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Autore: Tomoko_chan    10/03/2015    6 recensioni
Naruto se ne è andato e ha portato con sè un pezzo di cuore dei suoi amici. Hinata è rimasta sola, ma il suo amato le ha lasciato comunque "qualcosa" per ricordarlo. Fra amici che tornano, nuovi colleghi, ultimi desideri da onorare, gruppi da riformare, cosa succederà alla allegra combriccola?
Alzò una mano e lentamente saggiò la pelle candida e setosa della sua guancia, la accarezzò dolcemente, e con il pollice gli sembrò quasi di riuscire a palpare la tragica via segnata dal passaggio delle sue lacrime, dove dopo meno di un secondo una vi si pose, ribelle. Si scoprì stupito di notare la realtà di quella goccia, concreta e umana. Non sapeva che gli angeli potessero piangere.

Torno con il promesso sequel di "Filosofia di vita.". Dedicata a Arcx e a Puffin, mie fedelissime e amatissime amiche.Song-fic, con canzoni di Ludovico Einaudi, Negrita, Evanescence, System of a Down,Serj Tankian.
[ NaruHina "unpochinoparticolare" ] [Coppia a sorpresa, KibaHana, SakuSaso, ShikaIno, accenni ad altre coppie, altre coppie in futuro, accenni a triangoli]
[DarkandLights][YinYang][Angst vs fluff][OOC giustificato]
19esimo capitolo dedicato al giorno dei morti, omake leggibile anche senza conoscere la storia precedente. Angst-Drammatico.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanabi Hyuuga, Hinata Hyuuga, Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Kiba/Hanabi, Shikamaru/Ino
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli ultimi sognatori.'
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Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Weight of the world.
[
"è come il peso del mondo 
come tutte le mie urla che sono rimaste inascoltate
]

 
[Evanescence: Weight of the world]
Sasuke non sapeva perché avesse avuto il bisogno di baciarla. Semplicemente si era fatto palese, all’improvviso, mentre lei parlava ansiosa, ponendogli domande a cui si era dato delle risposte che in quel momento gli sembravano un tantino stupide. Aveva sentito il bisogno di calmarla, o di zittirla, e quel gesto era stato automatico. Aveva osservato le sue labbra per un momento e poi ci si era calato, immergendosi nell’avventura, e si era sentito un bambino alla sua prima esperienza: goffo, incapace, idiota. Quella ragazza, minuta ed esile, lo faceva sentire piccolo come una formica – indegno delle sue attenzioni, del suo affetto, dei suoi pensieri. L’aveva baciata con dolcezza, con la sensazione di star commettendo il più grande dei peccati, e per un attimo l’aveva sentita irrigidirsi sotto il suo tocco leggero, ma dopo qualche secondo si era rilassata, abbandonandosi in quell’alta marea d’amore che la stava avvolgendo. Le sue labbra erano fresche, quella vicinanza permetteva al suo profumo di lavanda di insinuarsi nelle sue narici. La sentì sospirare nel bacio, in debito d’ossigeno, e qualcosa dentro di lui si mosse, divampando all’improvviso come fuoco su un fiammifero: desiderava di più.
Le mani callose, dai lati del suo viso, scivolarono leste dietro alla nuca: intrecciò le dita ai lunghi capelli color notte, morbidi e sinuosi, amati, e l’attirò maggiormente a sé. La sentì mugolare appena ed egli stesso sospirò di piacere nel trovare l’accoglienza calda e seducente della sua lingua – ogni movimento gli provocava un fremito.
Le fredde e sinuose mani di Hinata si appoggiarono sul suo petto e bastò che uno dei suoi polpastrelli gli sfiorasse la pelle liscia del collo per congelarlo sul posto. Come se fosse partito da lì, la consapevolezza risalì sotto forma di un brivido dal collo fino al cervello, percorrendo la giugulare. Sasuke si fermò, improvvisamente conscio di quanto fosse sbagliato quello che stava facendo. Si era dimenticato di tutto: di Naruto, della loro vita insieme, dell’amore del biondo e di Hinata, di loro figlio. Come aveva potuto?
Dopo un attimo di esitazione, si staccò da Hinata con un gesto secco, compiendo due passi indietro.
Lei aveva ancora le labbra socchiuse e gonfie, il volto arrossato, gli occhi pieni di stupore. Mentre la osservava avvenne un cambiamento: il suo sguardo perlato si rabbuiò, diventando triste, nonostante vi fosse rimasta una scintilla.
Si sentiva accaldato ed eccitato – probabilmente aveva per la prima volta in tutta la sua vita le guance rosse – e pensava di aver distinto, nel suo cuore, un momento di felicità. Questo però era stato troppo breve, troppo veloce: era fuggito via, lasciandolo con l’amaro in bocca, subito sostituito dal senso crudo della colpa. Che rumore fa la felicita? Non avrebbe mai smesso di chiederselo. Forse quello del battito di un cuore.
«Sasuke…» tentò di richiamarlo lei, la voce dolce e melodiosa, ma appena udibile.
Lui rialzò lo sguardo su di lei ed ancora una volta l’istinto di prenderla fra le braccia e baciarla si impossessò di lui: era troppo bella, troppo dolce, troppo fragile, troppo perfetta. Ma un errore è tale finché non è voluto, e Sasuke Uchiha non sbagliava mai due volte. Voltò lo sguardo di lato e deglutì, cercando di resistere alla tentazione.
«Va via.» pronunciò quelle parole con voce greve.
«Cosa? Sasuke, tu-»
«Va in hotel, Hinata.» le disse freddamente lui, senza guardala «Lasciami solo. »
Proprio dalla strada da cui erano finiti, con un gran rumore di lamiere che cozzano l’un l’altra, una vettura di foggia d’epoca percorse la strada, avvicinandosi ai due. Era un tassi vecchio stile, notò Sasuke, che stava guidando da quella parte: quello chiamato da Hinata.
«Noi… noi dobbiamo tornare in hotel, Sasuke. Noi.» mormorò Hinata, che aveva notato anche lei la vettura, confusa, cercando di sottolineare quel pronome. Gli fece quasi male sentire la sua voce melodiosa p ronunciare quel noi che non avrebbe mai avuto condizione d’esistere «Il tassì..»
Sasuke strinse i pugni e infilò una mano nella tasca dei pantaloni. Era sul punto di piangere e sperava che la pioggia nascondesse il suo segreto. Un tempo non avrebbe mai pensato di poter arrivare a tanto. Adesso… si rendeva conto di quanto Naruto, e la sua morte, fosse stato capace di distruggere il muro che si era costruito intorno con una semplice molotov. Prese il portafogli e glielo porse, tornando a guardarla per un breve istante. Gli occhi lunari continuavano a fissarlo, tremando appena. Gli parve di scorgere un’ombra strana… una tristezza diversa.
«Prendi questo e vai, Hinata.» ordinò.
Dopo un breve istante, la donna scosse il capo. «Non lo prenderò.» annunciò «Sarai tu stesso a pagare il tassista.»
La sua voce era modulata in modo da suonare forte, imperiosa, salda, ma i suoi occhi tradivano incertezza e paura. Amava quella Hinata: quella che, dopo le intemperie, era capace di dimostrarsi tenace e coraggiosa come un leone – ma se avevi voglia di ritrovare la vecchia ragazzina d’un tempo, quella dolce, ingenua e troppo buona, la vedevi sempre lì, nei suoi occhi. Era come un tortino dal cuore morbido: fuori compatto e asciutto, dentro dolce, liquido e squisitamente caldo. Sorrise internamente per quella similitudine, mentre con pochi passi la raggiungeva, abbassando lo sguardo, le infilava il portafoglio nella tasca della giacca e proseguiva oltre, senza fermarsi.
Hinata era troppo scioccata dallo sguardo che aveva visto sul suo viso per cercare di fermarlo.
Era quello di un uomo povero che aveva perduto tutto.
 
Probabilmente girare da solo per le strade di una città semisconosciuta non era un bene, per di più se erano le tre di notte. Aveva cominciato a quell’orario improbabile e si era perso per ore nelle strade del borgo antico di Parigi, tentando di dare pace ai propri pensieri. Ricordava quando, a diciotto anni, la sua vita era stata sconvolta dal ritorno del fratello e per non pensarci correva per ore nelle strade della sua città, senza fermarsi mai. Era diventato talmente iperattivo che raramente chiudeva occhio, così insensibile da non fermarsi neanche se i suoi muscoli imploravano pietà, e cedevano. Si era fatto tanto del male in quel periodo – cominciando con una cosa piccola come la corsa e finendo per drogarsi – che aveva perduto il suo vero se stesso: no, non quello strafottente e cinico, ma il Sasuke sepolto sotto strati e strati di scudi, quello buono, protettivo e a volte infinitamente dolce. Soltanto Naruto aveva avuto accesso a quella parte nascosta così in profondità, così intima, e soltanto di rado. Ancora si pentiva di tutte le volte in cui avrebbe potuto dirgli che gli voleva bene, senza mai farlo. Si dava colpe che in realtà non esistevano. Svoltando un angolo vecchio e buio di una strada che lo condusse nella via maestra di Parigi, decise di raggiungere la Senna. Mentre camminava senza posa, si era ormai abituato all’acqua che continuava a sfregiargli il volto e a inzuppargli i vestiti, tanto che non si accorse che il temporale si stava ormai esaurendo. Riusciva solo a sentire i propri pensieri e le coltellate che essi gli procuravano nel petto. Una volta, lo ricordava come se fosse accaduto appena il giorno prima, mentre camminava incessantemente per Praga a notte fonda come faceva adesso, aveva immaginato cosa fosse accaduto se cinque anni prima fosse accorso da Naruto, tentando di salvarlo. Magari lui sarebbe stato ancora vivo, si sarebbe pentito di non aver detto nulla sul suo cancro e, sinceramente grato di avere qualche anno in più, avrebbe vuotato il sacco e sarebbero riusciti a regalargli, tutti insieme, l’ultima felicità. Hinata lo avrebbe abbracciato, gli avrebbe dato un figlio, si sarebbero sposati. Naruto avrebbe potuto vedere suo figlio fare i primi passi, dire le prime parole, magari. Avrebbe avuto più tempo.
Si sentiva terribilmente in colpa per non aver agito così, ma… ciò sarebbe potuto accadere soltanto se le ferite di Hinata non fossero state così gravi come erano in realtà. L’aveva vista perdere flotti e flotti di sangue, talmente tanti da non crederci, troppi per una persona minuta ed esile come lei. L’aveva vista chiudere gli occhi ed esalare l’ultimo respiro. Aveva pianto come un bambino. Forse... già l’amava? Era possibile che si fosse già innamorato di lei, senza accorgersene? Aveva visto la sua anima scivolare via velocemente dal suo corpo: aveva creduto di essere riuscito a riacciuffarla giusto in tempo. Probabilmente, non l’aveva più lasciata, cercando di tenerla collegata alla Hinata terrena.
Raggiunse la Senna. Il grande fiume scorreva sotto di lui impetuoso, gorgogliando forte, in piena dopo il temporale. Il suo rumore sordo e scrosciante sembrò affievolire l’urlo dei suoi pensieri, annegarli, almeno per qualche istante. Davanti a lui, Parigi si risvegliava. I panettieri uscivano fuori di casa e si mettevano all’opera per creare le baguette. Era l’alba. Un fievole color rosso si espanse fra le nuvole, rischiarando il cielo notturno. Sembrava sangue che affluiva con nuova forza nel viso di qualcuno, imporporandone le guance. Il solo pensiero di lasciar morire Hinata lo investiva come un fiume in piena, come avere la Senna addosso, forte e soffocante.
Se avesse salvato Naruto e non Hinata, lei sarebbe morta e lui avrebbe vissuto il poco tempo che gli rimaneva da solo, come lui adesso. Sarebbe morto di crepacuore. Non poteva immaginarlo così disperato, il solo pensiero lo distruggeva… il viso del suo fratello di sangue era nato per ridere, non per piangere. Era stato così strano, conoscere Hinata. Una volta, Naruto gli aveva detto che prima di incontrare Hinata, aveva creduto di essere sereno. Ma era ignorante, e non capiva cosa fosse la vera tranquillità… Hinata lo aveva reso felice, e si era dimenticato di come si sentisse nella sua vita precedente. Adesso lui provava la stessa cosa. Hinata gli aveva insegnato ad amare, e non sarebbe più riuscito a tornare indietro, a prima che la baciasse. Perché adesso sapeva. Sapeva cos’era l’amore.
 
Nella sua vita, Hinata si era sentita sola tante volte. Aveva solo ventisette anni, la vita davanti, eppure aveva più esperienze personali della maggior parte delle persone che conosceva. Contando solo quelle negative, certo. Sua madre le aveva insegnato a mischiare dolcezza e forza in unico mix che aveva creduto di non saper riprodurre. Nessuno poteva essere come lei, sempre disposta ad una carezza, e nonostante ciò contenere nel proprio esile corpo una tale forza d’animo da intimidire i più con la sua sola presenza. Era minuta, delicata ed esile, ma quando entrava in una stanza tutti la notavano, tutti le davano ascolto. C’era qualcosa di mistico e di… ineguagliabile. Aveva desiderato a lungo essere come lei – forgiata dalla forte intolleranza che il padre provava nei suoi confronti – e solo ultimamente aveva creduto di aver raggiunto un obbiettivo abbastanza alto per lei, seppur minimo al confronto. Eppure era bastato passare una serata con Sasuke per cancellare tutti i suoi sforzi.
Hinata sostava nella sua camera, le spesse tende di broccato bianco chiuse sulle finestre. Quella notte non era riuscita a chiudere occhio. In una giornata normale si sarebbe buttata sul lavoro per non pensare, ma quel giorno era stato davvero difficile per lei fare qualche attività che richiedesse uno sforzo da parte del suo intelletto. Nemmeno una doccia bollente della durata di un’ora era stata capace di ritemprarla. Aveva lasciato detto a Hanabi che non si sentiva bene e aveva affidato tutto a lei, pur di chiudersi nel mutismo riflessivo che quella situazione richiedeva. Non si era rivestita dopo la doccia e, completamente nuda nella sua stanza, si era infilata sotto le lenzuola fresche tipiche dell’Europa e aveva chiuso gli occhi, tentando di rilassarsi. In realtà, aveva passato ore a ripescare nella mente frasi di canzoni scritte da Sasuke alla ricerca di una rivelazione, un sentimento, qualcosa per lei. Si era resa conto di aver cantato per mesi dediche al suo dolore, alla sua forza, al suo amore. Eppure, di tutto ciò che Sasuke aveva detto di lei nei suoi testi, non le era rimasto nulla. Lui era stato capace di toglierle tutto con un bacio. Le aveva strappato l’anima.
Se lo sentiva ancora sulle labbra, quel bacio. Le sentiva bollenti e tremanti, quasi ne desiderassero ancora. Era come se fossero incapaci di vivere normalmente, come avevano sempre fatto, adesso che avevano conosciuto la vera felicità. Le aveva raggiunto il cuore, seppur delicato.
Ma c’era Naruto. Tutto il suo corpo si riscaldava al sol pensiero. Naruto che le sorrideva, Naruto che le confidava di essere un senzatetto, Naruto che piangeva, Naruto che la portava in braccio in casa e la buttava in una vasca per farla riprendere, Naruto che le insegnava a sognare, Naruto che la baciava, la sfiorava, la rendeva donna, l’amava... Il ricordo delle sue mani su di sé, la sensazione inebriante che gli davano i suoi baci impallidiva lentamente, anno dopo anno, ma si poteva dire lo stesso del suo amore? Lui le aveva insegnato tutto, ad amare, a vivere. Questo non se lo sarebbe mai dimenticato. Era stato l’anno più felice della sua vita ed era stato lui a renderlo tale. Le aveva regalato un figlio che amava.
Ormai si era rassegnata al fatto che non sarebbe mai stata felice come lo era stata con lui, ma qualcosa di nuovo stava nascendo in lei a cui non riusciva a dare un nome. Ne aveva paura.
Come sempre, tornò a chiedersi cosa avrebbe avuto da dire Naruto sulla sua condotta. Certo, se lui ci fosse stato, il suo comportamento non sarebbe cambiato così tanto in quegli anni. L’avrebbe spronata, incitata, aiutata a migliorare. E se quel sentimento che stava nascendo il lei la avesse invasa ugualmente… avrebbe capito? L’avrebbe perdonata?... sarebbe stato così difficile se Naruto fosse stato ancora lì con lei?
Aveva passato il tempo a scandagliare nella propria mente anche le sue canzoni in cerca di un suggerimento, un appiglio. Ma non c’erano parole che Naruto aveva cantato che non conoscesse, non c’era più nulla che lui potesse dirle che non sapesse già. Il vuoto l’avvolgeva e la testa cominciava a vorticare quando pensava a quel plico di fogli, lettere e diari che lui le aveva lasciato: una miniera d’oro in una situazione come quella. Se li portava sempre vicino, per avere qualcosa di suo – talmente sconosciuto e pauroso – costantemente affianco. Ma non aveva ancora avuto il coraggio di aprire una qualunque di quelle lettere.
Un lieve raggio di sole sfuggì dalle tende e le colpì gli occhi. Ormai doveva essere pomeriggio, e Hinata non era scesa neanche per pranzare. Udì qualcuno accostarsi alla sua porta, chi con passi leggeri, chi con camminata più pesante, e infine qualcuno bussare alla porta.
«Onee-san. » chiamò Hanabi «Stai bene? Posso entrare?»
Senza rispondere, Hinata si coprì gli occhi con un braccio. La feriva far preoccupare i suoi familiari, ma il suo desiderio di pace e serenità, delle volte, la portava a chiudersi nella solitudine. Che stesse ricadendo nella depressione?
«Yò, Hinata!» urlò Kiba «Guarda che spalanco la porta!»
Non era depressione… era un sentimento diverso, più naturale. La paura la portava a non voler dire la verità nemmeno a se stessa. Ricordò il sogno che aveva con Naruto che le chiedeva perché si fosse innamorata di qualcun altro. Possibile che fosse stato lui a rendersene conto per primo?
«Ehi, Hinata.» la voce calma e piatta di Shikamaru oltrepassò la porta «Tranquilla, porto via questi casinisti. Spero solo che tu stia bene, perché stasera dobbiamo suonare, ricordi? Facci sapere se hai bisogno di qualcosa…»
C’erano proprio tutti, allora, eh? Si chiese se con loro anche Sasuke fosse venuto per vedere se stesse bene. Lui c’era sempre.  Con il suo silenzio, il suo mutismo… era capace di comprenderla, di affievolire il suo dolore. Sentiva sempre i suoi occhi su di sé, le sue premure nascoste, il suo affetto segreto. Il suo amore.
Sasuke c’era sempre, Naruto non c’era più. Con questo pensiero nella mente, il suo subconscio cadde nell’oblio del sonno.
 
Lui osservò la sua pelle candida e delicata. Aveva il colore del gelato alla panna… non sapeva perchè un pensiero così stupido lo sfiorasse, ma gli piaceva quel gusto. E gli piaceva lei. Si sporse un poco sul divano e gliela sfiorò, per poi baciarle la spalla delicatamente. Lei sorrise.
«Kiba…» lo riprese, dolcemente «Non ne hai abbastanza?»
Lui sorrise contro la sua spalla, lasciando le labbra appoggiate alla pelle.
«Pensi sempre a male, nanetta.» rispose lui, accarezzandole delicatamente la pelle sensibile del braccio, facendola rabbrividire «Volevo solo un po’ di coccole.»
Hanabi si voltò verso di lui, mostrandogli un sorriso dolce che gli illuminava anche gli occhi. La prima volta che l’aveva vista, per un attimo aveva accomunato quegli occhi a quelli della sorella maggiore, suo primo amore, senza notare quanto fossero diversi. Hanabi aveva un taglio più affilato, che la maggior parte delle volte rendeva il suo sguardo furbo e cattivo, come un gatto. E poi c’erano quelle volte, quelle in cui la dolcezza del momento li raggiungeva, rendendola più giovane ma stranamente più matura, rilassando tutto il viso. Ogni volta che lei lo guardava così, gli faceva battere forte il cuore, come quando si era reso conto di amarla.
Con un sorriso sulle labbra, le accarezzò i capelli scompigliati e lasciò la mano sulla nuca.
«Vieni qui.» mormorò lui, la voce bassa e roca.
Lei puntò le ginocchia sul divano dove lui era coricato e lo affiancò, lasciandosi abbracciare. Alzò il viso appena per permettergli di baciarla, lentamente, assaporando il momento. Hanabi sapeva sempre di zucchero, fragole e aria pulita, come in un bosco.
«Ti amo, piccolina mia.» disse riprendendo respiro, passandole un polpastrello su una guancia.
Lei sorrise «Non smetterai mai di prendermi in giro per la mia statura, vero, Kiba?»
«Mai.» le schioccò un bacio sulle labbra, facendola ridere «Perché mi piace, e so che piace anche a te.»
«Non è vero!» protestò lei, dandogli un colpetto su un braccio «Idiota!»
«Dì la verità, vieni nel mio camerino solo dopo che hai già sistemato gli altri solo per fare l’amore, vero?» chiese, lanciandole uno sguardo languido «Farlo nel camerino ti eccita, eh? Porc-»
Hanabi gli diede un altro colpo, più forte, premendo una mano sul divano per alzarsi un poco.
«Quanto sei idiota!» affermò, interiormente divertita.
Lui osservò il suo volto e poi il suo seno, nudo, e mugolò «E tu quanto sei bella!» la riacciuffò e la baciò con passione, passando le sue mani bollenti sul suo corpo, ovunque.
Lei si lasciò baciare per un po’ e appena ebbe l’occasione si scostò, accaldata. «Si sta facendo tardi!» affermò, alzandosi e infilandosi contemporaneamente la maglia di Kiba, ripescata da chissà dove.
Kiba la osservò, guardandola innamorato, mentre si avvicinava a uno stendino e scorreva la mano fra i vestiti, scostandoli rumorosamente. Pescò un paio di pantaloni eleganti con delle fibbie marroni e una maglia dello stesso colore, più una cravatta nera, e gli passò tutto.
«Indossa questi.» osservò l’orologio sulla parete «Hai solo quindici minuti.»
«Basteranno.» la osservò dirigersi verso il bagno per lavarsi, mentre si alzava e cominciava a infilarsi i boxer «Lo sai, Hanabi? Dicono che i calciatori non debbano fare sesso nelle 48ore prima di una partita per non influenzare la prestazione.»
«E quindi?» chiese lei, infilando il reggiseno senza togliere la maglietta, con un’abilità unica «Tu non sei un calciatore.»
«Però sono stanco!» protestò Kiba, affacciandosi sulla porta del bagno mentre chiudeva i bottoni dei pantaloni. Mise su un broncio molto dolce «Guardami! Vero che mi fai le coccole dopo il concerto? Vero?»
Hanabi sorrise, già rivestita «Hai ventisette anni e fai ancora il bambino!»
«Sono il tuo bambino, però, vero, Hana-chan?» miagolò lui, facendola ridere.
«Sì, Kiba.» disse avvicinandoglisi, per aiutarlo a prepararsi «Sei tutto mio.» prese la cravatta e cominciò ad annodargliela al collo «Anche se a volte ti strozzerei.» poi si fece pensosa, concentrata sul nodo «Ascolta, Kiba… volevo chiederti…»
«Se ho notato qualcosa di strano in Hinata e Sasuke, oggi?» finì la frase per lei, infilandosi dei bracciali di pelle intorno ai polsi, mentre Hanabi finiva con la cravatta «Sì, l’ho notato. Sono giorni che si evitano. E ieri… in effetti volevo lasciarli sola appositamente per vedere le loro reazioni.»
«Kiba!» Hanabi gli diede un colpo sulla spalla, sbalordita «Mi stai dicendo che hai finto di essere ubriaco?»
«Proprio finto no, ma non ero neanche così conciato male. Ed ero sicuro che tu e Shikamaru avreste tentato di portarmi a casa!» sorrise, fiero di sé, incamminandosi verso la postazione davanti allo specchio, dove si sedette per lasciarsi sistemare dalle abili mani di Hanabi «Deve essere successo qualcosa, ieri. Hinata non ha mai rinunciato a un giorno di lavoro in cinque anni. Non perché stava male, almeno.»
«Lo so. Mi è sembrato strano. E quando ho chiesto, a lei e a Sasuke, cosa fosse successo, entrambi si sono irrigiditi e sono rimasti in silenzio. Non che di solito sia possibile cavargli qualche parola di bocca.» scosse la testa, sconsolata, sistemando i capelli arruffati del suo fidanzato «Anche stamattina… Sasuke sembrava così spossato. Come se non avesse dormito. Indossava ancora gli abiti di ieri sera. Tu credi che…»
«Che si sia innamorato di Hinata?» sentì Hanabi trattenere il fiato, dietro di lui «Sì, amore, lo credo. E sinceramente, dubito che Hinata non lo ricambi.»
«Ma… non è possibile, Kiba.» la ragazza era sconvolta «Non lo farebbero mai. Naruto…»
«Perché credi che stiano così male?» la interruppe lui «Entrambi non vogliono infangare la sua memoria. Sasuke non riuscirebbe mai a rubare la ragazza del suo fratello di sangue, nemmeno se fosse ancora vivo. E Hinata crede di non dover innamorarsi di nessun altro, se non di Naruto. Crede che ne rimarrebbe ferito. E pensare che lui stesso mi aveva accennato la cosa, qualche settimana prima che… che succedesse.»
«Cosa ti ha detto?»
«Stavamo registrando. In saletta c’erano Hinata e Sasuke che discutevano, e noi li guardavamo attraverso il vetro. Lo ha visto sorridere e sai che mi ha detto?» cercava di creare un po’ di suspense « “Io ci ho messo anni per farlo ridere così”. Capisci? Mi disse che secondo lui, se Sasuke non avesse avuto quelle brutte esperienze che lo hanno portato a costruirsi un muro intorno, se egli stesso non fosse esistito sulla loro strada,  Sasuke e Hinata si sarebbero innamorati e sarebbero stati felici insieme. Un po’, se lo augurava. Non avevo capito che intendesse dopo la sua morte, pensavo si riferisse a un’altra vita.»  le afferrò il polso e la guardò negli occhi «E adesso guarda, Hanabi. Quando Sasuke è tornato, i suoi muri non esistevano più, non per Hinata. Naruto li ha portati via con sé. Solo che adesso si sono innamorati, ma l’amore per Naruto li frena. Non saranno mai felici se non lo supereranno. Mai.»
«Non voglio che Hinata sia infelice.» mormorò tristemente Hanabi, commossa «Non c’è nulla che possiamo fare?»
Kiba ci pensò su un attimo, poi tornò a guardarla, la fiducia ritrovata.
«Una cosa c’è.» affermò «Devi assicurarti che Hinata legga le lettere lasciatele da Naruto.»
 
Hinata era uscita dalla sua camera d’albergo solo per raggiungere, insieme agli altri, l’ultima data di Parigi. Il concerto si svolgeva all’aperto, in un grande campo della periferia della stessa. C’era talmente tanta gente che Hinata sentì, nonostante tutto ciò che le era accaduto in quei giorni, l’ansia montarle su come al primo concerto. Quelle sensazioni si erano affievolite man mano che prendeva mano con i live e con i tour, ma non si stupì di ritrovare quelle emozioni che adesso cominciava ad apprezzare e ad amare – anche perché le distoglievano la mente da ben altri sentimenti, che non voleva ammettere in nessun modo.
«E’ come fare l’amore» le aveva detto Naruto, e lei si sentiva un po’ così: eccitata da morire e piena di passione per ciò che faceva. Aveva la pelle d’oca e i brividi che le salivano sulla schiena, mentre osservava, non vista, l’immensa platea per cui si stava per esibire. Il pensiero di cantare e poter dar sfogo a quel fiume di emozioni che la invadeva era stato capace di svegliarla e tirarla fuori dalla sua solitudine, dalla sua camera, dall’hotel. Improvvisamente si sentiva bene, grazie all’idea del live, e vicinissima a Naruto. Lui cantava, lui suonava, lui scriveva e si sfogava. Aveva sempre descritto quell’atmosfera magica nei dettagli, ma prima d’allora Hinata non riusciva a capire fino in fondo. Adesso condivideva con lui qualcosa di intimo e profondo, che glielo faceva sentire vicino nonostante la distanza inquantificabile. Sentiva, ancora, di amarlo profondamente. Nonostante il cuore spezzato.
«Hinata.»
La donna si voltò, riconoscendo immediatamente la voce. Sasuke la guardava, avvolto nel suo completo scuro, ma con la camicia rossa, come piaceva a Naruto. Ebbe un tuffo al cuore. La guardava con i grandi neri spalancati, meravigliati, ma anche un po’ impauriti. Lesse in quello sguardo un grande amore, e si stupì di essere stata così stupida da non averlo mai notato prima. Lui la guardava sempre così, e riservava quello sguardo solo a lei.
«Sasuke.» tentò «Io…»
«Hinata.» la richiamò ancora lui. La sua mascella si era irrigidita con uno scatto, e Hinata riusciva a vedere i muscoli nello sforzo. Sembrava che le ossa potessero romperglisi da un momento all’altro a causa della forza che ci metteva «Mi dispiace per quello che è accaduto ieri. Vorrei che ti dimenticassi quello che è successo fra… fra me e te.»
Fra noi, pensò Hinata, esiste un noi, Sasuke.  Si stupì di quella vocina che gli suggeriva ciò nella mente e tentò di scacciarla a tutti i costi. Non doveva esistere nessun noi con Sasuke. Rivoleva la sua amicizia, ma lei rimaneva di Naruto. Per sempre. Eppure, le faceva male sapere che lui si stesse pentendo di averle detto che l’amava, di averla baciata. Sembrava che qualcuno le avesse infilato un mano nel ventre e le stesse torcendo le budella.
«Ti prometto che sarò in grado di controllarmi meglio.»
Ma non è stata una perdita di controllo, la voce non voleva saperne di starsene zitta, tu volevi farlo, e lo volevo anche io.
«Sasuke…»
«Siete pronti?» Shikamaru arrivò in quel momento, affiorando dall’oscurità del retroscena, seguito da Kiba e Hanabi. Hinata incontrò i loro sguardi e si stupì di trovarli angosciati, tanto che non notò neanche che la sua sorellina indossava la maglietta di Kiba invece che una tenuta più elegante, come era suo solito, data la sua posizione. In un altro momento l’avrebbe sgridata, ma non disse nulla.
«Certo.» rispose Sasuke, per lei.
«Andiamo, allora. Si comincia.» Shikamaru salì le scale per raggiungere il palco, buio, seguito da Kiba. Hinata rimase per un attimo ad osservare gli occhi stanchi di Sasuke, lo sguardo velato. Poi, ricordandosi della presenza della sorella, ritrovò il suo sguardo accigliato e fuggì via, raggiungendo il microfono, accanto a Kiba. Quando anche Sasuke salì sul palco, alcuni istanti più tardi, sembrava ancora più sconvolto. Probabilmente Hanabi gli aveva detto qualcosa di sconveniente.
Shikamaru batté quattro colpi con le bacchette ed il concerto ebbe inizio. Hinata sentì per tutto il tempo gli occhi pece di Sasuke su di sé, e le capitò di stonare.
 
WEIGHT OF THE WORLD
Feels like the weight of the world, 
Like God in heaven gave me a turn. 
Don't cling to me, I swear I can't fix you. 
Still in the dark, can you fix me? 
 
Freefall, freefall, all through life. 
 
If you love me, then let go of me. 
I won't be held down by who I used to be. 
She's nothing to me. 
 
Feels like the weight of the world, 
Like all my screaming has gone unheard. 
And oh, I know you don't believe in me. 
Safe in the dark, how can you see? 
 
Freefall, freefall, all through life. 
 
If you love me, then let go of me. 
I won't be held down by who I used to be. 
 
If you love me, then let go of me 
I won't be held down by who I was 
 
If you love me, then let go of me 
I won't be held down by who I used to be
 
Quando le luci si spensero, due ore e mezza più tardi, Hinata si sentiva completamente diversa. L’anima in tumulto, le sembrava di aver percorso alla cieca un tratto fitto di nebbia, ed essere stata quindi colpita da oggetti non bene identificati, che l’avevano lasciata ferita e martoriata. Si sentiva stravolta, distrutta e terribilmente confusa. Quando le luci si spensero, insieme alla musica, il sangue le martellava così forte nelle orecchie che a malapena sentì il pubblico invocare in coro il nome dei Post Apocalypse.  Uscì dal palco cercando a tentoni le scale per il retropalco, e quando le ebbe percorse, si fermò, stupita. Davanti a lei, illuminati dalla fioca luce di quell’area di passaggio, vide Shikamaru sfrecciarle a fianco – ciò la sbalordì, dato che non lo aveva mai visto correre in tutti quegli anni – verso una donna bionda che piangeva.
La donna, e lo capì un secondo più tardi, era Ino: aveva i lunghi capelli raccolti in una treccia laterale che poggiava sul seno ora più abbondante, e il ventre rigonfio, anche se non di molto. Ormai stava per finire il quarto mese, ed era bellissima.                                                                             
I due si strinsero in un abbraccio dolcissimo, e Hinata poté vedere le spalle di lui scosse da singhiozzi soffocati. Si commosse.
All’improvviso, un pensiero le sfiorò la mente, fulminandola: lei aveva affidato Kurama a Ino.
Mosse qualche passo verso di loro, tornando finalmente a muoversi, spaventata come una madre che non sa che fine abbia fatto il figlio.
Ed eccolo lì, Kurama, a qualche metro da Ino: reggeva fra le esili braccia un enorme mazzo di rose rosse e bianche, con un girasole piccolissimo nel mezzo. Lo nascondeva a tal punto che, nella penombra delle quinte, il mazzo sembrava fluttuasse.
Guizzò verso di lui mentre una lacrima cominciava a percorrere la solita via sulla sua gota; si inginocchiò davanti a lui – e per una volta benedì i pantaloni stretti a vita alta che Hanabi l’aveva costretta a mettere –, lo liberò dal mazzo di fiori e lo strinse forte a sé, sollevandolo appena.
«’kaa-chan!» il bambino piangeva, singhiozzando forte, e Hinata si ricordò all’improvviso di quanto fosse piccolo suo figlio, nonostante la sua maturità «Mi mancavi così tanto! Scusa se ti ho disubbidito!»
«Disubbidito?» per un attimo la giovane madre non capì, poi ricollegò tutto alla sua partenza, quando gli aveva detto che doveva rimanere a casa perché andasse a trovare il padre «Amore mio, non fa niente! Mi sei mancato tanto anche tu!»
E mentre la donna stringeva a sé il figlio, ignorando la folla che implorava per un bis, Sasuke li osservava, commosso, mentre qualcosa gli corrodeva il cuore.
Desiderava ardentemente che quella famiglia fosse sua.
 


 
  Angolo Autrice.~
Ho scoperto che i miei problemi sono testardi quanto me,
e non hanno voglia di perire tanto facilmente. Aggiornare
dopo un mese mi sembra una vergogna. Lo ammetto, 
sto mollando, ma spero che, con il vostro aiuto, riuscirò a
riprendermi. Il capitolo è uno di quelli decisivi: Sasuke 
comprende il suo errore e si allontana irrimediabilmente
da Hinata, pur continuando a desiderarla con tutto se stesso
Hinata comincia a porsi delle domande. Cosa sceglierà?
 
 
   
 
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