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Autore: Anne Elliot    09/03/2015    4 recensioni
Ciò che vide fu solo un foro. Un foro che ora divideva lei e suo padre nella foto alla sua laurea in medicina; l’ultima foto che avevano insieme. Vide il foro di quel fantomatico proiettile per cui lei era corsa giù per le scale, preoccupata. Preoccupata per Sherlock, preoccupata per quella stessa identica persona che, nonostante ciò che lei pensava di aver sentito in quegli ultimi giorni, la considerava solo e soltanto un mezzo per indebolirlo. Solo un mezzo.
- Seguito di "The third brother" -
Mi farebbero piacere le vostre critiche ^^
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Molly Hooper, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The third brother'
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L'errore di Sherrinford Holmes 7

Nota autore: Nuovamente salve a tutte/i! ^^
Devo, questa volta più che mai, ringraziarvi per le recensioni. Non sono stati semplici commenti ma vere e proprie analisi, interpretazioni, visioni e condivisioni di pensieri e sensazioni ed adoro che ci sia questo scambio fra noi. Quindi: mille volte grazie!
Ed ora veniamo al capitolo. Credo che definirlo strano sia riduttivo ma non ho potuto trattenermi dal scriverlo. E’ un insieme forse illogico di “sentimenti”, di quel non detto che spesso c’è anche nella serie vera e propria e che ho voluto descrivere per far percepire meglio il tutto. E’ venuto fuori un po’ da solo e si è andato rafforzando grazie a stimoli esterni (canzoni, poesie e disegni come potrete vedere sin da subito) che mi sono magicamente capitati fra le mani proprio quando non li cercavo.
Spero veramente che vi piaccia e che non vi sembri un riempitivo inutile e contorto.
Aspetto con ansia il vostro giudizio e le vostre critiche, mi raccomando le critiche!!
A presto,
Anne ^^








L’errore di Sherrinford Holmes

Possibile che non abbia mai ingoiato nessuno quella sciarpa,
la tieni così alta
ma come fai a respirare?
Lo dicono anche a me che mi addormento con la coperta fin sopra i capelli,
fin sopra ai pensieri
eppure non ti smetto ancora di sognare.
(Lo stato sociale – Seggiovia sull’oceano) *
 

Nella mia testa
c’è sempre stata una stanza vuota per te
quante volte ci ho portato dei fiori
quante volte l’ho difesa dai mostri.
Adesso ci abito io
e i mostri sono entrati con me.
(Michele Mari – Cento poesie d’amore a Ladyhawke) *

 

 

Inspira ed espira.


«No, no certo. Si, va bene. Ti faccio sapere se dovesse farsi vivo. Senti, lo so che è assurdo, ma avete provato a cercare dietro il Big B…mh…si, no ma infatti. Va bene, a dopo, si.»
Mary osservava il marito vagare per la stanza con passo militare. Era palesemente nervoso. I muscoli del volto erano contratti, gli occhi semi sbarrati e la fronte corrugata, il resto del corpo era rigido e teso.
Quando lo vide chiudere la conversazione e sedersi sul divano con aria preoccupata e pensierosa, decise di avvicinarsi.
Lui alzò lo sguardo per incontrare il suo e lei gli rispose con un sorriso accennato. Gli si sedette affianco poggiandogli una mano sul ginocchio.
«Novità?»
Dopo un primo momento di esitazione lui respirò profondamente lasciandosi andare sullo schienale e intrecciando le dita della mano con quelle di lei.
«No, non si sa dove sia finito. Il cellulare è spento per cui non riescono a rintracciarlo neanche con il gps.»
Marry annuì lentamente osservando le loro dita incrociate. Riportò gli occhi sul volto del marito.
«Pensi stia bene?»
Strinse le labbra inspirando forte dal naso.
«Non lo so…Mi preoccupa che non abbia avuto alcun tipo di reazione di fronte alle parole di Sherry. E’ un comportamento anomalo persino per lui.»
La donna alzò un sopracciglio con aria dubbiosa.
«Ne sei certo?»
Lui la guardò con rassegnazione prima di alzare ed abbassare le spalle.
«No! La verità è che non so cosa gli stia passando per la testa e il fatto che sia sparito con Molly che…insomma…» Mary mise anche l’altra mano a coprire quella del marito cercando di dargli ancora maggiore conforto ma sapendo perfettamente che i timori dell’uomo non erano infondati.
Passarono alcuni minuti di silenzio poi, improvvisamente, John Watson si alzò con un moto repentino, allarmando la moglie.
«John! Che c’è?»
L’uomo si diresse a passi rapidi verso la porta d’ingresso. Afferrò il cappotto per poi tornare indietro verso di lei, darle un bacio sulla fronte e riavviarsi verso l’uscio.
«Forse so dov’è! Ti chiamo dopo!»
Mary, la bocca semiaperta ed un’espressione sorpresa ancora in volto, rimase ad osservare la porta di casa da cui era appena fuggito suo marito.
Il pianto della bambina la riportò alla realtà. Strinse le labbra innervosita avviandosi verso il piano di sopra.
«Grazie infinite, John!»

 

 
Inspira ed espira. Non iperventilare, sarebbe solo peggio. Forza. Dentro l’aria e poi fuori. Bene, di nuovo. Inspira dal naso, senti l’aria riempire i polmoni, aspetta qualche secondo e poi fuori dalla bocca. Perfetto, ancora. Ok, ed ora, apri gli occhi e togli la mano dal petto tanto ormai il battito ed il respiro sono di nuovo regolari.
Rifletti! Dove sei? Che ore sono? Che giorno è? No, troppo in fretta. Con calma.
Ricostruisci il tutto. Allora.
Sei uscita da casa di Sherlock quasi correndo, rendendoti conto di esserti dimenticata la sciarpa non appena il vento ti ha sferzato il volto. Hai rallentato leggermente, per una frazione di secondo hai pensato di rientrare a prenderla ma poi hai accelerato nuovamente. Hai nascosto il viso nel bavero del cappotto ed infilato le mani nelle tasche, tutto per illuderti che quella sciarpa non era necessaria, ed hai sentito la morbidezza dei petali sfiorare i tuoi polpastrelli. Lentamente l’hai tirato fuori dalla tasca, osservandolo, studiandolo e senza rendertene conto ti sei fermata. E’ stato lì che ti sei sentita strattonare per il braccio, giusto? E perché non sei fuggita? Perché non hai urlato? Ah, già. Come una sciocca avevi pensato fosse lui. Ma si può sapere come ti è passata per la testa una cosa del genere?! Dannazione, dovresti aver imparato ormai, non credi? Comunque, stai divagando, dicevamo, ti sei sentita strattonare, ti sei voltata con aria assente ed hai visto quell’uomo. Quell’uomo con quegli occhi scuri. Gli stessi occhi che avevi visto uscire da casa tua per poi scappare giù per la rampa di scale. In quel momento hai realizzato il tutto, è lì che l’adrenalina ha iniziato a salire ed hai cercato di urlare prima che la mano di lui ti tappasse la bocca. L’ha premuta talmente forte da farti avere la sensazione di non respirare, però hai cercato comunque di fuggire. Sherlock era lì vicino, se fossi riuscita a fuggire, se fossi riuscita ad urlare lui sarebbe venuto!...Ne sei sicura?...Ma si certo! D’accordo forse dopo quello che hai fatto non…Ti stai deconcentrando di nuovo, smettila! Hai tentato di divincolarti e quasi sei riuscita a fargli perdere l’equilibrio ma lui ti ha trascinata con sé facendoti sbattere la fronte su quella macchina. Ecco il perché di questo mal di testa atroce, ecco il perché della fasciatura che lui ti ha indicato e che non ti eri resa conto di avere! Hai sbattuto la fronte forte, molto forte. E poi? Poi ti sei sentita trascinare fin dentro ad un veicolo. Un furgone? Forse. Ti hanno lasciata sdraiata sul pavimento gelido e sono rapidamente partiti. E dopo? Cos’è successo dopo? Non lo ricordi vero? Sono più che altro immagini distorte e confuse. I due uomini che si muovevano con fare concitato, parlavano ma non riuscivi a capirli. Stranieri, si ma di dove? Una lingua dell’est  Europa, si, ma diversa. Non riuscivi a muoverti. Ora ricordi! La sensazione del sangue denso che scende dalla fronte giù sino alla guancia, lento, lentissimo. La tua mano che cerca di fermarlo e poi…il buio. Sei svenuta? Si, sei svenuta sicuramente perché i ricordi successivi non sono più in quel furgone. Sei sdraiata sul sedile posteriore di una macchina di lusso. I sedili sono in pelle chiara e qualcuno urla che sarà un inferno riuscire a pulirli, urla ai due uomini che sono degli incompetenti. Nuovamente un buco. Ed arriviamo a poco fa. Ti sei svegliata su questo divano, un mal di testa atroce e la bocca secca. Ti sei alzata a fatica mettendoti a sedere ed hai scrutato in giro. Una stanza grande, arredata con un barocco quasi eccessivo, le imposte chiuse a renderla completamente buia al di fuori dei pochi metri che la luce del camino riesce ad illuminare e scaldare. E’ una stanza fredda, incredibilmente fredda.
Bene, ora che è tutto chiaro, riesci a rispondere alla tua domanda? No! Non lo so dove sono, non ne ho la più pallida idea! Fantastico!
Proviamo con le altre…che ora sono? Che giorno è?
Come faccio a capirlo?! Non riesco a vedere nulla oltre quelle dannate imposte. Però lui ha detto “Buonanotte Dottoressa Hooper” per cui deve essere sera. Si, ma di quale giorno? E’ possibile che abbia dormito per giorni? Oh Dio, non lo so.
E adesso? Adesso che faccio?

 

 
Perché sei qui? Senso di colpa? No, altamente improbabile. Allora perché?
Indizi? Tracce? Osservare e non semplicemente guar...? Oh, ma per l’amor del cielo, smettila!
Avanti, su: Mind Palace! Inspira ed espira e…lo sapevo, non dovevi sdraiarti! Sapevi di non doverlo fare. Adesso il suo odore ti distrarrà dal tuo lavoro. No, non è un buon odore, è un odore come tanti. Lo reputi buono solo perché lo conosci e lo colleghi a lei, per cui è buono. Tutto qui. Fosse stato quello di John avresti detto familiare, quello di Mary rassicurante, quello di Mycroft aspro, quello di Irene seducen…Sherry! No, non ora. Non è questo il momento di pensare a Sherry. Avresti dovuto dirle qualcosa? Si, avresti dovuto. Ma che cosa? Non le hai detto nulla perché non sapevi cosa dirle, e non sapevi cosa dirle perché non sapevi cosa provare. Cos’era? Delusione, rammarico, tristezza, dolore: che cos’era quello che provavi? In principio, dolore, si, dolore. Non ti saresti aspettato quello vero? Pensavi che Irene ormai fosse lì, ferma dietro una porta chiusa. Immobile ed inalterata per sempre. Nulla l’avrebbe scalfita. Ed invece…e poi? Poi cosa è stato? Tristezza? Si ma non per te. No, no, era tristezza per Sherry. Per Sherry che ti raccontava tutta quella storia con il dolore negli occhi per quello che tu avresti provato e non per quello che lei aveva provato. Perché si, anche lei ci era passata! Lei l’aveva scoperta tutta quella storia, lei era venuta a sapere che quell’uomo, quell’uomo di cui ancora pronuncia il nome con una nota nascosta di amore nella voce, quell’uomo l’aveva abbandonata ben prima che il loro essere insieme finisse travolto dalla violenza.
Ora basta! Non è il momento. Mind palace, avanti, costruisci!
Struttura, ricrea la struttura e vai avanti. Cerca.

 
Godfrey Norton. **

Data di nascita: 21 settembre 1972

Genitori: Njord Norton (norvegese, 1945-1977) e Shadi [cognome non pervenuto] (inglese, -1977)

Luogo di nascita: Pristina

Permanenza in orfanotrofio: 1977-1987

Permanenza in riformatorio: 1987-1989 (denuncia di scomparsa: approfondisci)

Negli archivi di:
BIA (dal 1991: approfondisci )
KGB (dal 1991: approfondisci)
INTERPOL (dal 1992: approfondisci)
MI6 (dal 1992: approfondisci)
FBI (dal 1992: approfondisci)
CIA (dal 1992: approfondisci)

Accuse a suo carico:
Alto tradimento
Commercio illegale di: armi, droga, esseri umani
Terrorismo
Mandante di: 47 omicidi, 68 sequestri, 237 attentati

Correlazioni rilevanti:
Mostof Avidue (accuse a suo carico, condanne: : approfondisci)
Sherrinford Holmes (accuse a suo carico, condanne: approfondisci)

 
Non deconcentrarti, forza. Aggiorna le informazioni e prosegui. Stai perdendo tempo inutile.

 
Correlazioni rilevanti:
Mostof Avidue (accuse a suo carico, condanne: : approfondisci)
Sherrinford Holmes (accuse a suo carico, condanne: approfondisci)
Irene Adler (accuse a suo carico, condanne: approfondisci)
Molly Hooper (approfondisci)

 
Si, è vero, stona. Lei stona in tutto questo ma c’è. Per colpa tua? Beh, anche, si ma…no, non approfondire! Lo sai che non è ben schematizzata e…Si, si è sempre stata una bella stanza la sua ma troppo caotica. Non ti sei mai messo a riordinarla, hai sempre solo accumulato nozioni ed informazioni, e non ci entri quasi mai. Tutti quei sorrisi, ad esempio, non hanno un senso. Dovresti eliminarne qualcuno, no?! Ok, va bene, no. E suppongo non si possano neanche sfoltire gli sguardi, gli arricciamenti di labbra, i movimenti dei capelli, i movimenti nervosi delle mani, i toni di voce, le 45, oh mio Dio, 45 differenti tipologie di risata, vero? Già, lo sospettavo. E non trovi sia un po’ egocentrico mantenere tutte quelle differenti tonalità di “Sherlock” della sua voce?! …Non pensavi fosse così piena, vero? Beh, in fin dei conti, sono anni che accumuli. E’ iniziato tutto con quella foto, ricordi? Quella con tutti quegli apprendisti intorno, quella che hai modificato eliminandoli e mantenendo lei, ti ricordi? E…aspetta un momento!…cosa ci fa lui qui?! Lui non dovrebbe essere qui! Si, si, lei Moriarty lo ha conosciuto ma lui non era stato messo qui e neanche la Donna o Norton o Magnussen o…ma che sta succedendo?! Perché sono qui? Loro dovrebbero stare con te! Loro dovrebbero stare nella tua stanza, non qui! Perché sono qui? No, non puoi trasferirti qui. L’hai difesa per così tanti anni, non puoi cedere così. Avanti, devi uscire, devi portarli via con te. Non puoi lasciarli qui, non puoi….distruggeranno tutto…

 

 
Era ormai sveglia da qualche minuto, ed aveva finito di perlustrare la stanza con lo sguardo, quando il rumore di una chiave girata nella toppa attirò la sua attenzione.
Godfrey Norton entrò sinuosamente nella stanza preceduto dai medesimi uomini che l’avevano scortato la notte precedente. Le rivolse un sorriso affabile e si avvicinò a passi lenti fino al camino; mosse la leva che regolava la cappa e il fuoco si ravvivò illuminando maggiormente la stanza.
«Così va meglio, non crede?»
La patologa lo seguì con lo sguardo mentre, slacciato il bottone della giacca, l’uomo si sedeva sul divano di fronte al suo accavallando con naturalezza le gambe.
«Non si potrebbe accendere la luce?»
Il sorriso falsamente affettuoso dell’uomo le fece capire che no, non si poteva. Ma perché no? Le imposte erano chiuse e le tende pesanti tirate. Ma allora perché? Forse…
L’uomo aprì il proprio sorriso accennato attirando l’attenzione della patologa e fermando il suo ragionamento non espresso.
«Esattamente Dottoressa Hooper. Lei è un’ospite clandestina e credo sia meglio, non solo per me ma anche per la sua stessa sicurezza, che rimanga tale.»
Molly chiuse le labbra che erano rimaste semiaperte durante il suo ragionamento.
«Suppongo le faccia male.»
La donna aggrottò le sopracciglia e l’uomo alzò un dito ad indicare la sua fronte. Istintivamente le mani di lei andarono a coprire il punto indicato percependo la grinzosità della garza. Si voltò ad osservare il suo riflesso in uno specchio inclinato che sovrastava il camino.
«Nikolai.»
Un uomo le si avvicinò con fare militaresco posando una piccola pillola bianca ed un bicchiere d’acqua sul tavolino di fianco a lei. Molly si voltò verso Norton con aria assente.
«Non si preoccupi, è solo un analgesico.»
Gli occhi di lei andarono ad osservare il bicchiere e la pillola. Dopo qualche istante di esitazione mise la pillola fra le labbra e bevve un sorso d’acqua. L’uomo le sorrise.
«Devo scusarmi con lei Dottoressa. In primis per l’incompetenza dei miei sottoposti; avrebbero dovuto sedarla così da non farla spaventare e provocarsi quel taglio.» Molly ingoiò nervosamente l’aria.« Inoltre temo rimarrà la cicatrice…ho decisamente perso la mano che avevo un tempo!»
La donna sbarrò leggermente gli occhi al fare quasi goliardico di lui.
«Lei era, cioè, è un medico?»
La risata piena, bassa e sensuale dell’uomo le invase le orecchie.
«No, Dottoressa. Assolutamente no. Ma ciò che ho affrontato nella vita mi ha imposto di imparare determinate nozioni. Se si vuol sopravvivere dove ho vissuto io bisogna essere in grado di ricucire e ricucirsi molto più di semplici graffi.»
La patologa si rannicchiò nelle spalle allo sguardo profondo dell’uomo ma ebbe un brivido a riconoscere in quegli occhi la stessa espressione cupa e dura che tante volte aveva visto in quelli di Sherry. Quanto può cambiare un essere umano a seconda di dove le sue scelte lo portano? Quanto lo sguardo di lui e quello di lei avrebbero potuto essere diversi in un mondo in cui avessero fatto scelte diverse ed affrontato sfide differenti?
Scosse leggermente la testa per poi riportare lo sguardo su di lui.
«Perché sono qui?»
L’uomo le lanciò un sorriso rigido che la spaventò.
«Il cellulare, Dottoressa Hooper. Quello che Sherry mi ha dato è un falso e nonostante adori giocare con lei…» Molly si ritrovò ad arrossire imbarazzata al tono che aveva usato per quelle ultime parole. «…non ho tempo da perdere.»
«Ma io non ce l’ho!»
Lui si alzò avvicinandosi ad uno dei suoi accompagnatori.
«Ne sono consapevole ma credo possa aiutarmi ad averlo.»
Molly corrugò la fronte quando vide l’uomo che rispondeva al nome di Nikolai, consegnare un oggetto scuro a Norton.
«Che cosa intende dire?»
Le si riavvicinò posando un telefono di fianco al bicchiere d’acqua.
«Deve semplicemente fare una telefonata.»
Alzò uno sguardo dubbioso sul volto dell’uomo.
«A chi?»
Un ghigno indecifrabile si fece largo sul volto di lui.
«A Sherlock Holmes.»
Le mani della patologa, che fino a quel momento avevano torturato i lembi del maglione, si bloccarono per poi stringersi intorno alla stoffa con innaturale forza.
«Perché?»
L’uomo alzò le sopracciglia per una frazione di secondo a quel tono quasi minaccioso ma poi si ritrovò a sorridere.
«Voglio solo che sappia che lei è viva e sta bene, nulla di più.»
La patologa fece vagare lo sguardo per la stanza prima di riportarlo su Norton.
«E se non volessi farlo?»
Lo sguardo vitreo dell’uomo la fece rinchiudere nelle spalle.
«La mia non era una richiesta, Dottoressa.»

 

 
Aprì lentamente gli occhi stupendosi di trovare il buio intorno a sé. Scrutò la stanza con espressione vuota prima di riposizionarsi supino ad osservare il soffitto. Nel muoversi le sue dita si scontrarono con un tessuto morbido differente da quello della trapunta sotto di lui.
Sospirò mentre le sue dita lunghe finivano di estrarre la sciarpa di Molly Hooper dalla tasca del Belfast. L’alzò leggermente così da poterla osservare senza sollevare la testa dal cuscino; arcuò un sopracciglio con fare sarcastico. Oggettivamente, quella sciarpa era orribile. La maglia era ormai rovinata, molti fili erano usciti dai vari intrecci e soprattutto era troppo colorata, troppo pesante, troppo lunga. Ogni volta si domandava come Molly potesse portarla così alta intorno al volto, gli aveva sempre dato un senso di soffocamento.
Le connessioni della sua mente, all’improvviso, iniziarono a muoversi facendo riaffiorare un ricordo passato, un ricordo custodito ma ignorato, un ricordo che avrebbe potuto tranquillamente definire inutile.

Era il ricordo di sé stesso, adolescente, circondato da un buio compatto e da un silenzio ovattato. Era lui immerso sotto le coperte pesanti di un novembre troppo freddo. Era lui sereno, rassicurato e vuoto di tutti i pensieri che, normalmente, gravitavano senza controllo nella sua mente. Era lì quando un mano leggera aveva iniziato a scoprirlo lasciandolo indifeso ad un improbabile sole invernale.
«Oh mio Dio, Sherlock! Come fai a dormire così? Non ti senti soffocare?»
Nonostante i suoi occhi fossero ancora incapaci di vederla a causa del brusco cambiamento di luminosità, non aveva avuto difficoltà a riconoscere il tono cristallino e divertito di Sherry.
Aveva semplicemente grugnito innervosito a quel brusco risveglio voltandosi dall’altra parte. Nonostante questo, Sherry non si era arresa finendo di scoprirlo e piegandosi fino ad appoggiare il proprio mento sulla sua spalla, un dito ad arrotolare un riccio di lui..
«Cosa c’è che non va?»
Era rimasto in silenzio, lasciandola giocare con i suoi capelli.
«Non puoi nasconderti al mondo, Sherlock.»
Aveva aperto gli occhi di scatto a quella voce maschile. Mycroft era appoggiato allo stipite della porta e li osservava con un’espressione indecifrabile. Avrebbe voluto rispondere con il solito tono stizzito ma la voce dolce di Sherry a pochi centimetri dal suo orecchio lo aveva interrotto.
«Lo sai che Mike ha ragione.» Lui aveva respirato pesantemente. «Devi solo imparare a rapportarti con gli altri, Sherlock. Sei, anzi siamo, diversi ma non per questo dobbiamo nasconderci.»
Si era voltato lanciandole uno sguardo rancoroso.
«Dovrei quindi uniformarmi? Dovrei cambiare?»
«Sherry non ha detto questo!»
Si era nuovamente voltato verso il fratello senza comprendere.
«Sei tu che pensi di dover cambiare perché sei diverso. Diverso è una parola come tante ma sei tu che hai deciso di dargli un’accezione negativa. Il problema, Sherlock, non sono gli altri, il problema sei tu. Devi scegliere cosa essere e non vergognarti della scelta che hai fatto, a prescindere da ciò che gli altri pensino o dicano di te.»
Si era ritrovato ad osservare il fratello in maniera diversa, per una volta aveva scoperto in Mycroft qualcuno di simile a lui. Avrebbe voluto dire qualcosa ma non lo fece e rimase immobile mentre, con un colpo di reni, il fratello si staccava dalla porta  per poi andarsene con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni
Si voltò verso Sherry che gli sorrideva con una delle sue espressioni più dolci.
«Non c’è niente di univoco od oggettivo a questo mondo. Ciò che tu reputi diverso può non esserlo per qualcun altro e viceversa. Sii solo ciò che vuoi essere Sherlock, niente di più e niente di meno.»

Senza rendersene conto aveva iniziato ad accarezzare, con il pollice, il tessuto della sciarpa. Gli occhi, persi nel ricordo fino a qualche istante prima, andarono ad osservare la propria mano. Sorrise leggermente. No, quella sciarpa non era oggettivamente brutta; quella sciarpa era la coperta di Molly Hooper, tutto qui. Era ciò dietro cui Molly si parava, come lo erano i suoi vestiti, le sue acconciature particolari ed il suo lavoro. Ma, a differenza sua, lei non le usava per nascondersi ma per palesare al mondo chi lei era. A prescindere dai giudizi, dai commenti, dalle opinioni e dalle offese degli altri.
L’unica cosa che ancora non riusciva a capire era perché l’avesse presa e portata con sé. Perché, quando Mrs Hudson era uscita dalla porta di casa porgendola a John, lui gliel’avesse praticamente strappata di mano per poi correre in strada; perché non l’aveva lasciata a John quando ormai aveva scoperto che avevano preso Molly; perché l’aveva portata con sé e perché anche in quel momento, nonostante potesse poggiarla lì, sul letto di lei, continuava a tenerla in mano senza riuscire a lasciarla?
La ripose nuovamente nella tasca e si mise a sedere con inaspettata fatica. Poggiò i gomiti sulle ginocchia ed incrociò le dita di fronte alle labbra, le sopracciglia vagamente aggrottate e gli occhi semichiusi.
Inspirò profondamente e fece perno con le mani sulle ginocchia per alzarsi.
A passi lenti andò verso il salotto. Le luci completamente spente rendevano l’appartamento di Molly Hooper un insieme di forme vaghe o del tutto nascoste ma lui non aveva bisogno della luce per muoversi. Lo conosceva, c’era stato si e no un paio di volta ma lui lo conosceva bene. Ogni mobile, ogni ninnolo, ogni tappeto o lampada, tutto. Si stupì del fatto che la cosa non lo sorprendesse.
Stava per uscire dalla porta d’ingresso quando qualcosa attirò la sua attenzione.

 

 
Molly si voltò di scatto verso Norton.
«Perché ha interrotto la chiamata? Aveva detto che…»
L’uomo riconsegnò il cellulare al suo sottoposto e chiuse il bottone della giacca.
«Doveva sapere che è viva e sta bene. Questo è più che sufficiente.»
Con un coraggio che sorprese anche se stessa, Molly si alzò fronteggiando l’uomo con aria di sfida.
«Sa solo che sono viva. Che cosa voleva veramente da questa telefonata?»
L’uomo le sorrise avvicinandosi alla patologa fino ad essere ad una distanza tale da imbarazzarla. Lo sguardo affascinante ma cupo quasi le fece abbassare lo sguardo ma non cedette. Non sapeva perché ma quella volta doveva resistere nonostante percepisse le ginocchia tremare ed il battito del suo cuore accelerare.
«Punti deboli, Dottoressa Hooper.»
Molly aprì e richiuse le labbra un paio di volte prima di tornare a sedersi sul divano. Una mano sul petto a percepire il suo cuore battere troppo forte ed il suo respiro divenire irregolare.
«Non è Sherlock Holmes che mi interessa, Dottoressa. Lo sappiamo entrambi. Voi siete solo pedine; siete solo parte della partita che io e Sherry stiamo giocando. Se rimarrete nei vostri ruoli non vi succederà nulla, glielo posso assicurare.»
Molly alzò leggermente lo sguardo mentre Norton si incamminava verso la porta. Uno dei due uomini che lo accompagnavano l’aveva aperta aspettando che lui ne oltrepassasse la soglia.
«Altrimenti?»
La voce di lei era stata quasi un sussurro ma l’uomo l’aveva percepita senza difficoltà nel silenzio totale di quella stanza vuota.
Si voltò lanciandole uno sguardo vitreo ed impassibile.
«Non importa quante pedine sia necessario sacrificare. L’importante è vincere la partita.»
Il volto della patologa divenne una maschera bianca ed immobile.
L’uomo le rivolse un sorriso affabile inchinando leggermente la testa.
«Buonanotte Dottoressa Hooper.»

 

 
Avrebbe riconosciuto quella sagoma fra milioni di simili. Non era per i capelli, per la forma delle spalle, per la lunghezza delle braccia o per le dita affusolate oppure era per tutto questo insieme; sta di fatto che sapeva che quello di fronte a lui, avvolto nel buio più totale del salotto di Molly Hooper, era Sherlock Holmes.
«John.»
Il dottore non rispose. Fece qualche passo per entrare nella stanza.
«Sospettavo fossi qui.»
Il detective non si voltò ma John percepì il lieve movimento delle spalle ed un accenno di ilarità nella voce.
«Sono diventato così prevedibile?»
Rimasero in silenzio per qualche istante. Le labbra di John vagamente piegate all’insù.
«Trovato qualcosa di interessante?»
Il detective non rispose facendo un passo verso un tavolino basso che sparì alla vista del dottore una volta coperto dal nero della sua figura.
John capì che quel silenzio era una risposta negativa alla sua domanda ed inspirò pesantemente.
«Cosa pensi di fare adesso?»
Passarono alcuni istanti prima che Sherlock si voltasse improvvisamente avvicinandosi al collega. Gli occhi semichiusi e la fronte corrugata.
«Che giorno è?»
John arcuò le sopracciglia.
«Intendi oggi?»
Il detective alzò gli occhi al cielo prima di rispondere con tono irritato.
«Ma che…ma è ovvio, no? Dio santo, John…»
Il dottore annuì imbarazzato prima di interrompere lo sproloquio dell’amico.
«Si, scusa. E’ il 3, si è il 3.»
Vide l’uomo sorpassarlo ed incamminarsi con passi rapidi verso le scale dopo aver esclamato uno illogico “Eccellente!”.
John Watson rimase immobile nel salotto, i passi rapidi di Sherlock che scendevano le scale a fare da sottofondo ai suoi pensieri. Il tavolino, su quel tavolino c’era qualcosa, si, su quel tavolino prima che Sherlock lo coprisse al suo sguardo c’era qualcosa, qualcosa che ora non c’era più. Si, ma cosa? Non riusciva a ricordarlo! Ma se Sherlock lo aveva preso doveva essere impo…
«JOHN! ALLORA?»
Il richiamo del collega lo fece sobbalzare e si precipitò giù per le scale dopo aver richiuso la porta dell’appartamento.
Non appena arrivato in strada vide il detective che lo aspettava innervosito. Una mano a tener aperta la portiera posteriore di un taxi.
Salirono nell’auto e il detective diede un indirizzo all’autista.
Il dottore corrugò le sopracciglia alla via sconosciuta che l’uomo aveva indicato.
«Dove stiamo andando?»
Il detective guardava il suo cellulare, le dita a digitare ininterrottamente.
«Dobbiamo procurarci un invito.»
«Un invito? E per cosa?»
Sherlock gli lanciò una rapida occhiata prima di tornare ad osservare lo schermo del telefono.
«Non hai un abito scuro vero?»
Il dottore si voltò uno sguardo interrogativo ma il detective non gli prestò la minima attenzione.
«Beh devi procurartelo entro dopodomani.»
John rimase ad osservarlo per qualche istante prima di capire che non avrebbe ottenuto altre informazioni al riguardo. Improvvisamente il tavolino rioccupò i suoi pensieri.
«Cosa hai preso da casa di Molly?»
Le dita del consulente investigativo si bloccarono. Si voltò ad osservare il collega con un sopracciglio arcuato.
«Come?»
«Si, hai preso qualcosa dal tavolino. Che cos’era?»
Sherlock tornò ad osservare lo schermo del telefono, le dita a muoversi nuovamente su di esso.
«Per quanto apprezzi il tuo voler imparare ad osservare, John, credo che tu ti stia un po’ lasciando trasportare.»
Il dottore aggrottò le sopracciglia con espressione offesa ed irritata.
«Ehi, non me lo sono sognato! Ti ho visto prendere qualcosa e…»
Il detective si voltò con espressione annoiata.
«Ah, si? E che cosa?»
«Non lo so!»
«Allora come fai a dire che ho preso qualcosa?»
John boccheggiò un paio di volte mentre il detective faceva segno all’autista di fermarsi.
Scesero dal taxi e Mr Watson fece per incamminarsi dietro un rapido Sherlock Holmes quando, alzato lo sguardo, si bloccò.
«Sherlock, perché siamo davanti al Foreign Office?»

 

 

Note autore:
* Forse non vi interesserà, anzi ne sono quasi sicura, ma voglio raccontarvi come questi tre elementi (l’immagine, la canzone e la poesia) sono arrivati “nelle mie mani” e come sono andati a ricalcare ciò che già avevo pensato e scritto per questo capitolo. Ho trovato l’immagine ( è opera di “Disegni random”, non so come si chiami il ragazzo che li fa, ma ha una pagina su facebook) un po’ per caso girovagando intorno a varie canzoni e mi ha ricordato, appena l’ho vista, Molly e Sherlock; non ho saputo resistere al collegamento anche perché era ispirata dal testo della canzone de Lo stato sociale, testo che già mi aveva fatto pensare a loro (anche se, ad onor del vero, io preferisco la cover fatta da Nicolò Carnesi). La poesia, invece, ha una storia più particolare. Ho comprato il libro di Mari aspettandomi poesie umoristiche su varie sensazioni e mi sono ritrovata fra le mani la storia dell’amore che quest’uomo prova per una donna da ben 30 anni; un amore che in principio non è sbocciato per paure e insicurezze e che poi è diventato una “storia” quando ormai lei era sposata e loro potevano stare insieme solamente come amanti, per lo meno sino a quando lei non lo lascia. Comunque, moltissime poesie mi hanno ispirato (credo che molte ispirazioni diventeranno delle storie su Sherlock XD) ma questa, nello specifico, rispecchiava tutto ciò che io avevo già scritto su Sherlock e sui suoi vari pensieri e sentimenti. Sono malata? Sicuramente! Dovrei imparare a leggere poesie, ascoltare musica e guardare disegni senza lasciare la mia mente vagare incontrastata? Ovviamente si!!
** Naturalmente è tutto completamente inventato ma (perché se non ci fosse un ma non sarei io ^^) con un po’ di “giochi” da parte mia. Il significato del nome Godfrey non esiste, è solo un nome, ma girovagando per internet (cosa che prima o poi mi porterà alla follia) ho scoperto che Freyr, anglicizzato Frey, è una divinità di origine scandinava. Dio della pace, della fecondità e sembrerebbe anche del matrimonio; simpatica contraddizione rispetto al nostro Godfrey o per meglio dire “Dio Frey”! Beh, non voglio dirvi altro, ma sappiate che non è proprio irrilevante. Per quanto riguarda la data di nascita, il 21 settembre è la giornata mondiale per la pace nel mondo; non ho saputo resistere ad un’altra contraddizione. Mentre il nome del padre è il nome del Dio padre di Freyr. Infine la BIA sono i servizi segreti serbi.Si, lo so, lo so, ho dei problemi seri! Scusatemi!
Vi avevo avvisato che era un capitolo strano, no?! Spero di non aver “osato” troppo con questa tipologia di racconto ma mi ha dato un senso di libertà infinita poter far parlare così tanto sia Molly che, soprattutto, Sherlock. Il palazzo mentale di Sherlock credo di averlo reso troppo simile a quello di Magnussen ma non volevo addentrarmi in una descrizione figurativa del tutto anche perché, come si evince anche da “la scheda Molly”, credo che un uomo come Sherlock con una memoria come la sua non possa avere effettivamente una stanza per ogni persona/cosa che sa ma solo per le persone a cui tiene. Sono propensa a pensare che abbia delle informazioni schematiche e per certi versi fascicolate che va poi a ricercare (come fa ne “The hounds of Baskerville”) per tutto e tutti, mentre le sue trasposizioni mentali delle persone possano effettivamente abitare stanze e corridoi del suo palazzo (come avviene invece in “The last vow”). Ha senso, secondo voi? ^^
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. Sono veramente curiosa e sappiate che ogni tipo di critica, osservazione o giudizio sono assolutamente ben accetti se non addirittura auspicati.
A presto,
Anne^^

 

 

  
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