[Nota dell’Autrice: un abbraccio a grande a
tutti voi lettori che state seguendo la mia storia. Eccovi un nuovo
aggiornamento. Spero che sia di vostro gradimento. Baci baci!]
CAP.5 Ego
Sai e Choji arrivarono a Konoha il giorno
seguente, stanchi e prostrati per aver corso tutta la notte ma dovevano
assolutamente riferire a Kakashi su quanto era accaduto al Villaggio della
Notte; la storia aveva tutte le sfumature di una vera e propria mascherata, non
solo per l’infondatezza delle accuse quanto per la velocità con cui avevano
condannato Sakura e rinchiusa in carcere.
Fu Sai a recarsi direttamente nell’ufficio
dell’Hokage e gli raccontò ogni particolare sull’accaduto e tutte le
informazioni che era riuscito a raccogliere durante la loro permanenza in quel
villaggio; raccontò di come erano stati fatti allontanare e poco dopo erano
stati attaccati da ninja misteriosi vestiti di nero, ma che poi erano
intervenuti anche Naruto e Sasuke.
“Naruto e
Sasuke sono quindi giunti al Villaggio della Notte?”
Domandò Kakashi, sollevato che i suoi due
ragazzi avevano risposto al suo messaggio ed erano pronti ad intervenire. Sai
riferì che Sasuke sapeva qualcosa riguardo al Villaggio della Notte e che lo
aveva sentito parlare con Naruto riguardo e dei ninja di Kiri, ma non sapeva
esattamente a cosa si riferisse.
Kakashi chiamò uno degli assistenti e chiese
che l’ambasciatore del Villaggio della Nebbia e l’ambasciatrice di Suna si
recassero immediatamente nel suo ufficio.
Tempo 10 minuti e Temari, accompagnata da un
uomo che portava il copri fronte di Kiri, entrarono nell’ufficio di Kakashi, il
quale li mise al corrente riguardo al Villaggio della Notte e chiese loro cosa
sapevano i villaggi alleati riguardo a questo posto.
“Kiri
inviò dei ninja tempo fa, ma non sono più ritornati. Ci sorprese che il capo di
quel villaggio non fosse a conoscenza di cosa ne fosse stato di loro. Li
abbiamo cercati ovunque, ma sembra che nel villaggio non vi sia traccia di
loro.”
“Anche
Suna ricevette una richiesta da parte del Villaggio della Notte di alcuni dei
ninja migliori per alcune missioni, non abbiamo più avuto loro notizie. La cosa
strana è che avevano richiesto le migliori kunoichi del Villaggio della Sabbia;
sarei dovuta andare anch’io ma, essendo già impegnata con il mio incarico di
ambasciatrice a Konoha ed essendomi appena sposata con Shikamaru, Gaara disse
espressamente che dovevo restare qui e che avrebbe mandato altre ninja a
disposizione. Alcune di queste ragazze le avevo addestrate io personalmente ed
erano esperte nelle mie stesse tecniche.”
Kakahi ascoltò attentamente e più volte rivolse
lo sguardo a Sai che confermò quanto aveva sentito da Sasuke: quello che non
quadrava però, era il fatto che il Villaggio della Notte aveva con l’inganno
attirato ninja donne dai migliori e potenti Villaggi Ninja, ma non era ancora
ben chiaro a quale scopo.
“Al
Villaggio della Nebbia abbiamo elaborato una teoria; le poche informazioni
raccolte non ci permettono di arrivare a conclusioni fondate ma tra le ninja
scomparse c’erano anche le figlie di alcuni dei membri dei Sette Spadaccini
della Nebbia. Supponiamo che vogliano per fare degli esperimenti sul loro
chakra e realizzare così un potente esercito che vanterebbe grandi doti ed
eccezionali poteri.”
“O magari
farle procreare con i loro uomini migliori. Se così fosse, Temari è stata
fortunata, ma non posso dire altrettanto di Sakura. Purtroppo sospettavo
anch’io che ci fosse qualcosa di losco dietro tutta questa faccenda, ma non
avendo prove certe e senza alcuna giurisdizione sul Villaggio della Notte,
dovrò trovare un altro modo per liberare Sakura dalla loro prigione.”
“Kakashi,
fammi avere il più veloce falco che avete. Manderò subito un messaggio a Gaara
spiegandogli ogni cosa; rispetto Sakura come ninja e come medico, non è solo
un’amica, sarò sempre riconoscente nei suoi confronti per aver salvato la vita
a mio fratello Kanguro. Hai la mia parola che Suna darà il suo totale appoggio.”
Kakahi ringraziò con un cenno di assenso, poi
si rivolse a Sai affidandogli una missione assai più importante.
“Lo so
che sei appena arrivato e che sarai stanco, ma tu sei già stato in ricognizione
in quel villaggio e conosci la posizione di Naruto e Sasuke. Metti insieme una
squadra di supporto e partite immediatamente; prendi con te Shikamaru, Shino,
Ino e Kiba. Hinata è indisposta, dovremo contare solo sullo Sharingan di
Sasuke!”
Sai acconsentì e lasciò l’ufficio insieme a
Temari e al ninja di Kiri; Kakashi era visibilmente preoccupato per Sakura, se
i loro sospetti era fondati dovevano sbrigarsi e trarre in salvo tutte le ninja
tenute prigioniere; non sarebbe stato facile comunque tirare fuori Sakura dal
carcere, soprattutto ora che sapevano che si trattava di un imbroglio. La
volevano là dentro, ma chiunque fosse l’artefice si sarebbe assicurato non solo
il proprio anonimato, ma anche che lei ci rimanesse.
Una parte di lui credeva fermamente che i suoi
ragazzi avrebbero trovato il modo per entrare nel carcere, ma l’altra invece gli
suggeriva cautela, il nemico che stavano per affrontare non era certo uno da
sottovalutare.
Intanto un nuovo giorno era iniziato e Sakura
iniziò a tenere mentalmente il conto delle ore e dei minuti memorizzando ogni
singola attività che avveniva all’interno del carcere, cercando di
regolarizzare i battiti del proprio cuore allo stesso ritmo con cui quelle
attività venivano svolte in modo da non perdere il senso del tempo ma
soprattutto per tenere la mente occupata con l’unica cosa che non l’avrebbe
fatta uscire di senno. Sveglia all’alba, il sole non era ancora a livello
dell’orizzonte, prima colazione di 10 minuti e poi attività socialmente utili
come, sala cucito, lavanderie, pulizie; il sole alto di mezzogiorno segnava
l’ora del pranzo e pausa di circa un’ora prima della ripresa dell’attività
lavorativa o dello svago che per alcuni consisteva in letture in biblioteca,
palestra o semplicemente una passeggiata nel cortile super murato del carcere,
fino alle prime ore del pomeriggio, intorno alle due dove già il crepuscolo
calava in tutto il villaggio, poi verso le sei si recava in mensa per la cena, doccia
serale ed infine in cella per la notte: l’ora massima in cui chiudevano le
porte e spegnevano le luci erano le nove e poi si ricominciava da capo. Una
volta a settimana era previsto il controllo medico, le visite dei familiari non
erano consentite.
Ogni tanto alla notte si sentivano strane urla
e rumori provenire dalle celle, ma presto si sarebbe abituata anche a quello;
erano trascorsi due giorni senza che succedesse nulla di particolare, lei
cercava soprattutto di starsene in disparte e di non farsi notare troppo ma,
per sua sfortuna, l’ala femminile del carcere non era una metropoli e alla fine
venne notata dalla peggiore delle prigioniere detenute. Aveva ascoltato alcuni
discorsi durante, la pausa pranzo, che parlavano di questa specie di banda
femminile che teneva sotto controllo i vari bracci della sezione, la più
pericolosa fra di loro si era fatta nominare boss della banda e tutte dovevano
sottostare al suo volere o avrebbe reso la loro permanenza un vero inferno.
Tutte, bene o male, erano passate sotto le sue grinfie; se le andavi a genio ti
lasciava in pace, previo pagamento di un prezzo simbolico, come denaro,
sigarette, cibo o altri generi di favori, altrimenti era meglio suicidarsi con
le proprie mani prima che lo facesse lei; adesso era arrivato il turno di Sakura,
anche se all’inizio la banda sembrava più osservarla, non ci sarebbe voluto
molto prima che si avvicinassero.
Di giorno veniva impiegata in diversi
lavoretti, mentre la notte invece quasi non riusciva a dormire; si era
ripromessa di non piangere mai davanti a nessuno lì dentro, ma la notte, nel
buio della sua cella, con lo sguardo rivolto verso il soffitto le lacrime
scendevano copiose e silenziose sul viso senza che potesse fermarle; inoltre,
come se non bastasse, la voce oscura si presentava puntuale a tormentarla senza
neppure un perché.
“Oh ma tu sai benissimo il perché. Sai
esattamente chi sono, non c’è bisogno che tu faccia finta che io non esisto.
Esisto e sarò sempre presente, ora più che mai hai un disperato bisogno di me.”
“Falla
finita! Chiunque tu sia, lasciami in pace, ho già abbastanza problemi anche
senza le voci che mi ronzano in testa”
“Io non sono solo una voce nella tua testa
idiota. Sono la realtà del tuo io più profondo, quello umano, quello che odia e
ama il mondo come odia e ama sé stesso; sono la tua coscienza, la tua stessa
anima appartiene a me e non certo a quello che tu pretendi di essere ,solo
perché gli altri vogliono che tu sia così. Non te ne eri ancora resa conto?”
“Basta!
Smettila! Non voglio starti a sentire!”
“E invece mi ascolterai! Mi implorerai di
aiutarti quando quelle donne verranno da te. Puoi evitarle se vuoi ,ma ti
verranno a cercare; hai ascoltato i discorsi delle altre detenute, sai bene che
cosa ti faranno, puoi sempre cedere e lasciare che facciano di te quello che
vogliono, così come le guardie carcerarie che non aspettano altro da te se non
un errore anche solo banale per farti dimenticare di essere venuta al mondo.”
“NO!!
Basta, tu non sei me ed io non sono te, non sono obbligata ad ascoltarti… e non
sono nemmeno obbligata ad essere ciò che tu vuoi farmi diventare, e dare loro
ragione che sono un’assassina!”
“Ma è esattamente ciò che siamo, o meglio,
quello che sei realmente; combatti fino a farti male se necessario, odi l’amore
che provi per lui che a mala pena ti corrisponde. Quanto hai desiderato ucciderlo
per il dolore che ti ha causato giorno dopo giorno… forse li hai veramente
uccisi tu i due ragazzi nel vicolo e non te lo ricordi neppure…”
Sakura si mise il cuscino in faccia per non far
sentire le sue urla di disperazione; poteva esserci del vero in quello che il
suo stesso ego le stava rivelando? Oramai non sapeva più qual’era la verità,
tanto valeva crearsene una che almeno avesse un senso, forse anche più
sopportabile; di certo non cera niente che avesse potuto rendere più
sopportabile la continua invadenza della banda della prigione. Eva, il capo, si
era accorta che Sakura la stava deliberatamente sfidando, ignorandola ogni
volta che la provocava o anche solo tentava di avvicinarsi per imporle il suo
volere; le aveva persino dato un soprannome, ma a Sakura tutto questo non
importava, pur di non cedere.
“Ehi la
principessina snob, oggi si è dimenticata di salutarmi come si deve. Sembra che
ultimamente se lo stia dimenticando spesso, forse è giunto il momento di
insegnarle le buone maniere ragazze. Mi piace quella sua bella chioma rosa,
credo proprio che me ne prenderò un bel po’ come souvenir!”
L’avevano seguita fino alla lavanderia, dove
quel giorno era di turno come lavorante, non c’erano porte o finestre e nemmeno
uscite, non vi era quindi possibilità alcuna di evitare lo scontro diretto; a
quel punto Sakura si sentì come un animale in trappola, senza chakra a causa
del sigillo, e lei odiava sentirsi così, quasi quanto stare in una gabbia. Si
sentì pervadere da uno strano fervore e le prudevano le mani; non c’era bisogno
che lei cedesse e si sottomettesse ad Eva, era sufficiente cedere al proprio
ego ferito e denigrato; il suo lato oscuro l’aspettava, pronto ad uscire con
tutta la violenza di cui era capace.
Una delle donne al seguito di Eva si avvicinò
abbastanza, da non avere però il tempo di allungare un solo dito verso di lei,
tanto che era già a terra mentre un’altra si ritrovò dentro al cestone della
biancheria sporca, ed un’altra ancora con la testa dentro l’oblò della
lavatrice; erano sei contro uno, ma Sakura era abituata a nemici più grossi e
più orrendi di una mezza dozzina di detenute sgangherate ed inette. Un braccio
rotto ad una, un occhio nero ad un’altra e l’ultima, il capo, che pensava di
poterle dare una lezione, era in fuga prima che Sakura le rivolgesse lo
sguardo; i corridoi che collegavano la lavanderia al salone mensa della
prigione erano lunghi e con un solo sbocco, oltre il quale non poteva certo
scappare, tutta la sala era recintata e sbarrata: tutte le detenute presenti in
quel momento si scansarono quando videro Eva correre a gambe levate con dietro Sakura
che la rincorreva con sguardo feroce e le fu sufficiente un solo balzo per
riagguantarla e farle sparire quel sorriso ebete dalla faccia. In un attimo
furono circondate dalle altre detenute che gridavano ed incitavano alla lotta
spietata; per puro istinto di conservazione, Eva cominciò a reagire e a dare
pugni anche lei, ma era più alta e più tozza rispetto a Sakura che riuscì a suo
modo a difendersi e, dal tifo che riceveva dalle prigioniere, di certo era la
prima che osava affrontare e darne di santa ragione a quella prepotente: due
minuti dopo era terra con il braccio di Sakura intorno al collo che la stava
strozzando. Sarebbe finita male, se non fosse stato per le guardie che
avanzarono in tenuta antisommossa, allontanando le altre detenute con i bastoni;
bastava un non nulla e la prigione poteva veramente trasformarsi nel peggiore
dei gironi dell’inferno, le regole erano severe, niente risse o altro che
potesse turbare l’armonia e l’equilibrio dell’ordine all’interno del carcere, o
a pagarne il prezzo sarebbero state tutte le detenute e per coloro che avevano
provocato il caos, c’era la cella di isolamento ad attenderle per un periodo
indefinito.
Una telecamera stava inquadrando tutta le
scena, dai monitor di una sala segreta vennero dati ordini precisi, una
punizione severa ad entrambe avrebbe placato gli animi; Sakura era ancora di più
nel mirino del sistema e qualcuno sembrò compiacersene.
Sakura ed Eva furono entrambe travolte e prese
a bastonate dalle guardie senza neppure rendersene conto, dopodiché furono
trascinate a forza verso le celle di isolamento; Eva urlava e si dimenava, era
terrorizzata da quel luogo e Sakura si rese conto a quel punto che qualcosa non
andava, quella che avrebbe dovuto essere per lei la sua aguzzina, mostrò un
lato debole e spaventato che non si sarebbe mai aspettato da nessun’altro lì
dentro.
Sakura si fece condurre nella cella di
isolamento senza proferire verbo, anche se a tratti il suo furore la faceva
scattare verso gli agenti, ed ogni tanto tirava strattoni per liberarsi; la
lasciarono solo una volta che l’ebbero rinchiusa nella cella cieca, nessuna
finestra, nessuna luce, nessun letto, solo un catino per i bisogni ed una
piccola fessura sulla porta d’acciaio che faceva filtrare appena la luce dei
neon del corridoio.
Non aveva idea di quanto l’avrebbero tenuta
segregata lì dentro, non aveva mai smesso di contare e cominciò una nuova serie
per tenere la mente occupata in attesa che la porta si riaprisse di nuovo; ma
non era sola lì dentro, c’era anche lei, il suo ego che aveva tutta l’aria di
uno spettro dallo sguardo gelido ed inespressivo, il ghigno distorto che la
faceva sembrare più un mostro, eppure era l’esatta espressione del suo io
nascosto.
“Lo vedi, alla fine hai ceduto all’unica
verità che potrà ridarti la vera libertà. L’odio, la frustrazione, il terrore di
non poter avere quello che desideri e di non essere libera è solo una piccola
parte di tutto quello che puoi essere e che puoi ottenere con le tue doti
innaturali; ma più di ogni altra cosa, la sola fondamentale, è che esso è equo.
Tu dai qualcosa ed in cambio ricevi, senza alcun ombra di dubbio, non importa
come dai e come ricevi; sarai sempre tu la padrona del tuo destino. L’amore,
l’amarezza e l’affetto portano soltanto ad una misera schiavitù e stai pur
certa che non avrai mai nulla di diverso in cambio tranne l’indifferenza.
Perché è questo che lui prova per te, o non saresti qui altrimenti. Dov’è lui?
Dov’è l’incostante Sasuke? Dove l’uomo che dovrebbe essere al tuo fianco in
questo momento?”
Sakura aveva già capito da tempo qual’era la
dura realtà, ma vedersela sbattere in faccia così come un macigno era dura da
mandare giù; sentiva un sapore amaro in bocca e la gola le si stava seccando,
per giorni però dovette resistere alla sete ed alla fame e cercò di convincersi
che forse Sasuke non era in grado di aiutarla perché era lontano e non sapeva
che lei era lì. Le ore passavano e faticava sempre di più a mantenere quella
convinzione, tanto più che la voce tornava alla carica sullo stesso punto con
più frequenza e stava smantellando ogni singola fibra di quella sicurezza
sempre più fragile. Forse non lo avrebbe mai più rivisto; anche se fosse
riuscita ad uscire da quell’inferno, guardarlo negli occhi per lei avrebbe
significato odiarlo ancora di più.