PREVIOUSLY ON LKNA: i Rotom
sono stati fermati. La regione di Kalos è stata salvata. Bellocchio ha
riacquistato la sua naturale confidenza. La Fiamma Cremisi è morta. La battaglia
è vinta, ma non la guerra: un silenzioso burattinaio muove i fili dei principali
artefici del trionfo, e nulla è come sembra. Tutto ha un inizio e una fine, ma
la fine non è ancora giunta.
Emma si accarezzò
delicatamente la rotonda pancia gravida che da ormai quattro mesi le affliggeva
la schiena. I suoi occhi balenarono da una fessura all’altra della parete
rocciosa che sorreggeva figurativamente la strumentazione. Gli spigolosi
contorni della pietra furono per un istante offuscati dal fiato che si
condensava appena fuoriuscito dalla bocca, ma ormai era giunta a conoscerli
tanto bene che non faceva alcuna differenza.
Aveva freddo, più di altri
giorni. La caverna in linea di massima non era un luogo temperato, ma la
sensazione che provava in quel momento era diversa. Era come se una stufa si
fosse spenta, come se una sorgente di calore fosse stata recisa. Dal momento
che, eccettuato il generatore a caduta perpetua che avevano assemblato
all’inizio della loro permanenza, le uniche caldaie erano gli esseri umani che
vivevano con lei, quando udì i passi di suo marito non ebbe bisogno di voltarsi
per sapere che le sue mani erano sporche di sangue.
Erano in quattro, all’inizio
di quell’inferno. Dopo la morte di Fred, avvenuta con certezza per uno di loro,
Pierre non aveva quasi chiuso occhio per lo stato di allerta in cui era
precipitato. Sospettava di Alex, ma Emma non aveva voluto credere che la sua
anima gemella si fosse macchiata di un atto simile. Poi erano venute le minacce
notturne, i deliri, il folle desiderio di andarsene a ogni costo. Alla fine
aveva dovuto trattenere a forza le lacrime mentre, presa coscienza del fatto di
aver sposato un mostro, aveva accordato al suo collega il permesso di ucciderlo.
Aveva dato per scontato che, ben piazzato com’era, Pierre non avrebbe
riscontrato problemi nel compiere ciò che andava fatto. Ma aveva sottovalutato
quanto un pazzo come Alex potesse aggrapparsi alla vita.
« Quanto manca? ».
Emma avvertì le proprie forze
lasciarla alla realizzazione che l’uomo che un tempo l’aveva tanto amata ora le
si stesse rivolgendo come si parla a un macellaio. « Poco » singhiozzò,
abbassando lo sguardo all’incubatrice umana in cui il suo futuro figlio riposava
placido. C’era uno specchio da bagno appoggiato sulla scrivania, un’idea di
Pierre per accertarsi di non essere colti alla sprovvista, ma lei non aveva il
coraggio di guardarlo. Voleva ricordare Alex per colui che era, non per ciò in
cui si era trasformato.
« Entra nello Scissore ».
« Per favore–– ».
« Non mi servi cosciente » la
interruppe secco in una ben poco velata minaccia « Mi basti viva ».
« Logan morirà. Morirò io, e
lui con me. Non riuscirai mai a stabilizzarlo » Emma tentò di mantenere un tono
professionale, sperando che ciò potesse convincere suo marito che lei fosse nel
giusto « E lo sai anche tu ».
« Morirà comunque quando le
provviste finiranno ».
« No. No, se noi potessimo––
».
«
Io non morirò qui! » ruggì Alex in un
impeto d’ira « Non dopo tutto quello che ho fatto! Ho ancora troppo da dare alla
scienza, non posso! ».
« Basta, basta, basta! »
esclamò Emma tra le lacrime, stringendosi al ripiano su cui si appoggiava per
non collassare definitivamente « Il Pianeta Nero è finito! Siamo rimasti solo
noi! Ed è di tuo figlio che parliamo! ».
« IO SONO IL PIANETA NERO! »
sbraitò lo scienziato con voce gutturale. Emma non era più nemmeno certa che
fosse lui a parlare. Era l’istinto di sopravvivenza, o forse un disturbo
mentale, ma non certo il logico cervello che era sempre stato il vanto del suo
uomo.
« Ricordati che ti ho amato »
mormorò dopo un lungo silenzio, e quello fu l’ultimo pensiero che le attraversò
la mente prima di essere stordita per non risvegliarsi più.
« LK è il mio
nome ».
Ginger indagò negli occhi
dell’uomo alla ricerca di un lampo che tradisse una spiritosaggine fuori luogo,
ma non ne trovò traccia. « Ma… LK non è un nome, sono due lettere ».
« Dimmi qualcosa che non sappia
già » ribatté asciutto Bellocchio, riprendendo a falciare la sabbia con i piedi
« Stavamo camminando, giusto? ».
La donna gli si accodò, non
interrompendo tuttavia neppure per un istante le sue ponderazioni interiori. «
Ma non… Non ha senso… ».
« Ascolta » si impose il giovane
arrestandosi nuovamente, più che deciso a chiarire la questione prima che si
protraesse troppo a lungo « Non posso spiegartelo ora, ma non ho la minima
certezza che sia il mio nome. Fatto sta che non ha importanza, perché è un nome
collegato a me, e perché a quanto pare tutta Kalos lo sogna di notte. Abbiamo
altre priorità ».
Ginger annuì, e parallelamente il
PSS nella sua mano emise un cinguettio improvviso. Con uno sguardo rapido
l’ingegnera verificò che si trattava di un messaggio inviato da Terence, e una
volta lettolo la sua voce assunse un tono febbricitante. « Hanno localizzato il
segnale. Percorso 8 ».
« Avverto Serena » stabilì
immediatamente Bellocchio.
La sua proposta andò incontro al
consenso indiscusso dell’Ufficiale Flare, ben conscia che visto l’attacco su
larga scala perpetrato quella notte avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto
possibile. « Raggiungo i miei. Ci vediamo all’imbocco tra un quarto d’ora ».
L’edificio che ospitava
l’appartamento di Cornelius, per la sua posizione privilegiata in cima alla
collina, era stato uno dei pochi a sopravvivere alla falange di Rotom destinata
ad Altoripoli. Il tetto non era stato incendiato, le mura non erano state
abbattute e nessuna esplosione ne aveva minato le fondamenta. In mezzo a molti
profughi che avevano affollato i Centri Pokémon, Serena era stata una delle
poche a poter vantare un giaciglio proprio. Bellocchio le aveva telefonato dalla
spiaggia, ma doveva essere immersa nel sonno dal momento che non aveva risposto.
Così, mentre girava la toppa con
il fiato corto per la corsa dal lido all’abitazione, l’uomo vagliò le
possibilità per destarla che risultassero meno inopportune, avendone scartate
circa un terzo quando la serratura scattò. Una volta dentro i suoi occhi non
faticarono nell’adattarsi all’oscurità, dal momento che l’unica luce durante il
viaggio era stata il fioco bagliore dei lampioni cittadini. Ebbe quindi modo di
constatare che la sua cernita si era rivelata superflua: Serena non era lì.
Si aggirò per l’alloggio alla sua
ricerca, avendo cura di non svegliare il proprietario, ma della sua amica non
c’era traccia. Il divano-letto era sfatto, le lenzuola primaverili sgualcite e
tirate da un lato, ma nessuno si trovava sotto o sopra di esse. Bellocchio
rammentò dell’insonnia che la ragazza aveva accusato la notte prima, memore
delle informazioni fornite da Ginger sui sogni infelici di svariati abitanti di
Kalos. Se l’influenza delle lettere si era amplificata come sosteneva, forse
Serena non riuscendo a dormire si era recata a fare due passi. Provò a
telefonarle di nuovo, ma questa volta fu sufficiente un singolo squillo.
Una vibrazione si insinuò nella
stanza, il suono di un oggetto che tremava in una tasca. Gli occhi del giovane
balzarono sulla giacca nera della ragazza, nel cui scomparto esteriore destro il
PSS di lei riceveva inutilmente la chiamata. Sull’indumento, penzolante da un
lato, la cintura con le sfere di Ralts e Bulbasaur.
Serena non era uscita. Era stata
rapita.
Episodio 1x31
Il pianeta
nero
La stazione di Altoripoli non si poteva definire all’avanguardia.
Sostanzialmente era consta di un’unica struttura fatiscente, dalle decorazioni
applicate qualche secolo prima e ormai in larga parte scrostate. La Seconda
Unità Flare era appostata sotto la copertura in cemento che si protendeva dal
basso edificio a ridosso dei binari adagiati sulla ghisa, all’interno della
quale chiazze verdognole di piante parassite si confondevano nella luce
gialliccia dei lampioni. Sandy, in piedi sul ciglio della piattaforma, osservava
in lontananza le linee metalliche su cui scorrevano i treni convergere secondo
le regole prospettiche; non molto lontano Kibwe esaminava con poca attenzione
gli orari segnalati su un manifesto a muro; Ginger e Terence erano posizionati
accanto a lui e da qualche minuto confabulavano animatamente.
« Quindi di base la triangolazione è ottimizzata » concluse il
matematico al termine di una lunga delucidazione. Nella mano destra protratta in
avanti reggeva una Poké Ball dalla copertura scarlatta rimossa, particolare che
ne rivelava la configurazione interna.
« Gran bel lavoro » si congratulò l’ingegnera.
Sandy, udita l’ultima frase dalla distanza, aggiunse con un mezzo
sorriso « Kibwe ha incapsulato al volo una derivata di MyBall per migliorare
l’efficienza computazionale ».
« Non perdi mai tempo per dare il
merito ad altri, vero? » ribatté Terence asciutto.
« Ho solo virtualizzato uno dei
metodi per correggerlo » precisò con modestia Kibwe. Di fatto gli era stato
sufficiente impiegare l’estrapolazione di Richardson per fare scalare l’errore
di troncamento. Questioni da secondo anno di studi, ma nella classe madre non
era presente un metodo simile in quanto, comprensibilmente, una Poké Ball non è
pensata per rintracciare radiazioni sinaptiche.
« Perfetto » commentò Ginger. «
Perfetto, ora… » cercò di proseguire, ma fu interrotta da un rumore di passi
secchi sul terreno. Al lume del fanale issato su uno dei pali si rivelò la
sagoma slanciata di Bellocchio, ancora parzialmente immersa nell’ombra. Forse
anche per questo il suo sguardo appariva più cupo del solito, quasi chiuso
ermeticamente nel buio.
« Ci hai messo più di quanto
pensassi! » fece notare l’Ufficiale, e quelle parole le rammentarono la ragione
per cui l’uomo si era assentato in primo luogo « Dov’è Serena? ».
« L’hanno presa ».
Il silenzio che seguì sarebbe
parso a prima vista imbarazzante, ma era in realtà alquanto diverso. Nessuno dei
presenti provava disagio, semplicemente non avevano idea di come reagire di
fronte a un’affermazione tanto improvvisa e stratificata. Esternare il proprio
dispiacere? Chiedere chiarimenti? Ogni risposta sembrava trascurare una
sfaccettatura della situazione risultando inadeguata. Alla fine fu Ginger a
prendere le redini, come spesso soleva fare.
« Terry… Fai strada » borbottò
sconvolta, facendo cenno agli altri di andarsene e rintracciare il segnale –
un’imposizione a cui i suoi sottoposti obbedirono con gratitudine. Mentre gli
scienziati scivolavano nel lido antistante la stazione e si dirigevano a sud,
lei e il suo amico, se così si poteva definire, si ritrovarono soli accanto alle
taciturne rotaie. « Che vuol dire? ».
« Non è da Cornelius » spiegò
Bellocchio.
« Potrebbe essere uscita… ».
« Le Poké Ball e il PSS erano
ancora lì ». La sua voce usciva rapida e concisa dalla bocca, sottraendo ben
poco spazio al cullante crepitio delle onde. Nel mese che aveva trascorso con la
ragazza non l’aveva mai vista senza. Le sue labbra si dischiusero per un
istante, ma qualsiasi frase volesse pronunciare non vide mai la luce e, non una
parola proferita, si allontanò verso la spiaggia.
Ginger si accodò, fallendo
nell’individuare i suoi colleghi nell’oscurità. Non potevano averli distanziati
di molto, quindi probabilmente erano solo stacanovisticamente taciturni.
Considerando che Sandy e Terry erano a pochi metri, si poteva considerare un
mezzo miracolo. « Ma chi l’ha presa?
».
« L’hai sentita, la Dama Cremisi
» replicò Bellocchio « Parlava di qualcun altro all’opera, qualcuno di più
potente ».
« Teorie? ».
« Zero. Chiunque fosse ha ucciso
la Dama a distanza, e non conosco nessuno in grado di farlo ».
« Perché dai per scontato di
conoscerlo? » chiese Ginger.
Il giovane corrucciò lo sguardo «
Perché sta trasmettendo il mio nome ». I suoi occhi vagarono nello spazio
circostante: avevano varcato i confini di Altoripoli e ora si stavano inoltrando
nella costa del Percorso 8. Alla sinistra, celata nella muraglia litoranea,
probabilmente doveva trovarsi l’uscita della Trait d’Union da cui era transitato
per giungere alla città. Era trascorso poco più di un giorno, ma un giorno era
più di quanto lui fosse in grado di ricordare.
« E poi ha rapito Serena ».
Bellocchio scosse il capo,
riprendendo contatto con la realtà. « Cioè? ».
« Non è una persona importante »
articolò Ginger « Se hanno scelto lei è facile che l’abbiano fatto per arrivare
a te ».
« Vuoi dire che… ».
« … potrebbe essere una trappola,
sì ».
L’uomo deglutì nervosamente. Non
ci aveva pensato, o forse l’aveva fatto e rimosso, ma in tal caso Serena sarebbe
stata rapita per colpa sua. « No, no,
che idea… Avevano accesso facile alla casa di Cornelius, perché non prendere me
direttamente? ».
« Non sto dicendo di sapere la
verità » lo avvertì la donna « Ma non abbassare la guardia ».
In quel momento i restanti membri
dell’Unità tornarono visibili per una combinazione di occhi abituati alla scarsa
illuminazione e riduzione della distanza tra i due gruppi. Terence guidava la
spedizione con la testa china sulla Poké Ball, e dal momento che non sembrava
rallentare non avevano ancora raggiunto il loro obiettivo.
Bellocchio aveva un’ipotesi sul
perché Serena fosse stata presa: la sua amica era più importante di quanto
sembrasse. In fin dei conti la Dama Cremisi l’aveva tenuta sotto osservazione
per conto di qualcuno, anche se non ne sapeva il motivo. « Non lo so ».
« Come? » domandò Ginger colta
alla sprovvista.
« Mi hai chiesto come possa avere
un nome di sole due lettere, e la risposta è che non lo so. È il nome collegato
a ciò che ho fatto agli spettri, ed è tutto ciò che so a riguardo ».
L’ingegnera ridacchiò tra sé e sé
« Ma scusa, non conosci l’origine del tuo stesso nome? ».
« È difficile da spiegare ».
« Con te è sempre difficile,
vero? ».
Seguì qualche minuto di
tranquillità che lasciò l’uomo a ponderare. Non c’era cattiveria nelle parole
dell’Ufficiale, anzi, era una inconsapevolmente lucida analisi sulla sua
condizione attuale. Con lui nulla era mai facile, ma nemmeno
per lui.
Le sue riflessioni furono
interrotte da Terence, che andò loro incontro dopo averli preceduti fino a quel
momento. « Capolinea ».
« Che significa? » lo interpellò
Ginger.
« Significa che ci siamo. Il
massimo della traccia sinaptica è qua ».
La donna si scostò i capelli
rossi dal volto. Afferrò con la mano destra il PSS, attivandone il flash perché
fungesse da torcia, e studiò con esso l’ambiente. Il settore in cui si erano
fermati non aveva nulla di particolare a distinguerlo dal resto del Percorso:
ogni aspetto, dalla scogliera alla sabbia all’oceano stesso, era analogo a ciò
che si sarebbe rinvenuto dieci metri indietro o avanti. « Ma qui non c’è nulla
».
« Non posso migliorare i
risultati senza incorrere in problemi di round-off. Siamo al limite di
risoluzione » la informò Kibwe, ricongiuntosi al gruppo insieme a Sandy.
« Scusate, che cosa stiamo
cercando? » intervenne Bellocchio. La sua ingerenza gli fruttò un’occhiataccia
da parte di Kibwe e Terence, che a quanto pare mostravano poca clemenza per chi
non era al loro livello di esperienza.
« L’origine del segnale, direi,
tipo un’antenna. Considerato la zona possiamo sperare al massimo in una grotta,
però » glossò Ginger perplessa « Terry, sei proprio convinto che questo sia il
massimo? ».
Il matematico si apprestò a
reagire risentito per essere stato messo in discussione, ma Sandy lo anticipò
deviando il discorso « Possiamo usare le foto satellitari e perlustrare la zona
dall’alto ».
« Chiama Sheila ».
La donna si voltò verso
Bellocchio, che non sembrava essere minimamente intimidito dalle attitudini
ostili dei suoi colleghi e aveva pronunciato quelle parole con la massima
sicurezza. « Chi? ».
« La mia Yanmega, falla uscire ».
Ginger la ritenne una richiesta
quantomeno curiosa, ma concluse che non aveva ragione di negargliela e rilasciò
il Pokémon. Il giovane vi si avvicinò e sussurrò qualcosa con un filo di voce
prima di rialzarsi e allontanarsi nuovamente. Il coleottero si levò in volo e,
stabilizzatosi, sembrò fermarsi per fluttuare senza scopo nell’aria.
D’improvviso l’ingegnera avvertì
un attacco di nausea senza che nulla lo avesse preannunciato. Istintivamente
arretrò di un passo, ma appoggiò il piede in maniera scorretta e scivolò sulla
sabbia, salvandosi da una brutta caduta solo grazie al pronto intervento di
Bellocchio che la afferrò tra le braccia. Quest’ultimo con la coda dell’occhio
notò che anche gli altri membri dei Flare stavano patendo effetti simili. « Non
muovetevi » consigliò « Peggiora solo le cose ».
« Che… che cos’è? » balbettò
Terence innervosito.
« Supersuono. Sheila sta usando
onde supersoniche per mappare l’area senza usare la luce » spiegò l’Allenatore
con un sorriso. In quell’istante Yanmega si profuse in un verso d’avviso e il
ritmo del suo battito d’ali aumentò mentre si dirigeva lentamente verso un punto
della cinta rocciosa.
« E ora? » domandò l’Ufficiale.
« Ha trovato qualcosa ».
Bellocchio prese in mano il proprio PSS e, dopo esserlo rigirato tra le dita, ne
attivò l’illuminazione posteriore e si avviò verso la sua vecchia amica. Per sua
fortuna nella parete non mancavano appigli viabili per una scalata e, senza
molti patemi e rimediando solo una debole sfregatura al palmo sinistro, giunse
all’altezza desiderata.
« Che cosa c’è? » gli gridò da
terra Ginger.
L’uomo si concesse qualche
istante per analizzare il luogo individuato: si trattava di una piccola
insenatura nella muraglia, larga appena qualche metro quadro. Era
fondamentalmente spoglia, salvo per un’apertura nella pietra alta un paio di
metri che assorbiva tutta la luce che vi entrava.
Un’antenna o una grotta, aveva
teorizzato la scienziata poco prima. Beh, di certo quella non era un’antenna.
Trasportare i Flare non fu un
problema per Yanmega, il che fu una fortuna poiché, fatta eccezione per Kibwe,
difficilmente sarebbero riusciti a ricalcare il percorso di Bellocchio. La
fedele compagna di avventure dell’uomo si avvicendò poi con un Pokémon più
adatto all’ambiente in cui stavano per inoltrarsi: Faraday, il Jolteon di
Ginger, utile in quanto poteva vantare un Flash di notevole brillanza.
La caverna che avevano rinvenuto
all’interno della scogliera era infatti priva di illuminazione, il che rendeva
impossibile stimarne le dimensioni; tuttavia, a giudicare dal periodo di ritorno
dell’eco, si parlava di almeno decine di chilometri di lunghezza. Le temperature
non erano ostili, in linea con l’esterno se si eccettuavano le correnti d’aria
all’ingresso, e almeno per il momento nessuno era stato attaccato da Pokémon
selvatici di sorta. Per i primi metri il gruppo si era dovuto calare con
attenzione lungo una fiancata scoscesa, ritrovandosi in uno stretto corridoio
ciottoloso. Qui si erano imbattuti nella prima bizzarria del luogo: un grumo di
protuberanze cristalline color latte di impressionanti dimensioni che
connettevano terreno e soffitto della cava. Nessuno dei presenti era un geologo,
di conseguenza la loro natura non era stata identificata, ma Sandy aveva
stabilito che doveva trattarsi di un minerale a reticolo esagonale.
La serie di colonne oblique
proseguiva per l’intera lunghezza dell’androne naturale, al termine del quale il
collo di bottiglia si apriva in un mastodontico secondo ambiente. Se prima il
bagliore di Faraday si perdeva in lontananza, qui non incrociava nulla che non
fosse il terreno sotto i piedi: la stanza era estesa in ogni direzione ed era
impossibile anche solo scorgerne i confini, persino al massimo dello sforzo
della volpe. Fino a quel momento la spedizione era avanzata seguendo indicazioni
forzate, adesso nulla raccomandava la direzione da scegliere.
« Fate attenzione a dove mettete
i piedi » si raccomandò Ginger. Le sue pupille saettavano da un punto all’altro
delle tenebre indefinite, cercando in vano un appiglio orientativo. « Quando si
dice più grande all’interno ».
« Qua dentro prenderà la rete? »
mugugnò Kibwe tra sé e sé.
« Posso verificare » ribatté
prontamente Sandy, imbracciando il suo PSS « Connessione discreta, direi ».
« Puoi cercare qualcosa su grotte
nei paraggi? ».
Ginger si intromise nel dialogo «
Non ti torna qualcosa? ».
L’informatico indicò con un cenno
del capo l’ampia zona vuota che sovrastava le loro teste « Non vediamo il
soffitto. Qua sopra dovrebbe esserci la Trait d’Union, ma se così fosse dovremmo
vedere una parete ».
L’Ufficiale annuì, comprendendo i
dubbi del suo collega, e si rivolse a Terence « Il segnale com’è? ».
L’uomo si era per la verità
scordato del compito che gli era stato assegnato in quella missione. Abbassò gli
occhi sulla Poké Ball in dotazione, dapprima pigramente, poi con un’espressione
che sconfinava nello stupore. La scosse leggermente con un lieve imbarazzo,
quindi confermò la lettura dei dati « Kaputt ».
Ginger inarcò le sopracciglia «
Come? ».
« Non rilevo nulla. La sfera è
del tutto muta ».
« Forse il segnale è schermato
qua dentro » propose Sandy senza distogliere lo sguardo dal display dello
smartphone.
« O forse è troppo forte »
ipotizzò Bellocchio.
« Se stesse saturando il
ricevitore lo sentiremmo » rispose Ginger scettica « Quel segnale invia le
lettere dritte al nostro cervello ».
« Allora forse qualcos’altro lo
sta coprendo ».
« Lascia la scienza agli
scienziati, Archimede » lo zittì sprezzante Terence, il quale diresse poi la
propria attenzione al suo compagno astronomo « Uomo-scimmia, allora? ».
« Escludendo la Trait d’Union e
qualche notizia di frane, non trovo nulla che riguardi questo posto ».
« Una caverna di queste
dimensioni e nessuno la conosce? » commentò l’Ufficiale, sospettosa più di
prima.
« C’è sempre qualcosa da
imparare. Scusa, potresti dire a Faraday di affievolirsi un attimo? Leggere
questo schermo non è facile ». Sandy portò la mano libera alla fronte per
coprire la forte illuminazione del Pokémon elettrico e arretrò di qualche passo.
Effettuò un quarto di giro con l’intenzione di usare la sua stessa ombra per
coprire l’eccesso di luce, ma incespicò sul suo piede e si ritrovò a perdere
l’equilibrio. Solo in quel momento l’anziano uomo di cultura si rese conto di
trovarsi sul ciglio di un precipizio.
Bellocchio fu il primo a
realizzare l’imminente pericolo e il primo a scattare verso il Flare per
aiutarlo, afferrandolo per l’avambraccio destro. Fortunatamente il suo istinto
sembrava abituato a questo genere di reazioni, poiché si posizionò
automaticamente con il busto all’indietro, così da equilibrare le forze in gioco
e rimanere in bilico attorno al perno che erano le sue suole. Un istante più
tardi giunsero in soccorso anche gli altri membri del gruppo, ma l’atletica
muscolatura di Kibwe fu più che sufficiente per riportare tutti e due sul solido
appoggio del terreno roccioso della caverna. L’ambiente si riempì dei respiri
pesanti di tutte le persone coinvolte, in particolare di colui che aveva
rischiato di lasciarci la pelle.
« Oh, mio Dio… » esclamò Sandy
tra un annaspo e l’altro « Non so cosa sia… Un giramento di testa… ».
Bellocchio annuì, cogliendo
quelle parole come la convalida dei suoi sospetti. « Mi spiace, dev’essere stato
un residuo del Supersuono ».
« Ho… » balbettò l’anziano
scrutandosi i palmi delle mani. Li chiuse in sincronia, quasi per assicurarsi di
esserne in grado « Mi dev’essere caduto il PSS lì dentro… Mi spiace… ».
Kibwe gli andò incontro e si
chinò accanto a lui con un duplice obiettivo: rassicurarlo sul fatto che non
fosse colpa sua e allontanarlo al contempo in più possibile dallo strapiombo.
Ginger, di converso, si mosse a piccoli passi in direzione del baratro con la
massima cautela fino a sporgersi appena con gli occhi. « È bello profondo. Devi
ringraziare i riflessi di Bellocchio, o saresti già morto ».
« No, non ancora » ribatté il
salvatore della situazione, deglutendo dopo aver trascorso diverso tempo a
recuperare fiato. Si ripulì sommariamente della polvere calcarea che era finita
sul cappotto, passando poi a esaminare eventuali contusioni sotto il tessuto «
Non abbiamo ancora sentito l’eco ».
Tutti gli astanti, eccezion fatta
per la vittima ancora stordita, strabuzzarono gli occhi. Tra una cosa e l’altra
almeno mezzo minuto era volato via dalla crisi momentanea, eppure non avevano
ancora udito il ritorno del rumore che il PSS sfracellato contro la roccia
avrebbe dovuto provocare.
« Due chilometri e mezzo »
deliberò Terence convinto « Minimo ».
Sandy rabbrividì al pensiero del
rischio che aveva corso. Ancora non si era udito nulla, quindi in un altro
universo avrebbe vissuto quel tempo gridando invano mentre precipitava giù nella
voragine. « Come hai fatto il calcolo così fretta? ».
« Il problema del pozzo era
frequente nelle esercitazioni di Fisica I » spiegò il matematico, ma tutto ciò
che ricevette in risposta furono sguardi confusi. « Quello del sasso che–– ».
« Scusate, possiamo fare un passo
indietro? » lo arrestò Kibwe « Due chilometri e mezzo. Come può essere che
nessuno sappia nulla? ».
« Probabilmente nello stesso modo
in cui nessuno di noi ha notato quel cavo ».
Ginger, e la sua squadra con lei,
rivolsero un’occhiata turbata a Bellocchio, seguendone poi lo sguardo fino a un
angolo di terreno a malapena rischiarato poiché coperto dall’ombra proiettata da
un rilievo roccioso. Era un flebile riflesso giallo acceso che sarebbe sfuggito
a un occhio disattento, ma con la dovuta applicazione rivelava proprio ciò che
pareva un filo elettrico.
L’ingegnera lo approcciò con
cautela, prima con un esame esterno e poi accarezzandolo. Quest’ultima azione,
nella temperatura moderatamente fredda dell’antro, le procurò una piacevole
sensazione di tepore ai polpastrelli. « Passa corrente » dichiarò.
« Ma per favore » bofonchiò
Terence, che in una curiosa reazione mentale aveva contrapposto alle crescenti
meraviglie a cui stava assistendo un rigido blocco sulla fiducia; in parole
povere, non credeva più a nulla.
« Ti dico che è così ».
Lo scettico studioso rifiutò
l’invito susseguente a verificare di persona, ma altrettanto non fece Kibwe.
Questi lo sfiorò a sua volta e non poté negare che l’impressione dell’Ufficiale
era corretta: emetteva calore, quindi veicolava cariche elettriche.
Terence, tuttavia, non pensò
nemmeno per un attimo di rinunciare ai suoi commenti derisori. « In una grotta?
Voglio proprio vedere la presa a cui è attaccato ».
« Ottima proposta » convenne
Ginger « Segui il cavo da quella parte, noi andiamo di qua. Non dovrebbe essere
difficile riunirci, abbiamo una guida ».
«
Cosa? ».
« No, hai ragione, non torneresti
vivo » ritrattò la donna in un secondo momento « Kibwe, vai con lui ».
« Oh, grandioso, il baby-sitter!
Cosa sono, un bambino? » protestò indispettito il matematico.
« Non vuoi veramente che risponda
» ribatté Ginger. Il suo sottoposto cercò di lamentarsi ulteriormente, ma lei si
impose categorica « Non mando qualcuno da solo a esplorare.
Vai ».
Con uno sbuffo la coppia iniziò
ad allontanarsi nel verso indicato, dopo aver richiesto l’intervento
dell’Heliolisk di Terence per provvedere all’illuminazione. L’altro gruppo,
costituito da Bellocchio, Ginger e Sandy, si incamminò in senso opposto, non
perdendo mai di vista la filaccia conduttrice che fungeva da loro ancora di
salvezza.
Proprio l’ultimo dei tre fu il
primo a spezzare il silenzio che era calato dopo la separazione « Tao però ha
ragione. Che cosa sta generando l’elettricità? ».
« Una patata molto grande. Ci
stiamo facendo la domanda sbagliata » replicò Bellocchio. Nel mentre si chinò
sulle ginocchia, proseguendo a un passo che si sarebbe definito d’anatra per le
movenze che assumeva mentre esaminava il cavo. In effetti
esaminare era un termine vagamente riduttivo: si sarebbe detto che
lo stesse annusando.
« “A cosa serve un cavo in una
grotta?” » propose Ginger.
« No, no, nemmeno. Vedete, un
cavo non è esattamente una formazione naturale. Chiunque l’abbia messo era a
conoscenza di una caverna che non compare sulle mappe e non l’ha detto a nessuno
».
« È come vivere un episodio di
Lost » fece notare Sandy.
« Non molto incoraggiante. Anche
se devo ammettere che il finale, con la morte nel laboratorio chimico… ». Il
giovane cessò la sua meticolosa ispezione e alzò gli occhi di fronte a sé. Per
quanto non l’avesse prodotto, le parole successive furono implicitamente
precedute da un fischio di sorpresa « Ma guarda. Questo non è qualcosa che trovi
nella tua caverna-tipo ». I suoi occhi dovevano essere più acuti delle altre due
paia che lo accompagnavano, dal momento che Ginger fu indotta a richiedere a
Faraday una concentrazione maggiore della luce nel luogo desiderato; una volta
compiuto l’ordine il ritrovamento fu visibile a tutti.
Era per molti versi affine a un
bunker d’acciaio di un centinaio di metri quadri, salvo il fatto che sembrava
aver sopportato una guerra nucleare: le pareti erano squarciate da ampie ferite
che offrivano stralci di ombre dell’arredamento interno, che non pareva
passarsela molto meglio. Ciò lasciava intuire che probabilmente doveva trattarsi
di ben più sottili lamiere, certo non un impianto atto a reggere grossi impatti.
La posizione morfologica nella spelonca era quantomeno peculiare: la caverna
andava a convergere in una nicchia nella direzione del fortino e, all’immediata
destra di quest’ultimo, il soffitto roccioso era forato da un’apertura che
proseguiva per chissà quante centinaia di metri sopra di loro.
Il cavo confluiva all’interno
attraverso il telaio sbrindellato, quindi doveva essere stato impiantato dopo
l’evento che aveva ridotto la piccola costruzione in quelle condizioni.
Teoricamente sarebbe stato facile seguire il suo percorso per entrare, ma
Bellocchio non era tipo da violare una proprietà privata e decise di provare
dalla porta principale ancora integra.
« Toc toc » accompagnò a voce il
gesto di bussare, senza ottenere risposta. « Che cosa disse il pupazzo di neve
al suo amico? » riprovò, e quando il secondo tentativo andò a vuoto decise di
provare ad abbassare la gelida maniglia. Non seppe se esserne sorpreso o meno,
ma non era chiusa a chiave.
« C’è qualcuno dentro? » gli
domandò Ginger qualche passo dietro di lui.
L’uomo utilizzò la torcia del P5S
per sbirciare l’ambiente, poi ribatté « Tecnicamente ora ci sono io ».
Lo spazio racchiuso dalle quattro
mura era desolato e, più di ogni altra cosa, ristretto. Sulla sinistra era
allineato un trio di processori analogici altri suppergiù due metri, seguiti poi
da una enigmatica cabina semidistrutta; un quadro elettrico a destra preludeva
invece a un modesto cucinotto corredato di frigorifero disattivo che occupava
circa metà della lunghezza della parete. Al centro della stanza era collocato un
tavolo da pranzo su cui qualcuno aveva abbandonato una pagnotta ammuffita, un
calice vuoto e una pila di fondine; sotto di esso erano ammucchiate decine di
scatoloni di cartone privi di contenuto.
« Volevi
Lost? » commentò beffardo Bellocchio « Ecco la tua stazione
DHARMA ».
Ginger e Sandy si fecero strada
nella desolazione di quel posto. A giudicare dallo stato di gran parte del
mobilio in qualche momento quel palco doveva avere ospitato un’esplosione, ma lo
stato di ordine generale suggeriva che qualcuno vi fosse sopravvissuto. A conti
fatti molti aspetti, non ultima la polvere assente nel resto della caverna,
denotavano una presenza umana in tempi non troppo lontani.
« È un laboratorio » concluse
l’ingegnera stupefatta.
« Chi costruirebbe un laboratorio
in una grotta? » domandò il suo collega tastando l’ambiente.
Bellocchio si abbassò al livello
del refrigeratore, scrutandone i lineamenti smussati. « Qualcuno che non vuole
fare sapere a cosa sta lavorando » ipotizzò. Aprì la macchina delicatamente,
richiudendola in fretta non appena il nauseabondo odore di cibo marcio lasciò la
sua gabbia.
« È in rovina… Che cosa sarà
successo? ».
Mentre Ginger esternava le sue
considerazioni, Sandy si avvicinò al compartimento di controllo della corrente,
analizzandolo da più angolazioni. Un set di cavi era stato rimosso a forza da
esso e ad alimentarlo era adesso il solo filo che avevano rinvenuto vicino al
baratro. Con mano tremante spostò l’interruttore principale del contatore su
ON, e in risposta la lampada al neon
appesa al soffitto si accese in un bagliore che, quantunque non scintillante,
rendeva il Flash di Jolteon superfluo. « E luce fu ».
Bellocchio, allarmato, si voltò
con uno scatto « Che hai fatto? ».
« Una supposizione su dove
andasse a finire l’elettricità del nostro cavo. Vorrei sapere che generatore
usano ».
Ginger si accorse in quel momento
di una seconda struttura che prima non aveva notato: un massiccio abitacolo
chiuso posizionato all’esterno del laboratorio, verso l’angolo in fondo a
sinistra. Dal loro punto di provenienza era celato dalle mura delimitanti della
struttura, il che spiegava perché non l’avessero rilevato prima. Dalla forma e
il cartello affisso sulla porta pareva proprio… « … un bagno chimico? ».
Bellocchio emise un risolino di
non chiara natura « Chiunque lavorasse qui non se ne andava spesso ».
« Non vedo letti » obiettò Sandy.
« Non ho detto “mai” ».
Davanti alla lamiera posteriore,
nonché alla restante parte della laterale destra, trovava posto una scrivania
angolare da lavoro. Su di essa erano disposti senza un criterio uno specchio da
bagno e due schermi per PC a tubo catodico, nonché scartoffie e cartoncini
numerati ricolmi di documenti. I rispettivi processori erano riposti al di sotto
del piano, ma uno di essi era stato smontato e diverse componenti mancavano
all’appello.
Bellocchio si sedette di fronte
al computer funzionante e, con un fazzoletto sfilato dal cappotto, ripulì il
cinescopio coperto di polvere. Era più di un decennio che quel modello di
monitor era stato soppiantato da cristalli liquidi e plasma, quindi i casi erano
due: o chi l’aveva installato in quel luogo aveva una passione per il vintage,
oppure quel bunker non vedeva esseri umani da parecchio. « Provo ad accendere »
annunciò abbassando la schiena « Ve lo dico nel caso mi esplodesse in faccia ».
La grama eventualità non si
verificò: premuto il pulsante la ventola della CPU iniziò a roteare senza
problemi; in compenso il chiarore prodotto dalla lampada sul soffitto iniziò a
tremolare. Ginger se ne avvide quasi subito e, intuendo che l’energia
convogliata dal cavo non doveva essere sufficiente per alimentare sia la luce
che il calcolatore, ordinò a Faraday di sopperire con la sua elettricità.
Mentre il Pokémon eseguiva e
l’illuminazione ritornava alla normalità, la donna si avvicinò ai fascicoli che
un precedente inquilino non aveva avuto cura di archiviare meglio. Il primo
dossier su cui le cadde l’occhio esponeva i risultati pubblicati l’11 febbraio
2003 relativi alla Wilkinson Microwave Anisotropy Probe, sonda spaziale lanciata
due anni prima in orbita al secondo punto di Lagrange per studiare le
anisotropie della radiazione cosmica di fondo. Particolare attenzione era
riservata alla macchia fredda nella costellazione dell’Eridano, e numerose
annotazioni più o meno comprensibili erano segnate in pennarello rosso.
Distrattamente rivolse uno sguardo al PC, la cui interfaccia grafica lasciava
intuire che il sistema operativo fosse Windows 95. Bellocchio esaminava una a
una le cartelle del disco rigido in cerca di qualche indizio.
D’un tratto la porta dietro di
loro si spalancò con un fragore, facendo sobbalzare tutti i presenti: il giovane
impegnato sulla tastiera mise mano alla cintura e Jolteon balzò ringhiante
sull’attenti. Non si trattava tuttavia di estranei: erano solo Kibwe e Terence,
nonché l’Heliolisk del secondo che approntava un attacco.
Ginger, a cui poco era mancato
perché la cogliesse un infarto, abbassò la mano dal petto « Che cosa vi salta in
mente? ».
Il matematico apparve poco
velatamente imbarazzato per l’entrata in scena tutt’altro che ortodossa. Con un
cenno indicò alla sua lucertola di limitarsi al Flash, il quale peraltro con la
potenza che Jolteon forniva non era poi così utile. « Noi… Abbiamo visto la luce
accesa, credevamo vi avessero catturati ».
« Conclusione logica » ribatté
sarcastica la donna « Cosa avete trovato dall’altra parte? ».
« Ah, giusto » annuì l’uomo,
anche se per la verità nella concitazione del momento si era dimenticato di quel
punto « Beh, non so bene come spiegarlo, c’è un tubo ».
Sandy aggrottò la fronte « Un
tubo? ».
« Un solido cavo chiuso a sezione
costante ».
« So cos’è un tubo ».
Terence fu a tanto così dal
replicare “e allora che cosa chiedi a fare?”, ma Kibwe ebbe il buon senso di
prevaricarlo per non perdere tempo « Era in plastica, sottile. Dentro aveva un
liquido trasparente, penso fosse acqua ».
« Tutto qui? » lo interrogò
Ginger perplessa « Non era collegato a nulla? ».
« Beh, non è facile da spiegare…
Il tubo era verticale. C’erano due fori naturali nel soffitto e nel terreno e il
tubo entrava da uno e usciva dall’altro. Al suo interno per un attimo ci è
sembrato di veder cadere un piccolo oggetto, un cubetto ».
« C’era una scatola metallica lì
vicino, da lì partiva il cavo » aggiunse il suo compagno di esplorazione.
« Un trasformatore » comprese
l’ingegnera in un lampo « Quel tubo produceva o trasmetteva l’energia elettrica
».
« L’abbiamo pensato, ma nessuno
di noi due sa granché di elettrotecnica » spiegò Kibwe.
«
Video! ».
L’esclamazione entusiastica di
Bellocchio disturbò l’elevata tecnicità dei dialoghi tra i Flare, i quali si
riunirono davanti al computer a cui aveva lavorato fino a quel momento. « Cosa?
» lo interpellò Ginger.
« C’è una cartella con tre video.
L’anno di creazione è il 2004, a distanza di qualche mese l’uno dall’altro ».
« Beh, vediamoli. Non si sa mai
».
Ricevuto il benestare
dell’Ufficiale, il giovane si allungò verso le casse posizionate ai lati del
monitor e le accese. Quindi selezionò il primo file, denominato
2004-02-28-01.avi, e lo avviò.
« … Ma piantala, Alex, sto cercando di lavorare! ».
Il volto barbuto di un maschio caucasico sulla quarantina compare sullo
schermo, gli occhi azzurri puntati in alto a sinistra e la mano intenta a
organizzare qualcosa dietro l’obiettivo. « No, Pierre, io sto cercando di
lavorare. Tu stai rollando una sigaretta » commenta sarcastico. La qualità video
non è delle migliori.
Il fastidioso suono successivo è quello di una sedia che viene
trascinata senza essere sollevata dal pavimento. « Ancora con i blob? Non hai di
meglio da fare? ».
« Sono “vog”, non “blob”. E vedrai che tempo qualche anno li faranno
tutti » ribatte Alex « Emma, tu ci sei? ».
Una voce femminile risponde da un punto imprecisato « Quando vuoi! ».
«
Vog? » ripeté Terence, che si poteva quantomeno dire spiazzato dalla
scelta della terminologia.
«
Video blog » chiarì Kibwe, ricavando dalla pillola di cultura
un’occhiataccia del suo compare « Erano gli Anni Zero, non pretendere ».
Finalmente le guance del blogger liberano spazio mentre quest’ultimo si
allontana, rivelando l’ambientazione: un ristretto laboratorio stipato di
apparecchiature di natura indecifrabile – il bunker ancora integro! Tre figure
coetanee si delineano in fila ordinata davanti alla videocamera: al centro Alex,
primo piano fino a quel momento; a sinistra Pierre, dai lineamenti sudamericani
e un notevole cespuglio di dreadlocks color pece che cadono sulla schiena; a
destra Emma, dolce bionda dai capelli raccolti in una coda di cavallo. La sua
vita è cinta da Alex, probabilmente sono fidanzati o sposati.
« Va bene… allora… Vog del Pianeta Nero numero 0/1 » comincia Alex.
Quelli che paiono i suoi colleghi ridacchiano mentre pronuncia quelle parole.
Ginger scambiò con Bellocchio uno
sguardo che non necessitava di parole, dopodiché sobbalzò «
Pianeta Nero? ».
« Qualcosa non va? » le chiese
Sandy.
« No, è solo che… Durante
l’invasione i Rotom dall’Antenna trasmettevano qualcosa che parlava del Pianeta
Nero ».
« “La regione di Kalos è sottomessa al pianeta nero, arrendetevi e deponete
le armi” » recitò l’uomo in cappotto, il quale aveva ben impresso nella
memoria quasi ogni singolo istante dell’adrenalinico inseguimento di Altoripoli.
« Vi spiace? » li redarguì Kibwe
irritato « Starei cercando di seguire ».
« Oh,
pardon » si scusò Bellocchio, e con un gesto fulmineo premette la
barra spaziatrice per sospendere la riproduzione « Hanno detto qualcosa di
importante? ».
« Solo i nomi completi. Alexander
Kashlinsky, Pierre Mardones, Emma… qualcosa, non ho sentito. A quanto pare manca
all’appello un certo Fred » relazionò l’informatico. Poi, appena prima di dare
il via libera per la ripresa, soggiunse « Ah, e sono tutti cosmologi ».
« A quanto pare hai compagnia,
Sandy » commentò Ginger ironica.
« Vediamo… Dunque, me l’ero preparata… » Alex farfuglia, poi un lampo
d’illuminazione lo coglie « Come potete notare abbiamo allestito questo
laboratorio in uno spazio ristretto. Per la ricerca abbiamo preferito un luogo
isolato per non rischiare che gli esperimenti condotti danneggino la
popolazione. Ci troviamo al momento in una piccola grotta nel Percorso 8, a sud
di Relifac-le-Haut ».
Terence ridacchiò alla menzione
della parola piccola, che ritenne
alquanto esilarante visto il contesto in cui si trovavano. Kibwe non dovette
essere dello stesso avviso mentre sottovoce lo minacciava « Stai rischiando
molto grosso ».
« Dunque… Devo dire altro? » domanda l’uomo a Emma.
« Il flusso oscuro… ».
« Giusto! Scusa, è l’emozione » esclama Alex battendosi la mano sul capo
« Lo scopo del Pianeta Nero è indagare appunto sul fenomeno astronomico noto
come flusso oscuro. Se la nostra teoria è corretta–– ».
Pierre colpisce la nuca del suo amico con uno schiaffo umoristico « Ma
per favore, non vorrai mica dire tutto di nuovo! ».
« Beh, è un vog, dovrò pur… ».
« Se vogliono possono leggersi la documentazione, andiamo! » esclama lo
scienziato « Perché non ci dici qualcosa di interessante? Per esempio, spiega
perché ci chiamiamo Pianeta Nero ».
« Oh… ». Alex sorride, probabilmente quella domanda lo rende orgoglioso
« C’è una quartina, nelle Profezie Perdute di Maelmhaedhoc, che dice… “Il
pianeta nero il vecchio sormonterà nel tempo dell’ultimo confronto”. Parla di un
mondo nuovo, e visto ciò che cerchiamo mi è sembrato adatt–– ».
Il video si interruppe senza
preavviso troncando la frase. Bellocchio esaminò per qualche secondo la
situazione del file, ma non fu difficile verificare che il tempo di durata era
concluso. « Finisce qui ».
« Non un granché con l’editing,
vero? Avrebbero dovuto prendere qualche lezione da–– » Terence fu sul punto di
fare il nome di Etan De Freitas, ma la coscienza della sua morte al Le Crésus
Hotel lo frenò rattristandolo. Era trascorsa una sola settimana, ma parevano
epoche.
Bellocchio percepì che qualcosa
non andava e decise, una volta tanto, di fare un favore al matematico e cambiare
argomento « Ha parlato di… flusso oscuro? ».
In quel momento gli occhi dei
suoi collaboratori si diressero verso Sandy, ben consci che era il più indicato
a parlarne. L’anziano studioso si concesse un attimo di silenzio per riordinare
le idee, quindi iniziò a raccontare con una passione rara « Con poche eccezioni,
le altre galassie si stanno allontanando dalla nostra per via dell’espansione
dell’universo. Trascinate dall’eco del Big Bang accelerano e accelerano,
sfuggendo al nostro occhio senza alcuna promessa di fare ritorno ». Drizzò il
dito e lo puntò al soffitto, ma era facile immaginare che in realtà la sua mente
stesse andando al firmamento stellato « C’è una regione del cielo, tra le
costellazioni del Centauro e della Vela, in cui le galassie vanno più veloci. In
questo momento qualcosa le porta con sé più rapidamente di altre, 900 chilometri
l’ora più o meno, sottraendocele ». A quel punto ripose la mano lungo il corpo «
Lo chiamiamo flusso oscuro ».
« Che cos’è? » domandò Bellocchio
affascinato.
« Nessuno lo sa. L’universo è
pieno di misteri… » ponderò l’astronomo con un sorriso rammaricato.
« Il Pianeta Nero aveva
un’ipotesi » disse Ginger, catturando l’attenzione dell’uomo nel giro di un
istante. Durante il suo ispirato monologo l’Ufficiale era ritornata ai dossier
che aveva esaminato poco prima, sfogliandoli alla luce delle informazioni
fornite da Alexander Kashlinsky, rinvenendo un documento alquanto interessante
che ora porgeva a Sandy. « Che ne pensi? ».
Quello scorse febbrilmente le
righe, seguì i grafici a dispersione e valutò i risultati. Quindi, stupefatto,
alzò gli occhi « Un universo gemello?
».
Ginger annuì, espandendo il
concetto per gli altri tre astanti che avevano trabalzato all’unisono « Era la
loro teoria. Un universo parallelo il cui campo gravitazionale tracima nel
nostro e porta via con sé ammassi stellari. Ha senso, in fondo si suppone che la
gravità sia in grado di attraversare le dimensioni iperspaziali ».
« Era questo che ricercavano? »
inquisì Bellocchio « Un universo parallelo? ».
« L’ultimo sogno umano. C’è chi
perde la vita sugli esopianeti, loro puntavano più in alto ».
Sandy avvertiva le dita vibrare
incontrollatamente. « Fai partire il prossimo video ».
Bellocchio assentì, scorgendo
nelle sue pupille l’emozione di un dotto che si trova di fronte a un orizzonte
completamente nuovo. « 5 maggio 2004, tre mesi dopo » annunciò « Beh, a pensarci
bene due ».
Un nuovo volto ingombra buona parte della visuale: bianco, con un
sottile strato di capelli biondi sul capo. In una voce maschile dal marcato
accento annuncia « ‘Kay, dovremmo esserci! ».
L’inquadratura questa volta è mobile, manovrata presumibilmente
dall’uomo appena scomparso; sosta dopo qualche istante di instabilità a
mezz’aria, riprendendo con un leggero tremolio una donna seduta davanti a una
spartana torta condita da un numero imprecisato di candeline.
« Tanti auguri a te! » cantano Alex, Pierre e il cineoperatore, e un
cambio di campo evidenzia che la festeggiata è Emma. Lei è la più cambiata del
quadretto: i capelli ora sono sciolti sulle spalle, qualche ruga da stress segna
le gote e, fatto più immediato, è incinta.
Il capo di Kibwe scattò
investigativo sulla figura di Emma « Quella è una fede? ».
« Quale? » domandò Sandy.
L’omone indicò la mano della
donna, la quale stava in quel momento soffiando l’unica candelina presente sul
gâteau « All’anulare ».
« Oh, pare di sì. Si saranno
sposati tra un vlog e l’altro ».
« Impossibile » negò Terence
risoluto « Guarda la pancia, sarà il quinto o sesto mese. Doveva essere già
incinta prima ».
« Potrebbe essere stata incinta
da prima del matrimonio » fece notare Sandy.
Il suo interlocutore lo scrutò
come se avesse appena insultato sua madre, la bocca semichiusa che a stento
conteneva l’incredulità per una mossa tanto audace. « I rapporti prematrimoniali
sono peccato! ».
Ora la videocamera quasi accarezza la pancia gestante di Emma, che la
allontana con una risata. « Smettila! E se poi le radiazioni fanno male a Logan?
».
« Non possono fargli più male del suo nome » commenta Pierre poco
distante, e l’obiettivo si sposta su di lui « Logan Kashlinsky. Quasi avrei
sperato che fosse femmina, per salvarla da un destino simile ».
« Logan è anche un nome femminile » fa notare Alex, che sta abbracciando
sua moglie da dietro.
« Logan Kashlinsky… ».
« Qualcosa non va, Bellocchio? »
si interessò Ginger, trovandolo immerso in una riflessione all’apparenza molto
importante.
L’uomo le restituì lo sguardo, e
le sue labbra si serrarono prima di riaprirsi per parlare « LK ».
Per i Flare, Ufficiale compresa,
quella rivelazione fu come cadere dalle nuvole. Avevano riposto la loro missione
originaria in un anfratto tanto remoto del cervello che il modo in cui era stata
sradicata nuovamente fuori li aveva lasciati ammutoliti. « È una… coincidenza… »
contestò Kibwe, ma il suo tono trasudava tutto fuorché sicurezza.
« Credere nelle coincidenze non
mi ha mai portato da nessuna parte ».
« Cos’altro può essere? Perché
starebbero trasmettendo le iniziali del bambino? » obiettò Sandy, e senz’altro
quella era un’opposizione valida.
Ma non era la questione su cui
sia Ginger che Bellocchio si stavano arrovellando in quel momento. Solo loro due
infatti sapevano che LK era anche il nome presente sul taccuino, il nome che il
giovane aveva assunto fosse il suo. Era forse possibile
che lui fosse Logan Kashlinsky?
Alex ora è in un vis-à-vis con il cineoperatore. Lui è di converso quasi
uguale a com’era nella precedente registrazione, a parte la barba rasata che
paradossalmente gli conferisce un’aria familiare. Regge in mano un bicchiere di
plastica, ma non è chiaro cosa stia bevendo. È il primo vero piano ravvicinato
della strumentazione, in questo caso una sorta di cabina composta di pezzi
assemblati con un criterio difficilmente deducibile.
« Sì, ho lasciato perdere i vog per un po’. Troppo preso dal lavoro…
Quando ho dato uno sguardo all’unico ripreso, poi, ho visto che un pezzo non era
stato registrato perché la videocamera era scarica. Ma ora sono convinto che sia
il momento migliore per riprendere ».
« Questo spiega perché il vlog
precedente si sia fermato all’improvviso » commentò Sandy.
Terence provò a cogliere
l’occasione al volo per provocarlo, ma Kibwe ne previde le azioni e lo avvisò
insieme al suo compagno di lavoro « Se non state zitti fate una brutta fine ».
« Questo… » spiega Alex accarezzando la cabina « Lo chiamiamo Scissore,
è il nostro pezzo forte. Due mesi e mezzo per costruirlo, due anni per
teorizzarlo ».
« Che poi non vuol dire nulla » commenta Fred, mai palesatosi nuovamente
dopo il suo fugace cameo all’inizio « Il nome ce lo siamo inventati da ubriachi
».
L’altro scienziato, però, non sembra nemmeno curarsi della presenza del
suo amico. Probabilmente il suo drink ha un tasso alcolico non irrilevante,
perché sembra parlare più con se stesso che con ipotetici spettatori. « Il
potere di attraversare gli universi… Se il flusso oscuro è ciò che pensiamo,
questo prova che l’interazione tra universi fratelli è possibile mediante la
gravità. La curvatura spaziale ».
L’inquadratura ora è sostanzialmente immobile, come se il regista fosse
in catalessi. « Lo Scissore… Con quello e ciò che ho trovato… Potremmo… ».
Alex beve l’ultimo sorso del bicchiere, che sembra colpirlo come una
pallottola. Fa un cenno disarticolato verso Fred e borbotta di spegnere prima di
appoggiare la testa al macchinario e addormentarsi di colpo.
« E cala il sipario. Restate
sintonizzati per la terza puntata » ridacchiò Bellocchio, mettendosi subito
all’opera per inizializzare il terzo e ultimo filmato, nonostante il processore
fosse quello che era per l’anno a cui risaliva.
Ginger, approfittando
dell’intervallo, si avvicinò alla cabina in rovina che aveva in precedenza
notato vicino al trio di calcolatori analogici. « Questo dev’essere lo Scissore
».
Terence iniziò a camminare avanti
e indietro sul posto « Non se la passa troppo bene ».
« No, infatti ». La donna esaminò
i componenti che ancora si reggevano all’ossatura, studiandone le zone bruciate
disposte a cerchio. Se c’era stata un’esplosione, facilmente non era avvenuta
lontano dal punto su cui poggiava i piedi. « Il prossimo video di quando è? ».
« 19 luglio » rispose Bellocchio
« Altri due mesi dopo ».
L’unica sorgente d’illuminazione è fornita da una lampada da scrivania.
Alex è solo: pur con la ridotta luce si nota che la barba gli è ricresciuta e i
capelli ora sono decisamente meno ordinati delle scorse due volte. Il suo fiato
si condensa mentre ancora fuoriesce dalla bocca, segno che la temperatura si è
abbassata. Si passa la mano sul volto, evidenziando un paio di occhiaie che lo
affliggono.
« Chiedo scusa per l’assenza, abbiamo… L’energia… Abbiamo costruito un
generatore a caduta perpetua, dovrebbe reggere » mugugna. Le idee sembrano
affollarglisi in testa.
« Cos’è un generatore a caduta
perpetua? » chiese Sandy.
« Probabilmente il tubo trovato
da Terry e Kibwe » fu la conclusione ragionata di Ginger « Non ho mai sentito di
niente con questo nome, però ».
Dalla sedia su cui era
appollaiato Bellocchio fece cenno con la mano di acquietarsi, indicando che il
cosmologo sul monitor aveva ripreso a parlare.
« Avevamo in programma il primo esperimento con lo Scissore, il giorno
dopo lo scorso vog. L’abbiamo avviato con la massima cautela, usando come cavia
la mia Chansey, ma… Non so, qualcosa è andato storto, e ora ci troviamo qui ».
Il suo braccio scatta verso la lampada e la punta dietro di sé,
rivelando che il laboratorio è ora nelle condizioni in cui è stato rinvenuto dai
Flare: pareti sconquassate, macchinari semidistrutti e la sconfinata caverna a
circondarlo. Tuttavia, a guardare meglio, lo stato non è così rovinoso come
quello attuale. « Dal nulla ci siamo ritrovati in questa grotta. È enorme, non
capisco come… Abbiamo esplorato un po’, ma non sembra esserci via d’uscita. È…
».
L’atmosfera nel bunker era
decisamente più tetra che durante la proiezione dei due precedenti diari su
video, simile a certe osterie nelle tarde ore notturne. Perfino Kibwe,
solitamente rigido nell’impedire agli altri di interrompere i momenti salienti,
era tanto impressionato dalle ultime scoperte che non aveva la forza di arginare
alcunché.
« Non ha senso… » farfugliò
Ginger.
« Invece ne ha. Nessuno avrebbe
costruito un laboratorio in una caverna tanto inospitale, e infatti non lo
fecero » desunse Bellocchio « È apparsa solo
dopo ».
« No, invece! » l’ingegnera Flare
batté energicamente le mani sulla scrivania guardando in faccia l’uomo, pur da
una visuale quasi perpendicolare « Ha detto che non c’è nessuna via d’uscita. Da
dove siamo entrati noi? ».
« Vero » convenne quello
alzandosi in piedi per dirigersi a lenti passi verso lo Scissore.
« Mi sono perso un passaggio?
Nessuno si chiede come quell’affare li abbia portati qua? » indagò Terence
confuso.
Bellocchio avrebbe quasi voluto
prendere a pugni quel macchinario per come, viscido e inafferrabile, sfuggiva
alla loro comprensione. « Che cosa sei… ».
« Lo Scissore… » riprende Alex, pur con frequenti pause per riordinare i
pensieri « Il suo scopo è modificare il DNA, ristrutturare le sequenze
nucleotidiche… Causare una mutazione controllata… ». Fatica a parlare, forse
perché è decisamente più lucido della registrazione precedente e i fumi
dell’alcool non possono più sciogliergli le parole. « Se riuscissimo a farlo
funzionare, potremmo fornire a un organismo la possibilità di interagire con i
gravitoni. Farli convergere e divergere, curvare lo spazio… ».
Ginger in un lampo intuì, per la
prima volta con certezza assoluta, che cosa stava succedendo. « Vuole aprire
varchi nello spaziotempo! ».
Bellocchio si voltò verso di lei,
che ora era la più vicina allo schermo « Che vuol dire? ».
« Immagina una sfera appoggiata
su una maglietta » illustrò lei dopo una breve interruzione « Cosa succede? ».
« La piega ». L’uomo non dovette
faticare a concepire la risposta, perché Serena gli aveva riferito un simile
discorso tenuto da Silvia a Castel Vanità. Sapeva dove voleva arrivare.
« E, se sufficientemente pesante,
la strappa. Questo è ciò che fa lo Scissore » continuò Ginger « Riscrive il DNA
di un uomo per offrirgli la possibilità di manipolare i gravitoni e strappare lo
spaziotempo. Forza un’evoluzione. Introduce un nuovo stadio umano ».
« Ma
perché? ».
« Perché aprire varchi
spaziotemporali era il loro piano fin dall’inizio » disse l’Ufficiale, tornando
a osservare un Kashlinsky sempre meno raziocinante « Volevano indagare sulla
possibilità di un universo parallelo: lo Scissore è il loro mezzo per arrivarci
».
« È impossibile » intervenne
Sandy categorico « Non esiste un modo per realizzare un esperimento del genere.
Non abbiamo nemmeno la certezza che i
gravitoni esistano, figurarsi se sappiamo come manipolarli ».
L’uomo si stringe le tempie. Poi, con un gesto lento e quasi macchinoso,
fruga in una cassetta fuori dall’inquadratura. « Abbiamo rinvenuto un oggetto.
Credo di averlo avuto con me per tutta la vita, ma non so come. Genera un campo
naturale di convergenza di gravitoni, il che l’ha reso la base ideale per lo
Scissore ». Ritrae la mano aperta e la mostra all’obiettivo. Sul palmo si trova
una scheggia cristallina dalle tinte celesti che pare brillare di luce propria.
I Flare, comprensibilmente, non
capirono cosa avesse quell’oggetto di speciale, e non mostrarono alcuna reazione
al di fuori dello smarrimento; ma Bellocchio avvertì le proprie forze
sgretolarsi in un terribile istante.
Era un Frammento. Stesse
dimensioni, stessa tonalità di blu, stesso comportamento della coppia che aveva
ritrovato a Kalos. A Castel Vanità Serena gli aveva raccontato di come, mentre
cercavano di accedere alla grotta di Omastar, Silvia avesse constatato che la
sua pietra curvava lo spazio. Convergenza di gravitoni: era quel frammento a
consentire allo Scissore di funzionare.
Alex ride tra sé e sé « È buffo, perché se lo Scissore funzionasse
potremmo aprire un passaggio e andarcene da questo posto… Ma non basta, ho
capito cosa ho sbagliato ». Con delicatezza ripone la scheggia luminosa dove
l’ha presa « Un DNA già formato è troppo solido, troppo impostato. Ma se
riuscissi a… a usarne uno grezzo, ancora malleabile, potrei guidarne lo sviluppo
».
Di colpo alza il capo e punta dritto nella videocamera. Il suo sguardo
annaspa nella disperazione, la sua bocca è distorta in una smorfia. « Logan
sarebbe perfetto ».
La voce di Kibwe, l’unico a
trovare la forza di parlare dopo quella frase, tradiva tutto l’orrore che
l’informatico provava in quel momento « Mio Dio… ».
Le altre reazioni furono
assolutamente mute: Ginger arretrò agghiacciata, Sandy fu colto da un conato di
vomito, Terence andò in iperventilazione. Bellocchio, dopo il colpo al cuore
subito dalla presenza del Frammento, si trovò ad avvertire puro raccapriccio.
Kashlinsky voleva usare
suo figlio. Il fatto che non fosse
ancora nato lo rendeva geneticamente più plasmabile di chiunque altro si
trovasse nell’antro ai tempi, e la parentela non doveva angosciarlo minimamente.
Era disposto a impiegare la sua prole ancora nella placenta come cavia da
laboratorio pur di fuggire. Era un mostro.
Lo scienziato distoglie gli occhi, come spaventato dalla sua stessa
immagine riflessa. « Non me lo permetteranno, Fred e Pierre… E poi Emma… »
mormora afflitto, e una lacrima gli scivola sulla guancia destra. Per un istante
sembra ripensarci, poi la sua voce assume un timbro demoniaco « Ma non mi
importa. Li costringerò, se necessario. Io non morirò qui. Io me ne andrò vivo
».
Il silenzio calò nel laboratorio.
Non un silenzio pacifico, bensì uno di quelli che accrescono il tormento con
ogni secondo in più di durata. Normalmente avvengono perché nessuno sa cosa
dire, e altrettanto normalmente qualcuno decide di pronunciare le prime parole
che gli passano per la testa pur di non dover sopportare oltre una quiete così
straziante. Nel nostro caso quel qualcuno fu Sandy « … E ora? ».
Ginger si rivolse a Bellocchio,
il quale nel frattempo era tornato alla postazione di controllo della scrivania
« C’era altro di interessante nel PC? ».
L’uomo fissò insistentemente il
monitor; dopodiché sfilò dalla tasca del cappotto il suo taccuino in pelle nera
e una penna a sfera, iniziando ad aggirarsi per l’ambiente a lunghi passi, quasi
stesse danzando. « Propongo un sommario ».
« Cosa? » domandò l’ingegnera, ma
per quanto quella frase fosse enigmatica ne ricavò che la risposta al suo
precedente dubbio era “no”.
Bellocchio aprì il blocco
all’ultima pagina e, di pari passo con il suo discorso, trascriveva parola per
parola sul foglio bianco. « Il Pianeta Nero era un gruppo di quattro persone che
volevano accedere a un altro universo, giusto? Hanno costruito quell’affare per
farcela » sottolineò indicando lo Scissore. Da come la sua mano destra si
muoveva rapida pareva stesse disegnando uno schizzo del macchinario « Poi
l’hanno attivato, c’è stata una discreta esplosione e per qualche ragione la
piccola cavernetta in cui avevano costruito il laboratorio è diventata un antro
colossale. Come mai? ».
Ginger fu incerta sulla natura
dell’ultima richiesta – era retorica o si aspettava realmente una sua replica?
Sarebbero potute essere entrambe allo stesso tempo, in effetti. « Non lo so? ».
« Kashlinsky esce di testa perché
vuole andarsene e decide di usare suo figlio non ancora nato, e non sappiamo
come sia finita. Ma una cosa la sappiamo di certo, vero? » proseguì il giovane.
Nessuna risposta neanche stavolta, ma dalle parole successive fu chiaro che
nella presente occasione se ne sarebbe attesa una «
C’è un’uscita ora. Qualcosa è cambiato tra il 2004 e oggi ».
« E qua fuori qualcuno trasmette
le iniziali del figlio » aggiunse Kibwe.
Bellocchio schioccò le dita come
un insegnante fiero del proprio alunno, annotando il punto che non aveva
menzionato. « Questo è lo spirito! ».
« E c’è il tubo, il… generatore a
caduta perpetua » rammentò Sandy « Non sappiamo ancora come funzioni ».
L’uomo smise di volteggiare per
la stanza e occhieggiò Ginger con l’espressione di chi ha raggiunto il proprio
scopo « Direi che abbiamo la prossima tappa ».
« Concordo » annuì la donna,
convenendo che difficilmente avrebbero trovato altro di interessante in quel
bunker; cosa più importante, il suo spirito ingegneristico la spingeva a cercare
di capire come un’apparecchiatura così semplice potesse generare energia, per
quanto a malapena sufficiente per una lampada al neon.
Con una serie di cenni istruì il
gruppo di mettersi in cammino e seguire il cavo. Provò poi a impartire i
medesimi ordini a voce, ma il rumore di un corpo caduto al suolo la anticipò
sovrastandola. Con la coda dell’occhio lei e il resto dei Flare si resero conto
che Sandy era inciampato e ora si trovava riverso a terra. Di nuovo.
« Ma allora è un vizio! » esclamò
Terence « Guarda dove metti i piedi! ».
« Il discepolo dell’amore »
commentò Ginger con un sarcasmo rancoroso, andando incontro al suo amico per
sincerarsi delle sue condizioni. La caduta era per sua fortuna stata attutita da
uno scatolone sul pavimento, e nessun arto sembrava essersi rotto. « Tutto bene?
».
« Scusate, io… Mi è girata la
testa… ». L’astronomo provò a issarsi sulle gambe, ma quasi subito capitombolò
nuovamente al suolo.
La sua Ufficiale iniziò a porre
domande di natura medica, ma fu quasi immediatamente interrotta da Bellocchio,
balzato sull’attenti alle ultime parole pronunciate dalla vittima. « Come “girata
la testa”? ».
« L’aria è viziata, probabilmente
è quello » suppose Ginger.
« No… Ha detto la stessa cosa
quando stava per cadere nel baratro. Anche lì un giramento di testa ».
Sandy aggrottò la fronte,
passandosi la mano sugli occhi per obbligarsi a mantenere la lucidità nonostante
avvertisse il proprio capo vorticare a scatti. « Avevi detto che era colpa del
Supersuono… ».
« Il Supersuono non mantiene i
suoi effetti tanto a lungo » controbatté risoluto il giovane. Poi, dal nulla, si
assestò un colpo in fronte per punirsi « Il segnale, il segnale! Sono stato un
idiota! ».
« Cosa? » chiese Ginger.
« C’è qualcos’altro in questa
caverna, qualcosa che ha sostituito le due lettere che vengono trasmesse a
Kalos. Non so cosa sia, ma c’entra con i capogiri di Sandy ».
« Abbiamo già controllato,
ricordi? » gli ricordò Terence « La sfera è muta ».
« No, no, è
cieca! » lo corresse l’uomo con ritmo concitato « Stai cercando di
vedere la luce di una torcia a mezzogiorno! ».
L’ingegnera lo squadrò con occhio
indagatore, cercando di scorgere il filo che connetteva i suoi pensieri. « E
cosa suggerisci di fare? ».
« Cosa facciamo se siamo
accecati, socchiudiamo gli occhi… » rifletté Bellocchio ad alta voce. Con un
guizzo puntò l’indice verso Terence « Presumo ci sarà un modo per ridurre
l’angolo di ricezione ».
« Ah, io… » biascicò tentennante
il matematico. Detestava ammettere una lacuna, ma in quel momento non c’era
un’alternativa in grado di salvargli faccia, e questo lo convinse a rivolgersi a
Kibwe « C’è? ».
Uomo di poche parole,
l’interpellato non rispose e si limitò a prendere tra le mani la Poké Ball
scoperchiata ed estrarre un connettore dall’uniforme fiammeggiante. Si recò al
computer del laboratorio nella sua proverbiale incomunicabilità e collegò la
sfera al calcolatore interno tramite l’uscita USB. Trascorsero minuti di
autentica tensione mentre il Flare manipolava le impostazioni dal terminale,
tempo in cui Sandy garantì di essersi rimesso e riuscì a raggiungere nuovamente
la posizione eretta. Alla fine l’informatico decise di aver ottenuto un
risultato accettabile e, imprimendo una traiettoria arcuata all’oggetto, lo fece
atterrare precisamente sui palmi di Terence.
« E… ? » lo esortò Ginger,
notando che la lettura stava richiedendo più del solito.
Lo scienziato, dal canto suo,
aveva impressa negli occhi un’espressione di sconvolgimento totale. « Sono… »
balbettò, trovando alla fine il coraggio di ammetterlo « Sono onde complesse.
Non le so leggere ».
« Lascia ingegnerizzare agli
ingegneri » canticchiò la donna prendendo in custodia la Ball. A differenza del
suo sottoposto parve riconoscere immediatamente i segnali mostrati dal display,
e forse proprio per questo faticò ancor più di lui a esporre l’esito della
modifica. Nel primo tentativo inciampò sulle sue stesse parole e non disse
nulla, il secondo andò a miglior fine « Sono pacchetti sinaptici ».
Bellocchio non comprese cosa
significasse, ma ciò non si poteva dire dei suoi colleghi che annuirono in coro.
Sandy, in particolare, parve tanto turbato quanto lei « Vuoi dire… ? ».
« Sinusoidi sovrapposte. Il fit
dei parametri… Non può… ». La morte si dipinse sul pallido volto di Ginger
mentre realizzava cosa stava accadendo « Queste sono perturbazioni sinaptiche
generate da una Poké Ball ».
In questa occasione il giovane
ebbe decisamente meno dubbi: parlava della caverna. Avevano fatto ciò che lui
aveva suggerito, ovvero abbassare la soglia di rilevamento dei segnali, e ciò
che avevano trovato era che loro cinque stavano nuotando in un oceano di onde
sinaptiche. Le implicazioni? Su quello non aveva indizi, ma una preoccupante
idea stava prendendo forma nella sua testa: dall’opuscolo trovato nel taccuino
sapeva che una delle caratteristiche delle Ball era la
riscrittura sinaptica, ovvero la
capacità di cancellare le memorie attive dei Pokémon per renderli più docili,
non dissimilmente da ciò che capitava a lui ogni tramonto. Ora cominciava a
sospettare che lo stesso stesse per
accadere ai suoi compagni in quella stanza.
« Impossibile » negò con fermezza
Sandy « La lunghezza d’onda di quelle radiazioni è paragonabile alle molecole
d’aria, non farebbero mezzo millimetro di strada fuori da una sfera ».
Ginger concordò, ma quasi subito
pervenne anche alla soluzione dell’arcano. Erano giorni che l’aveva sotto al
naso, sarebbe stato impossibile per lei non vederla. « Il generatore
sperimentale rubato dalla Cripta! Il suo scopo è
esattamente collimarle per distanze maggiori! ».
« Ma non funzionava! » ribatté
l’astronomo « Etan è morto prima di finirlo! ».
« Qualcuno deve aver proseguito
il suo lavoro ».
« Ginger, niente panico » disse
Kibwe, provando ad appellarsi al suo buon senso per tranquillizzarla « C’è una
ragione per cui la Poké Ball è fatta così: le onde sinaptiche da sole non
bastano a fare danni sufficienti, devono essere catalizzate. E poi il cervello
dei Pokémon è molto meno complesso di quello umano ».
Una quiete atipica accompagnò le
riflessioni della donna. La rassicurazione del suo amico, per quanto finalizzata
al bene, aveva al contrario innescato una lenta ma ineluttabile lettura della
realtà per ciò che era. « I cristalli bianchi… » scandì lentamente, come in
trance. Poi la raccapricciante ipotesi acquisì maggiore fondamento ad
analizzarla, e ciò conferì all’Ufficiale maggiore convinzione mentre riprendeva
il suo dialogo bilaterale con Sandy « I cristalli all’ingresso della caverna.
Avevi parlato di reticolo esagonale, giusto? Qual è una sostanza con quella
struttura? ».
Il Flare titubò per qualche
istante prima di fornire la risposta « … Zinco ».
Ginger annuì « Siamo in una cava
di zinco, il materiale base per l’interno delle sfere di cattura. Il
catalizzatore ». Si concesse un bizzarro sorriso, una presa in giro verso se
stessa per non esserci arrivata prima « Una Poké Ball naturale. Stiamo venendo
riscritti ».
Bellocchio vide la propria teoria
confermata. In quel momento nei loro cervelli era in corso una minuta operazione
chirurgica atta a privarli dei loro ricordi e, cosa più allarmante, a
condizionarli all’obbedienza verso il proprietario. Un codice veniva stampato
nella mente, e a tale codice sarebbero stati devoti per tutta la vita. Quando si
trattava dei Pokémon tutti erano favorevoli, ma la sola idea che la stessa
specie che aveva inventato quel meccanismo ne cadesse preda era sufficiente a
far ricredere anche il più convinto dei progressisti.
« Io… No, io sto bene… » protestò
debolmente Terence.
« Come ha detto Kibwe, il
cervello umano oppone maggiore resistenza. Le prime memorie a essere cancellate
sono le più irrilevanti ». Ginger cercò di mantenere il più possibile la calma.
Era una mente scientifica, e come tale doveva seguire il metodo galileiano: il
tentativo di falsificazione. « Bellocchio, cos’hai mangiato ieri mattina per
colazione? ».
« Credimi, non sono la persona
più adatta a cui chiederlo. Ho una memoria fuori dal comune ».
« Va bene » accondiscese la
donna, conscia di non avere tempo da perdere « Sandy, rispondimi tu. Che cos’hai
mangiato ieri mattina a colazione? ».
L’anziano si aggiustò i corti
capelli argentei in un tic nervoso mentre prendeva atto del fatto che, pur
sforzandosi, non riusciva minimamente a
rispondere. « Non lo so… ».
Uno su tre. L’ingegnera si augurava di essere smentita, ma era fin
troppo sicura di aver ragione per sperarci assennatamente. « Terry? ».
Terence reagì analogamente al suo
collega, preciso fino al tono di risposta. « Non ci ho… fatto caso… ».
Due su tre. Ginger non dovette nemmeno chiedere al terzo: Kibwe
ammise immediatamente la sconfitta con una scossa del capo. La donna inspirò
profondamente, accettando la criticità della situazione. A breve non sarebbero
nemmeno riusciti a camminare: il loro cervello era impegnato a guerreggiare e
sempre meno materia grigia restava cosciente, soccombendo all’influsso esterno.
I Pokémon erano fortunati, per loro il processo durava tre secondi appena, ma
loro avrebbero avvertito ogni singola regione mentale sfuggire al loro controllo
fino al reset completo. Rivolse uno sguardo a Bellocchio, come a cercare un suo
commento.
« È questo che è successo ai
Rotom? » domandò lui « La Dama diceva che non sapevano cosa stavano facendo ».
« È probabile ».
Sandy si strinse le mani per
soffocare il tremolio incessante delle sue braccia, consapevole di essere quello
che aveva mostrato di opporre meno resistenza e dunque colui che era destinato
ad arrendersi per primo. « Cosa facciamo ora? ».
Ginger tacque e si morse il
labbro. Era di nuovo quella circostanza, quella che l’aveva perseguitata per
tutta la settimana. Ma stavolta non avrebbe commesso lo stesso errore, aveva
avuto troppo tempo per ragionarci.
« Ce ne andiamo ».
Fu come un colpo dritto alla
nuca. Tutti si sarebbero aspettati delle direttive di condotta, un discorso
d’incoraggiamento, ma mai una
rinuncia. « Cosa? » esclamò Kibwe. Le
andò incontro per far valere le proprie ragioni nonostante barcollasse
visibilmente « Qualcuno ha organizzato l’esercito, ora abbiamo le prove! Non
possiamo abbandonare Kalos a se stessa! ».
« Non permetterò un altro Crésus
Hotel. Avrei dovuto portarvi fuori di lì quando potevo. Ci mettiamo in salvo e
organizziamo un piano d’azione serio ».
« Non avremo il tempo. Prima che
ci organizziamo noi l’avranno già fatto loro » insorse l’informatico. Con
un’aggressività inusitata diresse la propria invettiva a Bellocchio, posizionato
a qualche metro di distanza « Tu non dici nulla? Giochi a fare il salvatore
della regione solo quando hai qualcuno a coprirti le spalle? ».
Il giovane inclinò la testa di
lato. « Non posso annullare la decisione di un vostro superiore » dichiarò, e
mentre si affiancava a Ginger quest’ultima lo ringraziò con lo sguardo. Lui fece
tuttavia un cenno che implicava un rifiuto, come volesse dirle di aspettare a
esprimere riconoscenza. « Ma io non sono un Flare » proseguì « Io rimarrò qui e
andrò a fondo nella faccenda. Se qualcuno vuole unirsi a me non mi opporrò ».
L’Ufficiale si sentì quasi
tradita da quelle frasi. Lo scrutò severa « Farai la fine di quei Rotom ».
« Come ho detto, ho una memoria
fuori dal comune ».
« Non sarà solo la memoria a
essere colpita, onde catalizzate da una tale quantità di zinco avranno effetti
molto più profondi. La tua percezione, il tuo raziocinio, le tue capacità
motorie. Sarai una marionetta ».
Bellocchio la osservò,
sinceramente sbalordito da tanta ingenuità. « Se anche non avessi alcuna
possibilità di uscirne vivo… Credi che lascerei Serena da sola? » le chiese, e
rise per un attimo prima di ricadere nella completa austerità « Lei non si è mai
arresa quando io avevo bisogno di aiuto. Ho un debito nei suoi confronti ». Gli
occhi dei due si incontrarono, fiammeggianti di sfida, prima che l’uomo parlasse
anche agli altri membri dell’Unità « Allora, qualcuno vuole venire? ».
Kibwe non mostrò alcuna
esitazione nel tagliare il laboratorio e schierarsi contro la leader della
squadra. Terence fu meno convinto, se non altro perché le prospettive di trionfo
non erano eclatanti, ma forse anche per pressione del suo pari alla fine si
allineò con Bellocchio. I due attesero che il loro terzo collaboratore li
seguisse.
Ma ciò non avvenne. Sandy rimase
immobile e sgomento dalla parte dell’Ufficiale. « Sandy, cosa aspetti? » lo
chiamò Kibwe, ancor più sorpreso di non ricevere risposta. Aveva ipotizzato che
Terence avrebbe opposto resistenza, ma non lui « È questo che Ross avrebbe
fatto? ».
« Non usare il suo nome in tua
difesa » ringhiò Ginger, aizzata dalla menzione del suo defunto fratello.
Bellocchio contemplò la scena
potendo quasi tastare la tensione e decise di agire personalmente. Si avvicinò a
Sandy e lo guardò dritto nelle pupille, sussurrando come a un confessionale «
Hai paura? ».
Come sovente accade è difficile
per un essere umano ammettere le proprie debolezze. Ma quell’essere umano in
particolare era molto umile, e tentennò meno di altri « Sì ».
Il giovane gli sorrise « Bene.
Perché quei Rotom non avevano paura. Non l’hanno avuta nemmeno per un istante.
Erano pronti a morire ». Si guardò attorno, offrendo particolare attenzione
all’ingegnera che più si contrapponeva alla sua scelta « Aggrappatevi a questo
quando sentirete la vostra coscienza sfuggirvi. Rimorsi, fobie, dolori passati,
le emozioni che vi tengono svegli la notte. Provarle significa che state ancora
combattendo ».
Sandy non manifestò alcun segno
di aver cambiato idea, anche se non era stato realmente certo fin dall’inizio.
Ginger si inasprì « Nessun Pokémon è mai resistito alla riscrittura. Potete
lottare, ma non vincere ».
Bellocchio le si avvicinò per un
confronto diretto, fermandosi a qualche centimetro dal suo volto « A volte non
serve vincere. A volta basta ritardare la sconfitta per salvare più vite
possibile ».
« Parli come se fossi più dotato
di noi, come se la sapessi lunga, ma non sai nulla. Il tuo cervello non funziona
al meglio sotto azione delle radiazioni, e come ti ho spiegato la tua percezione
è abbattuta ». La donna indicò con la punta del naso i due subordinati che le
avevano voltato le spalle « Con me sono venuti Terence, Kibwe e Sandy. Più te
facciamo cinque ».
« E…? » la sollecitò l’uomo,
fallendo nel vedere dove volesse arrivare.
« Ci sono sei persone in questa
stanza ».
Le palpebre di Bellocchio si
distesero, tramutando una comunicazione di ostilità in una di smarrimento. Il
suo collo roteò lentamente grado per grado, passando in rassegna ogni angolo del
bunker. I componenti della Seconda Unità erano sempre stati abbastanza compatti,
e una combinazione di concentrazione sui vlog e azione delle radiazioni
sinaptiche gli avevano impedito di scorgere la verità. Era presente un sesto
individuo, nascosto nell’ombra, addossato al primo dei processori analogici
all’ingresso. Vestito esattamente come un Flare, e ciò gli aveva dato modo di
mimetizzarsi a occhi annebbiati. Per qualche ragione non ne distingueva i
connotati nonostante riuscisse a vederlo, come se la sua mente fosse incapace di
registrarne l’esistenza al di là di una sagoma rosseggiante sul muro grigio
topo. Anche gli altri presenti si accorsero in quel momento di cosa stava
succedendo e si unirono a Bellocchio nella reazione.
« Da quanto lo sai? » domandò a
Ginger senza distogliere gli occhi dall’intruso.
« Da quando i miei si sono
divisi. Prima probabilmente non eravamo abbastanza freschi per distinguerlo
dagli altri vestiti uguali ».
Il giovane si fece coraggio e
provò a intavolare un dialogo « Chi sei? ».
In risposta nel volto sfumato del
clandestino si dipinse un sorriso maligno. D’un tratto un vento impetuoso iniziò
a soffiare nella sua direzione, come se un vortice si fosse aperto dove si
trovava, e le correnti crebbero al punto che le già instabili gambe degli altri
cinque dovettero cercare appoggio nel tavolo da pranzo al centro del
laboratorio. Jolteon scattò ai piedi della sua padrona abbandonando il quadro
elettrico, e come risultato l’ambiente ricadde nell’oscurità totale per mancanza
di adeguata corrente. Sotto i loro sguardi attoniti la sagoma prima umana della
creatura sbiadì per ricomporsi, in un lampo di luce, in una forma ben diversa:
un candeliere.
« No… » farfugliò Ginger
incredula « No, ti ho vista morire! ».
« Non è la Dama Cremisi » la
corresse Bellocchio, deglutendo a forza « Guarda le sue fiamme ».
È vero, il colore delle lamelle
di fuoco che scaturivano dai quattro piccoli bracci del Pokémon era un viola
spento anziché il chermes della loro vecchia conoscenza, ma ciò non rendeva la
situazione meno critica: quando a trasformazione completata le raffiche si
placarono, un Chandelure dalle iridi pulsanti li studiava taciturno.
Terence, nella posizione più
distante dall’avversario, pensò di arretrare ulteriormente, salvo rendersi conto
che un altro Pokémon Attiranime era comparso alle loro spalle, e un terzo li
sorvegliava accanto al computer che avevano utilizzato prima. Erano in trappola.
Bellocchio sviscerò la
circostanza: ogni via di fuga era indiscutibilmente preclusa. L’unica cosa che
poteva fare era ciò in cui era esperto: cavarsela a chiacchiere. « Sapete
parlare? ».
Il Primo Chandelure, ovvero la
locuzione con cui identificava quello che era andato in avanscoperta camuffato
da Flare, rispose « Sì ». Il suo tono
era molto differente da quello della Dama, più mascolino e soprattutto
notevolmente più vuoto. Non aveva il carisma della sua nemesi, questo era certo.
« Che cosa volete da noi? ».
«
Non vi abbiamo concesso domande » lo zittì imperiosamente il Pokémon
« Voi ora ci seguirete ».
« Dove? ».
«
Non vi abbiamo concesso domande ». Questa volta aveva parlato il
Secondo Chandelure, ovvero quello che li arginava da dietro.
Bellocchio proseguì frattanto il
proprio percorso mentale. Sicuramente quel trio era vittima delle radiazioni
sinaptiche, esattamente come lo erano stati i Rotom. E i Rotom li avevano voluti
morti a ogni costo, senza porsi scrupoli. Se anche per il momento questi compari
non avessero pianificato di ucciderli, di certo tra i loro obiettivi a lungo
termine non figurava liberarli vivi.
Inoltre, e non era un dettaglio
poco rilevante, loro cinque non avevano tutto il tempo del mondo. Anzi, ogni
secondo che sprecavano era un passo verso l’oblio, e non potevano permettersi di
giocare a fare i prigionieri. Non aveva scelta.
« Mi dispiace, ragazzi » si scusò
con i suoi amici in uniforme « Siete troppo lontani ».
Ciò che seguì si verificò
nell’arco di pochissimi attimi: un rumore di risucchio schioccò echeggiando
nella caverna, e sotto gli occhi attoniti dei Flare Bellocchio, Ginger e Jolteon
scomparvero completamente alla vista. Il Terzo Chandelure, forse rispondendo a
un istinto basilare o ipotizzando che si fossero resi invisibili, scagliò una
Marchiatura che attraversò il punto in cui la triade si trovava appena prima
finendo per incendiare lo Scissore retrostante.
«
NO! Devono restare vivi! »
sbraitò il Primo Chandelure, realizzando poco dopo con suo sollievo che dovunque
fossero i due prigionieri non erano più lì. Con vista di fuoco si rivolse
ringhiante ai tre rimanenti « Dove sono
andati? ».
Inizialmente nessuno mostrò la
fibra morale necessaria per rispondere. Rendendosi però conto che il silenzio
non avrebbe giovato a nessuno, Kibwe si fece coraggio e si caricò sulle spalle
il ruolo di portavoce della Seconda Unità « Non lo so ». Le fiamme sui bracci
del Primo Chandelure vibrarono innervosite, e l’uomo cercò di palesare che non
stava mentendo « Davvero, davvero, non lo so ».
Il suo interlocutore non fiatò,
scambiandosi occhiate con i suoi soci in una silenziosa riunione deliberativa.
Dopo un minuto che parve un’eternità il Secondo Chandelure li ammonì «
Non provate a rifarlo ».
« Non ho nemmeno idea di cosa––
».
«
Voi ci seguirete ».
Preso in considerazione il tono
con cui l’ultima frase era stata proferita, Kibwe comprese che se qualcuno di
loro avesse esternato una parola di troppo li avrebbero freddati tutti, e annuì.
Il Primo Chandelure cominciò a fare strada dirigendosi verso l’uscita e
invitandoli a seguirli; poi, come ricordatosi di un particolare, si voltò e
espresse l’unico ordine che i tre scienziati avessero udito capace di far loro
accapponare la pelle in sincronia.
«
Vi comporterete con riguardo quando sarete al cospetto di Hoopa ».
L’avventura di Altoripoli si avvia alla
conclusione! Non perdete la sesta e ultima parte:
1x32 – “Il teatro degli spettri”!