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Autore: NoceAlVento    09/03/2015    0 recensioni
Cosa succede a Kalos? Forze oscure agiscono nell'ombra, perseguendo i loro ignoti obiettivi ai danni di innocenti; misteriosi frammenti di una gemma celeste sono apparsi nella regione dal nulla; una ragazza, anche se non ancora non lo sa, è stata tenuta sotto segreta osservazione per tutta la sua vita. E in tutto ciò c'è Bellocchio, appena precipitato da un'aeronave in fiamme e portato a scoprire che cela un passato lontano a Kalos, anche se non l'ha mai vista in vita sua. Nuovi capitoli ogni due settimane!
 
***
 
« Ehi, non mi hai detto come ti chiami! ».
« Bellocchio ».
« Bellocchio chi? ».
« Cos’ho appena detto riguardo le domande stupide? ».
« Ma ti chiami davvero così? ».
« Ma certo che no! Chi mai si chiamerebbe Bellocchio, è un nome ridicolo! ».
Genere: Avventura, Comico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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PREVIOUSLY ON LKNA: l’invasione è iniziata e Serena deve reggere insieme le fila degli alleati per fare fronte alla crisi di Kalos. Quando un Rotom la avvelena lasciandola in fin di vita, l’Ufficiale dei Flare Ginger deve coalizzarsi con un Bellocchio finalmente rientrato in possesso del suo taccuino per salvarla. In loro soccorso giunge anche il fruttivendolo Cornelius con la sua vettura elettrica, ma proprio al termine di un adrenalinico inseguimento viene rivelata la verità: la Fiamma Cremisi ha preso il posto del pirata. Dopo aver ridotto in brandelli la Baccapesca necessaria per curare Serena, lo spettro ordina a cinque Rotom di terminare definitivamente il team di salvataggio della regione, la cui unica difesa è un singolo Jolteon.

 

 

 

 

 

 

Episodio 1x30

Il nuovo sole

 

 

 

« Voi spettri potete pure non morire, ma non immaginate quanto spero che sentiate dolore » sussurrò una voce eccezionalmente profonda, e quello fu il segnale che diede inizio all’inferno.

Il Rotom Calore che minacciava Bellocchio dritto di fronte a lui esplose in un fragore assordante, costringendo l’uomo ad abbassarsi per scansare i frammenti d’acciaio che si riversarono intorno. Contemporaneamente il compare alla sua destra fu bersagliato da una Vortexpalla che lo spedì di lato ruzzolante. Gli altri tre spettri furono centrati in pieno da altrettanti attacchi provenienti dall’esterno del cerchio che avevano formato intorno ai minacciati, chi disintegrandosi sull’istante, chi alzando bandierina bianca di fronte a una paralisi improvvisa, chi perdendo conoscenza per una violenta percossa. Presto la Fiamma Cremisi fu attorniata da un Klefki, un Noivern e un Heliolisk, e appena dopo anche Jolteon si unì al gruppo, ma la creatura scomparve in una nuvola di fumo senza dar modo a nessuno di colpirla o estorcerle risposte.

« Tutto a posto? » domandò emergendo dall’ombra un possente figuro imbracciante un’arma che pareva davvero gravosa da portare.

Bellocchio lo esaminò. Doveva essere di etnia esotica a giudicare dal colore della pelle, e largo almeno due volte lui per la massa muscolare che aveva plasmato in palestra. « Credo… Credo di sì ».

« Non parlavo con te » replicò quello secco, aggirandolo « Ginger, tutto bene? ».

La donna, quasi irriconoscibile per quelle che erano le condizioni in cui versava, aveva un palmo premuto sul braccio opposto e stringeva i denti per soffocare gli spasmi di dolore. « Una delle schegge mi ha presa ».

Una seconda sagoma divenne visibile alla luce delle stelle, un volto dai lineamenti asiatici che si avventò sull’Ufficiale con un kit medico nella mano sinistra. Iniziò a frugarvi all’interno, ma Ginger lo fermò immediatamente « No, no, non me! La ragazza! ».

Solo a quel punto Bellocchio, che nella concitazione generale si era distratto, rammentò della salute critica di Serena. Si inginocchiò di fianco a lei, esaminandola, ma ormai il suo respiro era flebile e la pelle sbiancata. Terence quasi trascinò via l’uomo con una forza insospettabile per uno della sua statura, intimandogli, con un lessico moderatamente meno gentile, di “togliersi di mezzo”. Poi gettò uno sguardo d’insieme al corpo della ragazza « Veleno? ».

« Sì » confermò Ginger « Tossina di Rotom. Puoi fare qualcosa? ».

« Ma non scherziamo » ribatté lui e, con un gesto rapido del braccio, le somministrò attraverso una piccola siringa una dose di una sostanza cristallina « Deve ancora nascere il Pokémon in grado di battermi ».

Con movenze da autentico dottore, anche se abbastanza chiaramente quello era solo un secondo lavoro, Terence si alzò in piedi e lasciò che la paziente si riprendesse autonomamente. Bellocchio le tornò accanto, stringendole la mano gelida come per proteggerla. Mentre i Flare si ritiravano in consultazione gli parve di essere solo loro due su quella morbida sabbia, con il timido sottofondo delle onde marine a cullarli. Lentamente Serena aprì gli occhi e, quasi dovesse espellere gli agenti tossici dal suo corpo, tossì violentemente dritto nella sua faccia. Ma a lui non importò minimamente: nemmeno conosceva veramente quella ragazza, eppure sentiva di esserle affezionato.

« Tutto bene? » le domandò. Rise tra sé e sé: che modo stupido di iniziare una conversazione.

Serena batté un paio di volte le palpebre, poi si girò su se stessa e fece forza sulle braccia per issarsi sulle ginocchia. « Credo di sì… Che è successo? ».

Bellocchio esitò, ma si convinse che appoggiare una mano sulla sua spalla era un atto che poteva fare e lo eseguì, seppur con un meccanicismo che lo faceva assomigliare più a un dispositivo automatizzato. « Un Rotom ti ha avvelenata ».

« Sì, questo lo ricordo… Credo » soggiunse a fatica, cadendo all’indietro e trovandosi seduta. Si voltò verso il suo amico « Dove siamo? ».

« Su una spiaggia » rispose l’uomo, lasciando scivolare la mano sulla renella e rendendosi quasi immediatamente conto che era una spiegazione un po’ vaga. Provò ad abbozzare un riassunto, ma realizzò che per descrivere l’inseguimento e l’inganno della Dama avrebbe impiegato fin troppo. « È una lunga storia ».

Frattanto Serena aveva riacquistato una discreta lucidità, il che le permise di focalizzarsi su ciò che aveva lasciato in sospeso in quella cameretta di Altoripoli. « Hai letto il taccuino? ».

La replica tardò ad arrivare, il che non fece che incrementare la tensione della ragazza. « Sì ».

« E… ? ».

« Non è stato illuminante come pensavo ». Bellocchio non osò guardare negli occhi Serena, continuando a evitarli e provando a concentrarsi sui focolari che ardevano sui promontori in lontananza « Non so ancora chi o cosa sono. Devo solo credere a quello che c’è scritto, ma non dice nulla su di me ».

La sua compagna non si era attesa un’incertezza simile, ma a posteriori avrebbe dovuto: non lo aveva letto appena dopo il tramonto, quando le sue memorie erano vuote e pronte per essere ricolmate con ciò che vi era scritto. Si era già fatto un’idea di chi fosse in quelle ore che erano trascorse, e aspettarsi che ora dei blandi pezzi di carta potessero modificare tali sicurezze era folle. Forse al prossimo crepuscolo avrebbe riavuto il suo amico, ammettendo che non morissero prima per mano dei Rotom.

« Ma non importa » disse Bellocchio d’un tratto. Finalmente i loro sguardi si incontrarono, le iridi dell’uno riflesse in quelle dell’altra. Per un attimo ipotizzò di abbracciarla, ma cancellò subito l’idea. Chissà che tipo di rapporto avevano avuto, lei e il sé del passato, dal suo punto di vista sarebbe potuto essere un affronto. Sapeva così poco, persino ora. « L’importante è che tu stia bene ».

Dopo essersi rimessi in sesto, e avendo appurato che effettivamente Serena aveva smaltito i sintomi della Tossina, tornarono dal gruppo di scienziati. Questi, a cui oltre ai due nuovi arrivati si era unito un terzo individuo, dall’aria più attempata, erano indaffarati in una procedura febbrile di montaggio. La sezione assemblata al momento aveva circa la forma di un treppiede, e nuovi pezzi venivano gradualmente aggiunti da una cassetta adagiata sulla sabbia.

Ginger si accorse di loro quasi istantaneamente, rivolgendosi alla ragazza come si parla a una degente appena dimessa « Tutto okay? Non vuoi sdraiarti? ».

« Sto bene, grazie » rispose lei educatamente.

« Questi sono i membri della mia Unità » annunciò la donna indicando il novero affaccendato. Proseguì poi nel presentarli singolarmente: Kibwe il colosso, Terence l’infermiere improvvisato e Sandy il terzo, in assenza di una definizione migliore. Dopodiché aggiunse « Vi suggerirei di deporre subito ogni oggetto in acciaio in vostro possesso ».

Bellocchio aprì il cappotto a mostrare che era, per così dire, pulito, anche se non ne capiva la necessità « Che fate? ».

« Montiamo l’Arma. Non abbiamo molto tempo prima che si rendano conto che non siamo morti, quindi affrettiamo i tempi ».

« L’Arma? ».

« Ah! » esclamò Serena, rammentando in quel momento dell’argomento sfiorato al suo primo incontro con l’Ufficiale. Si rivolse al suo amico per chiarificare « Sì, hanno un’arma che dovrebbe fermare l’invasione ».

« Ottimo! Di che tipo? ».

Ginger indicò il fucile che Kibwe aveva utilizzato poco prima per distruggere uno dei Rotom, ora abbandonato al suolo accanto al trio « È un modello rudimentale di cannone a compressione, provoca il collasso su se stesso di ogni apparecchio metallico ». Quindi mosse l’indice poco più in là, in direzione dei suoi colleghi che, nel frattempo, non si erano interrotti un secondo nemmeno per respirare « Quello è un catalizzatore. Una sorta di lente divergente, se vogliamo. Espanderà l’effetto a tutta Kalos, detonando ogni Rotom sul suo cammino. Addio invasori ».

« È geniale! ».

« È un suicidio ».

Le rispettive reazioni di Serena e Bellocchio si erano rivelate tanto diametralmente opposte che sarebbero risultate comiche, se non vi fosse stata una posta straordinariamente alta in gioco. « Come? » domandò la ragazza, perplessa.

L’uomo indicò la ferita al braccio di Ginger, provvisoriamente fasciata con una garza pallida da Terence « Quello. Un milione di volte quello. Ogni persona tenuta sotto ostaggio da un Rotom finirà per essere ferita ».

« È necessario » stabilì risolutamente la donna. C’era qualcosa nel suo sguardo, tuttavia, che lasciava intuire di più. In un certo senso sembrava essere sollevata dal fatto che l’obiezione fosse stata mossa su quell’aspetto, come se ci fosse qualcos’altro di ben peggiore che ancora era riuscita a celare.

E a Bellocchio non sfuggì. « Un momento, hai detto… Hai detto di posare ogni cosa in acciaio… » ragionò, e la verità gli giunse come una sfilettata « Quel cannone non fa distinzione, vero? ».

Ginger chinò il capo senza proferire una parola. Serena sgranò gli occhi: poteva non essere una scienziata, ma le implicazioni di un difetto simile sarebbero state ovvie a chiunque. « Vuoi dire… ? ».

« Ogni casa ha almeno un utensile in acciaio. E questo senza parlare di tutti i ponti, o della Tour Prismatique. Attiva quel cannone e Kalos cadrà in un futuro post-apocalittico senza passare dal via. Centinaia di migliaia di morti, come minimo ». Il silenzio che seguì fece imbestialire l’uomo, portandolo ad avventarsi sul tripode che i tre Flare stavano costruendo tacitamente come automi obbedienti « Ci sentite? State per diventare gli artefici della distruzione di questa regione! ».

Kibwe si fermò, alzandosi in piedi con il sangue che gli ribolliva nelle vene. « Credi di esserci arrivato per primo? Sappiamo tutti quello che succederà, ma non abbiamo scelta. O questo, o i Rotom ci uccideranno tutti ».

« Io » si impose Bellocchio categorico, voltandosi verso la leader dell’Unità « Io. Io sono la vostra scelta, io posso fermare l’invasione senza versare una goccia di sangue ».

« Come? ».

« Farò una cosa intelligente ».

Ginger lo squadrò. Ne aveva passate tante con lui in quelle poche ore in cui si erano conosciuti, aveva perfino dovuto sopportare la sua totale mancanza di cooperazione per buona parte dell’inseguimento, ma questa era la prima volta in cui fosse seriamente sul punto di perdere la pazienza. « Non hai la minima idea di cosa fare ».

« Beh, questa non è esattamente un’atmosfera creativa, giusto? » protestò lui con un piglio polemico che tradiva un’isteria malcelata sotto un manto di destrezza. Si premette ambo le mani sulle tempie in un tentativo di forzare i suoi processi di raziocinio.

« Credi che non abbia valutato tutte le opzioni possibili? Questa è l’unica ».

La donna si arrestò dopo quell’ultima parola, trafitta da parallelismi che avrebbe preferito non notare. Quella frase sarebbe stata applicabile fin troppo bene alla decisione che aveva preso al settimo piano del Le Crésus Hotel, quando aveva lasciato che suo fratello cadesse nel buco nero per evitare che Hoopa potesse fuggire. Si stava comportando nello stesso modo: tanti, troppi Ross innocenti sarebbero stati sacrificati nel nome del bene superiore. Allontanò quel pensiero come poté, ma ormai aveva preso coscienza di una questione che aveva negato in precedenza: ciò che era successo nel Mondo dei Morti non era stato un caso o un’eccezione. Lei era esattamente conforme alle sue azioni.

« No, no, non può essere » rifiutò Bellocchio recisamente dopo aver rimuginato per la verità più di quanto si sarebbe atteso « C’è sempre… È come dice il taccuino, c’è qualcosa che non ho considerato ».

Serena non aveva prestato molta attenzione al discorso, in completa onestà. La menzione dell’Arma l’aveva riportata al suo primo dialogo con Ginger, e da lì la sua mente aveva vagato rimembrando i folli avvenimenti della giornata appena trascorsa. Ora, però, di fronte alla menzione fatta dall’uomo di qualcosa che gli sfuggiva, le era tornato in mente un interrogativo che si era posta e che aveva accantonato nei meandri della mente, come spesso aveva fatto durante il suo viaggio. Chissà, vale la pena tentare, pensò prendendo per le spalle il suo amico e girandolo a forza fino a guardarlo negli occhi. « I Rotom hanno aspettato adesso per attaccare, ma avrebbero potuto controllare gli elettrodomestici in ogni momento ».

Una quiete irreale cadde sul lido, infranta solo dal rumore delle onde. Bellocchio rimase a fissare il vuoto per un tempo interminabile. Poi si avvicinò alla ragazza e, dopo averle baciato il capo, arretrò e si esibì nel gesto più assurdo di quella nottata: scoppiò a ridere. Non rabbiosamente o umoristicamente, bensì nella prassi assolutamente genuina di chi esulta. Prolungò la risata a lungo, quasi volesse assaporarla da più punti di vista. « Oh, Serena, ti meriteresti… Anzi! » cominciò, poi si batté la mano sulla fronte e aprì il suo soprabito per scrutare tra le tasche interne. Sotto gli sguardi sconcertati dei Flare sfilò una piccola circonferenza argentea saldata a un nastro tricolore che riportava incisa l’effigie di un tennista su fondo del color dell’oro. Nello scombussolamento generale adagiò la medaglia al collo della bionda compagna di viaggio, avendo cura che fosse orientata nel verso corretto. Tutto senza cessare per un istante di sghignazzare come un ubriaco.

La ragazza la esaminò e un tanfo terribile giunse alle sue narici. « Sembra venire da una discarica ».

« Potrebbe benissimo essere! » convenne l’uomo. Solo allora rivolse un’occhiata anche agli altri, trovandoli più dubbiosi di quanto si sarebbe aspettato. « Beh? ».

« “Beh” dovrei dirlo io » ribatté Ginger.

Il fatto che nessuno avesse colto il filo del suo ragionamento sorprese Bellocchio più di quanto avrebbe dovuto. « Non avete capito? I Rotom hanno aspettato per poter disattivare i forni e altro, ma per quale ragione? ».

« Beh, immagino perché… » arrancò l’Ufficiale « Perché gli servivano guasti, o… o spenti ».

« Oh, andiamo, esatto! » la incoraggiò come si fa con un bambino poco sveglio « Non ricordi quello che è successo al Rotom nel televisore? ».

Ginger esitò, immersa nelle sue riflessioni, ma alla fine la rivelazione le giunse pura e semplice come aveva fatto con Bellocchio, irradiando il suo volto di un’allegria inconsulta. « Corrente indotta! Oh, siete dei geni! » proruppe, osservata dai suoi colleghi come un elemento chimico combustibile da maneggiare con cautela.

« Vi spiace spiegare anche a noi? » si fece avanti Kibwe.

« Ho fulminato uno dei Rotom mentre era all’interno di un televisore. Credevo di averlo colpito, ma effettivamente è impossibile! Ho generato una corrente indotta per elettromagnetismo, capite? » strepitò l’ingegnera « Ho riacceso il televisore! ».

« E allora? ».

« E allora ci basta riaccendere gli elettrodomestici che abitano per fermarli in blocco! ».

Terence storse il naso. Comprendeva abbastanza la teoria dietro quel ragionamento: i Rotom non erano in grado di abitare apparecchiature in cui circolava corrente. Il problema era che non vedeva come ciò potesse essere d’aiuto. « Sì, ma non è che… Non sono esattamente attaccati a una spina ».

« Ma non ci serve… » mormorò d’un tratto la mansueta voce di Sandy dietro di lui. L’astronomo schioccò le dita, illuminato « Basta generare un’onda di induzione! Però ci vuole tempo per sviluppare un sistema simile, una settimana almeno ».

« Non ce n’è bisogno, non capisci? Qualcuno l’ha già fatto per noi! » lo scosse Bellocchio, che pareva morso da una tarantola. Lui e Serena avevano trascorso l’intero tempo in cui si era svolto il dialogo a battere ripetutamente il cinque da varie angolazioni, nemmeno l’invasione fosse già stata sventata.

« Chi, la ragazza? » sbottò Terence.

Ginger si accostò a lui e indicò con le dita il cielo infiammato sopra Altoripoli « Loro! Il piano dei Rotom è stato usare onde magnetiche superconduttive con i P5S per guastare gli elettrodomestici! L’esatto meccanismo che ci serve è già montato dentro quei modelli! ».

« Già, un vero peccato che abbiamo dovuto distruggere i nostri » commentò Kibwe « Dove lo troviamo? ».

Nella calma seguente si fece strada un mugugno di natura indefinibile, qualcosa sito a metà tra una richiesta di perdono e una proposta. L’origine fu presto localizzata nell’arcigna sagoma di Terence, che stava estraendo dalla tasca qualcosa di simile a un sottile mattoncino bianco. Ignorando le imprecazioni brontolate del gorilla accanto a lui, il matematico esibì il proprio P5S tracciando con inflessione tremante un abbozzo di scuse « Era… Costava troppo, non è che potessi… ».

« Tu hai rischiato di farci beccare per–– » ruggì Kibwe artigliando il socio e sollevandolo a dieci centimetri da terra. Ginger beneficiò dell’occasione per strappare di mano alla vittima lo smartphone ed esaminarlo. Quando verificò che era intatto il suo battito cardiaco si elevò a razzo e nell’eccitazione abbracciò uno a uno tutti i presenti, comportamento del tutto inusuale per una come lei. Non avrebbe commesso due volte lo stesso errore: questa volta avrebbe salvato tutti. Avrebbe salvato Ross, per così dire.

« Sì, però aspettate » obiettò Sandy a giro di affetto terminato « Quegli affari che raggio avranno, qualche centinaio di metri? Il catalizzatore non funziona con oscillazioni di tipo elettromagnetico. Non possiamo estendere il campo d’azione ».

« No, assolutamente » concordò l’ingegnera « Ma sai cosa può farlo? ». Puntò il dito in lontananza, dove tra le nubi ardenti si stagliava la sagoma inconfondibile di quattro edifici sormontati da uno slanciato pennone: l’Antenna. Sandy comprese: le radioonde sono propagazioni nello spettro elettromagnetico, e proprio nella città in cui si trovavano era stata costruito il più grande studio radiofonico della regione. « Un singolo segnale amplificato dal radiotrasmettitore primario dell’Antenna per raggiungere tutta Kalos. Milioni di elettrodomestici che si accendono nella regione per un istante ».

« Come un secondo sole » concluse Bellocchio.

Kibwe lasciò da parte il suo battibecco con Terence e si riunì alla discussione « E quindi il piano è… Ci infiltriamo all’Antenna e facciamo una magia scientifica per interfacciare il P5S al radiotrasmettitore? ». Da come aveva pronunciato quelle parole sembrava considerarla un’idea dissennata, e probabilmente era così, eppure ciò che aggiunse fu « Ci sto ».

« C’è un problema, però » fece notare Ginger rivolgendosi a Bellocchio « Abbiamo sentito le trasmissioni sulla macchina di Cornelius. L’Antenna è occupata dai Rotom ».

L’uomo ci rifletté, poi stabilì perentorio « Farò da diversivo ».

Serena sorrise, perché in qualche modo si era attesa una replica simile. L’Ufficiale Flare fu decisamente meno entusiasta « Quanto tempo avremo? ».

« Qualche minuto, immagino ». Dipende da quanto si divertiranno prima di decidere che posso morire, soggiunse mentalmente.

« Qualche minuto per un cablaggio simile? » protestò Terence incredulo « Ci vorrebbero ore! ».

Bellocchio gli lanciò un’occhiata beffarda, e si sarebbe detto che quell’increspatura ai lati della bocca mentre proferiva la frase successiva fosse un ghigno. « Beh, allora è una fortuna che voi siate i migliori scienziati di Kalos, giusto? ».

 

 

Era rimasto solo nell’ombra. Il team con l’ingrato compito di salvare la regione si era allontanato verso la collina, con l’obiettivo di imboccare una via alternativa per giungere all’Antenna. Bellocchio aveva abbandonato il luogo del loro ritrovo per evitare che un’eventuale pattuglia inviata dalla rediviva Dama Cremisi potesse scovarlo, e ora si trovava sulla battigia di una costa isolata, forse persino all’esterno di Altoripoli. Stando alle sue memorie era un degno improvvisatore, e probabilmente per questo se n’era uscito con la storia del diversivo come se avesse realmente avuto un piano.

Fatto stava che non era così. Non aveva idea di come distrarre un singolo Rotom, figurarsi costringerli a evacuare l’edificio che serviva a Serena e gli altri. Aveva vagliato svariate ipotesi, tra cui impiegare un qualche impianto acustico per attirare l’attenzione dei suoi nemici; ma ammesso che fosse venuto in possesso di casse stereofoniche non disattivate dalle onde superconduttive, nel momento in cui le avesse accese sicuramente lo avrebbero rintracciato. Doveva dare ai suoi amici tutto il tempo che poteva, e quello non era certo il modo migliore.

« La paura… ».

Bellocchio scattò in piedi in un sussulto, portando le dita alla sua cintura in difesa, e si voltò verso la macchia verde che spalleggiava quel tratto di litorale. Da uno dei cespugli che si confondevano nell’amalgama uniforme era emersa una figura che definire inquietante sarebbe riduttivo: un individuo anziano di notevole statura. I suoi connotati si impastavano nell’oscurità, ma due sfaccettature erano ben distinguibili: i lunghi capelli argentati e un berretto di lana a coprire il capo.

« La paura di un uomo è poca cosa, vero? ».

« Chi sei? » gli domandò Bellocchio scrutandolo. Nessuno dei due stava facendo passi avanti, come due statue nella sabbia.

« La paura di tanti… Quello è il vero potere ».

Il giovane portò la mano in avanti, stringendo la Poké Ball di Nephtys. « Rispondi ».

A quel punto il vecchio inviò segnali contrastanti: da un lato iniziò a camminare con ritmo quasi minaccioso verso l’uomo di fronte a lui; dall’altro però finalmente offrì qualche informazione ulteriore. « Non mi riconosci? Sono stato io a salvarti quando hai dimenticato tutto. Ti ho detto io chi eri ».

Bellocchio lo esaminò spaesato. Ora che si era avvicinato riusciva a discernerne meglio la fisionomia, ed effettivamente la prima immagine nella sua mente riguardava uno con le sue fattezze che lo indottrinava sulla sua identità in uno stanzino dell’Antenna. Se davvero era lui, però, allora aveva tutto fuorché da stare calmo: c’erano molte domande che doveva porgli, e non se la sarebbe cavata senza fornire spiegazioni esaurienti. « Come facevi a saperlo? ».

« È meglio che tu vada » ribatté lui asciutto, indicando in lontananza la sagoma incombente del maggiore studio radiotelevisivo di Kalos « Hanno bisogno di te ».

« Smettila di cambiare discorso ».

« Vuoi davvero stare qui a parlarne quando il mondo sta finendo? » lo interrogò il vecchio con una perentorietà quasi impropria per il suo sguardo stanco « Vai ad aiutarli ».

Bellocchio, tuttavia, si mostrò ancor più inamovibile di lui. Non gli era sfuggita la sua conoscenza della missione dei Flare, il che implicava che li avesse spiati; semplicemente non gli importava. Lui ora voleva delle risposte, anzi, le pretendeva. Con un guizzo premette il pulsante sulla sfera che teneva tra le dita, richiamando in campo la svolazzante silhouette di un Fletchinder rimesso in sesto da Terence Tao in precedenza. « Ultimo avvertimento ».

« Stanotte. Alle due di notte ci ritroviamo alla Costa Nera e ti spiego tutto. Non puoi permetterti di perdere tempo ora, e lo sai benissimo ». Il vecchio lo squadrò, notando nel suo interlocutore un lampo di indecisione che, seppur per un breve istante, aveva attraversato i suoi occhi. « Serena è quasi morta per te. Glielo devi ».

Quell’ultima argomentazione fu ciò che realmente lo persuase. Più del senso di giustizia, più della vendetta verso la Dama Cremisi, sopra ogni cosa fu convinto dalla certezza di essere in debito. E non in un’altra vita, una di quelle che apparentemente aveva vissuto, ma in quella di cui era responsabile in prima persona. Con un sospiro, senza nemmeno porsi il problema di come quell’individuo sapesse di Serena e delle sue vicende, fece cenno a Nephtys di arretrare, pur senza richiamarla in quanto non aveva del tutto abbassato la guardia. « Tanto non ho idee » disse tra sé e sé « Ho solo un Pokémon, non so che fare per creare un diversivo ».

« Hai guardato nella tasca? » suggerì il vecchio senza battere ciglio.

Bellocchio infilò le sue mani negli scomparti corrispondenti, ma li trovò vuoti come si attendeva. Tuttavia mentre frugava invano si rese conto, per la prima volta da quando si era ritrovato addosso il cappotto nero, che esso non si muoveva correttamente. Provava come la sensazione che ci fosse qualcosa al suo interno, un supporto rigido.

Una tasca interna, intuì esaminando il foderato del soprabito. La sua consistente imbottitura gliel’aveva celata fino a quel momento, ma eccola: sul lato sinistro, chiusa da un bottone. Da dentro estrasse un sottile mattoncino bianco dotato di una coppia di pulsanti dorsali e uno schermo cristallino sul fronte. In cima, appena sotto il fine microfono longilineo, campeggiava la scritta Player Search System 5S.

« Questo da dove–– » cominciò, ma la sua domanda cadde nel vuoto: il suo interlocutore si era volatilizzato mentre era distratto dal ritrovamento. Si guardò attorno, avanzando qualche passo verso il gruppo di arbusti da cui l’aveva visto emergere poco prima, ma non c’era traccia di anima viva nel circondario.

Non aveva idea di quale fosse l’origine di quel P5S, e mentre lo riponeva provò a vagliare ogni congettura che gli passava per la testa. Non poteva escludere che appartenesse alla sua esistenza precedente all’ultimo tramonto, ma ne dubitava pur non avendo essenzialmente il diritto di farlo: come avrebbe messo le mani su un prodotto estremamente costoso che per di più era in vendita solo da qualche giorno? No, qualcuno doveva averglielo messo, o averglielo consegnato. È difficile ricostruire i fatti quando una concreta porzione del tuo ultimo giorno è assente persino dal bloc notes che dovrebbe soccorrerti.

Solo ora, nella solitudine indotta, i dubbi che aveva soffocato avevano il coraggio di tormentarlo nuovamente. Non aveva scoperto nulla, solo descrizioni di ciò che era, e per quanto l’avesse minimizzato con Serena il fatto lo angosciava. Si rivolse a Nephtys, che restituì innocente lo sguardo. « Tu lo sai, vero? Ti ricordi chi sono » mormorò asciugandosi gli occhi umidi « E io no ».

Prese tra le mani il suo taccuino ed ebbe l’istinto di strapparlo, trattenendosi solo all’ultimo. Non lo aveva aiutato, aveva solo peggiorato la situazione. Ne fece scorrere febbrilmente le pagine, tanto rapide da leggere quanto inutili nel momento del bisogno.

Poi, del tutto casualmente, si accorse di un aspetto di cui non si era avveduto in prima analisi: un compartimento portadocumenti. Si trattava di una piccola sezione sul fondo dell’agenda che si apriva a fisarmonica, atta appunto a contenere fogli e simili. Nonostante secondo le informazioni di Serena fosse in possesso di quelle note da due anni, quella caratteristica doveva essere rimasta un segreto a lui per molto tempo visto che ospitava solo due pezzi di carta.

Il primo era una fotografia che rappresentava un astronauta in una stanza ben illuminata, probabilmente legata a un’avventura vissuta nel suo primo Natale di cui aveva letto. Il secondo, invece, sembrava a occhio e croce la stampa di una e-mail e relativo allegato di cui non aveva trovato menzione nelle memorie. Esaminò con cura il lungo testo accluso, soffermandosi sul titolo impresso con audacia dallo scrittore.

 

Poké Ball®. Un nuovo modo di vivere l’allenamento.

 

Lo scorse avidamente con la sua ormai certa propensione alla lettura, muovendosi di paragrafo in paragrafo con agilità animalesca. Non era nulla più di uno spot, la pubblicità di quelle che al tempo erano le innovative Poké Ball in dirittura d’arrivo.

Ma per Bellocchio fu altro. Occhieggiò Nephtys e un ampio sorriso gli tagliò il volto. Adesso sapeva cosa fare. Adesso sapeva chi era.

 

 

Accedere all’Antenna fu meno ostico di quanto chiunque della squadra si sarebbe atteso. Una volta risaliti attraverso le buie vie di confine fino alle Fondamenta, i cinque si erano calati all’interno del magazzino abbandonato, nell’infrastruttura organizzata dai Rotom per il loro piano. Lì, anziché attraversare il Link 31 come aveva fatto Serena – si sarebbero ritrovati in tal caso al pianterreno del loro bersaglio, facilmente la zona più sorvegliata –, non erano scesi dal nastro trasportatore ora immobile procedendo sul piano rialzato. Nella galleria dove la mattina precedente erano transitate le lavatrici avevano trovato una grata, e diveltala si erano introdotti nel condotto di aerazione.

Da allora non avevano fatto altro che districarsi strisciando tra dedali di pareti metalliche, cercando di produrre il minor rumore possibile e di non respirare troppo la spessa patina di polvere in cui nuotavano. Per loro fortuna il PSS di Serena era dotato di un GPS, il che permetteva loro di stabilire la posizione relativa rispetto all’obiettivo – tecnicamente anche il P5S di Terence, ma dubbi persistevano sulla possibilità che esso fosse intercettabile.

« Dove siamo? » domandò sottovoce Ginger a tal proposito.

« Sempre terzo edificio » la ragguagliò la proprietaria. Sempre perché almeno da dieci minuti forniva la medesima risposta, cercando di confrontare la mappa satellitare con quella dell’Antenna per capire dove andare. « Però… »,

« Però? » ringhiò Terence.

« Ecco, potremmo essere andati nel verso sbagliato ».

Il matematico grugnì rumorosamente, sempre nei limiti della loro politica del bisbiglio « Non sai usare una bussola? ».

« È difficile da leggere! ».

« Oh, sì, come la quota, giusto? ».

Serena inspirò, sforzandosi di far buon viso a cattivo gioco nel nome della circostanza critica. Aveva provato come minimo tre volte a spiegargli che la precisione altimetrica del GPS non consentiva di districarsi su misure di scala tanto ridotta come le dimensioni degli edifici in cui si erano infiltrati, e di conseguenza non poteva stabilire a che piano si trovassero. Ma era inutile, quel burbero scienziato non voleva saperne.

« Ho trovato qualcosa! ».

Il volto ovale di Kibwe fece capolino da un angolo oltre il quale si era spinto in avanscoperta, facendo cenno agli altri di seguirlo. Ginger e Serena lo raggiunsero con andatura spedita; Terence e Sandy viceversa si attardarono, coinvolti in un battibecco dopo che il primo aveva intimato al secondo di “smetterla di muoversi come una scimmia proboscidea”.

La via imboccata da Kibwe era fondamentalmente un vicolo cieco, ma i canali di circolazione dell’aria vantano l’esclusiva proprietà di beneficiare dei vicoli ciechi, dal momento che sarebbero un assurdo architettonico se non terminassero con una griglia. Attraverso quella a cui erano arrivati era possibile scorgere un’ampia stanza a forma di croce zeppa di console di comando a muro e sedie girevoli. Quattro Rotom la sorvegliavano, ma ciò non era di rilevanza per gli intrusi: loro non volevano accedervi, volevano individuarne il nome per risalire alla propria posizione nella struttura.

« Lo Studio Più, il centro di coordinamento radiofonico » lo identificò in un lampo Ginger « Non siamo lontani ».

Serena colse un tenue cenno nei propri confronti e slittò rapidamente sull’applicazione che mostrava la mappa dell’Antenna. « Sesto piano » annunciò « Siamo vicini al ponte per il secondo edificio ».

Esattamente mentre pronunciava tali parole il PSS tra le sue mani iniziò a vibrare. In uno spasmo dettato dalla sorpresa lanciò uno sguardo allo schermo: era una chiamata in arrivo. Il numero era visibile, ma esterno alla sua rubrica dal momento che non corrispondeva a nessun nome memorizzato. La ragazza alzò gli occhi prima verso Ginger e poi verso Kibwe, alla ricerca di un input su come comportarsi, ma nessuno dei due le fornì alcun aiuto. Che li avessero localizzati? Ma in tal caso perché telefonare? Perché non ucciderli? O magari era il contrario, magari volevano stanarli mediante la risposta alla chiamata.

« … Pronto? » sussurrò Serena, portando lo smartphone all’orecchio dopo essersi allontanata dalla grata per celarsi ai Rotom nella stanza di sotto.

Ginger non fu in grado di udire la risposta, ma chiunque fosse dall’altro capo doveva essere qualcuno di importante, perché la giovane era appena sbiancata. « Io chi? » fu il proseguimento del segmento di conversazione che poteva udire, e dopo poco si aggiunse un’ulteriore domanda « Come sei riuscito a chiamarmi? ».

La pausa susseguente fu al contrario inusitatamente prolungata, un duraturo monologo del telefonante in cui ben poche parole erano indovinabili nel fiume letterario che si stava rovesciando attraverso l’apparecchio nell’echeggiante condotto d’aria. L’espressione di Serena si fece dura e appesantita, come fosse invecchiata di anni nel giro di pochi istanti. « Ma così ti… Non posso fartelo fare » ribatté categorica all’ignota proposta perpetrata, e la replica dovette soffocarla ulteriormente dal momento che parve sul punto di piangere « Perché lo stai dicendo a me? ».

Quella fu l’ultima frase del dialogo. La ragazza abbassò il cellulare e lo osservò persa, il ritmo respiratorio che si intensificava. Poi, dopo una quiete densa di tensione, si rivolse all’Ufficiale Flare « Studio Più, hai detto? ». Ginger annuì, e ricevuta la conferma le passò il PSS con un basso lancio arcuato « Andate alla trasmittente ».

« E tu cosa fai? ».

« Una cosa che non posso dirvi ».

Kibwe, visibilmente irritato, abbozzò una protesta severa, ma Ginger lo interruppe prima che potesse parlare. Poteva anche apparire una classica donna di potere, di quelle fredde che non si fanno problemi a pestare piedi sul loro cammino – e nel subconscio amava pensare di esserlo ella stessa –, ma era perfettamente capace di interpretare le reazioni umane. Ma forse più di ogni altra cosa, avevano un solo conoscente comune che in una situazione simile avrebbe raccomandato di non divulgare il suo piano a nessuno. « Era lui, vero? » interrogò l’Allenatrice, e quando la risposta fu un segno affermativo indicò a sua volta a Kibwe di seguirla. « Terry, Sandy, con me » richiamò i due rimasti in disparte, rivolgendosi poi un’ultima volta alla sua alleata in quel momento di crisi « Fai ciò che devi ».

Serena, presto nuovamente sola come non si era sentita dalla sua breve meditazione sul terrazzo di Cornelius, si riaffacciò alla griglia quadrettata, consolata dal fatto che nessuno dei Rotom si fosse accorto di ciò che si era svolto qualche metro sopra le loro teste. E tra l’altro le teste nemmeno le hanno, pensò tra sé e sé mentre sfilava dalla cintura la Poké Ball contenente il Bulbasaur che Trovato le aveva ceduto al laboratorio di Platan. « Va bene, Uno, ora ho un lavoro anche per te. Pronto col Sonnifero » bisbigliò.

È buffo come singole locuzioni abbiano il potere di convincere o dissuadere da un’idea. Quando aveva chiesto “Perché lo stai dicendo a me?”, al telefono, si sarebbe attesa mille e più parole, o probabilmente un’allusione al loro reciproco affiatamento. Ma solo Bellocchio, il suo Bellocchio, quello che era scomparso due tramonti fa – quello che credeva scomparso –, avrebbe potuto rispondere nel modo con cui aveva effettivamente risposto. Solo lui avrebbe detto “Regola numero uno, giusto?”.

 

 

Dovunque si trovassero ora quegli estranei che avevano salvato Bellocchio e compagnia, la Fiamma Cremisi aveva dato la priorità alla loro cattura. Non erano alla spiaggia, questo era certo: si era recata con un plotone di Rotom sul posto solo per trovarlo vuoto, e il gruppo era stato sufficientemente furbo da cancellare le impronte dalla sabbia. Ora, nella sua naturale forma di Chandelure, il Pokémon fluttuava sopra i cieli di Altoripoli, adottando una visuale più ampia mentre i suoi sottoposti scandagliavano la città in fiamme. E fu lì che lo udì.

« Prova, prova, prova! Bellocchio a Dama Cremisi, ripeto, Bellocchio a Dama Cremisi! Mi sente? ».

Quella voce irritante le giunse stridula, facendole scalpitare un metaforico sangue nelle arterie « Bellocchio? ».

« Che attenta ascoltatrice! ».

Le modalità attraverso le quali l’uomo stava comunicando con lei erano oscure: il volume a cui parlava era decisamente alto – abbastanza perché un essere umano incapace di volare si facesse sentire a quella quota –, il che le impediva di primo acchito di individuarne la fonte. Proveniva dal borgo ai suoi piedi, questo era certo, ma era sapientemente dissimulata. « Dove sei… ».

« Non ti sei accorta della flagrante falla nel vostro progetto d’invasione? ».

In quel momento si accorse di una peculiarità che prima non aveva notato: un segnale statico che accompagnava gli intervalli tra una provocazione e l’altra. Parlava attraverso un allestimento acustico posizionato da qualche parte di sotto. I Rotom erano in fibrillazione, vagando disordinatamente nella zona aerea radente il terreno, e la Fiamma comprese che quello era esattamente il piano del suo avversario: voleva arruffare le file. « DOVE SEI! ».

« Nessuno butta i televisori! ».

Le parole di Bellocchio tintinnarono nel suo cervello di Chandelure. Per quanto si sforzasse, il modo in cui ciò costituisse una “flagrante falla” sfuggiva alla sua comprensione. « Che stai dicendo? ».

« Ti parlo da un meraviglioso impianto stereo a cinque canali in una elegante casa di Altoripoli. Non sapevo come trovarti, e questo mi è sembrato il modo migliore! ».

La Fiamma socchiuse gli occhi in un ghigno perverso « Grazie dell’informazione ».

« Dovere, signora. Che dici, vieni a vedere Breaking Bad con me? ».

« Perché vedi, c’è qualcosa che non sai sul Mondo dei Morti, da dove vengo io: è fondamentalmente buio ». Ridi finche puoi, pensò mentre riapriva gli occhi ardenti « Il che vuol dire che sono molto brava a distinguere i suoni! ».

Localizzata l’origine nella zona meridionale di Altoripoli si slanciò nella sua direzione, giungendo divampante su un piccolo condominio miracolosamente intatto. Fino a quel momento, se non altro, perché repentinamente scatenò su di esso il folgorante potere di una Fuocobomba mai tanto sentita come allora. Un’assordante deflagrazione seguì e una densa colonna di fumo nero si levò dall’edificio. Il timido rumore tremolante degli altoparlanti si interruppe, evidenza del fatto che non aveva mancato il bersaglio, e la mittente non trattenne un’esultazione. Mai mettersi contro la Fiamma––

« Cavolo, che esplosione! Dritta nelle mie trombe di Eustachio! ».

Chandelure si voltò incredula, faticando a mascherare un ringhio di nervosismo « Come… ? ».

« Avrei probabilmente dovuto menzionare il fatto che non ero esattamente lì, stavo solo usando le casse. Sono in onda sul primo canale, se ti interessa! ».

« COSA? ».

« Ti ho detto il punto debole, no? Non avete requisito i televisori. Mi sono introdotto in ogni schermo di Altoripoli, e tu non hai modo di rintracciarmi ».

« I televisori sono spenti, Bellocchio » ribatté la Fiamma, riacquisendo quantomeno una frazione dell’autocontrollo perso « Se sei tu che li accendi vuol dire che ti trovi nei paraggi ».

« Ben arguito, ben arguito. Ma qui viene la parte che preferisco, vedi… Sai cosa sto usando per accenderli? ».

« Le mani? ».

« Il P5S! » esclamò Bellocchio. La sua antagonista non aveva mai immaginato che un Chandelure potesse rabbrividire, ma negli attimi successivi ebbe la prova che ciò era possibile. « Bella sorpresa, vero? Abbassando l’intensità dell’onda superconduttiva montata da voi posso riattivare gli apparecchi che voglio ».

Il silenzio che derivò da quella rivelazione fu stupefacente per tutti, poiché era forse il primo reale istante di quiete da quando l’invasione era cominciata. I bombardamenti erano cessati e gli stessi soldati dell’esercito assistevano con sbalordimento a ciò che stava avvenendo. « Che c’è, non parli? Ah, scusa, non ti ho ringraziato! ».

La Fiamma Cremisi tacque ancora per poco, perché poi si profuse in una risata che tradiva tuttavia un velo di isterismo « Il fatto che usi il P5S non ti aiuta minimamente, Bellocchio! Ricorda che noi lo abbiamo programmato, e so benissimo che il suo raggio di azione è di un chilometro scarso! Dovrei essere io a ringraziarti, mi hai appena confermato la regione in cui ti trovi! ».

« Kalos, credo! » la sbeffeggiò lui « Però, ecco, credo che tu abbia trascurato un piccolo dettaglio ».

« Cioè? ».

« LE ONDE POSSONO ESSERE AMPLIFICATE! ».

Bellocchio, chiuso in una camera priva di finestre, provò a immaginare l’espressione della Fiamma in quel momento. E qualunque fosse sarebbe stata pienamente giustificata: quell’ultima frase le era giunta in polifonia da tutta Altoripoli. Ogni casa della cittadina stava trasmettendo il suo messaggio. « Sorpresa? » la canzonò parlando nel microfono del P5S « Dovresti sapere che ogni televisore ha un’antenna, no? Ogni volta che l’onda di induzione ne colpisce uno lo rende contemporaneamente un ripetitore che la invia ad altri. Effetto ragnatela, si può dire? ».

Chandelure sentì bruciare dentro di sé il disonore, una sensazione che aveva provato solo alla Maison Darbois nel corso della sua vita. E la circostanza era molto simile: non solo la stava sconfiggendo, ma lo stava facendo prostrandola.

« Beh, che hai intenzione di fare? Bombardare tutta la città? ».

« FORSE È QUELLO CHE FARÒ! » ruggì con tutta l’energia che aveva in corpo « A tutti i Rotom, priorità massima: aprite il fuoco. Voglio che ogni casa che produce questa voce ributtante venga rasa al suolo! ». I boati provocati dalle detonazioni si moltiplicarono, trasformando l’intera collina su cui Altoripoli era costruita in un massiccio campo di battaglia, ancor più critico della situazione già non idilliaca che lo precedeva. Eppure, nonostante il trambusto continuo che avrebbe assordato chiunque, riusciva ancora a udire un verso mai così indisponente: Bellocchio sghignazzava.

« CHE COSA RIDI? LI UCCIDERÒ TUTTI! ».

« Credi davvero che chi è ancora vivo se ne stia in casa? » controbatté lui, per nulla intimidito da quella dimostrazione di forza « Rido perché sei come me ».

« Cosa? ».

« Ho passato le ultime cinque ore a chiedermi che cosa fossi, ma finalmente ci sono arrivato. IO –– SONO ––».

Si interruppe, e la Fiamma pensò per un istante che uno degli attacchi che le milizie scagliavano al suolo lo avesse colto. La sue speranze furono però infrante in un battito di ciglia. « … un Pokémon! ».

Quella frase stordì Chandelure. Non aveva seguito sempre i suoi ragionamenti in quegli ultimi minuti, ma quell’assurdità era troppo anche per uno come lui.

« Un Pokémon che viene catturato! » proseguì Bellocchio, e dal suo nascondiglio prese tra le mani l’opuscolo pubblicitario trovato nel suo taccuino. Si era ritenuto un caso unico, e ciò l’aveva quasi stroncato, ma ora sapeva di non esserlo. I Pokémon erano sottoposti a riscrittura sinaptica, perdendo effettivamente i ricordi attivi alla cattura. Aveva cercato di trovare un paragone, e l’aveva sempre avuto sotto al naso. « Ogni giorno ricomincio da zero, imparando di nuovo la mia storia e mantenendo le memorie pregresse. E vivo alla giornata, senza preoccuparmi di ciò che sono stato e di ciò che sarò » spiegò alla sua avversaria, ma non c’era traccia di tristezza nelle sue parole. In fondo, se Nephtys riusciva a conviverci perché non avrebbe dovuto farlo lui? « Sono un Pokémon, e va bene così! ».

« Che cosa stai blaterando? ».

« Allora, cara la mia Dama » riprese l’uomo con tono di sfida « Sei pronta a vedere la tua invasione crollare come un castello di carte? Kalos non cadrà ».

La Fiamma ridacchiò, genuinamente divertita da quello che doveva essere evidentemente un bluff, oppure pazzia indotta. « E chi lo impedirà? ».

« Io, ovviamente ».

Ovviamente, ripeté tra sé e sé lo spettro. Nonostante le persistenti esplosioni la voce di quell’arrogante individuo non sembrava calare di intensità, il che significava che non avevano distrutto che una frazione degli impianti stereo di Altoripoli. « Un uomo in cappotto contro un esercito di Rotom. Immagino farai molto da solo ».

« Da solo? ».

Un suono si fece strada nell’aria. Era qualcosa di meccanico, innaturale, eppure stranamente familiare. La Fiamma Cremisi si voltò, cercando di capire che cosa fosse, e uno spettacolo maestoso si parò di fronte ai suoi occhi: un’inferriata di fasci di luce scarlatta diretti al cielo aveva circondato i quattro edifici dell’Antenna come una gabbia. Erano estremamente fitti, si sarebbe detto migliaia. « E questo cosa sarebbe? ».

« Te l’ho detto, sei come me: hai mancato la questione più ovvia. Come faccio a essere in onda? ».

Chandelure raggelò, un fatto inusuale per un candeliere. Adesso, a disfatta, iniziava a percepire uno a uno tutti gli errori che aveva commesso, come tanti guerrieri in riga che la deridevano. « Che… ».

« I miei amici sono al lavoro proprio all’Antenna. Serena si è occupata di mandarmi in televisione mentre una squadra scelta di scienziati Flare sta preparando la vostra disfatta » spiegò Bellocchio, avvicinando la bocca al P5S per assicurarsi di essere ben udito « Un lampo di corrente indotta che fulminerà tutti i Rotom in simultanea. Un nuovo sole ». Si concesse una pausa per assaporare il momento, poi soggiunse sprezzante « E tu per stanarmi hai chiamato tutti i tuoi soldatini, compresi quelli a guardia dell’edificio ».

« INTERROMPETE I BOMBARDAMENTI! » ordinò la Fiamma in preda al panico « TORNATE SUBITO ALL’ANTENNA! DISTRUGGETELA SE NECESSARIO! ».

« È tutto inutile ».

Per quanto detestasse accettare che avesse ragione, in quel caso non poteva contestare: tutti i Rotom che si scagliavano contro quella prigione rosseggiante rimbalzavano all’indietro, e neppure gli attacchi erano in grado di scalfirla. « CHE COS’HAI FATTO? ».

« Raggi repulsivi di Poké Ball. Lanciati al cielo che vi respingono, perché non riconoscono il vostro codice sinaptico. Sono pura energia, non potete infrangerli in alcun modo ». Bellocchio ripensò a Ginger, ora sperabilmente impegnata a fare la sua parte. In fondo l’idea era sua, anche se forse non lo sapeva: era stata lei a utilizzare la stessa tecnica per salvarli dalla collisione con un Rotom durante l’inseguimento con il finto Cornelius. Anche il suo caro spettro era con lui sotto le sembianze di Cornelius il pirata, avrebbe dovuto capire al volo.

E in effetti la diretta interessata aveva compreso il metodo, ma non l’applicazione: erano troppi. « Non avresti potuto attivarne così tanti senza essere notato. Tu non… ».

« Serena aveva anche un altro compito oltre a mandarmi in diretta televisiva, mia cara. Mentre giocavamo con te a nascondino un altro messaggio veniva inviato dall’Antenna. Un messaggio di raccolta per tutti gli altoripolesi, una chiamata alle armi ».

Chandelure ammutolì. Proprio sotto al suo naso aveva radunato i cittadini istruendoli perché difendessero l’Antenna? No. No, era impossibile. « Le televisioni erano tutte–– ».

« Via radio, Dama » la corresse il giovane « Ho usato lo stesso meccanismo in parallelo, ma molto più silenziosamente. Non te ne sei accorta, vero? Troppo impegnata a darmi la caccia per renderti conto che Kalos insorgeva contro di voi ». A rifletterci si poteva trovare anche un significato più mondano a ciò che si era verificato: la televisione aveva in generale soppiantato la radio in ogni casa, ma nel momento di crisi era stata la seconda a salvare la regione. Interessante, come sviluppo. Anzi, intrigante.

 

 

« Contatto! » esclamò Terence arretrando dopo aver attivato l’interruttore del commutatore di segnale « Inverti la corrente! ».

Kibwe, nonostante la sua mole non gli garantisse una particolare agilità, ribaltò la coppia di cavi infilati nel processore amministrativo con sorprendente rapidità. « Fatto! ».

« Sandy, cosa dice il multimetro? » domandò Ginger, gli occhi fissi sul display del P5S. La Cabina di Controllo, anfratto inerpicato sulla sommità del secondo edificio dell’Antenna, era stato abbandonato dai Rotom di pattuglia da un tempo relativamente breve, e ora loro quattro erano gli unici esseri viventi a risiedervi.

« Parametri in regola! ».

La donna inspirò profondamente e rilesse un’ultima volta la stringa di comando che aveva digitato dieci minuti prima e ricontrollato almeno venti volte, dopodiché la inviò con una singola pressione sul touch screen. Arretrò per osservare il lavoro nell’insieme, e altrettanto fecero i suoi colleghi. « O la va o la spacca » commentò, e per un attimo non accadde nulla.

Poi il nuovo sole si accese. Un lampo di luce bianca celò alla vista abbagliata dei presenti persino le inferriate fiammanti che avevano circondato la struttura. Nessuno di loro poté ammirare lo spettacolo allestito, ma a chi si fosse trovato sufficientemente in alto sarebbe apparsa una circonferenza luminosa che si estendeva lentamente su tutta la regione. Nessun ferito, al contrario di ciò che la loro Arma avrebbe provocato. Solo una vittoria indiscutibile, una che raramente era possibile sperimentare nel mondo reale. Pareva uscita da una storia di fantasia, una di quelle in cui gli eroi miracolosamente perdurano contro ogni avversità e trionfano sulle forze del male, lasciando che la pace si riappropri del mondo.

 

 

Serena, asserragliata qualche piano più in basso nel deserto Studio Più, era rimasta accecata dal fulgore dipanatosi e ancora la sua visione era inquinata da macchie multicolore sulle retine. Oltre a ciò provava anche una sensazione che aveva conosciuto solo in un giovedì nebbioso a Castel Vanità: era mezza sorda. La causa le fu presto chiara: dall’esterno provenivano grida inconsulte da parte dei Rotom fulminati all’interno degli elettrodomestici, ma già nella stanza in cui si trovava lei erano presenti i quattro spettri addormentati che avevano subito nel sonno l’influenza dell’Antenna. Come avevano previsto quei Pokémon non erano in grado di abitare apparecchi attivi, e la corrente indotta al loro interno era stata sufficiente per ucciderli di dolore. Esattamente ciò che era successo al loro commilitone nel televisore quando Jolteon lo aveva attaccato.

Si affacciò alla finestra, premendo le mani contro il vetro mentre le ultime luci prodotte dai rimasugli dell’esercito appassivano fino a spegnersi in un singolo fotone. La gabbia rossa intorno alla costruzione fece lo stesso, e mentre un fastidioso odoraccio di filamenti bruciati inaspriva la sala la quiete calò nuovamente. Quasi.

 

Ho incontrato te

su questo grande pianeta

 

Un attimo e c’è

prezioso incontro di vita

 

Serena stentava a crederci, eppure era sotto i suoi stessi occhi: stavano cantando. Non solo i solerti paladini della regione che erano accorsi per proteggere l’Antenna, ma tutta Altoripoli stava intonando Miracolo.

 

Miracolo è già

d’eterna immensità

 

Trovo te, trovi me

ha dell’incredibile!

 

Una lacrima scese dalle palpebre della ragazza rigandole la guancia. Man mano che i versi proseguivano sempre più voci si univano al coro, e a questo punto aveva pochi dubbi: cantavano ovunque, non solo lì. Avevano vinto. Non solo Bellocchio, non solo lei, non solo la Seconda Unità: avevano vinto tutti. Kalos era uscita indenne e compatta dalla sua ora più buia. E ora, giustamente, celebrava.

 

 

La Fiamma Cremisi si accasciò sull’asfalto, esausta. Intorno a lei, sotto le vampate di un fuoco ormai prossimo all’estinzione, dozzine di carcasse di Rotom popolavano la strada in cui era riversa. Anche lei, presto, non sarebbe stata altro che un candeliere in disuso. Lo sentiva.

 

Nel tempo di

questa vita mia

incontro la tua…

 

Un miracolo è già!

 

Alzò lo sguardo, intravedendo un uomo in cappotto nero con la manica sinistra lacerata che avanzava verso di lei. La sua andatura era lenta e cadenzata, a ritmo con l’orrendo inno che i sopravvissuti stavano cantando e in contrasto con il passo svelto che aveva esibito alla Maison Darbois. Il volto segnato dalla battaglia però non lasciava adito a dubbi: era Bellocchio.

« Come… » mormorò senza trovare le forze per affrontarlo a testa alta « Com’è possibile che non ti abbiano trovato… ».

« Non te l’ho detto? Sono molto bravo a travestirmi » replicò il giovane, ma pur trattandosi di una frase inerentemente canzonatoria il suo tono non trasudava il minimo divertimento. La squadrò dall’alto in basso, appurando che almeno in apparenza sembrava inerme. « Vorresti uccidermi? ».

« Dovrei, vero? » ribatté la Fiamma caricando ogni parola di un risentimento inaudito. Per un attimo parve volesse attaccare, poi rinunciò. « Non servirebbe ».

« Perché? ».

 

Nel tempo di

questa vita mia

incontro la tua…

 

Un miracolo è già!

 

Finalmente la sgradevole melodia si concluse, concedendo allo spettro la pietà che si osserva per lo sconfitto. « Li hai uccisi tutti. Centinaia di migliaia di Rotom sono morti ».

« Volevano invadere Kalos ».

« Oh, per favore, quanto sei stupido! » proruppe la Fiamma sdegnosa « Pensi che avessero una scelta? ». In un guizzo di vitalità soggiunse « Non avevano idea di cosa stessero facendo. Hai sterminato degli innocenti ».

Bellocchio la osservò. Per un attimo l’ipotesi che avesse ragione lo sfiorò, ma la scacciò rapidamente dalla mente. « Stai mentendo ».

La successiva risata di Chandelure fu un misto di boria e tormento. « A che pro? Il mio tempo è quasi scaduto ».

L’uomo la esaminò più attentamente. Il suo respiro era debole, e ogni parola che articolava sembrava pugnalarla per la fatica che vi profondeva. Eppure il nuovo sole non avrebbe dovuto avere alcun effetto su di lei. « Cosa dici? ».

« Credi che mi perdonerà? » lo interrogò, ma lo sbuffo sarcastico che seguì confermò che non era altro che una domanda retorica « Sono spacciata, Bellocchio ».

La rassegnazione dell’ultima frase era completa, e lo evidenziava il fatto che avesse impiegato per la prima volta quel nome. « Chi non ti perdonerà? ».

« No, no, non sono pronta! » gridò lei angosciata, conscia che se fosse stata in grado di piangere probabilmente ora l’avrebbe fatto « Non sono ancora pronta! ».

Bellocchio si affrettò a chinarsi accanto a lei. Era incerto su cosa dire, perciò decise di affidarsi all’istinto mentre si chiarificava cosa stesse avvenendo: qualcuno la stava uccidendo. « Io ti posso salvare, lo giuro. Ma devi dirmi chi. Chi c’è a capo di tutto questo? ».

« Bellocchio… Vecchio mio… » lamentò con un filo di voce la Fiamma Cremisi, guardandolo dritto nelle pupille. La sua espressione si impregnò di disprezzo nel giro di un istante, e con le energie rimanenti sibilò « Morirei piuttosto che aiutarti ».

La bocca dell’uomo si socchiuse. Avrebbe voluto parlare, ma lei non glielo avrebbe permesso. Le ultime parole prima della fine sarebbero state sue. E furono le più spietate che proferì mai, sature di tutto il rancore che provava nei suoi confronti. Che aveva sempre provato nei suoi confronti.

« Ti odio » sussurrò. I suoi bracci color pegola si ammorbidirono e caddero a terra con un tonfo, lasciando che le ormai smorzate lingue di fuoco su di essi si spegnessero. Trascorse qualche secondo soltanto prima che la medesima sorte spettasse alla perenne vampa cromatica incastonata nel globo di vetro che aveva funto da cranio per la Fiamma.

Vedi, vecchio mio, il punto forte degli spettri è che non muoiono”, aveva detto nemmeno un’ora prima. Quanto si era sbagliata.

 

 

Le onde del mare erano rilassanti. Lo schema metodico con cui si riversavano sulla sabbia oscura della spiaggia, protraendosi e poi ritirandosi timidamente all’interno del flutto successivo, era quasi l’emblema della ciclicità dell’universo.

Bellocchio stirò obliquamente la bocca in una smorfia, passandosi la mano sul tessuto del nuovo cappotto scuro che indossava – avendo sostituito quello precedente, monco della manica sinistra. Che discorso sgraziato, che discorso scientifico. Anche nella mente di uno come lui, con esperienza pressoché nulla di ciò che potesse o meno definirsi poetico, un ragionamento simile strideva sgradevole. Lui amava il mare perché ora, rimirando l’indistinguibile orizzonte perso nella flebile luce offerta dal cosmo, poteva quasi perdersi immaginando impossibili avventure. L’oceano lo commuoveva, in un certo senso. Gli faceva sperimentare una sensazione che il suo taccuino avrebbe definito malinconia. No, che lui avrebbe definito malinconia.

Si inoltrò tra i fini granuli che scivolavano sotto i suoi pesanti passi, lanciando un’occhiata al devoto orologio da polso. Tre minuti alle due di notte, e per proprietà transitiva all’incontro con il misterioso individuo. Quando aveva concordato con lui l’orario aveva tante domande da chiedere, ma ora non era più certo di volere le risposte. Non gli interessavano, sapeva chi era. Sapeva cosa era.

D’un tratto udì un rumore provenire da poco distante, e nell’istante che seguì scorse una silhouette che si muoveva ondeggiante tra le ombre. In una mossa fulminea sfilò il P5S usato per ingannare la Dama – di cui ormai si era illegittimamente appropriato – e ne attivò l’applicazione per renderlo una precaria torcia. Il fascio prodotto dal flash primario andò a incontrare la sagoma affusolata di una donna in bianco dai capelli ricci e rossi, la quale d’istinto alzò un braccio per coprirsi gli occhi.

« Anche tu qui » disse abbassando lo smartphone dopo aver disattivato l’illuminazione. Pur essendo sostanzialmente buio, l’irradiazione fornita dal firmamento era sufficiente a distinguere i connotati generici una volta identificati.

« A quanto pare… » commentò Ginger con un sorriso sbilenco « Aspetto qualcuno ».

Ma pensa, fu la prima reazione di Bellocchio alla notizia. Immediatamente dopo, tuttavia, quelle parole innescarono quel grande faro di nome coincidenza nella testa del giovane. Un secondo “ma pensa” gli ronzò nella testa, tuttavia questa volta la sorpresa aveva ceduto il passo al sospetto. « Per caso un vecchio alto dai capelli lunghi? ».

L’espressione sul volto della donna legittimò la sua diffidenza « Come lo sai? ».

« Perché sono qui per la stessa ragione ».

Ginger lo squadrò con uno sguardo interrogativo. Stava dicendo che erano lì perché invitati dalla stessa persona? Non ne vedeva la ragione. L’unica eventualità plausibile è che volesse parlare loro in contemporanea, ma allora non capiva i motivi di quell’atmosfera di segretezza. I suoi occhi si posarono sull’apparecchio avviluppato tra le dita del suo interlocutore. « Quello è un P5S? ».

Bellocchio lo osservò a sua volta, come volesse essere certo dell’oggetto del dialogo. « Sì ».

« Dammi qua ».

Per come lo afferrò si sarebbe detto che glielo avrebbe strappato di mano se il suo possessore non avesse acconsentito all’istante. Estrasse dalla tasca un cacciavite dalla base arancione e si lasciò cadere sulla sabbia, iniziando ad armeggiare con lo scomparto posteriore del telefono fino a rimuoverlo.

Bellocchio le si sedette accanto, tornando a contemplare il panorama in cui si era immerso in attesa dell’incontro prefissato. Anche i pochi, deboli incendi residui che aveva notato in precedenza adesso erano stati definitivamente spenti, sancendo la fine della lunga invasione. La quiete che ora regnava sovrana sarebbe stata impensabile solo qualche ora prima, eppure adesso sembrava talmente inscalfibile da apparire eterna. L’avevano considerata ovvia, scontata per molto tempo, eppure non era così. Persino l’immutabile ciclo delle onde può trasformarsi in un maremoto inarrestabile.

« Lo conoscevi prima? L’uomo, dico ».

Ginger scosse il capo, senza tuttavia distrarsi dal suo lavoro « Prima di oggi l’avevo visto una volta sola. Appena uscita dall’Antenna si è avvicinato e mi ha detto che aveva qualcosa di importante da dirmi. Però non poteva dirla subito, e avrei dovuto incontrarlo ora ».

L’uomo annuì sovrappensiero. In un certo senso una parte di sé si aspettava una replica simile, perché quella situazione era quasi totalmente analoga a come lui era venuto in contatto con il loro comune amico. Adesso era assolutamente convinto che non si trattasse di casualità.

« Sai che cos’è? » domandò la donna d’un tratto, agitandogli sotto il naso un microscopico cilindro metallico che doveva avere sradicato dall’interno del cellulare.

« Non un biscotto, immagino ».

« È un diodo di polarizzazione, quello che innescava le onde superconduttive. Kibwe ha analizzato il P5S di Terry e ha scoperto che, rimuovendo questo, è in tutto e per tutto uno smartphone regolare ». Impresse una traiettoria arcuata all’oggetto, facendolo atterrare dritto tra le mani di Bellocchio mentre lei con destrezza ricollocava il giravite nella tasca interna della sua uniforme imbrattata « Come nuovo ».

L’uomo esaminò il risultato con meraviglia « Grazie… Certo che ci sai fare, con la tecnologia ».

« Buttare sette anni su ingegneria ha qualche vantaggio » sorrise lei. In quell’istante si accorse che il giovane la stava osservando insistentemente da qualche minuto, come se stesse cercando qualcosa nella sua persona senza riuscire a trovarla. La sua espressione mutò impercettibilmente verso un crescente imbarazzo « Che c’è? ».

« Nulla, è che… Mi sembra di averti già vista, la tua faccia mi ricorda qualcosa. Il che è strano, per me » soggiunse alla fine della frase, pur sapendo che tale appendice avrebbe comunicato poco a orecchie diverse dalle sue.

Ginger ricambiò lo sguardo indagatore, poiché come spesso succede certi particolari si evidenziano solo dopo essere stati menzionati. Anche a lei pareva di aver già incrociato quel volto, quei lineamenti. « Ora che mi ci–– » cominciò, poi si interruppe colta da un’illuminazione « Borgo Bozzetto! ».

Il giovane la scrutò disorientato, ma nel frattempo l’ingegnera aveva già messo mano alla cintura per recuperare una Mega Ball celeste usurata dal tempo, a prima vista simile a quella di Faraday. Con un guizzo la lanciò in aria, lasciando che una sagoma luminosa ne fuoriuscisse per adagiarsi sulla morbida sabbia con le sei sottili zampe da insetto. I suoi occhi compositi erano tinti di sfumature scarlatte e le lunghe ali da libellula vibravano debolmente, producendo un lieve ronzio di sottofondo.

Bellocchio ammutolì, e mentre osservava quella figura tanto familiare intuì ciò che Ginger aveva compreso appena prima: lei era l’Allenatrice in bianco. Colei che aveva incontrato nel paesello di Serena in quel fatidico ventun marzo, colei con cui aveva effettuato lo scambio da cui aveva guadagnato Karen. E di fronte a lei ora si trovava Sheila, la sua fedele Yanmega dei tempi andati.

« Quanto tempo! » esclamò ricolmo di gioia correndo incontro al Pokémon per abbracciarlo. Che lui sapesse i coleotteri non erano soliti fare le fusa, ma il verso che la sua vecchia amica stava emettendo era tanto simile da potersi considerare l’eccezione alla regola. Mentre ancora la stringeva a sé con la coda dell’occhio si rivolse a Ginger, che non aveva distolto gli occhi da loro due. « Come ve la passate? ».

« Oh, bene. Anche se ho sempre avuto l’impressione che avesse uno spirito avventuroso. Ora che ti conosco capisco anche perché » rispose lei. Gli angoli della sua bocca si incresparono in un sorriso triste. Non c’era alcun dubbio che quella coppia avesse un affiatamento fuori dal comune, era sufficiente osservarli per coglierlo al volo. Non era in grado di definire l’emozione che provava in quel momento, ma si sarebbe detto quasi senso di colpa per avere inconsapevolmente sciolto una simile amicizia. « Se vuoi puoi riaverla ».

« No, no » rigettò rapidamente l’uomo « Abbiamo fatto il nostro tempo. Ce la siamo spassata. Ma è giusto che ognuno vada per la sua strada ». Lui ormai aveva Nephtys che poteva svolgere egregiamente il ruolo di gallinaceo svolazzante; ma soprattutto, anche se difficilmente lo avrebbe ammesso con piena coscienza, Sheila avrebbe condotto una vita più sana senza di lui. Dopotutto l’ultima volta la poveretta aveva dovuto incassare le fiamme di un Houndoom per proteggerlo, nonché trasportarlo fino a terra. Di certo non era una buona influenza. La sua mente vagò, tornando agli avvenimenti di quell’equinozio di primavera. « Quindi sei stata tu a darmi Ralts ».

« In persona ».

Bellocchio si alzò in piedi, non riuscendo più a sopportare il dolore alle rotule che la sua postura corrente gli provocava. Non era uno sedentario, questo era assodato. « Che cos’era la pietra che mi hai dato? ».

« La pietra? ».

« Con Ralts mi hai offerto anche una pietra rosa. Ha anche… delle tinte arcobaleno » rammentò l’uomo dopo una breve pausa.

« Ah, giusto… » annuì Ginger, tornando col pensiero al tempo di cui stavano discutendo « Non ho idea di cosa fosse. Quello là mi ha suggerito di offrirtela ».

« Quello là? ».

« Ralts non era mio » chiarificò la donna. « Ero al Borgo per dei rilevamenti e quell’uomo mi ha avvicinata. Il vecchio dai capelli lunghi di cui parlavamo » aggiunse poi « È lì che l’ho incontrato per la prima e unica volta fino a oggi. Mi ha regalato Pokémon e pietra, poi ti ha indicato mentre passavi per una delle strade e mi ha detto di offrirli a te per uno scambio. Onestamente non sapevo cosa pensare, credevo fosse una specie di regolamento di conti. Alla fine non ci avrei perso niente, quindi ho accettato ».

Bellocchio sussultò. La vicenda assumeva connotati sempre più foschi a ogni parola a riguardo che veniva proferita: chiunque fosse quell’individuo aveva indirettamente procurato a Serena l’enigmatica gemma che aveva loro salvato la vita in due distinte occasioni – e stando alle parole di Saul McGill, anch’essa come i frammenti di cui lui era in possesso doveva essere collegata alla Meridiana di Fluxopoli. Inoltre, anche se non poteva esserne certo, sospettava che sempre l’ignoto benefattore avesse introdotto il P5S nella tasca del suo cappotto perché lo trovasse e potesse salvare Kalos.

Cosa ancor più preoccupante, il vecchio sapeva chi era. Era stata la prima faccia che aveva visto dopo il tramonto, ed era stato lui a passargli le informazioni di base per sopravvivere finché non avesse ritrovato Serena. E, dulcis in fundo, aveva per qualche ragione arrangiato l’incontro con Ginger che si stava svolgendo, dato che ormai poteva asserire con pochi dubbi che non si sarebbe presentato all’appuntamento. Aveva giocato un ruolo determinante nella sua vita recente, e non aveva idea di chi fosse.

L’ingegnera parve quasi leggere i suoi pensieri, poiché dal basso verso l’alto gli domandò « Quindi non lo conoscevi? ».

« Non lo so » rispose lui mangiucchiandosi l’unghia del pollice « È una lunga storia ».

« Come quella del nome? » gli domandò lei con un tono sottilmente canzonatorio.

« Il nome? ».

« Quando il pirata e i Rotom ci minacciavano hai detto qualcosa sul tuo nome, su come li avrebbe fermati » spiegò Ginger.

L’uomo comprese e assentì con un cenno del capo. « Bellocchio non è il mio vero nome » disse, e ignorando l’espressione da “ma non mi dire” della sua interlocutrice proseguì « Quello vero è legato a un avvenimento importante che coinvolse tempo fa tutti gli spettri che ho incontrato finora. Di solito mi basta rivelarglielo per farli fuggire terrorizzati ».

« Che avvenimento? ».

Bellocchio indugiò. « Non posso dirtelo » rispose, ma in realtà era un’evidente bugia. La realtà era che non ne aveva idea, perché sul taccuino non era scritto. Era una delle prime notizie fornite da esso, ma nessuna giustificazione era data. « Ma è stato qualcosa di brutto, di molto brutto. Mi odiano. La Dama Cremisi… ».

Si interruppe nuovamente. Le sue ultime, rappresentative parole prima di morire erano state ti odio. Pronunciate con uno spregio, un rancore tale che forse lui stesso non voleva sapere cosa gli avesse guadagnato una tale reputazione negativa. Qualsiasi cosa avesse fatto, l’idea che bastasse identificarsi come l’autore – senza tra l’altro provvedere prove tangibili – per metterla in fuga lo faceva rabbrividire.

E oltre a tutto ciò, adesso che la sua vecchia avversaria aveva lasciato il loro mondo non avrebbe mai saputo perché avesse tenuto sotto controllo Serena dalla Maison Darbois. Anche se, considerando che aveva preferito perire che farsi aiutare da lui, difficilmente glielo avrebbe estorto in qualunque caso. Però non era stata una sua idea, di questo era sicuro: qualcun altro l’aveva messa lì. Forse lo stesso che l’aveva assassinata qualche ora prima.

« Are you hanging up a stocking on your wall… ».

La suoneria del PSS di Ginger – o meglio del suo sostituto rimediato tra le riserve rimaste invendute – risultò rintronante nella quiete che aveva regnato fino all’istante prima, ma l’ingegnera fu svelta abbastanza da arrestare la canzone al primo verso e rispondere. La telefonata non durò a lungo, limitandosi perlopiù a scambi rapidi di monosillabi tra le persone coinvolte; tuttavia Bellocchio intercettò più di un termine scientifico a lui ignoto, segno che dall’altro capo si trovava probabilmente il resto della Seconda Unità.

Al termine del breve dialogo la donna tardò a reagire, contemplando il mare tenebroso quasi fosse l’ultima volta in cui avrebbe potuto farlo. Dopodiché, senza aprir bocca, scattò in piedi e iniziò ad allontanarsi verso la collina di Altoripoli.

Bellocchio le si accodò, cercando di carpirne informazioni « Che succede? ».

« Novità sulle lettere ».

Le parole risuonarono vuote nella testa del giovane, certo di non aver udito o letto nulla che potesse darvi un significato. Era però da tener conto che la sua mente era impossibilitata a lavorare al meglio a causa degli alti ritmi di cammino dell’Ufficiale. « Le lettere? ».

« Non le conosci? » domandò Ginger sorpresa, rallentando il passo perché il suo amico potesse raggiungerla « Da qualche giorno diverse persone a Kalos sognano due lettere. Nessuno ricorda il sogno in sé, ma tutti sanno di averle in testa. Ad Altoripoli c’era una concentrazione anomala di segnalazioni a riguardo, per questo siamo venuti qui ». Tra una frase e l’altra controllava febbrilmente il PSS, accertandosi che non vi fossero novità « Sandy ha scoperto da dove venivano ».

« Ovvero? ».

« Radiazioni sinaptiche, esattamente come quelle prodotte dalle Poké Ball. Lo sappiamo perché da quando hai organizzato la gabbia attorno all’Antenna si sono intensificate. Secondo Sandy alcuni riescono ad avvertirle anche da svegli ».

Bellocchio ricordò l’opuscolo che aveva trovato nel taccuino: le Poké Ball utilizzavano radiazioni sinaptiche per rabbonire i Pokémon ostili alla cattura. Se in seguito a una loro attivazione massiccia gli effetti si erano intensificati, la spiegazione logica era una sola. « Le Ball hanno funto da amplificatore ».

« Esatto » confermò Ginger « Ora ne basteranno tre sufficientemente lontane per triangolare il segnale e risalire alla fonte ».

« E che lettere sono? ».

« Due consonanti, L e K. Non chiedermi perché quelle, però ». La donna iniziava a patire lo sforzo che compiva per sollevare i piedi dopo che si infossavano nella sabbia, ma anziché frenare lo colse come stimolo per aumentare la velocità. Dopo qualche metro, nondimeno, fu indotta a fermarsi: al suo fianco non c’era più nessuno.

Si voltò, trovando che l’uomo accanto a lei fino ad allora si era impalato al suolo, scrutando l’aria come se avesse intravisto un fantasma. « Tutto bene? » gli domandò avvicinandosi, approfittando per riprendere fiato.

Bellocchio era in completa trance. Quelle due lettere… Le conosceva bene, davvero troppo bene. Le aveva viste due volte in quella giornata. In un’occasione sul foglio che il vecchio gli aveva fornito appena svegliatosi all’interno dell’Antenna, quello provvisorio; nella seconda proprio nel suo blocco delle memorie. Sulla prima pagina.

« LK è il mio nome ».

   
 
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