PREVIOUSLY ON LKNA: l’invasione è iniziata e Serena
deve reggere insieme le fila degli alleati per fare fronte alla crisi di Kalos.
Quando un Rotom la avvelena lasciandola in fin di vita, l’Ufficiale dei Flare
Ginger deve coalizzarsi con un Bellocchio finalmente rientrato in possesso del
suo taccuino per salvarla. In loro soccorso giunge anche il fruttivendolo
Cornelius con la sua vettura elettrica, ma proprio al termine di un adrenalinico
inseguimento viene rivelata la verità: la Fiamma Cremisi ha preso il posto del
pirata. Dopo aver ridotto in brandelli la Baccapesca necessaria per curare
Serena, lo spettro ordina a cinque Rotom di terminare definitivamente il team di
salvataggio della regione, la cui unica difesa è un singolo Jolteon.
Episodio 1x30
Il nuovo
sole
« Voi spettri potete pure non morire, ma non immaginate quanto spero che
sentiate dolore » sussurrò una voce eccezionalmente profonda, e quello fu il
segnale che diede inizio all’inferno.
Il Rotom Calore che minacciava Bellocchio dritto di fronte a lui esplose
in un fragore assordante, costringendo l’uomo ad abbassarsi per scansare i
frammenti d’acciaio che si riversarono intorno. Contemporaneamente il compare
alla sua destra fu bersagliato da una Vortexpalla che lo spedì di lato
ruzzolante. Gli altri tre spettri furono centrati in pieno da altrettanti
attacchi provenienti dall’esterno del cerchio che avevano formato intorno ai
minacciati, chi disintegrandosi sull’istante, chi alzando bandierina bianca di
fronte a una paralisi improvvisa, chi perdendo conoscenza per una violenta
percossa. Presto la Fiamma Cremisi fu attorniata da un Klefki, un Noivern e un
Heliolisk, e appena dopo anche Jolteon si unì al gruppo, ma la creatura
scomparve in una nuvola di fumo senza dar modo a nessuno di colpirla o
estorcerle risposte.
« Tutto a posto? » domandò emergendo dall’ombra un possente figuro
imbracciante un’arma che pareva davvero gravosa da portare.
Bellocchio lo esaminò. Doveva essere di etnia esotica a giudicare dal
colore della pelle, e largo almeno due volte lui per la massa muscolare che
aveva plasmato in palestra. « Credo… Credo di sì ».
« Non parlavo con te » replicò quello secco, aggirandolo « Ginger, tutto
bene? ».
La donna, quasi irriconoscibile per quelle che erano le condizioni in
cui versava, aveva un palmo premuto sul braccio opposto e stringeva i denti per
soffocare gli spasmi di dolore. « Una delle schegge mi ha presa ».
Una seconda sagoma divenne visibile alla luce delle stelle, un volto dai
lineamenti asiatici che si avventò sull’Ufficiale con un kit medico nella mano
sinistra. Iniziò a frugarvi all’interno, ma Ginger lo fermò immediatamente « No,
no, non me! La ragazza! ».
Solo a quel punto Bellocchio, che nella concitazione generale si era
distratto, rammentò della salute critica di Serena. Si inginocchiò di fianco a
lei, esaminandola, ma ormai il suo respiro era flebile e la pelle sbiancata.
Terence quasi trascinò via l’uomo con una forza insospettabile per uno della sua
statura, intimandogli, con un lessico moderatamente meno gentile, di “togliersi
di mezzo”. Poi gettò uno sguardo d’insieme al corpo della ragazza « Veleno? ».
« Sì » confermò Ginger « Tossina di Rotom. Puoi fare qualcosa? ».
« Ma non scherziamo » ribatté lui e, con un gesto rapido del braccio, le
somministrò attraverso una piccola siringa una dose di una sostanza cristallina
« Deve ancora nascere il Pokémon in grado di battermi ».
Con movenze da autentico dottore, anche se abbastanza chiaramente quello
era solo un secondo lavoro, Terence si alzò in piedi e lasciò che la paziente si
riprendesse autonomamente. Bellocchio le tornò accanto, stringendole la mano
gelida come per proteggerla. Mentre i Flare si ritiravano in consultazione gli
parve di essere solo loro due su quella morbida sabbia, con il timido sottofondo
delle onde marine a cullarli. Lentamente Serena aprì gli occhi e, quasi dovesse
espellere gli agenti tossici dal suo corpo, tossì violentemente dritto nella sua
faccia. Ma a lui non importò minimamente: nemmeno conosceva veramente quella
ragazza, eppure sentiva di esserle affezionato.
« Tutto bene? » le domandò. Rise tra sé e sé: che modo stupido di
iniziare una conversazione.
Serena batté un paio di volte le palpebre, poi si girò su se stessa e
fece forza sulle braccia per issarsi sulle ginocchia. « Credo di sì… Che è
successo? ».
Bellocchio esitò, ma si convinse che appoggiare una mano sulla sua
spalla era un atto che poteva fare e lo eseguì, seppur con un meccanicismo che
lo faceva assomigliare più a un dispositivo automatizzato. « Un Rotom ti ha
avvelenata ».
« Sì, questo lo ricordo… Credo » soggiunse a fatica, cadendo
all’indietro e trovandosi seduta. Si voltò verso il suo amico « Dove siamo? ».
« Su una spiaggia » rispose l’uomo, lasciando scivolare la mano sulla
renella e rendendosi quasi immediatamente conto che era una spiegazione un po’
vaga. Provò ad abbozzare un riassunto, ma realizzò che per descrivere
l’inseguimento e l’inganno della Dama avrebbe impiegato fin troppo. « È una
lunga storia ».
Frattanto Serena aveva riacquistato una discreta lucidità, il che le
permise di focalizzarsi su ciò che aveva lasciato in sospeso in quella cameretta
di Altoripoli. « Hai letto il taccuino? ».
La replica tardò ad arrivare, il che non fece che incrementare la
tensione della ragazza. « Sì ».
« E… ? ».
« Non è stato illuminante come pensavo ». Bellocchio non osò guardare
negli occhi Serena, continuando a evitarli e provando a concentrarsi sui
focolari che ardevano sui promontori in lontananza « Non so ancora chi o cosa
sono. Devo solo credere a quello che c’è scritto, ma non dice nulla su di me ».
La sua compagna non si era attesa un’incertezza simile, ma a posteriori
avrebbe dovuto: non lo aveva letto appena dopo il tramonto, quando le sue
memorie erano vuote e pronte per essere ricolmate con ciò che vi era scritto. Si
era già fatto un’idea di chi fosse in quelle ore che erano trascorse, e
aspettarsi che ora dei blandi pezzi di carta potessero modificare tali sicurezze
era folle. Forse al prossimo crepuscolo avrebbe riavuto il suo amico, ammettendo
che non morissero prima per mano dei Rotom.
« Ma non importa » disse Bellocchio d’un tratto. Finalmente i loro
sguardi si incontrarono, le iridi dell’uno riflesse in quelle dell’altra. Per un
attimo ipotizzò di abbracciarla, ma cancellò subito l’idea. Chissà che tipo di
rapporto avevano avuto, lei e il sé del passato, dal suo punto di vista sarebbe
potuto essere un affronto. Sapeva così poco, persino ora. « L’importante è che
tu stia bene ».
Dopo essersi rimessi in sesto, e avendo appurato che effettivamente
Serena aveva smaltito i sintomi della Tossina, tornarono dal gruppo di
scienziati. Questi, a cui oltre ai due nuovi arrivati si era unito un terzo
individuo, dall’aria più attempata, erano indaffarati in una procedura febbrile
di montaggio. La sezione assemblata al momento aveva circa la forma di un
treppiede, e nuovi pezzi venivano gradualmente aggiunti da una cassetta adagiata
sulla sabbia.
Ginger si accorse di loro quasi istantaneamente, rivolgendosi alla
ragazza come si parla a una degente appena dimessa « Tutto okay? Non vuoi
sdraiarti? ».
« Sto bene, grazie » rispose lei educatamente.
« Questi sono i membri della mia Unità » annunciò la donna indicando il
novero affaccendato. Proseguì poi nel presentarli singolarmente: Kibwe il
colosso, Terence l’infermiere improvvisato e Sandy il terzo, in assenza di una
definizione migliore. Dopodiché aggiunse « Vi suggerirei di deporre subito ogni
oggetto in acciaio in vostro possesso ».
Bellocchio aprì il cappotto a mostrare che era, per così dire, pulito,
anche se non ne capiva la necessità « Che fate? ».
« Montiamo l’Arma. Non abbiamo molto tempo prima che si rendano conto
che non siamo morti, quindi affrettiamo i tempi ».
« L’Arma? ».
« Ah! » esclamò Serena, rammentando in quel momento dell’argomento
sfiorato al suo primo incontro con l’Ufficiale. Si rivolse al suo amico per
chiarificare « Sì, hanno un’arma che dovrebbe fermare l’invasione ».
« Ottimo! Di che tipo? ».
Ginger indicò il fucile che Kibwe aveva utilizzato poco prima per
distruggere uno dei Rotom, ora abbandonato al suolo accanto al trio « È un
modello rudimentale di cannone a compressione, provoca il collasso su se stesso
di ogni apparecchio metallico ». Quindi mosse l’indice poco più in là, in
direzione dei suoi colleghi che, nel frattempo, non si erano interrotti un
secondo nemmeno per respirare « Quello è un catalizzatore. Una sorta di lente
divergente, se vogliamo. Espanderà l’effetto a tutta Kalos, detonando ogni Rotom
sul suo cammino. Addio invasori ».
« È geniale! ».
« È un suicidio ».
Le rispettive reazioni di Serena e Bellocchio si erano rivelate tanto
diametralmente opposte che sarebbero risultate comiche, se non vi fosse stata
una posta straordinariamente alta in gioco. « Come? » domandò la ragazza,
perplessa.
L’uomo indicò la ferita al braccio di Ginger, provvisoriamente fasciata
con una garza pallida da Terence « Quello. Un milione di volte quello. Ogni
persona tenuta sotto ostaggio da un Rotom finirà per essere ferita ».
« È necessario » stabilì risolutamente la donna. C’era qualcosa nel suo
sguardo, tuttavia, che lasciava intuire di più. In un certo senso sembrava
essere sollevata dal fatto che l’obiezione fosse stata mossa su quell’aspetto,
come se ci fosse qualcos’altro di ben peggiore che ancora era riuscita a celare.
E a Bellocchio non sfuggì. « Un momento, hai detto… Hai detto di posare
ogni cosa in acciaio… » ragionò, e la verità gli giunse come una sfilettata «
Quel cannone non fa distinzione, vero? ».
Ginger chinò il capo senza proferire una parola. Serena sgranò gli
occhi: poteva non essere una scienziata, ma le implicazioni di un difetto simile
sarebbero state ovvie a chiunque. « Vuoi dire… ? ».
« Ogni casa ha almeno un utensile in acciaio. E questo senza parlare di
tutti i ponti, o della Tour Prismatique. Attiva quel cannone e Kalos cadrà in un
futuro post-apocalittico senza passare dal via. Centinaia di migliaia di morti,
come minimo ». Il silenzio che seguì fece imbestialire l’uomo, portandolo ad
avventarsi sul tripode che i tre Flare stavano costruendo tacitamente come
automi obbedienti « Ci sentite? State per diventare gli artefici della
distruzione di questa regione! ».
Kibwe si fermò, alzandosi in piedi con il sangue che gli ribolliva nelle
vene. « Credi di esserci arrivato per primo? Sappiamo tutti quello che
succederà, ma non abbiamo scelta. O questo, o i Rotom ci uccideranno tutti ».
« Io » si impose Bellocchio categorico, voltandosi verso la leader
dell’Unità « Io. Io sono la vostra scelta, io posso fermare l’invasione senza
versare una goccia di sangue ».
« Come? ».
« Farò una cosa intelligente ».
Ginger lo squadrò. Ne aveva passate tante con lui in quelle poche ore in
cui si erano conosciuti, aveva perfino dovuto sopportare la sua totale mancanza
di cooperazione per buona parte dell’inseguimento, ma questa era la prima volta
in cui fosse seriamente sul punto di perdere la pazienza. « Non hai la minima
idea di cosa fare ».
« Beh, questa non è esattamente un’atmosfera creativa, giusto? »
protestò lui con un piglio polemico che tradiva un’isteria malcelata sotto un
manto di destrezza. Si premette ambo le mani sulle tempie in un tentativo di
forzare i suoi processi di raziocinio.
« Credi che non abbia valutato tutte le opzioni possibili? Questa è
l’unica ».
La donna si arrestò dopo quell’ultima parola, trafitta da parallelismi
che avrebbe preferito non notare. Quella frase sarebbe stata applicabile fin
troppo bene alla decisione che aveva preso al settimo piano del Le Crésus Hotel,
quando aveva lasciato che suo fratello cadesse nel buco nero per evitare che
Hoopa potesse fuggire. Si stava comportando nello stesso modo: tanti, troppi
Ross innocenti sarebbero stati sacrificati nel nome del bene superiore.
Allontanò quel pensiero come poté, ma ormai aveva preso coscienza di una
questione che aveva negato in precedenza: ciò che era successo nel Mondo dei
Morti non era stato un caso o un’eccezione. Lei era esattamente conforme alle
sue azioni.
« No, no, non può essere » rifiutò Bellocchio recisamente dopo aver
rimuginato per la verità più di quanto si sarebbe atteso « C’è sempre… È come
dice il taccuino, c’è qualcosa che non ho considerato ».
Serena non aveva prestato molta attenzione al discorso, in completa
onestà. La menzione dell’Arma l’aveva riportata al suo primo dialogo con Ginger,
e da lì la sua mente aveva vagato rimembrando i folli avvenimenti della giornata
appena trascorsa. Ora, però, di fronte alla menzione fatta dall’uomo di qualcosa
che gli sfuggiva, le era tornato in mente un interrogativo che si era posta e
che aveva accantonato nei meandri della mente, come spesso aveva fatto durante
il suo viaggio. Chissà, vale la pena tentare, pensò prendendo per le
spalle il suo amico e girandolo a forza fino a guardarlo negli occhi. « I Rotom
hanno aspettato adesso per attaccare, ma avrebbero potuto controllare gli
elettrodomestici in ogni momento ».
Una quiete irreale cadde sul lido, infranta solo dal rumore delle onde.
Bellocchio rimase a fissare il vuoto per un tempo interminabile. Poi si avvicinò
alla ragazza e, dopo averle baciato il capo, arretrò e si esibì nel gesto più
assurdo di quella nottata: scoppiò a ridere. Non rabbiosamente o
umoristicamente, bensì nella prassi assolutamente genuina di chi esulta.
Prolungò la risata a lungo, quasi volesse assaporarla da più punti di vista. «
Oh, Serena, ti meriteresti… Anzi! » cominciò, poi si batté la mano sulla fronte
e aprì il suo soprabito per scrutare tra le tasche interne. Sotto gli sguardi
sconcertati dei Flare sfilò una piccola circonferenza argentea saldata a un
nastro tricolore che riportava incisa l’effigie di un tennista su fondo del
color dell’oro. Nello scombussolamento generale adagiò la medaglia al collo
della bionda compagna di viaggio, avendo cura che fosse orientata nel verso
corretto. Tutto senza cessare per un istante di sghignazzare come un ubriaco.
La ragazza la esaminò e un tanfo terribile giunse alle sue narici. «
Sembra venire da una discarica ».
« Potrebbe benissimo essere! » convenne l’uomo. Solo allora rivolse
un’occhiata anche agli altri, trovandoli più dubbiosi di quanto si sarebbe
aspettato. « Beh? ».
« “Beh” dovrei dirlo io » ribatté Ginger.
Il fatto che nessuno avesse colto il filo del suo ragionamento sorprese
Bellocchio più di quanto avrebbe dovuto. « Non avete capito? I Rotom hanno
aspettato per poter disattivare i forni e altro, ma per quale ragione? ».
« Beh, immagino perché… » arrancò l’Ufficiale « Perché gli servivano
guasti, o… o spenti ».
« Oh, andiamo, esatto! » la incoraggiò come si fa con un bambino poco
sveglio « Non ricordi quello che è successo al Rotom nel televisore? ».
Ginger esitò, immersa nelle sue riflessioni, ma alla fine la rivelazione
le giunse pura e semplice come aveva fatto con Bellocchio, irradiando il suo
volto di un’allegria inconsulta. « Corrente indotta! Oh, siete dei geni! »
proruppe, osservata dai suoi colleghi come un elemento chimico combustibile da
maneggiare con cautela.
« Vi spiace spiegare anche a noi? » si fece avanti Kibwe.
« Ho fulminato uno dei Rotom mentre era all’interno di un televisore.
Credevo di averlo colpito, ma effettivamente è impossibile! Ho generato una
corrente indotta per elettromagnetismo, capite? » strepitò l’ingegnera « Ho
riacceso il televisore! ».
« E allora? ».
« E allora ci basta riaccendere gli elettrodomestici che abitano per
fermarli in blocco! ».
Terence storse il naso. Comprendeva abbastanza la teoria dietro quel
ragionamento: i Rotom non erano in grado di abitare apparecchiature in cui
circolava corrente. Il problema era che non vedeva come ciò potesse essere
d’aiuto. « Sì, ma non è che… Non sono esattamente attaccati a una spina ».
« Ma non ci serve… » mormorò d’un tratto la mansueta voce di Sandy
dietro di lui. L’astronomo schioccò le dita, illuminato « Basta generare un’onda
di induzione! Però ci vuole tempo per sviluppare un sistema simile, una
settimana almeno ».
« Non ce n’è bisogno, non capisci? Qualcuno l’ha già fatto per noi! » lo
scosse Bellocchio, che pareva morso da una tarantola. Lui e Serena avevano
trascorso l’intero tempo in cui si era svolto il dialogo a battere ripetutamente
il cinque da varie angolazioni, nemmeno l’invasione fosse già stata sventata.
« Chi, la ragazza? » sbottò Terence.
Ginger si accostò a lui e indicò con le dita il cielo infiammato sopra
Altoripoli « Loro! Il piano dei Rotom è stato usare onde magnetiche
superconduttive con i P5S per guastare gli elettrodomestici! L’esatto meccanismo
che ci serve è già montato dentro quei modelli! ».
« Già, un vero peccato che abbiamo dovuto distruggere i nostri »
commentò Kibwe « Dove lo troviamo? ».
Nella calma seguente si fece strada un mugugno di natura indefinibile,
qualcosa sito a metà tra una richiesta di perdono e una proposta. L’origine fu
presto localizzata nell’arcigna sagoma di Terence, che stava estraendo dalla
tasca qualcosa di simile a un sottile mattoncino bianco. Ignorando le
imprecazioni brontolate del gorilla accanto a lui, il matematico esibì il
proprio P5S tracciando con inflessione tremante un abbozzo di scuse « Era…
Costava troppo, non è che potessi… ».
« Tu hai rischiato di farci beccare per–– » ruggì Kibwe artigliando il
socio e sollevandolo a dieci centimetri da terra. Ginger beneficiò
dell’occasione per strappare di mano alla vittima lo smartphone ed esaminarlo.
Quando verificò che era intatto il suo battito cardiaco si elevò a razzo e
nell’eccitazione abbracciò uno a uno tutti i presenti, comportamento del tutto
inusuale per una come lei. Non avrebbe commesso due volte lo stesso errore:
questa volta avrebbe salvato tutti. Avrebbe salvato Ross, per così dire.
« Sì, però aspettate » obiettò Sandy a giro di affetto terminato «
Quegli affari che raggio avranno, qualche centinaio di metri? Il catalizzatore
non funziona con oscillazioni di tipo elettromagnetico. Non possiamo estendere
il campo d’azione ».
« No, assolutamente » concordò l’ingegnera « Ma sai cosa può farlo? ».
Puntò il dito in lontananza, dove tra le nubi ardenti si stagliava la sagoma
inconfondibile di quattro edifici sormontati da uno slanciato pennone:
l’Antenna. Sandy comprese: le radioonde sono propagazioni nello spettro
elettromagnetico, e proprio nella città in cui si trovavano era stata costruito
il più grande studio radiofonico della regione. « Un singolo segnale amplificato
dal radiotrasmettitore primario dell’Antenna per raggiungere tutta Kalos.
Milioni di elettrodomestici che si accendono nella regione per un istante ».
« Come un secondo sole » concluse Bellocchio.
Kibwe lasciò da parte il suo battibecco con Terence e si riunì alla
discussione « E quindi il piano è… Ci infiltriamo all’Antenna e facciamo una
magia scientifica per interfacciare il P5S al radiotrasmettitore? ». Da come
aveva pronunciato quelle parole sembrava considerarla un’idea dissennata, e
probabilmente era così, eppure ciò che aggiunse fu « Ci sto ».
« C’è un problema, però » fece notare Ginger rivolgendosi a Bellocchio «
Abbiamo sentito le trasmissioni sulla macchina di Cornelius. L’Antenna è
occupata dai Rotom ».
L’uomo ci rifletté, poi stabilì perentorio « Farò da diversivo ».
Serena sorrise, perché in qualche modo si era attesa una replica simile.
L’Ufficiale Flare fu decisamente meno entusiasta « Quanto tempo avremo? ».
« Qualche minuto, immagino ». Dipende da quanto si divertiranno prima
di decidere che posso morire, soggiunse mentalmente.
« Qualche minuto per un cablaggio
simile? » protestò Terence incredulo « Ci vorrebbero ore! ».
Bellocchio gli lanciò un’occhiata
beffarda, e si sarebbe detto che quell’increspatura ai lati della bocca mentre
proferiva la frase successiva fosse un ghigno. « Beh, allora è una fortuna che
voi siate i migliori scienziati di Kalos, giusto? ».
Era rimasto solo nell’ombra. Il
team con l’ingrato compito di salvare la regione si era allontanato verso la
collina, con l’obiettivo di imboccare una via alternativa per giungere
all’Antenna. Bellocchio aveva abbandonato il luogo del loro ritrovo per evitare
che un’eventuale pattuglia inviata dalla rediviva Dama Cremisi potesse scovarlo,
e ora si trovava sulla battigia di una costa isolata, forse persino all’esterno
di Altoripoli. Stando alle sue memorie era un degno improvvisatore, e
probabilmente per questo se n’era uscito con la storia del diversivo come se
avesse realmente avuto un piano.
Fatto stava che non era così. Non
aveva idea di come distrarre un singolo Rotom, figurarsi costringerli a evacuare
l’edificio che serviva a Serena e gli altri. Aveva vagliato svariate ipotesi,
tra cui impiegare un qualche impianto acustico per attirare l’attenzione dei
suoi nemici; ma ammesso che fosse venuto in possesso di casse stereofoniche non
disattivate dalle onde superconduttive, nel momento in cui le avesse accese
sicuramente lo avrebbero rintracciato. Doveva dare ai suoi amici tutto il tempo
che poteva, e quello non era certo il modo migliore.
«
La paura… ».
Bellocchio scattò in piedi in un
sussulto, portando le dita alla sua cintura in difesa, e si voltò verso la
macchia verde che spalleggiava quel tratto di litorale. Da uno dei cespugli che
si confondevano nell’amalgama uniforme era emersa una figura che definire
inquietante sarebbe riduttivo: un individuo anziano di notevole statura. I suoi
connotati si impastavano nell’oscurità, ma due sfaccettature erano ben
distinguibili: i lunghi capelli argentati e un berretto di lana a coprire il
capo.
« La paura di un uomo è poca
cosa, vero? ».
« Chi sei? » gli domandò
Bellocchio scrutandolo. Nessuno dei due stava facendo passi avanti, come due
statue nella sabbia.
« La paura di tanti… Quello è il
vero potere ».
Il giovane portò la mano in
avanti, stringendo la Poké Ball di Nephtys. « Rispondi ».
A quel punto il vecchio inviò
segnali contrastanti: da un lato iniziò a camminare con ritmo quasi minaccioso
verso l’uomo di fronte a lui; dall’altro però finalmente offrì qualche
informazione ulteriore. « Non mi riconosci? Sono stato io a salvarti quando hai
dimenticato tutto. Ti ho detto io chi eri ».
Bellocchio lo esaminò spaesato.
Ora che si era avvicinato riusciva a discernerne meglio la fisionomia, ed
effettivamente la prima immagine nella sua mente riguardava uno con le sue
fattezze che lo indottrinava sulla sua identità in uno stanzino dell’Antenna. Se
davvero era lui, però, allora aveva tutto fuorché da stare calmo: c’erano molte
domande che doveva porgli, e non se la sarebbe cavata senza fornire spiegazioni
esaurienti. « Come facevi a saperlo? ».
« È meglio che tu vada » ribatté
lui asciutto, indicando in lontananza la sagoma incombente del maggiore studio
radiotelevisivo di Kalos « Hanno bisogno di te ».
« Smettila di cambiare discorso
».
« Vuoi davvero stare qui a
parlarne quando il mondo sta finendo? » lo interrogò il vecchio con una
perentorietà quasi impropria per il suo sguardo stanco « Vai ad aiutarli ».
Bellocchio, tuttavia, si mostrò
ancor più inamovibile di lui. Non gli era sfuggita la sua conoscenza della
missione dei Flare, il che implicava che li avesse spiati; semplicemente
non gli importava. Lui ora voleva
delle risposte, anzi, le pretendeva. Con un guizzo premette il pulsante sulla
sfera che teneva tra le dita, richiamando in campo la svolazzante silhouette di
un Fletchinder rimesso in sesto da Terence Tao in precedenza. « Ultimo
avvertimento ».
« Stanotte. Alle due di notte ci
ritroviamo alla Costa Nera e ti spiego tutto. Non puoi permetterti di perdere
tempo ora, e lo sai benissimo ». Il vecchio lo squadrò, notando nel suo
interlocutore un lampo di indecisione che, seppur per un breve istante, aveva
attraversato i suoi occhi. « Serena è quasi morta per te. Glielo devi ».
Quell’ultima argomentazione fu
ciò che realmente lo persuase. Più del senso di giustizia, più della vendetta
verso la Dama Cremisi, sopra ogni cosa fu convinto dalla certezza di essere in
debito. E non in un’altra vita, una di quelle che apparentemente aveva vissuto,
ma in quella di cui era responsabile in prima persona. Con un sospiro, senza
nemmeno porsi il problema di come quell’individuo sapesse di Serena e delle sue
vicende, fece cenno a Nephtys di arretrare, pur senza richiamarla in quanto non
aveva del tutto abbassato la guardia. « Tanto non ho idee » disse tra sé e sé «
Ho solo un Pokémon, non so che fare per creare un diversivo ».
« Hai guardato nella tasca? »
suggerì il vecchio senza battere ciglio.
Bellocchio infilò le sue mani
negli scomparti corrispondenti, ma li trovò vuoti come si attendeva. Tuttavia
mentre frugava invano si rese conto, per la prima volta da quando si era
ritrovato addosso il cappotto nero, che esso non si muoveva correttamente.
Provava come la sensazione che ci fosse qualcosa al suo interno, un supporto
rigido.
Una tasca interna, intuì esaminando il foderato del soprabito. La
sua consistente imbottitura gliel’aveva celata fino a quel momento, ma eccola:
sul lato sinistro, chiusa da un bottone. Da dentro estrasse un sottile
mattoncino bianco dotato di una coppia di pulsanti dorsali e uno schermo
cristallino sul fronte. In cima, appena sotto il fine microfono longilineo,
campeggiava la scritta Player Search
System 5S.
« Questo da dove–– » cominciò, ma
la sua domanda cadde nel vuoto: il suo interlocutore si era volatilizzato mentre
era distratto dal ritrovamento. Si guardò attorno, avanzando qualche passo verso
il gruppo di arbusti da cui l’aveva visto emergere poco prima, ma non c’era
traccia di anima viva nel circondario.
Non aveva idea di quale fosse
l’origine di quel P5S, e mentre lo riponeva provò a vagliare ogni congettura che
gli passava per la testa. Non poteva escludere che appartenesse alla sua
esistenza precedente all’ultimo tramonto, ma ne dubitava pur non avendo
essenzialmente il diritto di farlo: come avrebbe messo le mani su un prodotto
estremamente costoso che per di più era in vendita solo da qualche giorno? No,
qualcuno doveva averglielo messo, o averglielo consegnato. È difficile
ricostruire i fatti quando una concreta porzione del tuo ultimo giorno è assente
persino dal bloc notes che dovrebbe soccorrerti.
Solo ora, nella solitudine
indotta, i dubbi che aveva soffocato avevano il coraggio di tormentarlo
nuovamente. Non aveva scoperto nulla, solo descrizioni di ciò che
era, e per quanto l’avesse minimizzato
con Serena il fatto lo angosciava. Si rivolse a Nephtys, che restituì innocente
lo sguardo. « Tu lo sai, vero? Ti ricordi chi sono » mormorò asciugandosi gli
occhi umidi « E io no ».
Prese tra le mani il suo taccuino
ed ebbe l’istinto di strapparlo, trattenendosi solo all’ultimo. Non lo aveva
aiutato, aveva solo peggiorato la situazione. Ne fece scorrere febbrilmente le
pagine, tanto rapide da leggere quanto inutili nel momento del bisogno.
Poi, del tutto casualmente, si
accorse di un aspetto di cui non si era avveduto in prima analisi: un
compartimento portadocumenti. Si trattava di una piccola sezione sul fondo
dell’agenda che si apriva a fisarmonica, atta appunto a contenere fogli e
simili. Nonostante secondo le informazioni di Serena fosse in possesso di quelle
note da due anni, quella caratteristica doveva essere rimasta un segreto a lui
per molto tempo visto che ospitava solo due pezzi di carta.
Il primo era una fotografia che
rappresentava un astronauta in una stanza ben illuminata, probabilmente legata a
un’avventura vissuta nel suo primo Natale di cui aveva letto. Il secondo,
invece, sembrava a occhio e croce la stampa di una e-mail e relativo allegato di
cui non aveva trovato menzione nelle memorie. Esaminò con cura il lungo testo
accluso, soffermandosi sul titolo impresso con audacia dallo scrittore.
Poké Ball®.
Un nuovo modo di vivere l’allenamento.
Lo scorse avidamente con la sua
ormai certa propensione alla lettura, muovendosi di paragrafo in paragrafo con
agilità animalesca. Non era nulla più di uno spot, la pubblicità di quelle che
al tempo erano le innovative Poké Ball in dirittura d’arrivo.
Ma per Bellocchio fu altro.
Occhieggiò Nephtys e un ampio sorriso gli tagliò il volto. Adesso sapeva cosa
fare. Adesso sapeva chi era.
Accedere all’Antenna fu meno
ostico di quanto chiunque della squadra si sarebbe atteso. Una volta risaliti
attraverso le buie vie di confine fino alle Fondamenta, i cinque si erano calati
all’interno del magazzino abbandonato, nell’infrastruttura organizzata dai Rotom
per il loro piano. Lì, anziché attraversare il Link 31 come aveva fatto Serena –
si sarebbero ritrovati in tal caso al pianterreno del loro bersaglio, facilmente
la zona più sorvegliata –, non erano scesi dal nastro trasportatore ora immobile
procedendo sul piano rialzato. Nella galleria dove la mattina precedente erano
transitate le lavatrici avevano trovato una grata, e diveltala si erano
introdotti nel condotto di aerazione.
Da allora non avevano fatto altro
che districarsi strisciando tra dedali di pareti metalliche, cercando di
produrre il minor rumore possibile e di non respirare troppo la spessa patina di
polvere in cui nuotavano. Per loro fortuna il PSS di Serena era dotato di un
GPS, il che permetteva loro di stabilire la posizione relativa rispetto
all’obiettivo – tecnicamente anche il P5S di Terence, ma dubbi persistevano
sulla possibilità che esso fosse intercettabile.
« Dove siamo? » domandò sottovoce
Ginger a tal proposito.
« Sempre terzo edificio » la
ragguagliò la proprietaria. Sempre
perché almeno da dieci minuti forniva la medesima risposta, cercando di
confrontare la mappa satellitare con quella dell’Antenna per capire dove andare.
« Però… »,
«
Però? » ringhiò Terence.
« Ecco, potremmo essere andati
nel verso sbagliato ».
Il matematico grugnì
rumorosamente, sempre nei limiti della loro politica del bisbiglio « Non sai
usare una bussola? ».
« È difficile da leggere! ».
« Oh, sì, come la quota, giusto?
».
Serena inspirò, sforzandosi di
far buon viso a cattivo gioco nel nome della circostanza critica. Aveva provato
come minimo tre volte a spiegargli che la precisione altimetrica del GPS non
consentiva di districarsi su misure di scala tanto ridotta come le dimensioni
degli edifici in cui si erano infiltrati, e di conseguenza non poteva stabilire
a che piano si trovassero. Ma era inutile, quel burbero scienziato non voleva
saperne.
«
Ho trovato qualcosa! ».
Il volto ovale di Kibwe fece
capolino da un angolo oltre il quale si era spinto in avanscoperta, facendo
cenno agli altri di seguirlo. Ginger e Serena lo raggiunsero con andatura
spedita; Terence e Sandy viceversa si attardarono, coinvolti in un battibecco
dopo che il primo aveva intimato al secondo di “smetterla di muoversi come una
scimmia proboscidea”.
La via imboccata da Kibwe era
fondamentalmente un vicolo cieco, ma i canali di circolazione dell’aria vantano
l’esclusiva proprietà di beneficiare dei vicoli ciechi, dal momento che
sarebbero un assurdo architettonico se non terminassero con una griglia.
Attraverso quella a cui erano arrivati era possibile scorgere un’ampia stanza a
forma di croce zeppa di console di comando a muro e sedie girevoli. Quattro
Rotom la sorvegliavano, ma ciò non era di rilevanza per gli intrusi: loro non
volevano accedervi, volevano individuarne il nome per risalire alla propria
posizione nella struttura.
« Lo Studio Più, il centro di
coordinamento radiofonico » lo identificò in un lampo Ginger « Non siamo lontani
».
Serena colse un tenue cenno nei
propri confronti e slittò rapidamente sull’applicazione che mostrava la mappa
dell’Antenna. « Sesto piano » annunciò « Siamo vicini al ponte per il secondo
edificio ».
Esattamente mentre pronunciava
tali parole il PSS tra le sue mani iniziò a vibrare. In uno spasmo dettato dalla
sorpresa lanciò uno sguardo allo schermo: era una chiamata in arrivo. Il numero
era visibile, ma esterno alla sua rubrica dal momento che non corrispondeva a
nessun nome memorizzato. La ragazza alzò gli occhi prima verso Ginger e poi
verso Kibwe, alla ricerca di un input su come comportarsi, ma nessuno dei due le
fornì alcun aiuto. Che li avessero localizzati? Ma in tal caso perché
telefonare? Perché non ucciderli? O magari era il contrario, magari volevano
stanarli mediante la risposta alla chiamata.
«
… Pronto? » sussurrò Serena, portando lo smartphone all’orecchio
dopo essersi allontanata dalla grata per celarsi ai Rotom nella stanza di sotto.
Ginger non fu in grado di udire
la risposta, ma chiunque fosse dall’altro capo doveva essere qualcuno di
importante, perché la giovane era appena sbiancata. «
Io chi? » fu il proseguimento del segmento di conversazione che
poteva udire, e dopo poco si aggiunse un’ulteriore domanda «
Come sei riuscito a chiamarmi? ».
La pausa susseguente fu al
contrario inusitatamente prolungata, un duraturo monologo del telefonante in cui
ben poche parole erano indovinabili nel fiume letterario che si stava
rovesciando attraverso l’apparecchio nell’echeggiante condotto d’aria.
L’espressione di Serena si fece dura e appesantita, come fosse invecchiata di
anni nel giro di pochi istanti. « Ma così
ti… Non posso fartelo fare » ribatté categorica all’ignota proposta
perpetrata, e la replica dovette soffocarla ulteriormente dal momento che parve
sul punto di piangere « Perché lo stai
dicendo a me? ».
Quella fu l’ultima frase del
dialogo. La ragazza abbassò il cellulare e lo osservò persa, il ritmo
respiratorio che si intensificava. Poi, dopo una quiete densa di tensione, si
rivolse all’Ufficiale Flare « Studio Più, hai detto? ». Ginger annuì, e ricevuta
la conferma le passò il PSS con un basso lancio arcuato « Andate alla
trasmittente ».
« E tu cosa fai? ».
« Una cosa che non posso dirvi ».
Kibwe, visibilmente irritato,
abbozzò una protesta severa, ma Ginger lo interruppe prima che potesse parlare.
Poteva anche apparire una classica donna di potere, di quelle fredde che non si
fanno problemi a pestare piedi sul loro cammino – e nel subconscio amava pensare
di esserlo ella stessa –, ma era perfettamente capace di interpretare le
reazioni umane. Ma forse più di ogni altra cosa, avevano un solo conoscente
comune che in una situazione simile avrebbe raccomandato di non divulgare il suo
piano a nessuno. « Era lui, vero? » interrogò l’Allenatrice, e quando la
risposta fu un segno affermativo indicò a sua volta a Kibwe di seguirla. «
Terry, Sandy, con me » richiamò i due rimasti in disparte, rivolgendosi poi
un’ultima volta alla sua alleata in quel momento di crisi « Fai ciò che devi ».
Serena, presto nuovamente sola
come non si era sentita dalla sua breve meditazione sul terrazzo di Cornelius,
si riaffacciò alla griglia quadrettata, consolata dal fatto che nessuno dei
Rotom si fosse accorto di ciò che si era svolto qualche metro sopra le loro
teste. E tra l’altro le teste nemmeno le
hanno, pensò tra sé e sé mentre sfilava dalla cintura la Poké Ball
contenente il Bulbasaur che Trovato le aveva ceduto al laboratorio di Platan. «
Va bene, Uno, ora ho un lavoro anche per te. Pronto col Sonnifero » bisbigliò.
È buffo come singole locuzioni
abbiano il potere di convincere o dissuadere da un’idea. Quando aveva chiesto “Perché
lo stai dicendo a me?”, al telefono, si sarebbe attesa mille e più parole, o
probabilmente un’allusione al loro reciproco affiatamento. Ma solo Bellocchio,
il suo Bellocchio, quello che era scomparso due tramonti fa – quello che
credeva scomparso –, avrebbe potuto
rispondere nel modo con cui aveva effettivamente risposto. Solo lui avrebbe
detto “Regola numero uno, giusto?”.
Dovunque si trovassero ora quegli
estranei che avevano salvato Bellocchio e compagnia, la Fiamma Cremisi aveva
dato la priorità alla loro cattura. Non erano alla spiaggia, questo era certo:
si era recata con un plotone di Rotom sul posto solo per trovarlo vuoto, e il
gruppo era stato sufficientemente furbo da cancellare le impronte dalla sabbia.
Ora, nella sua naturale forma di Chandelure, il Pokémon fluttuava sopra i cieli
di Altoripoli, adottando una visuale più ampia mentre i suoi sottoposti
scandagliavano la città in fiamme. E fu lì che lo udì.
«
Prova, prova, prova! Bellocchio a Dama Cremisi, ripeto, Bellocchio a
Dama Cremisi! Mi sente? ».
Quella voce irritante le giunse
stridula, facendole scalpitare un metaforico sangue nelle arterie «
Bellocchio? ».
«
Che attenta ascoltatrice! ».
Le modalità attraverso le quali
l’uomo stava comunicando con lei erano oscure: il volume a cui parlava era
decisamente alto – abbastanza perché un essere umano incapace di volare si
facesse sentire a quella quota –, il che le impediva di primo acchito di
individuarne la fonte. Proveniva dal borgo ai suoi piedi, questo era certo, ma
era sapientemente dissimulata. « Dove sei… ».
«
Non ti sei accorta della flagrante falla nel vostro progetto
d’invasione? ».
In quel momento si accorse di una
peculiarità che prima non aveva notato: un segnale statico che accompagnava gli
intervalli tra una provocazione e l’altra. Parlava attraverso un allestimento
acustico posizionato da qualche parte di sotto. I Rotom erano in fibrillazione,
vagando disordinatamente nella zona aerea radente il terreno, e la Fiamma
comprese che quello era esattamente il piano del suo avversario: voleva
arruffare le file. « DOVE SEI! ».
«
Nessuno butta i televisori! ».
Le parole di Bellocchio
tintinnarono nel suo cervello di Chandelure. Per quanto si sforzasse, il modo in
cui ciò costituisse una “flagrante falla” sfuggiva alla sua comprensione. « Che
stai dicendo? ».
«
Ti parlo da un meraviglioso impianto stereo a cinque canali in una
elegante casa di Altoripoli. Non sapevo come trovarti, e questo mi è sembrato il
modo migliore! ».
La Fiamma socchiuse gli occhi in
un ghigno perverso « Grazie dell’informazione ».
«
Dovere, signora. Che dici, vieni a vedere Breaking Bad con me? ».
« Perché vedi, c’è qualcosa che
non sai sul Mondo dei Morti, da dove vengo io: è fondamentalmente buio ».
Ridi finche puoi, pensò mentre
riapriva gli occhi ardenti « Il che vuol dire che sono molto brava a distinguere
i suoni! ».
Localizzata l’origine nella zona
meridionale di Altoripoli si slanciò nella sua direzione, giungendo divampante
su un piccolo condominio miracolosamente intatto. Fino a quel momento, se non
altro, perché repentinamente scatenò su di esso il folgorante potere di una
Fuocobomba mai tanto sentita come allora. Un’assordante deflagrazione seguì e
una densa colonna di fumo nero si levò dall’edificio. Il timido rumore
tremolante degli altoparlanti si interruppe, evidenza del fatto che non aveva
mancato il bersaglio, e la mittente non trattenne un’esultazione. Mai mettersi
contro la Fiamma––
«
Cavolo, che esplosione! Dritta nelle mie trombe di Eustachio! ».
Chandelure si voltò incredula,
faticando a mascherare un ringhio di nervosismo « Come… ? ».
«
Avrei probabilmente dovuto menzionare il fatto che non ero esattamente
lì, stavo solo usando le casse. Sono in onda sul primo canale, se ti interessa!
».
«
COSA? ».
«
Ti ho detto il punto debole, no? Non avete requisito i televisori. Mi
sono introdotto in ogni schermo di Altoripoli, e tu non hai modo di
rintracciarmi ».
« I televisori sono spenti,
Bellocchio » ribatté la Fiamma, riacquisendo quantomeno una frazione
dell’autocontrollo perso « Se sei tu che li accendi vuol dire che ti trovi nei
paraggi ».
«
Ben arguito, ben arguito. Ma qui viene la parte che preferisco, vedi…
Sai cosa sto usando per accenderli? ».
« Le mani? ».
«
Il P5S! » esclamò Bellocchio. La sua antagonista non aveva mai
immaginato che un Chandelure potesse rabbrividire, ma negli attimi successivi
ebbe la prova che ciò era possibile. «
Bella sorpresa, vero? Abbassando l’intensità dell’onda superconduttiva montata
da voi posso riattivare gli apparecchi che voglio ».
Il silenzio che derivò da quella
rivelazione fu stupefacente per tutti, poiché era forse il primo reale istante
di quiete da quando l’invasione era cominciata. I bombardamenti erano cessati e
gli stessi soldati dell’esercito assistevano con sbalordimento a ciò che stava
avvenendo. « Che c’è, non parli? Ah,
scusa, non ti ho ringraziato! ».
La Fiamma Cremisi tacque ancora
per poco, perché poi si profuse in una risata che tradiva tuttavia un velo di
isterismo « Il fatto che usi il P5S non ti aiuta minimamente, Bellocchio!
Ricorda che noi lo abbiamo
programmato, e so benissimo che il suo raggio di azione è di un chilometro
scarso! Dovrei essere io a ringraziarti, mi hai appena confermato la regione in
cui ti trovi! ».
«
Kalos, credo! » la sbeffeggiò lui «
Però, ecco, credo che tu abbia trascurato un piccolo dettaglio ».
« Cioè? ».
«
LE ONDE POSSONO ESSERE AMPLIFICATE!
».
Bellocchio, chiuso in una camera
priva di finestre, provò a immaginare l’espressione della Fiamma in quel
momento. E qualunque fosse sarebbe stata pienamente giustificata: quell’ultima
frase le era giunta in polifonia da tutta Altoripoli. Ogni casa della cittadina
stava trasmettendo il suo messaggio. «
Sorpresa? » la canzonò parlando nel microfono del P5S «
Dovresti sapere che ogni televisore ha un’antenna, no? Ogni volta che
l’onda di induzione ne colpisce uno lo rende contemporaneamente un ripetitore
che la invia ad altri. Effetto ragnatela, si può dire? ».
Chandelure sentì bruciare dentro
di sé il disonore, una sensazione che aveva provato solo alla Maison Darbois nel
corso della sua vita. E la circostanza era molto simile: non solo la stava
sconfiggendo, ma lo stava facendo prostrandola.
«
Beh, che hai intenzione di fare? Bombardare tutta la città? ».
«
FORSE È QUELLO CHE FARÒ! » ruggì con tutta l’energia che aveva in corpo «
A tutti i Rotom, priorità massima: aprite il fuoco. Voglio che ogni casa che
produce questa voce ributtante venga rasa
al suolo! ». I boati provocati dalle detonazioni si moltiplicarono,
trasformando l’intera collina su cui Altoripoli era costruita in un massiccio
campo di battaglia, ancor più critico della situazione già non idilliaca che lo
precedeva. Eppure, nonostante il trambusto continuo che avrebbe assordato
chiunque, riusciva ancora a udire un verso mai così indisponente: Bellocchio
sghignazzava.
«
CHE COSA RIDI? LI UCCIDERÒ TUTTI!
».
« Credi davvero che chi è ancora
vivo se ne stia in casa? » controbatté lui, per nulla intimidito da quella
dimostrazione di forza « Rido perché sei come me ».
« Cosa? ».
« Ho passato le ultime cinque ore
a chiedermi che cosa fossi, ma finalmente ci sono arrivato.
IO –– SONO
––».
Si interruppe, e la Fiamma pensò
per un istante che uno degli attacchi che le milizie scagliavano al suolo lo
avesse colto. La sue speranze furono però infrante in un battito di ciglia. «
… un Pokémon! ».
Quella frase
stordì Chandelure. Non aveva seguito sempre i suoi ragionamenti in quegli ultimi
minuti, ma quell’assurdità era troppo anche per uno come lui.
«
Un Pokémon che viene catturato! »
proseguì Bellocchio, e dal suo nascondiglio prese tra le mani l’opuscolo
pubblicitario trovato nel suo taccuino. Si era ritenuto un caso unico, e ciò
l’aveva quasi stroncato, ma ora sapeva di non esserlo. I Pokémon erano
sottoposti a riscrittura sinaptica, perdendo effettivamente i ricordi attivi
alla cattura. Aveva cercato di trovare un paragone, e l’aveva sempre avuto sotto
al naso. « Ogni giorno ricomincio da zero,
imparando di nuovo la mia storia e mantenendo le memorie pregresse. E vivo alla
giornata, senza preoccuparmi di ciò che sono stato e di ciò che sarò »
spiegò alla sua avversaria, ma non c’era traccia di tristezza nelle sue parole.
In fondo, se Nephtys riusciva a conviverci perché non avrebbe dovuto farlo lui?
« Sono un Pokémon, e va bene così! ».
«
Che cosa stai blaterando? ».
«
Allora, cara la mia Dama » riprese
l’uomo con tono di sfida « Sei pronta a
vedere la tua invasione crollare come un castello di carte? Kalos non cadrà
».
La Fiamma
ridacchiò, genuinamente divertita da quello che doveva essere evidentemente un
bluff, oppure pazzia indotta. « E chi lo impedirà? ».
«
Io, ovviamente ».
Ovviamente, ripeté tra sé e sé lo
spettro. Nonostante le persistenti esplosioni la voce di quell’arrogante
individuo non sembrava calare di intensità, il che significava che non avevano
distrutto che una frazione degli impianti stereo di Altoripoli. « Un uomo in
cappotto contro un esercito di Rotom. Immagino farai molto da solo ».
«
Da solo? ».
Un suono si
fece strada nell’aria. Era qualcosa di meccanico, innaturale, eppure stranamente
familiare. La Fiamma Cremisi si voltò, cercando di capire che cosa fosse, e uno
spettacolo maestoso si parò di fronte ai suoi occhi: un’inferriata di fasci di
luce scarlatta diretti al cielo aveva circondato i quattro edifici dell’Antenna
come una gabbia. Erano estremamente fitti, si sarebbe detto migliaia. « E questo
cosa sarebbe? ».
«
Te l’ho detto, sei come me: hai mancato la
questione più ovvia. Come faccio a essere in onda? ».
Chandelure
raggelò, un fatto inusuale per un candeliere. Adesso, a disfatta, iniziava a
percepire uno a uno tutti gli errori che aveva commesso, come tanti guerrieri in
riga che la deridevano. « Che… ».
«
I miei amici sono al lavoro proprio
all’Antenna. Serena si è occupata di mandarmi in televisione mentre una squadra
scelta di scienziati Flare sta preparando la vostra disfatta » spiegò
Bellocchio, avvicinando la bocca al P5S per assicurarsi di essere ben udito «
Un lampo di corrente indotta che fulminerà
tutti i Rotom in simultanea. Un nuovo sole ». Si concesse una pausa per
assaporare il momento, poi soggiunse sprezzante «
E tu per stanarmi hai chiamato tutti i tuoi soldatini, compresi quelli a
guardia dell’edificio ».
«
INTERROMPETE I BOMBARDAMENTI! » ordinò la
Fiamma in preda al panico « TORNATE SUBITO
ALL’ANTENNA! DISTRUGGETELA SE NECESSARIO!
».
«
È tutto inutile ».
Per quanto
detestasse accettare che avesse ragione, in quel caso non poteva contestare:
tutti i Rotom che si scagliavano contro quella prigione rosseggiante
rimbalzavano all’indietro, e neppure gli attacchi erano in grado di scalfirla. «
CHE COS’HAI FATTO? ».
«
Raggi repulsivi di Poké Ball. Lanciati al
cielo che vi respingono, perché non riconoscono il vostro codice sinaptico. Sono
pura energia, non potete infrangerli in alcun modo ». Bellocchio ripensò a
Ginger, ora sperabilmente impegnata a fare la sua parte. In fondo l’idea era
sua, anche se forse non lo sapeva: era stata lei a utilizzare la stessa tecnica
per salvarli dalla collisione con un Rotom durante l’inseguimento con il finto
Cornelius. Anche il suo caro spettro era con lui sotto le sembianze di Cornelius
il pirata, avrebbe dovuto capire al volo.
E in effetti
la diretta interessata aveva compreso il metodo, ma non l’applicazione: erano
troppi. « Non avresti potuto attivarne
così tanti senza essere notato. Tu non… ».
«
Serena aveva anche un altro compito oltre
a mandarmi in diretta televisiva, mia cara. Mentre giocavamo con te a nascondino
un altro messaggio veniva inviato dall’Antenna. Un messaggio di raccolta per
tutti gli altoripolesi, una chiamata alle armi ».
Chandelure
ammutolì. Proprio sotto al suo naso aveva radunato i cittadini istruendoli
perché difendessero l’Antenna? No. No, era impossibile. « Le televisioni erano
tutte–– ».
«
Via radio, Dama » la corresse il
giovane « Ho usato lo stesso meccanismo in
parallelo, ma molto più silenziosamente. Non te ne sei accorta, vero? Troppo
impegnata a darmi la caccia per renderti conto che Kalos insorgeva contro di voi
». A rifletterci si poteva trovare anche un significato più mondano a ciò che si
era verificato: la televisione aveva in generale soppiantato la radio in ogni
casa, ma nel momento di crisi era stata la seconda a salvare la regione.
Interessante, come sviluppo. Anzi,
intrigante.
« Contatto! »
esclamò Terence arretrando dopo aver attivato l’interruttore del commutatore di
segnale « Inverti la corrente! ».
Kibwe,
nonostante la sua mole non gli garantisse una particolare agilità, ribaltò la
coppia di cavi infilati nel processore amministrativo con sorprendente rapidità.
« Fatto! ».
« Sandy, cosa
dice il multimetro? » domandò Ginger, gli occhi fissi sul display del P5S. La
Cabina di Controllo, anfratto inerpicato sulla sommità del secondo edificio
dell’Antenna, era stato abbandonato dai Rotom di pattuglia da un tempo
relativamente breve, e ora loro quattro erano gli unici esseri viventi a
risiedervi.
« Parametri in
regola! ».
La donna
inspirò profondamente e rilesse un’ultima volta la stringa di comando che aveva
digitato dieci minuti prima e ricontrollato almeno venti volte, dopodiché la
inviò con una singola pressione sul touch
screen. Arretrò per osservare il lavoro nell’insieme, e altrettanto fecero i
suoi colleghi. « O la va o la spacca » commentò, e per un attimo non accadde
nulla.
Poi il nuovo
sole si accese. Un lampo di luce bianca celò alla vista abbagliata dei presenti
persino le inferriate fiammanti che avevano circondato la struttura. Nessuno di
loro poté ammirare lo spettacolo allestito, ma a chi si fosse trovato
sufficientemente in alto sarebbe apparsa una circonferenza luminosa che si
estendeva lentamente su tutta la regione. Nessun ferito, al contrario di ciò che
la loro Arma avrebbe provocato. Solo una vittoria indiscutibile, una che
raramente era possibile sperimentare nel mondo reale. Pareva uscita da una
storia di fantasia, una di quelle in cui gli eroi miracolosamente perdurano
contro ogni avversità e trionfano sulle forze del male, lasciando che la pace si
riappropri del mondo.
Serena,
asserragliata qualche piano più in basso nel deserto Studio Più, era rimasta
accecata dal fulgore dipanatosi e ancora la sua visione era inquinata da macchie
multicolore sulle retine. Oltre a ciò provava anche una sensazione che aveva
conosciuto solo in un giovedì nebbioso a Castel Vanità: era mezza sorda. La
causa le fu presto chiara: dall’esterno provenivano grida inconsulte da parte
dei Rotom fulminati all’interno degli elettrodomestici, ma già nella stanza in
cui si trovava lei erano presenti i quattro spettri addormentati che avevano
subito nel sonno l’influenza dell’Antenna. Come avevano previsto quei Pokémon
non erano in grado di abitare apparecchi attivi, e la corrente indotta al loro
interno era stata sufficiente per ucciderli di dolore. Esattamente ciò che era
successo al loro commilitone nel televisore quando Jolteon lo aveva attaccato.
Si affacciò
alla finestra, premendo le mani contro il vetro mentre le ultime luci prodotte
dai rimasugli dell’esercito appassivano fino a spegnersi in un singolo fotone.
La gabbia rossa intorno alla costruzione fece lo stesso, e mentre un fastidioso
odoraccio di filamenti bruciati inaspriva la sala la quiete calò nuovamente.
Quasi.
Ho incontrato te
su questo grande pianeta
Un attimo e c’è
prezioso incontro di vita
Serena
stentava a crederci, eppure era sotto i suoi stessi occhi: stavano cantando. Non
solo i solerti paladini della regione che erano accorsi per proteggere
l’Antenna, ma tutta Altoripoli stava intonando
Miracolo.
Miracolo è già
d’eterna immensità
Trovo te, trovi me
ha dell’incredibile!
Una lacrima
scese dalle palpebre della ragazza rigandole la guancia. Man mano che i versi
proseguivano sempre più voci si univano al coro, e a questo punto aveva pochi
dubbi: cantavano ovunque, non solo lì. Avevano vinto. Non solo Bellocchio, non
solo lei, non solo la Seconda Unità: avevano vinto tutti. Kalos era uscita
indenne e compatta dalla sua ora più buia. E ora, giustamente, celebrava.
La Fiamma
Cremisi si accasciò sull’asfalto, esausta. Intorno a lei, sotto le vampate di un
fuoco ormai prossimo all’estinzione, dozzine di carcasse di Rotom popolavano la
strada in cui era riversa. Anche lei, presto, non sarebbe stata altro che un
candeliere in disuso. Lo sentiva.
Nel tempo di
questa vita mia
incontro la tua…
Un miracolo è già!
Alzò lo
sguardo, intravedendo un uomo in cappotto nero con la manica sinistra lacerata
che avanzava verso di lei. La sua andatura era lenta e cadenzata, a ritmo con
l’orrendo inno che i sopravvissuti stavano cantando e in contrasto con il passo
svelto che aveva esibito alla Maison Darbois. Il volto segnato dalla battaglia
però non lasciava adito a dubbi: era Bellocchio.
« Come… »
mormorò senza trovare le forze per affrontarlo a testa alta « Com’è possibile
che non ti abbiano trovato… ».
« Non te l’ho
detto? Sono molto bravo a travestirmi » replicò il giovane, ma pur trattandosi
di una frase inerentemente canzonatoria il suo tono non trasudava il minimo
divertimento. La squadrò dall’alto in basso, appurando che almeno in apparenza
sembrava inerme. « Vorresti uccidermi? ».
« Dovrei,
vero? » ribatté la Fiamma caricando ogni parola di un risentimento inaudito. Per
un attimo parve volesse attaccare, poi rinunciò. « Non servirebbe ».
« Perché? ».
Nel tempo di
questa vita mia
incontro la tua…
Un miracolo è già!
Finalmente la
sgradevole melodia si concluse, concedendo allo spettro la pietà che si osserva
per lo sconfitto. « Li hai uccisi tutti. Centinaia di migliaia di Rotom sono
morti ».
« Volevano
invadere Kalos ».
« Oh, per
favore, quanto sei stupido! » proruppe la Fiamma sdegnosa « Pensi che avessero
una scelta? ». In un guizzo di vitalità soggiunse « Non avevano idea di cosa
stessero facendo. Hai sterminato degli innocenti ».
Bellocchio la
osservò. Per un attimo l’ipotesi che avesse ragione lo sfiorò, ma la scacciò
rapidamente dalla mente. « Stai mentendo ».
La successiva
risata di Chandelure fu un misto di boria e tormento. « A che pro? Il mio tempo
è quasi scaduto ».
L’uomo la
esaminò più attentamente. Il suo respiro era debole, e ogni parola che
articolava sembrava pugnalarla per la fatica che vi profondeva. Eppure il nuovo
sole non avrebbe dovuto avere alcun effetto su di lei. « Cosa dici? ».
« Credi che mi
perdonerà? » lo interrogò, ma lo sbuffo sarcastico che seguì confermò che non
era altro che una domanda retorica « Sono spacciata, Bellocchio ».
La
rassegnazione dell’ultima frase era completa, e lo evidenziava il fatto che
avesse impiegato per la prima volta quel nome. «
Chi non ti perdonerà? ».
« No, no, non
sono pronta! » gridò lei angosciata, conscia che se fosse stata in grado di
piangere probabilmente ora l’avrebbe fatto «
Non sono ancora pronta! ».
Bellocchio si
affrettò a chinarsi accanto a lei. Era incerto su cosa dire, perciò decise di
affidarsi all’istinto mentre si chiarificava cosa stesse avvenendo: qualcuno la
stava uccidendo. « Io ti posso
salvare, lo giuro. Ma devi dirmi chi.
Chi c’è a capo di tutto questo? ».
« Bellocchio…
Vecchio mio… » lamentò con un filo di voce la Fiamma Cremisi, guardandolo dritto
nelle pupille. La sua espressione si impregnò di disprezzo nel giro di un
istante, e con le energie rimanenti sibilò « Morirei piuttosto che aiutarti ».
La bocca
dell’uomo si socchiuse. Avrebbe voluto parlare, ma lei non glielo avrebbe
permesso. Le ultime parole prima della fine sarebbero state sue. E furono le più
spietate che proferì mai, sature di tutto il rancore che provava nei suoi
confronti. Che aveva sempre provato
nei suoi confronti.
«
Ti odio » sussurrò. I suoi bracci
color pegola si ammorbidirono e caddero a terra con un tonfo, lasciando che le
ormai smorzate lingue di fuoco su di essi si spegnessero. Trascorse qualche
secondo soltanto prima che la medesima sorte spettasse alla perenne vampa
cromatica incastonata nel globo di vetro che aveva funto da cranio per la
Fiamma.
“Vedi,
vecchio mio, il punto forte degli spettri è che non muoiono”, aveva detto nemmeno un’ora prima. Quanto si era
sbagliata.
Le onde del
mare erano rilassanti. Lo schema metodico con cui si riversavano sulla sabbia
oscura della spiaggia, protraendosi e poi ritirandosi timidamente all’interno
del flutto successivo, era quasi l’emblema della ciclicità dell’universo.
Bellocchio
stirò obliquamente la bocca in una smorfia, passandosi la mano sul tessuto del
nuovo cappotto scuro che indossava – avendo sostituito quello precedente, monco
della manica sinistra. Che discorso sgraziato, che discorso scientifico. Anche
nella mente di uno come lui, con esperienza pressoché nulla di ciò che potesse o
meno definirsi poetico, un ragionamento simile strideva sgradevole. Lui amava il
mare perché ora, rimirando l’indistinguibile orizzonte perso nella flebile luce
offerta dal cosmo, poteva quasi perdersi immaginando impossibili avventure.
L’oceano lo commuoveva, in un certo senso. Gli faceva sperimentare una
sensazione che il suo taccuino avrebbe definito
malinconia. No, che lui
avrebbe definito malinconia.
Si inoltrò tra
i fini granuli che scivolavano sotto i suoi pesanti passi, lanciando un’occhiata
al devoto orologio da polso. Tre minuti alle due di notte, e per proprietà
transitiva all’incontro con il misterioso individuo. Quando aveva concordato con
lui l’orario aveva tante domande da chiedere, ma ora non era più certo di volere
le risposte. Non gli interessavano, sapeva chi era. Sapeva
cosa era.
D’un tratto
udì un rumore provenire da poco distante, e nell’istante che seguì scorse una
silhouette che si muoveva ondeggiante tra le ombre. In una mossa fulminea sfilò
il P5S usato per ingannare la Dama – di cui ormai si era illegittimamente
appropriato – e ne attivò l’applicazione per renderlo una precaria torcia. Il
fascio prodotto dal flash primario andò a incontrare la sagoma affusolata di una
donna in bianco dai capelli ricci e rossi, la quale d’istinto alzò un braccio
per coprirsi gli occhi.
« Anche tu qui
» disse abbassando lo smartphone dopo aver disattivato l’illuminazione. Pur
essendo sostanzialmente buio, l’irradiazione fornita dal firmamento era
sufficiente a distinguere i connotati generici una volta identificati.
« A quanto
pare… » commentò Ginger con un sorriso sbilenco « Aspetto qualcuno ».
Ma pensa, fu la prima reazione di
Bellocchio alla notizia. Immediatamente dopo, tuttavia, quelle parole
innescarono quel grande faro di nome
coincidenza nella testa del giovane. Un secondo “ma
pensa” gli ronzò nella testa, tuttavia questa volta la sorpresa aveva ceduto
il passo al sospetto. « Per caso un vecchio alto dai capelli lunghi? ».
L’espressione
sul volto della donna legittimò la sua diffidenza « Come lo sai? ».
« Perché sono
qui per la stessa ragione ».
Ginger lo
squadrò con uno sguardo interrogativo. Stava dicendo che erano lì perché
invitati dalla stessa persona? Non ne
vedeva la ragione. L’unica eventualità plausibile è che volesse parlare loro in
contemporanea, ma allora non capiva i motivi di quell’atmosfera di segretezza. I
suoi occhi si posarono sull’apparecchio avviluppato tra le dita del suo
interlocutore. « Quello è un P5S? ».
Bellocchio lo
osservò a sua volta, come volesse essere certo dell’oggetto del dialogo. « Sì ».
« Dammi qua ».
Per come lo
afferrò si sarebbe detto che glielo avrebbe strappato di mano se il suo
possessore non avesse acconsentito all’istante. Estrasse dalla tasca un
cacciavite dalla base arancione e si lasciò cadere sulla sabbia, iniziando ad
armeggiare con lo scomparto posteriore del telefono fino a rimuoverlo.
Bellocchio le
si sedette accanto, tornando a contemplare il panorama in cui si era immerso in
attesa dell’incontro prefissato. Anche i pochi, deboli incendi residui che aveva
notato in precedenza adesso erano stati definitivamente spenti, sancendo la fine
della lunga invasione. La quiete che ora regnava sovrana sarebbe stata
impensabile solo qualche ora prima, eppure adesso sembrava talmente inscalfibile
da apparire eterna. L’avevano considerata ovvia, scontata per molto tempo,
eppure non era così. Persino l’immutabile ciclo delle onde può trasformarsi in
un maremoto inarrestabile.
« Lo conoscevi
prima? L’uomo, dico ».
Ginger scosse
il capo, senza tuttavia distrarsi dal suo lavoro « Prima di oggi l’avevo visto
una volta sola. Appena uscita dall’Antenna si è avvicinato e mi ha detto che
aveva qualcosa di importante da dirmi. Però non poteva dirla subito, e avrei
dovuto incontrarlo ora ».
L’uomo annuì
sovrappensiero. In un certo senso una parte di sé si aspettava una replica
simile, perché quella situazione era quasi totalmente analoga a come
lui era venuto in contatto con il loro
comune amico. Adesso era assolutamente convinto che non si trattasse di
casualità.
« Sai che
cos’è? » domandò la donna d’un tratto, agitandogli sotto il naso un microscopico
cilindro metallico che doveva avere sradicato dall’interno del cellulare.
« Non un
biscotto, immagino ».
« È un diodo
di polarizzazione, quello che innescava le onde superconduttive. Kibwe ha
analizzato il P5S di Terry e ha scoperto che, rimuovendo questo, è in tutto e
per tutto uno smartphone regolare ». Impresse una traiettoria arcuata
all’oggetto, facendolo atterrare dritto tra le mani di Bellocchio mentre lei con
destrezza ricollocava il giravite nella tasca interna della sua uniforme
imbrattata « Come nuovo ».
L’uomo esaminò
il risultato con meraviglia « Grazie… Certo che ci sai fare, con la tecnologia
».
« Buttare
sette anni su ingegneria ha qualche vantaggio » sorrise lei. In quell’istante si
accorse che il giovane la stava osservando insistentemente da qualche minuto,
come se stesse cercando qualcosa nella sua persona senza riuscire a trovarla. La
sua espressione mutò impercettibilmente verso un crescente imbarazzo « Che c’è?
».
« Nulla, è
che… Mi sembra di averti già vista, la tua faccia mi ricorda qualcosa. Il che è
strano, per me » soggiunse alla fine della frase, pur sapendo che tale appendice
avrebbe comunicato poco a orecchie diverse dalle sue.
Ginger
ricambiò lo sguardo indagatore, poiché come spesso succede certi particolari si
evidenziano solo dopo essere stati menzionati. Anche a lei pareva di aver già
incrociato quel volto, quei lineamenti. « Ora che mi ci–– » cominciò, poi si
interruppe colta da un’illuminazione «
Borgo Bozzetto! ».
Il giovane la
scrutò disorientato, ma nel frattempo l’ingegnera aveva già messo mano alla
cintura per recuperare una Mega Ball celeste usurata dal tempo, a prima vista
simile a quella di Faraday. Con un guizzo la lanciò in aria, lasciando che una
sagoma luminosa ne fuoriuscisse per adagiarsi sulla morbida sabbia con le sei
sottili zampe da insetto. I suoi occhi compositi erano tinti di sfumature
scarlatte e le lunghe ali da libellula vibravano debolmente, producendo un lieve
ronzio di sottofondo.
Bellocchio
ammutolì, e mentre osservava quella figura tanto familiare intuì ciò che Ginger
aveva compreso appena prima: lei era l’Allenatrice in bianco. Colei che aveva
incontrato nel paesello di Serena in quel fatidico ventun marzo, colei con cui
aveva effettuato lo scambio da cui aveva guadagnato Karen. E di fronte a lei ora
si trovava Sheila, la sua fedele Yanmega dei tempi andati.
« Quanto
tempo! » esclamò ricolmo di gioia correndo incontro al Pokémon per abbracciarlo.
Che lui sapesse i coleotteri non erano soliti fare le fusa, ma il verso che la
sua vecchia amica stava emettendo era tanto simile da potersi considerare
l’eccezione alla regola. Mentre ancora la stringeva a sé con la coda dell’occhio
si rivolse a Ginger, che non aveva distolto gli occhi da loro due. « Come ve la
passate? ».
« Oh, bene.
Anche se ho sempre avuto l’impressione che avesse uno spirito avventuroso. Ora
che ti conosco capisco anche perché » rispose lei. Gli angoli della sua bocca si
incresparono in un sorriso triste. Non c’era alcun dubbio che quella coppia
avesse un affiatamento fuori dal comune, era sufficiente osservarli per
coglierlo al volo. Non era in grado di definire l’emozione che provava in quel
momento, ma si sarebbe detto quasi senso di colpa per avere inconsapevolmente
sciolto una simile amicizia. « Se vuoi puoi riaverla ».
« No, no »
rigettò rapidamente l’uomo « Abbiamo fatto il nostro tempo. Ce la siamo
spassata. Ma è giusto che ognuno vada per la sua strada ». Lui ormai aveva
Nephtys che poteva svolgere egregiamente il ruolo di gallinaceo svolazzante; ma
soprattutto, anche se difficilmente lo avrebbe ammesso con piena coscienza,
Sheila avrebbe condotto una vita più sana senza di lui. Dopotutto l’ultima volta
la poveretta aveva dovuto incassare le fiamme di un Houndoom per proteggerlo,
nonché trasportarlo fino a terra. Di certo non era una buona influenza. La sua
mente vagò, tornando agli avvenimenti di quell’equinozio di primavera. « Quindi
sei stata tu a darmi Ralts ».
« In persona
».
Bellocchio si
alzò in piedi, non riuscendo più a sopportare il dolore alle rotule che la sua
postura corrente gli provocava. Non era uno sedentario, questo era assodato. «
Che cos’era la pietra che mi hai dato? ».
« La pietra?
».
« Con Ralts mi
hai offerto anche una pietra rosa. Ha anche… delle tinte arcobaleno » rammentò
l’uomo dopo una breve pausa.
« Ah, giusto…
» annuì Ginger, tornando col pensiero al tempo di cui stavano discutendo « Non
ho idea di cosa fosse. Quello là mi ha suggerito di offrirtela ».
«
Quello là? ».
« Ralts non
era mio » chiarificò la donna. « Ero al Borgo per dei rilevamenti e quell’uomo
mi ha avvicinata. Il vecchio dai capelli lunghi di cui parlavamo » aggiunse poi
« È lì che l’ho incontrato per la prima e unica volta fino a oggi. Mi ha
regalato Pokémon e pietra, poi ti ha indicato mentre passavi per una delle
strade e mi ha detto di offrirli a te per uno scambio. Onestamente non sapevo
cosa pensare, credevo fosse una specie di regolamento di conti. Alla fine non ci
avrei perso niente, quindi ho accettato ».
Bellocchio
sussultò. La vicenda assumeva connotati sempre più foschi a ogni parola a
riguardo che veniva proferita: chiunque fosse quell’individuo aveva
indirettamente procurato a Serena l’enigmatica gemma che aveva loro salvato la
vita in due distinte occasioni – e stando alle parole di Saul McGill, anch’essa
come i frammenti di cui lui era in possesso doveva essere collegata alla
Meridiana di Fluxopoli. Inoltre, anche se non poteva esserne certo, sospettava
che sempre l’ignoto benefattore avesse introdotto il P5S nella tasca del suo
cappotto perché lo trovasse e potesse salvare Kalos.
Cosa ancor più
preoccupante, il vecchio sapeva chi era.
Era stata la prima faccia che aveva visto dopo il tramonto, ed era stato lui a
passargli le informazioni di base per sopravvivere finché non avesse ritrovato
Serena. E, dulcis in fundo, aveva per
qualche ragione arrangiato l’incontro con Ginger che si stava svolgendo, dato
che ormai poteva asserire con pochi dubbi che non si sarebbe presentato
all’appuntamento. Aveva giocato un ruolo determinante nella sua vita recente, e
non
aveva idea di chi fosse.
L’ingegnera
parve quasi leggere i suoi pensieri, poiché dal basso verso l’alto gli domandò «
Quindi non lo conoscevi? ».
« Non lo so »
rispose lui mangiucchiandosi l’unghia del pollice « È una lunga storia ».
« Come quella
del nome? » gli domandò lei con un tono sottilmente canzonatorio.
« Il nome? ».
« Quando il
pirata e i Rotom ci minacciavano hai detto qualcosa sul tuo nome, su come li
avrebbe fermati » spiegò Ginger.
L’uomo
comprese e assentì con un cenno del capo. « Bellocchio non è il mio vero nome »
disse, e ignorando l’espressione da “ma
non mi dire” della sua interlocutrice proseguì « Quello vero è legato a un
avvenimento importante che coinvolse tempo fa tutti gli spettri che ho
incontrato finora. Di solito mi basta rivelarglielo per farli fuggire
terrorizzati ».
« Che
avvenimento? ».
Bellocchio
indugiò. « Non posso dirtelo » rispose, ma in realtà era un’evidente bugia. La
realtà era che non ne aveva idea, perché sul taccuino
non era scritto. Era una delle prime notizie fornite da esso, ma
nessuna giustificazione era data. « Ma è stato qualcosa di brutto, di molto
brutto. Mi odiano. La Dama Cremisi… ».
Si interruppe
nuovamente. Le sue ultime, rappresentative parole prima di morire erano state
ti odio. Pronunciate con uno spregio,
un rancore tale che forse lui stesso non voleva sapere cosa gli avesse
guadagnato una tale reputazione negativa. Qualsiasi cosa avesse fatto, l’idea
che bastasse identificarsi come l’autore – senza tra l’altro provvedere prove
tangibili – per metterla in fuga lo faceva rabbrividire.
E oltre a
tutto ciò, adesso che la sua vecchia avversaria aveva lasciato il loro mondo non
avrebbe mai saputo perché avesse tenuto sotto controllo Serena dalla Maison
Darbois. Anche se, considerando che aveva preferito perire che farsi aiutare da
lui, difficilmente glielo avrebbe estorto in qualunque caso. Però non era stata
una sua idea, di questo era sicuro: qualcun altro l’aveva messa lì. Forse lo
stesso che l’aveva assassinata qualche ora prima.
«
Are you hanging up a stocking on your
wall… ».
La suoneria
del PSS di Ginger – o meglio del suo sostituto rimediato tra le riserve rimaste
invendute – risultò rintronante nella quiete che aveva regnato fino all’istante
prima, ma l’ingegnera fu svelta abbastanza da arrestare la canzone al primo
verso e rispondere. La telefonata non durò a lungo, limitandosi perlopiù a
scambi rapidi di monosillabi tra le persone coinvolte; tuttavia Bellocchio
intercettò più di un termine scientifico a lui ignoto, segno che dall’altro capo
si trovava probabilmente il resto della Seconda Unità.
Al termine del
breve dialogo la donna tardò a reagire, contemplando il mare tenebroso quasi
fosse l’ultima volta in cui avrebbe potuto farlo. Dopodiché, senza aprir bocca,
scattò in piedi e iniziò ad allontanarsi verso la collina di Altoripoli.
Bellocchio le
si accodò, cercando di carpirne informazioni « Che succede? ».
« Novità sulle
lettere ».
Le parole
risuonarono vuote nella testa del giovane, certo di non aver udito o letto nulla
che potesse darvi un significato. Era però da tener conto che la sua mente era
impossibilitata a lavorare al meglio a causa degli alti ritmi di cammino
dell’Ufficiale. « Le lettere? ».
« Non le
conosci? » domandò Ginger sorpresa, rallentando il passo perché il suo amico
potesse raggiungerla « Da qualche giorno diverse persone a Kalos sognano due
lettere. Nessuno ricorda il sogno in sé, ma tutti sanno di averle in testa. Ad
Altoripoli c’era una concentrazione anomala di segnalazioni a riguardo, per
questo siamo venuti qui ». Tra una frase e l’altra controllava febbrilmente il
PSS, accertandosi che non vi fossero novità « Sandy ha scoperto da dove venivano
».
« Ovvero? ».
« Radiazioni
sinaptiche, esattamente come quelle prodotte dalle Poké Ball. Lo sappiamo perché
da quando hai organizzato la gabbia attorno all’Antenna si sono intensificate.
Secondo Sandy alcuni riescono ad avvertirle anche da svegli ».
Bellocchio
ricordò l’opuscolo che aveva trovato nel taccuino: le Poké Ball utilizzavano
radiazioni sinaptiche per rabbonire i Pokémon ostili alla cattura. Se in seguito
a una loro attivazione massiccia gli effetti si erano intensificati, la
spiegazione logica era una sola. « Le Ball hanno funto da amplificatore ».
« Esatto »
confermò Ginger « Ora ne basteranno tre sufficientemente lontane per triangolare
il segnale e risalire alla fonte ».
« E che
lettere sono? ».
« Due
consonanti, L e K. Non chiedermi perché quelle, però ». La donna iniziava a
patire lo sforzo che compiva per sollevare i piedi dopo che si infossavano nella
sabbia, ma anziché frenare lo colse come stimolo per aumentare la velocità. Dopo
qualche metro, nondimeno, fu indotta a fermarsi: al suo fianco non c’era più
nessuno.
Si voltò,
trovando che l’uomo accanto a lei fino ad allora si era impalato al suolo,
scrutando l’aria come se avesse intravisto un fantasma. « Tutto bene? » gli
domandò avvicinandosi, approfittando per riprendere fiato.
Bellocchio era
in completa trance. Quelle due lettere… Le conosceva bene, davvero troppo bene.
Le aveva viste due volte in quella giornata. In un’occasione sul foglio che il
vecchio gli aveva fornito appena svegliatosi all’interno dell’Antenna, quello
provvisorio; nella seconda proprio nel suo blocco delle memorie. Sulla prima
pagina.
« LK è il mio
nome ».