Capitolo sei: Al pomeriggio, una leggenda
Il
cielo ha già iniziato a velarsi di nuvole rosate quando ci
lasciamo
alle spalle la casa di Rei e Minako dopo un'intera serata passata in
loro piacevole compagnia.
Michiru
si sta addormentando al mio fianco seduta sul lato passeggero e
ciò
è presagio che il di ritorno sarà silenzioso.
Abbasso il volume
della radio perché non le dia fastidio e proprio in quel
momento
“Somewhere Over the Rainbow” magicamente
interpretata da Judy
Garland bagna la soglia delle nostre menti facendovi ritornare le
eccitate disquisizioni di Minako proprio riguardo al Mago di Oz.
Ci
ha praticamente raccontato la storia per filo e per segno e devo
ammettere che ascoltarla non è stato affatto un dispiacere.
Mentre
narrava era evidente la sua formidabile passione per la storia e alla
fine era davvero soddisfatta della sua perfetta dizione, e a dire il
vero, lo eravamo anche noi.
Mi
viene da sorridere, ripensandoci, e non succede solo a me. Infatti un
piccolo sbadiglio segue l'incurvarsi delle sue labbra, non riuscendo
a sfuggire senza combattere alla barriera fisica imposta dalle dita
della mano davanti alla bocca.
“Stanca?”
“Un
po'...”
“Puoi
dormire se vuoi. Ci vogliono ancora due ore per arrivare a
casa.”
“Ti
dispiace?”
“No,
figurati. Buon riposo piccola.”
“Grazie.”
Si
mette più comoda sul sedile e liberando un ultimo cosciente
sospiro
si lascia andare al sonno.
Prima
di tornare a guardare la strada lunga e ombrosa innanzi a me le
lancio una fugace occhiata, fissando al meglio la sua immagine
affinché mi faccia compagnia per il resto della guida.
La
canzone finisce ma la magia resta quando Mr. Armstrong si fa strada
nell'aria con la sua “What a Wonderfull World”. Ah,
che
canzone!
A
rompere l'incanto ci pensa un pezzo rock che non è del tutto
adatto
ad un momento come questo, in cui la tua dolce metà sta
dormendo.
Cambio
stazione e di nuovo una gradevole melodia invade l'abitacolo facendo
ben sperare in una selezione musicale di alto livello.
Mi
rilasso al suono di una chitarra quasi nostalgica atta però
a
celebrare la bellezza della vita al ritmo di “Sing
Togheter” dei
Train e mi concentro nel guidare me e la mia bella fanciulla al
calduccio difronte al nostro rinvigorente camino.
La
serata di ieri è passata in maniera tranquilla con una cena
leggera
a base di spaghetti primavera e mele caramellate che le ragazze ci
hanno dato come dessert. Minako non sarà una grande cuoca ma
prepara
le migliori mele caramellate della città!
Dopo
cena abbiamo guardato 'La volpe e la bambina' eccezionale capolavoro
di Luc Jacquet. Un film-documentario davvero piacevole, ritratto
della Natura nel suo lato più affascinante vissuta
attraverso
strabilianti immagini dei suoi figli. Fanno da comparse volatili di
ogni tipo, volpi protagoniste assolute, ricci, animali boschivi tra
cui cervi e lupi. Un tripudio di bestie meravigliose!
Anche
la notte è trascorsa serena tra una breve e spensierata
lotta con i
cuscini e tante coccole fino al giungere liberatorio del sonno che ci
ha lasciato solo al cantare del passero questa mattina.
Il
clima è mite e bevo il mio caffè all'orzo seduta
sugli scalini.
Porto lo sguardo tra gli alberi in cerca del grasso signorino che ci
ha fatto da sveglia eppure ho la sensazione che si trovi ancora
più
vicino di ciò che mi aspetto. Distrattamente volto la testa
verso la
siepe alla mia destra ed eccolo lì nascosto tra le foglie
del mirto
intento a beccarne con golosità le prelibate bacche.
Ti
ho scovato piccoletto! Oh, quant'è carino!!
Dei
passi sul vialetto di ghiaia mi invitano a guardare di nuovo davanti
a me e la mia soglia di tenerezza viene saturata al massimo:
Basquiat, fratello minore di Baltimore, avanza verso di me con tre
bellissime rose tra le fauci gentili e lì comprendo che il
roseto
selvatico che Haruka ha tratto in salvo da una pianta infestante
è
tornato ai suoi albori rifiorendo egregiamente.
“Grazie
Basquiat, sei un vero gentiluomo!”
Si
avvicina ancora un po' e mi concede di prendere tra le mani i fiori
senza però guardarmi negli occhi a causa della sua ingente
timidezza. Gli accarezzo il capo per ringraziarlo come si deve e
qualcosa scatta in lui riuscendo a calmarlo e facendogli muovere le
orecchie prima in avanti e poi indietro.
Prima
o poi riuscirò a conquistare la fiducia di questo simpatico
timidone.
***
“Ehi
bellimbusto, non ci starai mica provando con la mia donna,
vero?!”
Scattante
come un felino, all'udire la mia voce si nasconde alle spalle di
Michiru, facendo sbucare il muso dal fianco destro di quest'ultima
che se la ride e poi sparisce di nuovo dietro di lei.
“Ah,
lasciala perdere Basquiat. È sempre la solita indelicata...”
“E
io che mi aspettavo un caloroso 'bentornata'...!”
“Ti
è andata male, cara.”
“Ohi
ohi... Dai bello, vieni qui che scherzavo. Facciamo pace?”
“Ti
conviene approfittarne”
gli
sussurro e lui cauto va incontro ad Haruka che toglie fuori dalla
tasca un pugno di bacche rosse grandi quanto un importante grappolo
d'uva. Basquiat non sembra dispiacersene e in un soffio le divora con
gusto annusandole il palmo della mano che scherzosamente le circonda
il muso.
“Te
le sei meritate ghiottone. Allora, pace fatta?”
Contento
dello spuntino si accuccia, e invece di mantenere la posizione
seduta, indietreggia di qualche passo per poi dare una musata di
tutto rispetto alla fronte di Haruka che si ritrova a barcollare e a
finire con il sedere per terra senza il minimo preavviso. Se
è
questo che intendono con 'fare la pace', dovrebbero farlo
più spesso
perché è stata una delle scene più
buffe alle quali io abbia mai
assistito. Soprattutto questa di adesso in cui Basquiat lecca tutto
contento il viso di Haruka mentre lei cerca di fermarlo senza
successo... Guai in vista per il nostro amico a quattro zampe?
“Tutto
ok?”
“Mmmm...
Bava di lupo numerò cinq. Specialità della casa.
Non ci riprovare
di nuovo perché altrimenti non ti porto più le
bacche.
Vado a
lavare la faccia.”
La
reazione di Basquiat si traduce in un abbaio di assenso dopo che
annuisco anch'io al desiderio di ripulirsi dall'affetto fervente del
suo ritrovato compare. Poco dopo ricompare al mio fianco sedendosi
anche lei sugli scalini.
“Ohi,
il mio povero didietro!”
“Ti
fa male?”
“Un
po' sì. Diciamo che mi ha colto impreparata.
Sono troppo vecchia
per questo tipo di cose.”
“Disse
la ragazza che aveva meno di 30 anni.”
“Affermò
la ragazza che doveva sempre precisare.”
“Scema.”
Allungo
un braccio a cingerle la spalla e risponde appoggiando la testa
sull'incavo del mio collo. Corono il gesto baciandola sulla fronte e
restiamo ferme così per un po' iniziando a discutere del
menù
previsto per il pranzo. Nonostante sia stanca dalla mattinata di
lavoro di cui sono reduce ho comunque voglia di cucinare, quindi
penso di sbizzarrirmi un po' ai fornelli.
Consiglio a Michiru di
rilassarsi tranquillamente sul divano per godersi qualche momento di
ozio al calduccio e inizio ad ideare la sequenza dei piatti che
porterò in tavola quest'oggi. Le mie papille fremono per
qualcosa di
raffinato ma tuttavia semplice e così opto per degli
sfiziosi bignè
di gamberi, per dei golosi anelli di zucchine e calamari e, dato che
la materia prima di ottima qualità non ci manca,
preparerò anche
degli ottimi spaghetti al riccio.
Sì, mi va proprio a genio
questo menù. Mettiamoci al lavoro!
***
“Ehi,
dato che è una bella giornata che ne dici se andiamo
dall'altra
parte della trabeazione e iniziamo il puzzle che ci ha regalato
Rei.
È un peccato restare chiuse in casa.”
“Perché
no. Quel puzzle mi ispira parecchio!”
“Già,
è stato un dono azzeccatissimo.
Preparati, io intanto vado a
controllare se la sopra è asciutto, altrimenti dovremmo
cercare
un'altra location per la nostra attività.”
“Ok,
però vestiti, sennò rischio di trovarti congelata
lassù.”
“Ottimo
suggerimento! Prendi la scatola, ti faccio un cenno tra poco.”
“Va
bene. Non tardare troppo.”
La
vedo sparire sulla scala agile come non manco mai di scoprire e una
volta che non posso più farlo mi dirigo in corridoio verso
le buste
poggiate sul comodino che Luc ci ha fatto come regalo di Natale
anticipato, davvero adorabile! Tolgo quella arancione
contenente
il nostro nuovissimo e più atteso passatempo. Sembra
incredibile ma
il mese scorso abbiamo completato tutti i puzzle che avevamo a casa
ed io ero un po' disperata per questo.
Sarò strana ma non posso
vivere a lungo senza quei piccoli pezzi che una volta ricomposti ti
danno una gioia prorompente nei loro colori e nelle storie che
raccontano.
Dei sassolini che rimbombano cadendo sul tetto mi
avvisano che il nostro programma pomeridiano non verrà
sciupato
dall'umidità e contenta di ciò mi avvio alla
scala con la preziosa
tracolla come fidata compagna di viaggio.
La scalata oramai non mi
reca problemi, niente più tremori od altri fastidi e in meno
di
cinque minuti la mia mano destra è raccolta da quella
sinistra di
Haruka che mi aiuta ad arrivare fino in cima.
Il profumo della
cioccolata calda spolverata con un pizzico di cannella mi sorprende,
carezzandomi l'olfatto con un occhiolino e cento e più
flauti
suonati dal vento fanno stormire le foglie degli alberi sotto cui ci
troviamo.
Per fortuna non soffia troppo violentemente così che
non dobbiamo preoccuparci di dover recuperare pezzi fuggenti dagli
abbeveratoi dei cavalli posti più in basso. Sarebbe un
trauma troppo
grande perdere qualche frammento e ritrovarsi con un vuoto sulla
tela... Impensabile!
***
Riesco
a malapena a trattenere le risate nel vederla felice come una pasqua,
ad applaudire allo scorgere al primo colpo pezzi che combaciano alla
perfezione. Non potete immaginare che espressione aveva sul viso
quando le ho dato la scatola del puzzle.
Ora capisco perché Rei
mi ha consigliato di dargliela una volta tornate a casa; conoscendo
Michiru non avrebbe saputo resistere alla tentazione di aprirlo e
cominciarlo subito. Devo seriamente ringraziarla come si deve, la
prossima volta che ci incontreremo.
Comunque vorrei anche passare
dal vecchio giocattolaio nella parte vecchia della città.
Ricordo
che quando ero bambina e superavo brillantemente i test a
scuola, il nonno mi portava lì a scegliere il mio premio. Le
schiere
di soldatini di legno che vi trovavo erano sconosciuti perfino ai
più
ghiotti collezionisti. La cura, la manodopera, la fantasia... Nessuno
poteva imitare il talento dell'allora giovanissimo garzone.
Sono
certa che lì troveremo la prossima e più florida
nuova raccolta di
immagini mozzafiato da appendere alle pareti e in cui rilegare le
nostre aspirazioni e i nostri momenti di relax, quando siamo in cerca
dell'ispirazione che stenta ad arrivare.
I miei occhi si riempiono
ancora della sua gioia e non posso che aspettarmi che anche questo
pomeriggio passi sereno con tutta la pigrizia che desidera, fino a
che non arriverà la sera a prendersi il passo da lui ceduto
ed
allora rientreremo nella nostra dimora a ripararci dal suo
freschetto, e continueremo comunque, allo scoppiettare del
fuoco, a dipingere questo paesaggio finché non saranno la
fame e poi
l'assopire del sonno a reclamare a pugno battente la nostra
attenzione.
***
Pezzo
dopo pezzo la scena impressa sul ventaglio ricomincia a prendere di
nuovo forma dopo la pausa di ieri, seducendoci con i suoi toni caldi
ma ancora manchevole di una trama che spero si riveli generosa nei
nostri confronti.
Il nero predominante che fascia tutto il
paesaggio annichilisce la tua resistenza al suo fascino, ti ritrovi
semplicemente ad essere la mosca che cerca scampo dalla tela del
ragno ma sa già che il suo destino è segnato.
L'impensabile è che
non temi il suo compimento, anzi, aspetti che avvenga; ne sei succube
e non te ne penti neanche all'ultimo.
Il colore emanato dalle
nuance arancioni risplende come la luce ambrata di una miriade di
lucciole che vagano per la notte. Pulsano come un cuore che battendo
da ritmo e armonia a tutto ciò che sta intorno.
Unico legame con
il giorno non è il disco luminoso al centro del cielo, di
cui non è
concesso conoscere la vera natura. Che sia il Sole? O la Luna?
A
fare da ponte tra notte e dì è il verde luminoso
degli alberi
giovani, dell'erba fresca dei cortili e quella brillante delle
montagne che circondano le spalle del villaggio. Le vigorose palme
sbucano dietro i tetti di paglia delle case e fungono da lampioni che
rischiarano la benevola oscurità del posto. Le abitazioni
spartane
ma vivibili si danno man forte l'un l'altra reggendosi in piedi a
vicenda.
Fiammelle ovoidali di verdi foglie fanno da faro agli
uccelli che dopo una lunga traversata nell'aria cercano un posto dove
riposare. questo pare il compito dei gruppi di Acer Palmatum
più
giovani, mentre quelli che hanno raggiunto la maturità tra
l'estate
e l'autunno rimangono lì come mentori, e la loro barba rossa
ispira
saggezza in tutti coloro che posano lo sguardo sui loro tronchi
nodosi.
Due massi o giù di lì sono fonti di illuminazione
per i
pesci che nuotano nel torrente che garantisce la vita a queste genti
d'acqua; persino le staccionate di canna sembrano ammiccare, allegre
nel tener d'occhio la sicurezza di animali e persone.
Un laghetto
di ninfee luccica in lontananza, rispetto alle staccionate, e a monte
di questo una barchetta canta le sue avventure in mare aperto, ma
altrettanto da dire ha la capanna posta quasi al centro del
villaggio, che si vanta di tutte le prelibatezze contenute al suo
interno.
Tutto prende vita in quei piccoli pezzi che lottano
ardentemente per raggiungere i propri simili e congiungersi in
quell'esistenza dinamica che tanto preme per esplodere.
Quando ci
avrà vinte con la sua incrollabile volontà,
potremo risvegliarci da
quel sogno meraviglioso di cui siamo state partecipi e schiave.
Le
brilla un luccicore nelle iridi che fa smuovere l'azzurro che le
riempie e so e comprendo che l'incantesimo ha bussato alle porte del
suo intelletto d'artista e come un rappresentante gentile, ben
vestito e nient affatto invadente entra nel tuo mondo per invitarti a
visitare il suo.
In cambio non ti chiede niente perché sornione
sa che una volta che tu sarai lì, si sentirà
soddisfatto
dell'ottimo investimento fatto con te.
Rei la sapeva lunga quando
me lo ha regalato. Conosceva perfettamente l'incanto che si cela in
quel nero vivo e in tutti i colori che gli fanno da contorno, da cui
sembrano spuntare piccole personcine che ti salutano allegramente e
cercano di convincerti ad entrare nelle loro case per renderti
cosciente della loro affabile ospitalità.
Proprio come racconta
la leggenda.
Quale leggenda? Quella de 'Il villaggio che viveva al
buio'. Volete che ve la racconti? E sia!
“V'era una volta un villaggio. Un villaggio che poteva assomigliare a tutti gli altri, ma che invece aveva più di questi un qualcosa di speciale.
Non era culla di eroi dalla sovrumana forza, ma di eroi della patria come ce ne erano in molti atri paesi. Non era nemmeno luogo di oscure arti magiche, di incantesimi intricati, di feroci fiere assetate di sangue né di figli di dei pronti a combatterle, come narrano antiche leggende straniere.
In quel tempo intrecci di questo genere erano le fiabe che venivano lette ai bambini quando il tempo era cattivo e non potevano giocare fuori.
Non v'erano nemmeno cavalieri, draghi e quant'altro, se non nei libri attraverso cui veniva insegnata agli abitanti la finezza della lingua. Ma allora cos'ha di così prezioso questo luogo che sembra comune a tanti altri?
E dunque ditemi, avete mai sentito voi parlare di un posto in cui la notte non abbandona mai il cielo? E no! Non mi riferisco ai lontani paesi del nord ove il sole tace per ben sei mesi...
Volete che mi sbarazzi di questi indovinelli e prosegua con la storia?
Vi comprendo e sono d'accordo con voi.
Questo villaggio dalle usuali parvenze aveva, e chi ci dice che sia ancora così o meno, una particolarità che batteva tutte quelle immaginabili: l'oscurità non lasciava spazio alla luce nemmeno di giorno. Era per questo che col correre del tempo venne chiamato il ''villaggio che viveva al buio''.
Mai fu banale quanto esauriente tale appellativo, perché dopotutto dare spiegazioni ad un fenomeno del genere era assai arduo.
Quelli che s'imbattevano nella leggenda del posto rimanevano talmente stupefatti da questa sua peculiarità che quando raccontavano il tutto a amici e parenti, ogni volta che li si chiedeva qualche curiosità in più al riguardo diventavano di colpo balbuzienti.
Il disco infuocato incastonato nell'alto manto nero brillava con tutte le sue forze circoscrivendo nient'altro che la sua stessa area circolare.
Di qui l'incomprensibilità della sua natura. Era il sole, oppure la luna?
Ai vecchi saggi ciò non importava, forse perché in cuor loro conoscevano già la soluzione all'enigma, quindi non si preoccupavano come facevano gli studiosi stranieri che non concepivano come si potesse vivere senza la luce dei raggi solari.
Si infervoravano così tanto che quando non riuscivano a fugare il mistero con la loro logica scientifica si accanivano contro le pagine segnate dal tempo dicendo che erano sicuramente state scritte da qualche pazzo visionario che aveva fumato qualche erba allucinogena di troppo. Fortunatamente nessuno di loro era mai riuscito ad abbattere l'animo mite degli abitanti. Costoro infatti ringraziavano la sorte per aver dato loro virtù, saggezza, benessere e tanta tanta serenità.
Altra rarità che infatti era insolita in questa gente era il loro incredibile buon umore. Ma ora torniamo alla precedente questione.
Sì, all'interpretazione dell'astro che donava la vita a queste allegrissime persone e a tutte le forme di vita esistenti in quell'ameno angolo di terra.
Se non sbaglio ho menzionato qualche riga fa il fatto che la popolazione conosceva la sua veritiera essenza, ebbene la verità era che esso non era la stella del giorno o quella della luna. Era entrambi.
Avete letto bene! La sorgente di vita in quel cielo sereno era l'incontro dei due pianeti solare e lunare; un abbraccio antico di secoli in cui s'annullava la guerra tra la notte e il dì, capace di far trasognare quiete ed abbondanza per tutti quelli che nell'animo erano proprio come i due soldati in tregua per quella battaglia che mai più sarebbe ricominciata.
Da questa tesi hanno tratto la loro forza senza perdersi in elucubrazioni che col tempo sarebbero finite a rappresentare il semplice sfizio di chi le avrebbe riscoperte. Avrebbero anche potuto diventare diletto di fini intelletti e avere uno scopo didattico, ma ciò oltre ad essere per loro motivo di orgoglio non significava niente di più né niente di meno.
Quelle brave persone si limitavano a vivere bene ringraziando profondamente la Natura per tutte le ricchezze che aveva dato loro.
Tutti noi dovremmo comportarci così, ma questo non è argomento della narrazione, per cui proseguiamo.
In quel delle capanne di paglia e legno di palme troppo alte per sopravvivere quelle sagge ed indigene anime si dedicavano con venerazione all'agricoltura, alla pastorizia e al commercio dei beni che essi producevano con tanto talento e dedizione.
Riso, lane, cereali, farina, pane, legni pregiati, uova, ortaggi di tutti i tipi e una frutta talmente succosa da dissetare i più sfiniti viandanti e non importava che avessero due o quattro zampe.
Tutto ciò nasceva cresceva e maturava tra le loro mani sapienti e viaggiava per tutte le coltri vicine spandendo in lungo e in largo la fama non depredante di questa bucolica località.
La risaia presso il fiumicello che passava per di là era la più florida della contrada e dava un riso nero come la pece e di un sapore così inebriante che lo si mangiava almeno una volta al giorno, anche come merenda per i più piccoli se accompagnato da una salsa ottenuta dai tanto rinomati frutti.
Le verdure erano fragranti anche da appena colte e si lessavano solo se l'aria cominciava a rinfrescarsi un po' troppo, cosa che non accadeva poi così spesso.
Dalle uova uscivan fuori miliardi di frittate di tutti i gusti, insaporite ora con i prodotti dell'orto, pomodori, zucchine, insalate, cipolle e tante altre cose stuzzicanti, e ora con i prodotti della pesca che forse ho tralasciato di dire che era assai ben sviluppata. Gamberetti di fiume, piccoli ma decisamente gustosi, e tanti altri pesciolini tipici di quella zona. Tutti sanissimi e saporiti!
Se con tutte queste leccornie si imbottiva il pane poi che godimento! Croccante fuori e morbido e gustoso dentro. Una meraviglia!
Di alta qualità erano anche i legnami ricavati dagli aceri e dalle palme che crescevano con vigore in quella terra generosa di nutrimento, acqua e luce.
Con essi costruivano le loro capanne che, seppur modeste, resistevano all'abbondante pioggia che cadeva senza procurar troppe cure.
Anche se i tetti delle abitazioni erano ricoperti di paglia, la trabeazione di acero che si trovava sotto questi era molto resistente e attraverso ingegnosi sistemi di tubi ai quattro angoli del sottotetto consentivano di raccogliere l'acqua piovana in larghi vasconi che si trovavano riparati dietro le case.
Con metà di quell'acqua si facevano il bagno e con l'altra si cucinava. Naturalmente la dividevano in grossi recipienti di pietra per ripartirla in modo equo alle due diverse attività. Erano un popolo molto preciso e ci tenevano parecchio all'igiene e alla pulizia, quantunque si possa pensare il contrario data la antica collocazione nella storia.
C'era pure quella del fiume, ovvio, ma loro sapevano quanto fosse importante rispettare quel pacato signore che scorreva tra le loro rive e che dava loro tutto ciò che una tribù di pescatori e mastri mondariso potesse desiderare.
Proprio brava gente queste persone.
Altra loro specialità manifatturiera era lana che ricavavano da lama e alpaca, i loro animali da gregge.
Tra i veri intenditori era proprio considerato un lusso possedere le pelli di questi animali che messe assieme davano un discreto riparo dal freddo dell'inverno.
Non c'è che dire, questi individui sapevan dare il meglio di sé in tutto ciò che facevano.
Non possiamo negare il fatto che dovremmo prendere esempio da loro.
Vivevano al buio giorno e notte e non c'era comunque traccia di tristezza sotto quelle alte montagne. Tutti si chiedono ancora come potesse essere così. Come potevan non cadere vittima della depressione nera al non vedere mai la luce così come l'hanno conosciuta e la conosceranno altri?
Vecchie erano le cronache in cui si leggeva che per loro non era così faticoso, come lo era per i stranieri, vivere nella terra dove hanno sempre vissuto e che sempre hanno conosciuto in quel modo.
Non conoscevano la luce del sole al mattino o quella della luna alla sera tarda, se non per mezzo dei libri che insegnavano loro nuovi retroscena di sapienza, fantasia e sogno. Non se ne preoccupavano nemmeno perché apprezzavano saggiamente e con gratitudine ogni minima briciola di pane e salute che le loro vite incontravano.
A segnalare l'alba erano gli uccellini che si sapeva cantassero quando l'aria andava rinfrescandosi e che significava che una nuova giornata doveva avere inizio.
Il mezzogiorno era annunziato dalle serpi che correvano a prendere riparo sotto ai sassi, e l'ora di pranzo arrivava quando questi esseri striscianti s'infilavano di corsa nel folto della foresta perché nemmeno le pietre riuscivano a parare la calura dell'alto astro.
Prima di arrivare al momento del pasto, nelle otto ore frapposte al risveglio, si faceva un bagno nei vasconi dentro le case e poi una bella colazione con latte e croste di pane spalmate di frutta. S'andava dal maestro a imparare a leggere e scrivere e i grandi dai venticinque in su andavano a lavorare la terra, il bestiame e il legno. Per i piccoli a metà mattinata era prevista una pausa per uno spuntino e una corsa per sgranchire le gambe agili di quei pischelli, e poi si tornava a contare i ranocchi nel laghetto delle ninfee; si leggeva l'alfabeto per tre volte e si mettevano insieme le parole che più piacevano per raccontare le brevi storielle che quelle piccole e ingegnose menti partorivano tra risate e spensieratezza.
Un pisolino di mezz'ora dopo pranzo e poi liberi di giocare o raggiungere i fratelli maggiori e i padri ai campi o nelle piccole botteghe a raccontar loro cos'avevano imparato.
Si lavorava finché ''l'uccello della sera'', il grillo, cantava l'avvicinarsi del calar della luce del disco astrale. Si ritiravano gli strumenti del mestiere dentro le botteghe o in piccole casette di legno poste al limitare di campi e pascoli.
Dopo la gran fatica e prima di rientrare a casa ci si lavava per bene nelle vasche che separavano i luoghi di lavoro dalle abitazioni. Anche dentro di esse vi era acqua piovana e i lavoratori avevano anche a disposizione una tavoletta di sapone fatto da erbe profumate e la cui ricetta era tenuta segretissima. Che fossero sotto sotto alchimisti anche loro?
Arrivati alle loro dimore si lavavano di nuovo in docce di legno al centro tra i vasconi e poi entravano lindi e puliti, pronti per cucinare la cena.
Ci pensavano gli uomini alla sera, a sfamare le loro famiglie.
Ai bambini spettava il compito di raccogliere tutti gli ingredienti necessari dalle dispense che avevano in casa o in quella grande al centro del villaggio.
Qui si pagava un piccolo pedaggio, ovvero restituire la medesima somma di provviste prese dopo una settimana in modo da non consumare le scorte.
L'ultimo pasto del giorno era a base di pesce e quindi i più piccoli erano anche incaricati di andare a pescare.
Dato che questo avveniva intorno alle sette di 'sera' non c'era nessun problema. Si aveva un'ora a disposizione e quei piccoletti, abituati a procurarsi tutto l'occorrente da quando avevano quattro anni, ci impiegavano giusto una mezz'ora.
Chi non era addetto alla cacciagione si premurava di raccogliere la frutta dagli alberi. Vi erano ciliegi, pesche, nespole, pere, mandarini e all'inizio della foresta dietro agli alloggi si trovavano anche cespugli ricolmi di bacche deliziose che trattate con pestello diventavano creme da spalmare sul pane che, oltre che da colazione o merenda costituivano il dessert, premio di chi si era impegnato al massimo.
Pensate che qualcuno rimanesse a digiuno di quella piccola ricompensa?
Capitava a volte, se magari un bimbo non faceva esattamente tutto ciò che doveva, ma non era una punizione così tremenda. L'indomani, infatti, questi s'impegnava a recuperare ciò che aveva lasciato indietro.
Tornando alla cena, alle sette e trenta si iniziava a preparare ogni cosa, dalla pulitura del pesce da pelle (se necessario o a discrezione del cuoco) e lisca, alla cottura che avveniva direttamente su un piccolo fuoco nei fornetti di pietra poco fuori l'uscio.
Si faceva anche un abbondante insalata e se proprio se ne aveva voglia, si preparava una media razione di riso. È risaputo quanto ne fossero ghiotti...
Le verdure venivano cotte in pentole piatte e molto capienti che fungevano anche da vassoio. Venivano mischiate al riso o al pesce ancora calde calde e rifocillavano tutti i commensali lasciandoli pienamente soddisfatti del pasto.
Per cenare non c'erano tavoli e sedie come accade da noi, ma era presente un tavolino su cui si mettevano tutte le pietanze. Era molto grande e alto una trentina di centimetri; ci si sedeva intorno su quadrati di tela fissati al pavimento su cui si poggiavano dei cuscini piatti.
A turno, se si sporcava, una persona a metà refezione prendeva una scopa e una paletta e raccoglieva il tutto portandolo agli animali che in quel momento si trovassero nelle vicinanze degli steccati.
Finito di mangiare e riordinare la cucina si usciva fuori una mezz'oretta ad assaporare l'aria frescolina della sera; i più anziani raccoglievano fasci di steli di giunco che davano ai giovani per costruire le persiane delle finestre. Con alcuni ci facevano dei fischietti lunghi che somigliavano a flauti.
Vi uscivano delle melodie così simpatiche che mettevano allegria e facevano fare sonni tranquilli a tutti quanti. Sembravano quelle del pifferaio magico.
Si rientrava nelle dimore dopo aver fatto rincasare anche gli animali nelle stalle dietro alle abitazioni e prima della folta vegetazione della foresta.
Queste erano semplici ripari con una porta scorrevole che proteggeva le greggi di cinque tra alpaca e lama ciascuno. C'erano delle finestre piccole che la notte, se pioveva, venivano chiuse dall'esterno con dei bastoni molto lunghi sporgendosi dalla finestra adiacente della casa.
Erano leggermente più larghe di queste per consentire al bestiame di star comodo e non troppo impaccato. La loro dieta consisteva di erba fresca e fieno, che durante l'inverno diveniva il loro pasto principale. Ogni tanto si poteva dar loro una manciata di cereali, senza abusarne però, perché avrebbe causato loro problemi alla ruminazione!
Una volta svolte tutte queste mansioni si leggeva qualcosa per mezz'oretta e quando i gufi iniziavano a cantare annunciando l'arrivo delle ore del sonno, si stendevano le stuoie agganciate per un'estremità al muro, contro cui si tenevano arrotolate, si piazzava sopra di queste una coperta per renderle più morbide e se ne sistemava una sopra la propria persona in caso di freschetto.
A fare loro da sveglia l'indomani erano i passeri che cinguettando raggiungevano le cime degli alberi per adempiere al loro ruolo di teneri portatori di nuove e riposate giornate.
Le stagioni in questo luogo avevano la capacità di essere miti e al contempo generose.
Gli autunni che erano carichi di acqua erano la stagione della pioggia per eccellenza. Portavano acqua per dissetare tutti i campi, gli animali e le anime che li lavoravano e abitavano.
Ingrossavano il fiumicello trasportando lontano la purezza delle sue vene che giungevano nelle vallate vicine compensando la penuria che vi vigeva.
Gli inverni erano rigidi, anche se non troppo, e ripulivano i terreni dalle impurità proprio come facevano con l'aria ingombrata dalla calura estiva.
Era la stagione delle neve non abbondante che risanava il suolo bruciando i parassiti e rinvigorendolo.
La primavera che giungeva dopo di esso era una vera e propria rinascita. Le foglie cadute nel periodo precedente concimavano le loro antiche patrie, sparendo sotto la terra e sacrificandosi per la causa più giusta di tutte: la vita.
Ogni fiore conservava la forza vitale proveniente dalle sue origini e la sfoggiava con leggiadria e sana prepotenza nella sapienza delle sue foglie, nello splendore dei suoi colori. Così era per gli alberi che in ogni loro nodo si leggeva vigore e resistenza.
Il calore di questa stagione si faceva più forte al giungere dell'estate che bruciava le erbacce scacciandole via in malo modo. Portava un tepore che non era asfissiante per cui non intaccava il correre del torrente che regalava frescura durante le afose 'mattinate'.
Ombra tonificante era data dall'imboccatura della foresta di pini a dieci metri dal retro del villaggio, ove tutti si rifugiavano nelle ore più calde.
Credo d'avervi raccontato tutto, cari amici miei. Prima di salutarvi però vorrei condividere con voi un'ultima.. Sapete come pioveva in questo strano posto?
All'incontrario! No, non siete pazzi. Le goccioline si levavano da terra come fulmini e solo dopo essere schizzate abbastanza in alto da sforacchiare le nuvole tornavano giù per terra..
Adesso vi ho detto davvero tutto, signori, quindi... Arrivederci!”
Abbiamo già fatto un quarto del puzzle ma Haruka non ha fiatato nemmeno un attimo... È come se si fosse persa nei suoi stessi pensieri.
Chissà quale sarà la causa di quella sua strana concentrazione...
“Amore, tutto ok?”
Le sue parole mi destano a qualche istante dalla fine del racconto e solo ora comprendo che sono stata distante dal resto del mondo per lunghi attimi.
Spero sia clemente e non mi chieda di raccontarle tutto...
“Sì, tutto a posto. Ero solo sovrappensiero.”
“E a che pensavi?”
“Diciamo che è un pensiero un po' troppo lungo per una facile narrazione...”
“Ummmh... e sarò abbastanza fortunata da udirlo, prima o poi?”
“Magari sì... quando sarai un po' più grande...!”
Salve a tutti
ragazzi, so di aver tardato molto anche stavolta, ma spero comunque che
possiate apprezzare questo nuovo capitolo perché durante la
lavorazione mi ci sono affezzionata molto ^^.
Ho quasi pronto anche il capitolo successivo per cui non dovrete
aspettare eccessivamente per leggerlo. Spero di non farvi dannare
troppo d'ora in poi, dato che sto seguendo un nuovo regime di
scrittura. Come sempre spero di avervi soddisfatto abbastanza anche
stavolta.
Ora vi lascio ché la giornata piena di lezioni sta iniziando
a farsi sentire.
Ringrazio in anticipo tutti quelli che leggeranno e recensiranno, un
bacio a tutti voi!
Buonanotte ragazzi