Nota autore: Nuovamente salve a tutte/i!
^^
Devo,
questa volta più che mai, ringraziarvi per le recensioni.
Non sono stati
semplici commenti ma vere e proprie analisi, interpretazioni, visioni e
condivisioni di pensieri e sensazioni ed adoro che ci sia questo
scambio fra
noi. Quindi: mille volte grazie!
Ed
ora veniamo al capitolo. Credo che definirlo strano sia riduttivo ma
non ho
potuto trattenermi dal scriverlo. E’ un insieme forse
illogico di “sentimenti”,
di quel non detto che spesso c’è anche nella serie
vera e propria e che ho
voluto descrivere per far percepire meglio il tutto. E’
venuto fuori un po’ da
solo e si è andato rafforzando grazie a stimoli esterni
(canzoni, poesie e
disegni come potrete vedere sin da subito) che mi sono magicamente
capitati fra
le mani proprio quando non li cercavo.
Spero
veramente che vi piaccia e che non vi sembri un riempitivo inutile e
contorto.
Aspetto
con ansia il vostro giudizio e le vostre critiche, mi raccomando le
critiche!!
A
presto,
Anne
^^
L’errore di Sherrinford Holmes
Possibile che non abbia mai
ingoiato nessuno quella sciarpa,
la tieni così alta
ma come fai a respirare?
Lo dicono anche a me che mi addormento con la coperta fin sopra i
capelli,
fin sopra ai pensieri
eppure non ti smetto ancora di sognare.
(Lo stato sociale – Seggiovia sull’oceano) *
Nella mia testa
c’è
sempre stata una stanza vuota per te
quante volte ci ho
portato dei fiori
quante volte
l’ho difesa dai mostri.
Adesso ci abito io
e i mostri sono
entrati con me.
(Michele Mari
– Cento poesie d’amore a Ladyhawke) *
Inspira ed espira.
«No,
no certo. Si, va bene. Ti faccio sapere se dovesse farsi vivo.
Senti, lo so che è assurdo, ma avete provato a cercare
dietro il Big B…mh…si,
no ma infatti. Va bene, a dopo, si.»
Mary osservava il marito vagare per la stanza con passo militare. Era
palesemente nervoso. I muscoli del volto erano contratti, gli occhi
semi
sbarrati e la fronte corrugata, il resto del corpo era rigido e teso.
Quando lo vide chiudere la conversazione e sedersi sul divano con
aria preoccupata e pensierosa, decise di avvicinarsi.
Lui alzò lo sguardo per incontrare il suo e lei gli rispose
con un
sorriso accennato. Gli si sedette affianco poggiandogli una mano sul
ginocchio.
«Novità?»
Dopo un primo momento di esitazione lui respirò
profondamente
lasciandosi andare sullo schienale e intrecciando le dita della mano
con quelle
di lei.
«No, non si sa dove sia finito. Il cellulare è
spento per cui non
riescono a rintracciarlo neanche con il gps.»
Marry annuì lentamente osservando le loro dita incrociate.
Riportò
gli occhi sul volto del marito.
«Pensi stia bene?»
Strinse le labbra inspirando forte dal naso.
«Non lo so…Mi preoccupa che non abbia avuto alcun
tipo di reazione di
fronte alle parole di Sherry. E’ un comportamento anomalo
persino per lui.»
La donna alzò un sopracciglio con aria dubbiosa.
«Ne sei certo?»
Lui la guardò con rassegnazione prima di alzare ed abbassare
le
spalle.
«No! La verità è che non so cosa gli
stia passando per la testa e il
fatto che sia sparito con Molly
che…insomma…» Mary mise anche
l’altra mano a
coprire quella del marito cercando di dargli ancora maggiore conforto
ma
sapendo perfettamente che i timori dell’uomo non erano
infondati.
Passarono alcuni minuti di silenzio poi, improvvisamente, John Watson
si alzò con un moto repentino, allarmando la moglie.
«John! Che c’è?»
L’uomo si diresse a passi rapidi verso la porta
d’ingresso. Afferrò
il cappotto per poi tornare indietro verso di lei, darle un bacio sulla
fronte
e riavviarsi verso l’uscio.
«Forse so dov’è! Ti chiamo
dopo!»
Mary, la bocca semiaperta ed un’espressione sorpresa ancora
in volto,
rimase ad osservare la porta di casa da cui era appena fuggito suo
marito.
Il pianto della bambina la riportò alla realtà.
Strinse le labbra
innervosita avviandosi verso il piano di sopra.
«Grazie infinite, John!»
Inspira ed espira. Non iperventilare, sarebbe solo peggio. Forza.
Dentro l’aria e poi fuori. Bene, di nuovo. Inspira dal naso,
senti l’aria
riempire i polmoni, aspetta qualche secondo e poi fuori dalla bocca.
Perfetto,
ancora. Ok, ed ora, apri gli occhi e togli la mano dal petto tanto
ormai il
battito ed il respiro sono di nuovo regolari.
Rifletti! Dove sei? Che ore sono? Che giorno è? No, troppo
in fretta.
Con calma.
Ricostruisci il tutto. Allora.
Sei uscita da casa di Sherlock quasi correndo, rendendoti conto di
esserti dimenticata la sciarpa non appena il vento ti ha sferzato il
volto. Hai
rallentato leggermente, per una frazione di secondo hai pensato di
rientrare a
prenderla ma poi hai accelerato nuovamente. Hai nascosto il viso nel
bavero del
cappotto ed infilato le mani nelle tasche, tutto per illuderti che
quella
sciarpa non era necessaria, ed hai sentito la morbidezza dei petali
sfiorare i
tuoi polpastrelli. Lentamente l’hai tirato fuori dalla tasca,
osservandolo,
studiandolo e senza rendertene conto ti sei fermata. E’ stato
lì che ti sei
sentita strattonare per il braccio, giusto? E perché non sei
fuggita? Perché
non hai urlato? Ah, già. Come una sciocca avevi pensato
fosse lui. Ma si può
sapere come ti è passata per la testa una cosa del genere?!
Dannazione, dovresti
aver imparato ormai, non credi? Comunque, stai divagando, dicevamo, ti
sei
sentita strattonare, ti sei voltata con aria assente ed hai visto
quell’uomo.
Quell’uomo con quegli occhi scuri. Gli stessi occhi che avevi
visto uscire da
casa tua per poi scappare giù per la rampa di scale. In quel
momento hai
realizzato il tutto, è lì che
l’adrenalina ha iniziato a salire ed hai cercato
di urlare prima che la mano di lui ti tappasse la bocca. L’ha
premuta talmente
forte da farti avere la sensazione di non respirare, però
hai cercato comunque
di fuggire. Sherlock era lì vicino, se fossi riuscita a
fuggire, se fossi
riuscita ad urlare lui sarebbe venuto!...Ne sei sicura?...Ma si certo!
D’accordo
forse dopo quello che hai fatto non…Ti stai deconcentrando
di nuovo, smettila!
Hai tentato di divincolarti e quasi sei riuscita a fargli perdere
l’equilibrio
ma lui ti ha trascinata con sé facendoti sbattere la fronte
su quella macchina.
Ecco il perché di questo mal di testa atroce, ecco il
perché della fasciatura
che lui ti ha indicato e che non ti
eri resa conto di avere! Hai sbattuto la fronte forte, molto forte. E
poi? Poi ti
sei sentita trascinare fin dentro ad un veicolo. Un furgone? Forse. Ti
hanno
lasciata sdraiata sul pavimento gelido e sono rapidamente partiti. E
dopo? Cos’è
successo dopo? Non lo ricordi vero? Sono più che altro
immagini distorte e
confuse. I due uomini che si muovevano con fare concitato, parlavano ma
non
riuscivi a capirli. Stranieri, si ma di dove? Una lingua
dell’est Europa,
si, ma diversa. Non riuscivi a
muoverti. Ora ricordi! La sensazione del sangue denso che scende dalla
fronte
giù sino alla guancia, lento, lentissimo. La tua mano che
cerca di fermarlo e
poi…il buio. Sei svenuta? Si, sei svenuta sicuramente
perché i ricordi
successivi non sono più in quel furgone. Sei sdraiata sul
sedile posteriore di
una macchina di lusso. I sedili sono in pelle chiara e qualcuno urla
che sarà
un inferno riuscire a pulirli, urla ai due uomini che sono degli
incompetenti.
Nuovamente un buco. Ed arriviamo a poco fa. Ti sei svegliata su questo
divano,
un mal di testa atroce e la bocca secca. Ti sei alzata a fatica
mettendoti a
sedere ed hai scrutato in giro. Una stanza grande, arredata con un
barocco
quasi eccessivo, le imposte chiuse a renderla completamente buia al di
fuori
dei pochi metri che la luce del camino riesce ad illuminare e scaldare.
E’ una
stanza fredda, incredibilmente fredda.
Bene, ora che è tutto chiaro, riesci a rispondere alla tua
domanda?
No! Non lo so dove sono, non ne ho la più pallida idea!
Fantastico!
Proviamo con le altre…che ora sono? Che giorno è?
Come faccio a capirlo?! Non riesco a vedere nulla oltre quelle
dannate imposte. Però lui
ha detto
“Buonanotte Dottoressa Hooper” per cui deve essere
sera. Si, ma di quale
giorno? E’ possibile che abbia dormito per giorni? Oh Dio,
non lo so.
E adesso? Adesso che faccio?
Perché sei qui? Senso di colpa? No, altamente improbabile.
Allora
perché?
Indizi? Tracce? Osservare e non semplicemente guar...? Oh, ma per
l’amor del cielo, smettila!
Avanti, su: Mind Palace! Inspira ed espira e…lo sapevo, non
dovevi
sdraiarti! Sapevi di non doverlo fare. Adesso il suo odore ti
distrarrà dal tuo
lavoro. No, non è un buon odore, è un odore come
tanti. Lo reputi buono solo
perché lo conosci e lo colleghi a lei, per cui è
buono. Tutto qui. Fosse stato
quello di John avresti detto familiare, quello di Mary rassicurante,
quello di
Mycroft aspro, quello di Irene seducen…Sherry! No, non ora.
Non è questo il
momento di pensare a Sherry. Avresti dovuto dirle qualcosa? Si, avresti
dovuto.
Ma che cosa? Non le hai detto nulla perché non sapevi cosa
dirle, e non sapevi
cosa dirle perché non sapevi cosa provare.
Cos’era? Delusione, rammarico,
tristezza, dolore: che cos’era quello che provavi? In
principio, dolore, si,
dolore. Non ti saresti aspettato quello vero? Pensavi che Irene ormai
fosse lì,
ferma dietro una porta chiusa. Immobile ed inalterata per sempre. Nulla
l’avrebbe scalfita. Ed invece…e poi? Poi cosa
è stato? Tristezza? Si ma non per
te. No, no, era tristezza per Sherry. Per Sherry che ti raccontava
tutta quella
storia con il dolore negli occhi per quello che tu avresti provato e
non per
quello che lei aveva provato. Perché si, anche lei ci era
passata! Lei l’aveva
scoperta tutta quella storia, lei era venuta a sapere che
quell’uomo, quell’uomo
di cui ancora pronuncia il nome con una nota nascosta di amore nella
voce,
quell’uomo l’aveva abbandonata ben prima che il
loro essere insieme finisse
travolto dalla violenza.
Ora basta! Non è il momento. Mind palace, avanti, costruisci!
Struttura, ricrea la struttura e vai avanti. Cerca.
Godfrey
Norton. **
Data
di
nascita: 21 settembre 1972
Genitori:
Njord Norton (norvegese, 1945-1977) e Shadi [cognome non pervenuto]
(inglese,
-1977)
Luogo
di
nascita: Pristina
Permanenza
in
orfanotrofio: 1977-1987
Permanenza
in
riformatorio: 1987-1989 (denuncia di scomparsa: approfondisci)
Negli
archivi
di:
BIA (dal
1991: approfondisci )
KGB (dal
1991: approfondisci)
INTERPOL (dal
1992: approfondisci)
MI6 (dal
1992: approfondisci)
FBI (dal
1992: approfondisci)
CIA (dal
1992: approfondisci)
Accuse
a suo
carico:
Alto
tradimento
Commercio
illegale di: armi, droga, esseri umani
Terrorismo
Mandante di:
47 omicidi, 68 sequestri, 237 attentati
Correlazioni
rilevanti:
Mostof
Avidue
(accuse a suo carico, condanne: : approfondisci)
Sherrinford
Holmes (accuse a suo carico, condanne: approfondisci)
Non
deconcentrarti, forza. Aggiorna le informazioni e prosegui. Stai
perdendo tempo inutile.
Correlazioni
rilevanti:
Mostof
Avidue
(accuse a suo carico, condanne: : approfondisci)
Sherrinford
Holmes (accuse a suo carico, condanne: approfondisci)
Irene
Adler
(accuse a suo carico, condanne: approfondisci)
Molly
Hooper
(approfondisci)
Si, è
vero, stona. Lei stona in tutto questo ma c’è. Per
colpa tua?
Beh, anche, si ma…no, non approfondire! Lo sai che non
è ben schematizzata
e…Si, si è sempre stata una bella stanza la sua
ma troppo caotica. Non ti sei
mai messo a riordinarla, hai sempre solo accumulato nozioni ed
informazioni, e
non ci entri quasi mai. Tutti quei sorrisi, ad esempio, non hanno un
senso.
Dovresti eliminarne qualcuno, no?! Ok, va bene, no. E suppongo non si
possano
neanche sfoltire gli sguardi, gli arricciamenti di labbra, i movimenti
dei
capelli, i movimenti nervosi delle mani, i toni di voce, le 45, oh mio
Dio, 45
differenti tipologie di risata, vero? Già, lo sospettavo. E
non trovi sia un
po’ egocentrico mantenere tutte quelle differenti
tonalità di “Sherlock” della
sua voce?! …Non pensavi fosse così piena, vero?
Beh, in fin dei conti, sono
anni che accumuli. E’ iniziato tutto con quella foto,
ricordi? Quella con tutti
quegli apprendisti intorno, quella che hai modificato eliminandoli e
mantenendo
lei, ti ricordi? E…aspetta un momento!…cosa ci fa
lui qui?! Lui non dovrebbe
essere qui! Si, si, lei Moriarty lo ha conosciuto ma lui non era stato
messo
qui e neanche la Donna o Norton o Magnussen o…ma che sta
succedendo?! Perché
sono qui? Loro dovrebbero stare con te! Loro dovrebbero stare nella tua
stanza,
non qui! Perché sono qui? No, non puoi trasferirti qui.
L’hai difesa per così
tanti anni, non puoi cedere così. Avanti, devi uscire, devi
portarli via con
te. Non puoi lasciarli qui, non puoi….distruggeranno
tutto…
Era ormai sveglia da qualche minuto, ed aveva finito di perlustrare
la stanza con lo sguardo, quando il rumore di una chiave girata nella
toppa
attirò la sua attenzione.
Godfrey Norton entrò sinuosamente nella stanza preceduto dai
medesimi
uomini che l’avevano scortato la notte precedente. Le rivolse
un sorriso
affabile e si avvicinò a passi lenti fino al camino; mosse
la leva che regolava
la cappa e il fuoco si ravvivò illuminando maggiormente la
stanza.
«Così va meglio, non crede?»
La patologa lo seguì con lo sguardo mentre, slacciato il
bottone
della giacca, l’uomo si sedeva sul divano di fronte al suo
accavallando con
naturalezza le gambe.
«Non si potrebbe accendere la luce?»
Il sorriso falsamente affettuoso dell’uomo le fece capire che
no, non
si poteva. Ma perché no? Le imposte erano chiuse e le tende
pesanti tirate. Ma
allora perché? Forse…
L’uomo aprì il proprio sorriso accennato attirando
l’attenzione della
patologa e fermando il suo ragionamento non espresso.
«Esattamente Dottoressa Hooper. Lei è
un’ospite clandestina e credo
sia meglio, non solo per me ma anche per la sua stessa sicurezza, che
rimanga
tale.»
Molly chiuse le labbra che erano rimaste semiaperte durante il suo
ragionamento.
«Suppongo le faccia male.»
La donna aggrottò le sopracciglia e l’uomo
alzò un dito ad indicare
la sua fronte. Istintivamente le mani di lei andarono a coprire il
punto
indicato percependo la grinzosità della garza. Si
voltò ad osservare il suo
riflesso in uno specchio inclinato che sovrastava il camino.
«Nikolai.»
Un uomo le si avvicinò con fare militaresco posando una
piccola
pillola bianca ed un bicchiere d’acqua sul tavolino di fianco
a lei. Molly si
voltò verso Norton con aria assente.
«Non si preoccupi, è solo un
analgesico.»
Gli occhi di lei andarono ad osservare il bicchiere e la pillola.
Dopo qualche istante di esitazione mise la pillola fra le labbra e
bevve un
sorso d’acqua. L’uomo le sorrise.
«Devo scusarmi con lei Dottoressa. In primis per
l’incompetenza dei
miei sottoposti; avrebbero dovuto sedarla così da non farla
spaventare e
provocarsi quel taglio.» Molly ingoiò nervosamente
l’aria.« Inoltre temo
rimarrà la cicatrice…ho decisamente perso la mano
che avevo un tempo!»
La donna sbarrò leggermente gli occhi al fare quasi
goliardico di
lui.
«Lei era, cioè, è un medico?»
La risata piena, bassa e sensuale dell’uomo le invase le
orecchie.
«No, Dottoressa. Assolutamente no. Ma ciò che ho
affrontato nella
vita mi ha imposto di imparare determinate nozioni. Se si vuol
sopravvivere
dove ho vissuto io bisogna essere in grado di ricucire e ricucirsi
molto più di
semplici graffi.»
La patologa si rannicchiò nelle spalle allo sguardo profondo
dell’uomo ma ebbe un brivido a riconoscere in quegli occhi la
stessa
espressione cupa e dura che tante volte aveva visto in quelli di
Sherry. Quanto
può cambiare un essere umano a seconda di dove le sue scelte
lo portano? Quanto
lo sguardo di lui e quello di lei avrebbero potuto essere diversi in un
mondo
in cui avessero fatto scelte diverse ed affrontato sfide differenti?
Scosse leggermente la testa per poi riportare lo sguardo su di lui.
«Perché sono qui?»
L’uomo le lanciò un sorriso rigido che la
spaventò.
«Il cellulare, Dottoressa Hooper. Quello che Sherry mi ha
dato è un
falso e nonostante adori giocare con lei…» Molly
si ritrovò ad arrossire
imbarazzata al tono che aveva usato per quelle ultime parole.
«…non ho tempo da
perdere.»
«Ma io non ce l’ho!»
Lui si alzò avvicinandosi ad uno dei suoi accompagnatori.
«Ne sono consapevole ma credo possa aiutarmi ad
averlo.»
Molly corrugò la fronte quando vide l’uomo che
rispondeva al nome di Nikolai,
consegnare un oggetto scuro a Norton.
«Che cosa intende dire?»
Le si riavvicinò posando un telefono di fianco al bicchiere
d’acqua.
«Deve semplicemente fare una telefonata.»
Alzò uno sguardo dubbioso sul volto dell’uomo.
«A chi?»
Un ghigno indecifrabile si fece largo sul volto di lui.
«A Sherlock Holmes.»
Le mani della patologa, che fino a quel momento avevano torturato i
lembi del maglione, si bloccarono per poi stringersi intorno alla
stoffa con
innaturale forza.
«Perché?»
L’uomo alzò le sopracciglia per una frazione di
secondo a quel tono
quasi minaccioso ma poi si ritrovò a sorridere.
«Voglio solo che sappia che lei è viva e sta bene,
nulla di più.»
La patologa fece vagare lo sguardo per la stanza prima di riportarlo
su Norton.
«E se non volessi farlo?»
Lo sguardo vitreo dell’uomo la fece rinchiudere nelle spalle.
«La mia non era una richiesta, Dottoressa.»
Aprì lentamente gli occhi stupendosi di trovare il buio
intorno a sé.
Scrutò la stanza con espressione vuota prima di
riposizionarsi supino ad
osservare il soffitto. Nel muoversi le sue dita si scontrarono con un
tessuto morbido
differente da quello della trapunta sotto di lui.
Sospirò mentre le sue dita lunghe finivano di estrarre la
sciarpa di Molly
Hooper dalla tasca del Belfast. L’alzò leggermente
così da poterla osservare
senza sollevare la testa dal cuscino; arcuò un sopracciglio
con fare
sarcastico. Oggettivamente, quella sciarpa era orribile. La maglia era
ormai
rovinata, molti fili erano usciti dai vari intrecci e soprattutto era
troppo
colorata, troppo pesante, troppo lunga. Ogni volta si domandava come
Molly
potesse portarla così alta intorno al volto, gli aveva
sempre dato un senso di
soffocamento.
Le connessioni della sua mente, all’improvviso, iniziarono a
muoversi
facendo riaffiorare un ricordo passato, un ricordo custodito ma
ignorato, un
ricordo che avrebbe potuto tranquillamente definire inutile.
Era il
ricordo di sé stesso, adolescente,
circondato da un buio compatto e da un silenzio ovattato. Era lui
immerso sotto
le coperte pesanti di un novembre troppo freddo. Era lui sereno,
rassicurato e
vuoto di tutti i pensieri che, normalmente, gravitavano senza controllo
nella
sua mente. Era lì quando un mano leggera aveva iniziato a
scoprirlo lasciandolo
indifeso ad un improbabile sole invernale.
«Oh mio Dio, Sherlock! Come fai a
dormire così? Non ti senti soffocare?»
Nonostante i suoi occhi fossero
ancora incapaci di vederla a causa del brusco cambiamento di
luminosità, non
aveva avuto difficoltà a riconoscere il tono cristallino e
divertito di Sherry.
Aveva semplicemente grugnito
innervosito a quel brusco risveglio voltandosi dall’altra
parte. Nonostante
questo, Sherry non si era arresa finendo di scoprirlo e piegandosi fino
ad
appoggiare il proprio mento sulla sua spalla, un dito ad arrotolare un
riccio
di lui..
«Cosa c’è che non va?»
Era rimasto in silenzio, lasciandola
giocare con i suoi capelli.
«Non puoi nasconderti al mondo,
Sherlock.»
Aveva aperto gli occhi di scatto
a quella voce maschile. Mycroft era appoggiato allo stipite della porta
e li
osservava con un’espressione indecifrabile. Avrebbe voluto
rispondere con il
solito tono stizzito ma la voce dolce di Sherry a pochi centimetri dal
suo
orecchio lo aveva interrotto.
«Lo sai che Mike ha ragione.» Lui
aveva respirato pesantemente. «Devi solo imparare a
rapportarti con gli altri,
Sherlock. Sei, anzi siamo, diversi ma non per questo dobbiamo
nasconderci.»
Si era voltato lanciandole uno
sguardo rancoroso.
«Dovrei quindi uniformarmi?
Dovrei cambiare?»
«Sherry non ha detto questo!»
Si era nuovamente voltato verso
il fratello senza comprendere.
«Sei tu che pensi di dover
cambiare perché sei diverso. Diverso è una parola
come tante ma sei tu che hai
deciso di dargli un’accezione negativa. Il problema,
Sherlock, non sono gli altri,
il problema sei tu. Devi scegliere cosa essere e non vergognarti della
scelta
che hai fatto, a prescindere da ciò che gli altri pensino o
dicano di te.»
Si era ritrovato ad osservare il
fratello in maniera diversa, per una volta aveva scoperto in Mycroft
qualcuno
di simile a lui. Avrebbe voluto dire qualcosa ma non lo fece e rimase
immobile
mentre, con un colpo di reni, il fratello si staccava dalla porta per poi andarsene con le
mani infilate nelle
tasche dei pantaloni
Si voltò verso Sherry che gli
sorrideva con una delle sue espressioni più dolci.
«Non c’è niente di univoco od
oggettivo a questo mondo. Ciò che tu reputi diverso
può non esserlo per qualcun
altro e viceversa. Sii solo ciò che vuoi essere Sherlock,
niente di più e
niente di meno.»
Senza rendersene conto aveva
iniziato ad accarezzare, con il pollice,
il tessuto della sciarpa. Gli occhi, persi nel ricordo fino a qualche
istante
prima, andarono ad osservare la propria mano. Sorrise leggermente. No,
quella
sciarpa non era oggettivamente brutta; quella sciarpa era la coperta di
Molly
Hooper, tutto qui. Era ciò dietro cui Molly si parava, come
lo erano i suoi
vestiti, le sue acconciature particolari ed il suo lavoro. Ma, a
differenza
sua, lei non le usava per nascondersi ma per palesare al mondo chi lei
era. A
prescindere dai giudizi, dai commenti, dalle opinioni e dalle offese
degli
altri.
L’unica cosa che ancora non riusciva a capire era
perché l’avesse
presa e portata con sé. Perché, quando Mrs Hudson
era uscita dalla porta di
casa porgendola a John, lui gliel’avesse praticamente
strappata di mano per poi
correre in strada; perché non l’aveva lasciata a
John quando ormai aveva
scoperto che avevano preso Molly; perché l’aveva
portata con sé e perché anche
in quel momento, nonostante potesse poggiarla lì, sul letto
di lei, continuava
a tenerla in mano senza riuscire a lasciarla?
La ripose nuovamente nella tasca e si mise a sedere con inaspettata
fatica. Poggiò i gomiti sulle ginocchia ed
incrociò le dita di fronte alle
labbra, le sopracciglia vagamente aggrottate e gli occhi semichiusi.
Inspirò profondamente e fece perno con le mani sulle
ginocchia per
alzarsi.
A passi lenti andò verso il salotto. Le luci completamente
spente
rendevano l’appartamento di Molly Hooper un insieme di forme
vaghe o del tutto
nascoste ma lui non aveva bisogno della luce per muoversi. Lo
conosceva, c’era
stato si e no un paio di volta ma lui lo conosceva bene. Ogni mobile,
ogni
ninnolo, ogni tappeto o lampada, tutto. Si stupì del fatto
che la cosa non lo
sorprendesse.
Stava per uscire dalla porta d’ingresso quando qualcosa
attirò la sua
attenzione.
Molly si voltò di scatto verso Norton.
«Perché ha interrotto la chiamata? Aveva detto
che…»
L’uomo riconsegnò il cellulare al suo sottoposto e
chiuse il bottone
della giacca.
«Doveva sapere che è viva e sta bene. Questo
è più che sufficiente.»
Con un coraggio che sorprese anche se stessa, Molly si alzò
fronteggiando l’uomo con aria di sfida.
«Sa solo che sono viva. Che cosa voleva veramente da questa
telefonata?»
L’uomo le sorrise avvicinandosi alla patologa fino ad essere
ad una
distanza tale da imbarazzarla. Lo sguardo affascinante ma cupo quasi le
fece
abbassare lo sguardo ma non cedette. Non sapeva perché ma
quella volta doveva
resistere nonostante percepisse le ginocchia tremare ed il battito del
suo
cuore accelerare.
«Punti deboli, Dottoressa Hooper.»
Molly aprì e richiuse le labbra un paio di volte prima di
tornare a
sedersi sul divano. Una mano sul petto a percepire il suo cuore battere
troppo
forte ed il suo respiro divenire irregolare.
«Non è Sherlock Holmes che mi interessa,
Dottoressa. Lo sappiamo
entrambi. Voi siete solo pedine; siete solo parte della partita che io
e Sherry
stiamo giocando. Se rimarrete nei vostri ruoli non vi
succederà nulla, glielo
posso assicurare.»
Molly alzò leggermente lo sguardo mentre Norton si
incamminava verso
la porta. Uno dei due uomini che lo accompagnavano l’aveva
aperta aspettando
che lui ne oltrepassasse la soglia.
«Altrimenti?»
La voce di lei era stata quasi un sussurro ma l’uomo
l’aveva
percepita senza difficoltà nel silenzio totale di quella
stanza vuota.
Si voltò lanciandole uno sguardo vitreo ed impassibile.
«Non importa quante pedine sia necessario sacrificare.
L’importante è
vincere la partita.»
Il volto della patologa divenne una maschera bianca ed immobile.
L’uomo le rivolse un sorriso affabile inchinando leggermente
la
testa.
«Buonanotte Dottoressa Hooper.»
Avrebbe riconosciuto quella sagoma fra milioni di simili. Non era per
i capelli, per la forma delle spalle, per la lunghezza delle braccia o
per le
dita affusolate oppure era per tutto questo insieme; sta di fatto che
sapeva
che quello di fronte a lui, avvolto nel buio più totale del
salotto di Molly
Hooper, era Sherlock Holmes.
«John.»
Il dottore non rispose. Fece qualche passo per entrare nella stanza.
«Sospettavo fossi qui.»
Il detective non si voltò ma John percepì il
lieve movimento delle
spalle ed un accenno di ilarità nella voce.
«Sono diventato così prevedibile?»
Rimasero in silenzio per qualche istante. Le labbra di John vagamente
piegate all’insù.
«Trovato qualcosa di interessante?»
Il detective non rispose facendo un passo verso un tavolino basso che
sparì alla vista del dottore una volta coperto dal nero
della sua figura.
John capì che quel silenzio era una risposta negativa alla
sua
domanda ed inspirò pesantemente.
«Cosa pensi di fare adesso?»
Passarono alcuni istanti prima che Sherlock si voltasse improvvisamente
avvicinandosi al collega. Gli occhi semichiusi e la fronte corrugata.
«Che giorno è?»
John arcuò le sopracciglia.
«Intendi oggi?»
Il detective alzò gli occhi al cielo prima di rispondere con
tono
irritato.
«Ma che…ma è ovvio, no? Dio santo,
John…»
Il dottore annuì imbarazzato prima di interrompere lo
sproloquio dell’amico.
«Si, scusa. E’ il 3, si è il
3.»
Vide l’uomo sorpassarlo ed incamminarsi con passi rapidi
verso le
scale dopo aver esclamato uno illogico
“Eccellente!”.
John Watson rimase immobile nel salotto, i passi rapidi di Sherlock
che scendevano le scale a fare da sottofondo ai suoi pensieri. Il
tavolino, su
quel tavolino c’era qualcosa, si, su quel tavolino prima che
Sherlock lo
coprisse al suo sguardo c’era qualcosa, qualcosa che ora non
c’era più. Si, ma
cosa? Non riusciva a ricordarlo! Ma se Sherlock lo aveva preso doveva
essere
impo…
«JOHN! ALLORA?»
Il richiamo del collega lo fece sobbalzare e si precipitò
giù per le
scale dopo aver richiuso la porta dell’appartamento.
Non appena arrivato in strada vide il detective che lo aspettava
innervosito. Una mano a tener aperta la portiera posteriore di un taxi.
Salirono nell’auto e il detective diede un indirizzo
all’autista.
Il dottore corrugò le sopracciglia alla via sconosciuta che
l’uomo
aveva indicato.
«Dove stiamo andando?»
Il detective guardava il suo cellulare, le dita a digitare
ininterrottamente.
«Dobbiamo procurarci un invito.»
«Un invito? E per cosa?»
Sherlock gli lanciò una rapida occhiata prima di tornare ad
osservare
lo schermo del telefono.
«Non hai un abito scuro vero?»
Il dottore si voltò uno sguardo interrogativo ma il
detective non gli
prestò la minima attenzione.
«Beh devi procurartelo entro dopodomani.»
John rimase ad osservarlo per qualche istante prima di capire che non
avrebbe ottenuto altre informazioni al riguardo. Improvvisamente il
tavolino
rioccupò i suoi pensieri.
«Cosa hai preso da casa di Molly?»
Le dita del consulente investigativo si bloccarono. Si voltò
ad
osservare il collega con un sopracciglio arcuato.
«Come?»
«Si, hai preso qualcosa dal tavolino. Che
cos’era?»
Sherlock tornò ad osservare lo schermo del telefono, le dita
a
muoversi nuovamente su di esso.
«Per quanto apprezzi il tuo voler imparare ad osservare,
John, credo
che tu ti stia un po’ lasciando trasportare.»
Il dottore aggrottò le sopracciglia con espressione offesa
ed
irritata.
«Ehi, non me lo sono sognato! Ti ho visto prendere qualcosa
e…»
Il detective si voltò con espressione annoiata.
«Ah, si? E che cosa?»
«Non lo so!»
«Allora come fai a dire che ho preso qualcosa?»
John boccheggiò un paio di volte mentre il detective faceva
segno all’autista
di fermarsi.
Scesero dal taxi e Mr Watson fece per incamminarsi dietro un rapido
Sherlock Holmes quando, alzato lo sguardo, si bloccò.
«Sherlock, perché siamo davanti al Foreign
Office?»
Note
autore:
* Forse
non vi interesserà, anzi ne sono quasi sicura, ma voglio
raccontarvi come
questi tre elementi (l’immagine, la canzone e la poesia) sono
arrivati “nelle mie
mani” e come sono andati a ricalcare ciò che
già avevo pensato e scritto per
questo capitolo. Ho trovato l’immagine ( è opera
di “Disegni random”, non so
come si chiami il ragazzo che li fa, ma ha una pagina su facebook) un
po’ per
caso girovagando intorno a varie canzoni e mi ha ricordato, appena
l’ho vista,
Molly e Sherlock; non ho saputo resistere al collegamento anche
perché era
ispirata dal testo della canzone de Lo stato sociale, testo che
già mi aveva
fatto pensare a loro (anche se, ad onor del vero, io preferisco la
cover fatta
da Nicolò Carnesi). La poesia, invece, ha una storia
più particolare. Ho
comprato il libro di Mari aspettandomi poesie umoristiche su varie
sensazioni e
mi sono ritrovata fra le mani la storia dell’amore che
quest’uomo prova per una
donna da ben 30 anni; un amore che in principio non è
sbocciato per paure e
insicurezze e che poi è diventato una
“storia” quando ormai lei era sposata e loro
potevano stare insieme solamente come amanti, per lo meno sino a quando
lei non
lo lascia. Comunque, moltissime poesie mi hanno ispirato (credo che
molte
ispirazioni diventeranno delle storie su Sherlock XD) ma questa, nello
specifico, rispecchiava tutto ciò che io avevo
già scritto su Sherlock e sui
suoi vari pensieri e sentimenti. Sono malata? Sicuramente! Dovrei
imparare a
leggere poesie, ascoltare musica e guardare disegni senza lasciare la
mia mente
vagare incontrastata? Ovviamente si!!
** Naturalmente
è tutto completamente inventato ma (perché se non
ci fosse un ma non sarei io
^^) con un po’ di “giochi” da parte mia.
Il significato del nome Godfrey non
esiste, è solo un nome, ma girovagando per internet (cosa
che prima o poi mi
porterà alla follia) ho scoperto che Freyr, anglicizzato
Frey, è una divinità
di origine scandinava. Dio della pace, della fecondità e
sembrerebbe anche del
matrimonio; simpatica contraddizione rispetto al nostro Godfrey o per
meglio
dire “Dio Frey”! Beh, non voglio dirvi altro, ma
sappiate che non è proprio
irrilevante. Per quanto riguarda la data di nascita, il 21 settembre
è la
giornata mondiale per la pace nel mondo; non ho saputo resistere ad
un’altra
contraddizione. Mentre il nome del padre è il nome del Dio
padre di Freyr. Infine
la BIA sono i servizi segreti serbi.Si, lo so, lo so, ho dei problemi
seri!
Scusatemi!
Vi
avevo avvisato che era un capitolo strano, no?! Spero di non aver
“osato”
troppo con questa tipologia di racconto ma mi ha dato un senso di
libertà
infinita poter far parlare così tanto sia Molly che,
soprattutto, Sherlock. Il
palazzo mentale di Sherlock credo di averlo reso troppo simile a quello
di
Magnussen ma non volevo addentrarmi in una descrizione figurativa del
tutto
anche perché, come si evince anche da “la scheda
Molly”, credo che un uomo come
Sherlock con una memoria come la sua non possa avere effettivamente una
stanza
per ogni persona/cosa che sa ma solo per le persone a cui tiene. Sono
propensa
a pensare che abbia delle informazioni schematiche e per certi versi
fascicolate che va poi a ricercare (come fa ne “The hounds of
Baskerville”) per
tutto e tutti, mentre le sue trasposizioni mentali delle persone
possano
effettivamente abitare stanze e corridoi del suo palazzo (come avviene
invece
in “The last vow”). Ha senso, secondo voi? ^^
Se vi
va, fatemi sapere cosa ne pensate. Sono veramente curiosa e sappiate
che ogni
tipo di critica, osservazione o giudizio sono assolutamente ben accetti
se non
addirittura auspicati.
A
presto,
Anne^^