupero semplice e tutto sarebbe dovuto andare come da manuale. Kelly aveva sempre dato per assodato che la realtà del suo lavoro non combaciava mai con le pagine scritte o le esercitazioni fatte. L'imprevisto era insito in ogni chiamata, per cui l'unica certezza che si ritrovava davanti scendendo dal camion era l'assoluta mancanza di certezze.
  Così si ritrovò a riaprire gli occhi al suono assordante del proprio allarme agganciato alla divisa. Sbatté le palpebre, mentre quel bip continuo gli penetrava nella mente e lo richiamava all'azione. Niente panico, niente esitazioni: agisci. Era in questo mantra che quel suono veniva automaticamente convertito.
  Tuttavia, il suo corpo impiegò una frazione di secondo di troppo per reagire.
  «Severide!»
  Alzò la testa, cercando di riconoscere la fonte di quel richiamo. Mentre i suoi muscoli tornavano alla vita, le sue orecchie furono graziate dal cessare immeditato dell'allarme.
  «Tutto okay!» urlò alle teste dei vigili, che spuntavano dal cratere aperto nel pavimento come volpi da una tana. La propria voce gli giunse attutita dalla maschera e fu sollevato di averla ancora indosso. Finire a tossire convulsamente per il fumo non era un'esperienza che voleva ripetere.
  «Scendiamo a prenderti!»
  Si alzò a sedere, reprimendo a stento la nausea e la debolezza che lo aggredirono al cambio di posizione, indicandogli che il suo corpo si rifiutava di sforzarsi oltre. Ricordava vagamente di aver sentito le assi cedere e quell'istante di istintivo panico, quello nel quale la sua professione gli aveva insegnato a riflettere su una via di fuga. Inutile, almeno finché non avesse imparato a volare.
  Mentre Capp scendeva per recuperarlo, trovò il casco e si alzò, incerto sulle gambe. Era certo che lo avrebbero costretto a una lunga permanenza in pronto soccorso per controlli inutili e noiosi.
  Quando finalmente fu scortato all'esterno della casa pericolante, sorretto da Mills e Capp, realizzò dall'espressione di Boden che le sue supposizioni fossero esatte.
  «Sto bene» si affrettò a dire, una volta strappata la maschera. Si massaggiò di riflesso la spalla, certo che un grosso livido fosse il massimo delle conseguenze di quella caduta.
  Shay lo stava scrutando così attentamente che lui non si sarebbe stupito se, pensando un numero qualunque, lei lo avesse ripetuto fedelmente.
  «Devi farti controllare» tagliò corto Boden. «Shay?»
  «Ci penso io, Capo» rispose la bionda, afferrando il braccio di Kelly e trascinandolo all'ambulanza.
  Fu costretto a sedersi affianco a Dowson, che monitorava il ragazzo che erano riusciti a tirare fuori dalla casa, intubato e sedato. Mentre Gabriela passava a porgli domande su possibili sintomi, controllandogli i segni vitali, un pensiero risucchiò tutta l'attenzione di Kelly. Dietro le palpebre poteva vedere gli occhi di Matt allargarsi, colmi di preoccupazione, colpa e paura. Avere qualcuno da cui tornare dopo aver rischiato la vita, non era esattamente come se l'era aspettato. C'era, da qualche parte, il benessere di sapere che ogni paura nascosta non doveva essere palesata, ma semplicemente lasciata dormire accanto a quella dell'altro. In fondo, avere paura di morire era umano, e anche Kelly lo era. Il bisogno di non mentire, di essere completamente sincero e libero con Matt lo spaventava. C'era anche quel sottile senso di pressione, come se la propria salute e la propria vita non fossero più solo questioni personali.
  Kelly non era certo di essere pronto a questo tipo di condivisione, perché poteva tramutarsi in liberazione di quelle silenti paure. Sarebbe stato costretto a fronteggiarle e non poteva permettersi debolezze. E se, la prossima volta, non avesse rischiato tanto? E se, un giorno, sarebbe arrivato al punto di fallire nel suo compito per paura delle conseguenze? Per paura di non poter tornare da lui?
  Con un'imprecazione a denti stretti, che sorprese Dowson, reclinò la testa contro lo stomaco dell'ambulanza, arrendosi a cercare una soluzione a quel dilemma.
  Gli effetti collaterali di quella relazione non rientravano nel tipo di imprevisti che poteva affrontare.

 
  Leslie Shay non era famosa per la sua capacità di tenere la bocca chiusa. Abituata a sputar fuori ciò che pensava, delle volte senza calcolare poi tanto le conseguenze, si ritrovava spesso a fallire nel cogliere le regole dell'opportuno e non. Così, quando davanti a un cartone di pizza gigante, sdraiata comodamente sul divano, si lasciò scappare ciò che era accaduto nell'ultimo soccorso, Kelly non ne fu poi tanto sorpreso.
  Lo sguardo di Matt assunse l'esatta tonalità affettiva che aveva immaginato. Neanche il precipitoso tentativo di autocorrezione di Shay, seguito da una rottambolesca fuga linguistica sugli esami negativi di Kelly, riuscì a cancellare la preoccupazione dal volto del biondo.
  I suoi occhi si spostarono lentamente sul compagno, rimanendo fissi nei suoi mentre il silenzio diventava teso per loro, imbarazzante per Shay. La bionda si alzò, offrendosi di sistemare i rimasugli della cena, con lo scopo esplicito di lasciarli soli.
  «Hai intenzione di dire qualcosa o mi guarderai così per il resto della tua vita?» scherzò Kelly, nascondendo il disagio in un lungo sorso di birra.
  Poté quasi sentire il momento esatto in cui i nervi di Matt rilasciarono lo sgomento, riempiendosi di realizzazione, seguita da tutto il bagaglio di senso di colpa e frustrazione. Al suo posto, ne era certo, si sarebbe frustato mentalmente per la propria incapacità di coprirgli le spalle.
  «Seriamente, Kelly» disse, risistemandosi nel suo posto all'angolo del divano. «Quanto è stato grave?»
  «Andiamo, Matt, sono qui e sono tutto intero.»
  «E hai difficoltà a muoverti. Direi un livido dai mille colori sulla schiena.»
  Kelly sbatté le palpebre, ma la sorpresa fu veloce a trasformarsi in un ghigno. Matt lo conosceva bene. Era certo che al biondo non sarebbe sfuggito il modo in cui poneva cautela nel non poggiare troppo la parte di schiena contusa, o come i suoi movimenti fossero impacciati.
  Lo guardò e seppe che quello era il momento che temeva segretamente fin dall'inizio, quello che avrebbe tracciato i limiti e deciso quanto quel rapporto potesse funzionare. La propria capacità di permettere a Matt di curarsi di lui e ai suoi sentimenti di non occludere le capacità al lavoro, sarebbe dipesa da quello che lui avrebbe fatto.
  L'imprevisto, imparò quella sera, poteva rivelarsi più positivo e appagante di quanto potesse immaginare.
  Matt si alzò, togliendogli di mano la birra e afferrandogli l'altra con decisione, per imporgli di seguirlo su per le scale. Kelly non ebbe tempo di far altro che rimanere sorpreso, quando il biondo prese possesso del suo respiro con un profondo bacio.
  «Sullo stomaco» gli sussurrò alle orecchie, mentre le sue mani operavano per sfilargli la maglia.
  «Cosa?» balbettò Kelly, incerto di aver davvero capito.
  Gli occhi di Matt erano così scuri e profondi da ipnotizzarlo. «Ho bisogno che tu sia mio» mormorò con voce roca, continuando a svestirlo con impellenza.
  Kelly si ritrovò esattamente dove e come Matt lo voleva, il proprio battito potente nello stomaco, premuto con forza contro il materasso. Le mani del biondo percorsero la sua schiena dolorante, con rude cura e necessità, fino a raggiungere le natiche e afferrarle con decisione.
  Non sapeva cosa aspettarsi o cosa avrebbe provato, e stranamente questo da solo era in grado di fargli provare un'eccitazione totalmente nuova e sconosciuta. C'era qualcosa di profondo nel modo in cui Matt gli respirava sul collo, baciando e mordendo la pelle della sua spalla. Un doppio significato si nascondeva nella forza delle sue mani sui suoi fianchi. Il confine era lì e veniva tracciato con movimenti brucianti e spinte profonde, mai troppo gentili né troppo intrusive.
  Mentre Matt si muoveva dentro di lui e il suo corpo pian piano trasformava il dolore in piacere, accomodandosi a quell'intrusione, Kelly ebbe il barlume di una importante rivelazione. Il confine veniva tirato, con unghie, denti e sospiri, ed entrambi si guardavano negli occhi ai due lati della linea. Avrebbe funzionato, ne era certo, perché se quella relazione era un dare e avere, se era spingere e ritirarsi, il loro ritmo era una sincronia perfetta.


  Matt lo spinse contro il materasso con il peso del suo corpo rilassato, il respiro corto e pesante sulla sua nuca. Quando rotolò via, per Kelly fu come perdere un contatto profondo. Prima che potesse sentirne il freddo distacco, si girò sulla schiena e abbracciò il biondo con una necessità mai così forte prima. Per un attimo si lasciò cullare dalle loro gambe intrecciate, dai loro respiri che pian piano trovavano un ritmo più sano e dalle sue labbra sul petto.
  Nella sua vita prima di lui non avrebbe mai immaginato un giorno di ritrovarsi a consumare un rapporto con un uomo; certo, qualche volta la sua mente era approdata a quei lidi, e ogni volta nelle sue fantasie era lui che dominava. Non aveva mai creduto che esse si tramutassero in realtà e tantomeno che un giorno si sarebbe ritorvato lì, abbracciato a Matt, dopo averlo accolto nel suo corpo. Era intimo, era feroce ed era appagante in modi difficili da ripetere. Soprattutto, sembra la cosa più giusta della sua vita.
  «Wow...» mormorò a se stesso.
  Sentì la risata di Matt sfiorargli il petto, soffocata dalla guancia premuta contro i muscoli tesi. Gli carezzò i capelli, lasciandogli un bacio sulla testa come fosse un essere prezioso da curare con attenzione.
  «Mi sento...pieno.»
  Matt alzò il mento e lo baciò. «E' questo che si prova ad appartenersi» gli sussurrò sulle labbra.
  Kelly allargò gli occhi, riempiendoli di quella bocca arrossata e di quelle pupille dilatate come universi.
  Lo strinse più forte a sé e non disse altro, perché non si fidava della propria attuale capacità di parlare. Sentiva il petto di Matt alzarsi ed abbassarsi con il suo, in un ritmo speculare e lento, risacca di un oceano che si dipanava in quell'attimo eterno. Tutto il mondo era lì fuori, ma tutto ciò che importava realmente era incollato al proprio corpo.
  Kelly capì, assorbendo il rumore del respiro di Matt che sprofondava nel sonno, che quell'amore poteva renderlo solo più forte. Le sue paure e le sue incertezze era lì, stese con loro, dormendo placidamente. Avrebbe lottato fino allo stremo per tornare a casa da lui, perché lui non temesse mai la solitudine. Allo stesso modo, con rinnovata fiducia nell'amore umano, avrebbe salvato ogni vita a costo di tutto, per permettere ai mille amanti dispersi nella città di rincontrarsi.




  «Lo hai mai fatto, prima?»
  «Cosa?»
  «Non prenderla male, ma con me sei sempre stato passivo. Pensavo ti piacesse così.»
  «Aspettavo fossi pronto, tutto qui.»
  «Matt, lo stai facendo ancora.»
  Matt sapeva esattamente a cosa si riferisse. Nonostante ciò, ingoiò un pezzo di ciambella e rivolse lo sguardo al fiume oltre la balaustra del belvedere; chiese innocente: «Cosa starei facendo?»
  Kelly si voltò e poggiò la schiena alla ringhiera di ferro, scrutandolo con attenzione. «Eviti di rispondere alle mie domande.»
  «Ti è piaciuto, giusto? Qual è il problema?» chiese in tono più rude del previsto.
  Il moro reclinò la testa, stringendo le palpebre contro il candore delle nuvole che rifletteva dolorosamente i raggi lontani del sole. Non avrebbe mai ammesso che la rudezza e la forza di Matt sotto le lenzuola erano state più che esaltanti, o il fatto che avessero lasciato dietro di sé un lieve dolore. Valeva la pena essere costretto a sedersi con cautela per qualche ora, o giorno.
  Si perse un attimo a considerare quanto quel rovescio di medaglia gli piacesse: il gentile e amabile Matthew Casey che si trasforma in un mr Hyde quasi prepotente, che prende ciò che vuole con una necessità impellente. Solo quando aveva realizzato il sottotesto insito in quell'atto, escludendo l'esperienza di quasi-morte di Kelly, aveva capito che doveva esserci dell'altro.
  «Ti mancava» disse, riaprendo gli occhi e guardandolo. Ora i pezzi andavano al loro posto da sé, come attratti magneticamente l'uno all'altro: la rudezza di Matt, le spinte così profonde e forti, come se non potesse più contenere un desiderio di lunga data. «Perché non mi hai chiesto di farlo prima?»
  Matt sbuffò una risata, guardandolo come se avesse appena chiesto l'ovvio. «Non credevo avresti accettato.»
  «Pensavi ti avrei preso a calci solo per avermelo chiesto?»
  Kelly rise, ma non bevve un solo sorso di quella bugia. Si guardarono a lungo, finché Matt sospirò, abbassando lo sguardo sulle proprie mani.
  «Avanti, Matt, dimmi la verità» lo spronò con voce calma.
  «Quando ero alle superiori avevo una storia» disse. Schiarì la voce, corrugando la fronte come se si sforzasse di non lasciar trapelare troppo. «E' stato il primo con cui sono stato attivo. L'unico» pronunciò quell'ultima parola con decisione, sottolineandone l'importanza con uno sguardo diretto negli occhi di Kelly. Guardò ancora il fiume, mentre una folata di vento gli congelava la nuca sudata. «Avevo paura di cosa avrei provato se lo avessi rifatto.»
  Kelly lasciò che il silenzio scivolasse tra loro e che le sue parole si piantassero in lui. Ricordò il giorno in cui aveva baciato Renee sullo stesso belvedere in cui ora si trovavano. Dopo che la loro storia era finita, lui aveva evitato quel luogo, riservandolo a un angolo della propria memoria. Aveva avuto paura di portarci qualunque altra donna, soprattutto quando le cose andavano bene: cosa sarebbe successo se, stando lì con qualcun altro, avesse ricordato la sensazione delle labbra di Renee? Un ricordo del genere può distruggere una relazione, allontanarti da una persona o spingerti a compararla con una fiamma inestinguibile del passato. Non Matt. Lui lo aveva portato in quel luogo ed era magnifico averlo lì, sapere che il passato era lontano e che il presente era mille volte migliore. Unico.
  Ora il belvedere gli sembrava diverso dai suoi ricordi. Dall'acqua che scorreva dietro le sue spalle alla stessa aria che respiravano, tutto sembrava di una tonalità nuova.
  Capì che per Matt doveva essere lo stesso.
  «E cosa hai provato?» chiese alla fine.
  Matt si voltò e gli sorrise. «Amore.»











Note: Hello, guys! Profonda gratitudine per chi ancora mi segue e mi lascia un commento. Piccolo appunto: per Renee si intende la "prima Renee", poiché la seconda nella mia storia non è contemplata.
Piccolo annuncio: ricordate quella "dolcissima" donna che ha dato al mondo Matthew Casey? Ecco, se non la ricordate, rinfrescatevi la memoria perché sta per tornare.
E dopo questo, alla prossima!
Ax.



  
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