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Autore: Sheep01    11/03/2015    3 recensioni
“Sempre insieme, eternamente divisi. Finché il sole sorgerà e tramonterà, finché ci saranno il giorno e la notte.”
Questa è la storia di un falco, di un lupo e di una ladra. Di come quest'ultima, in fuga da una delle prigioni più inespugnabili del regno, si troverà, suo malgrado, coinvolta in una tragica storia, alimentata da forze oscure e misteriose. Fra le sue mani, il destino di due amanti, oppressi dal maleficio di un vescovo crudele e senza scrupoli, che li costringe a una semi vita fatta di albe e tramonti che si rincorrono.
[Clintasha – Medieval AU]
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 9

Breaking the Curse

 

“Ci rivedremo lì, padre. A costo di doverne scassinare la serratura.”

 

*

 

“… ed io ti dico che le piaccio.”

Due le guardie a protezione del portone che conduceva all’interno delle mura e poi verso la chiesa.

Le campane dell’inizio della funzione avevano suonato da un pezzo. La vaga melodia di canti gregoriani aleggiava nell’aria, creando un’atmosfera del tutto in contrasto con quei pettegolezzi da taverna.

“Chissà che diavolo hai capito, ubriaco com’eri ieri sera, John…”

“Non ero affatto ubriaco: sono più che sicuro che se avessi insistito, sarei riuscito ad infilarmi nel suo vestito.”

“Non sapevo ti piacessero gli abiti da donna.”

“Continua pure a prendermi per il culo, Ralph… la prossima settimana vedrai…”

“Il tuo occhio nero?”

“No! Il mio successo.”

“Lo sanno tutti che non hai successo con le donne, finiscila.”

“Tutti chi?”

L’indignazione del povero John venne interrotta da una visione che definire celestiale, con quel coro di monaci in sottofondo, si sarebbe detto riduttivo.

Natasha veniva verso di loro, affiancando a piedi un grosso cavallo nero, la spada agganciata alla cintura: il mantello scuro sulle spalle abbracciava l’abito purpureo, dandole un’aria potente.

“Per tutti gli angeli e i cherubini…”

“Raccogli la bava e sta all’erta, John. Quella è armata.”

“Ma è solo una donna.”

“Gli ordini li conosci bene: non dobbiamo far passare nessuno.”

La donna si fermò a qualche passo dai due, squadrandoli.

Entrambi ben piazzati e muniti di solide armature, nemmeno avessero dovuto contrastare l’avanzata di un carro di buoi in corsa.

“Buongiorno a voi, cavalieri.”

“Buongiorno, milady”, risposero quasi all’unisono, l’uno con aria sospetta, l’altro divertito.

“Mi chiedevo se non si potesse passare in questo lato della città.” Chiese, tenendo le mani ben lontane dalla spada, premurandosi anzi di nasconderla, come a indicare che non aveva intenzione alcuna di usarla.

“Mi spiace, milady, ma sono in corso le celebrazioni del vescovo. Non è possibile accedere a questa zona, non senza un invito formale.”

“E come si fa ad ottenere un invito formale?”

“Non si fa se non con l’autorizzazione del vescovo stesso. Temo siate arrivata in ritardo.”

Natasha osservò l’altro che non aveva smesso un solo istante di sorridere sornione.

“E’ una vera disdetta. Ho fatto un lungo viaggio sperando di poter assistere e… di ricevere la benedizione del vescovo.”

John scoccò a Ralph un’occhiata tanto rapida quanto indulgente, ma questi sembrò accoglierla freddamente.

“Mi spiace, milady, ma questi sono gli ordini.”

“E siete soliti seguire sempre così rigidamente… gli ordini?”

“E’ il nostro lavoro, milady.”

“Ralph…” lo richiamò l’altro, avvicinandolo appena,  con aria confidenziale. Abbassò dunque la voce: “Che male vuoi che faccia una fanciulla del genere? Se è disposta a lasciare la spada, perché le dovrebbe esser negato di assistere?”

“Ti sei ammattito? Gli ordini di Sitwell sono questi!”

“Sitwell?” si intromise allora Natasha, che non si era persa una sola parola. “Conosco Sitwell, sono sicura che se mi permetterete di avere una parola con lui…”

“Il capitano è in chiesa con le altre guardie. Deve occuparsi della sicurezza interna. Non gli è possibile uscire per una consulenza, milady.”

Natasha valutò la situazione: dunque vi era anche un manipolo di cavalieri all’interno della chiesa, dove le celebrazioni si stavano svolgendo.

“E nessuna di quelle guardie può muoversi da lì per un’autorizzazione?”

“Mi spiace, milady. Sono tutti e cinque impegnati.”

Cinque. Cinque più il capitano delle guardie. Per di più, se Kate le aveva raccontato il giusto, Sitwell doveva essere ancora ferito.

Natasha annuì come a prendere atto della cosa.

Alzò gli occhi al cielo. Il sole aveva preso una strana sfumatura: il suo lato sinistro sembrava essersi ristretto e una mezzaluna lo oscurava in modo del tutto inusuale.

“Una notte senza il giorno, un giorno senza la notte…” mormorò, mentre le parole del monaco le apparvero così chiare e concrete che il suo cuore ebbe un sussulto.

“Che cosa dite, milady?”

La donna abbassò il capo e sorrise, improvvisamente accesa dall’urgenza.

“Grazie per la vostra collaborazione”, aggiunse solo, prima di estrarre la spada.

Fu talmente rapida e veloce che nessuna delle due guardie ebbe modo di contrattaccare.

Il primo, Ralph, crollò a terra svenuto, con un colpo di piatto della spada e un gancio dritto sulla tempia. Il secondo, povero John, restò così basito dall’attacco che, prima si fece sfuggire di mano la spada e poi non vide arrivare il colpo di Natasha, che lo stordì con un calcio in faccia, in uno svolazzo di vesti. Fosse rimasto cosciente il tempo sufficiente, avrebbe quantomeno potuto raccontare di aver visto… sotto le vesti di una fanciulla.

Natasha si rassettò il vestito. Senza nemmeno rinfoderare la spada, salì in groppa al cavallo e tornò a percorrere la strada che conduceva alla chiesa.

 

*

 

Kate raggiunse la grata che le dita le dolevano per lo sforzo dell’arrampicata. Un paio di unghie si erano spezzate e alcuni polpastrelli scorticati le bruciavano da impazzire.

Non si lasciò abbattere. L’obbiettivo era stato raggiunto e non si sarebbe certo fermata a causa di un paio di abrasioni.

Aveva passato di peggio. Molto peggio. E di certo qualcosa di peggio sarebbe capitata al monaco che si era improvvisamente fermato sulla grata, oscurandole la prospettiva.

“Ma no…” sussurrò inudibile, estraendo il coltellino che le avrebbe permesso di forzare l’ingresso. Alzò gli occhi, su per le gambe pelose ed avvizzite del vecchio frate a raggiungere visioni orrorifiche sotto la gonnella. Non riuscì a trattenere una smorfia orripilata, e fu costretta a distogliere lo sguardo.

“Signore, puoi per favore cercare qualcos’altro per mettermi alla prova? Un novizio magari… ma non questo… smutandato.”

Strinse la mano sul manico del coltellino e andò ad insinuare la lama fra le grate. Dopo un attimo di esitazione, infilzò senza indugio e a ripetizione il piede del monaco.

Che fortunatamente ebbe il buon gusto di scostarsi.

“Che succede?” sentì dire qualcuno, mentre l’ombra si spostava.

“Topi… qui in chiesa, ci crederesti?”

“Scandaloso…”

Mentre il dialogo si allontanava Kate trovò il tempo di forzare la grata fino a farla saltare. La scostò con un movimento rapido e dopo essersi assicurata che non ci fosse nessuno in vista, si issò finalmente per uscire.

Si guardò attorno con circospezione, trovandosi alle spalle di un numero imprecisato di uomini di chiesa, schierati verso l’abside per assistere alle celebrazioni. Il vescovo, alla base dell’altare, dava la schiena ai confratelli, pronunciando una benedizione in latino.

Un moto di disgusto – che mai prima d’ora aveva avvertito così vivido – la scosse da capo a piedi. Il responsabile della terribile maledizione era lì, a pochi passi di distanza. Non faticò ad immaginare quanto potesse essere forte la tentazione di avventarglisi contro e mettere fine alla sua ignobile vita. O quantomeno di batterlo con tale foga e forza da togliersi qualche sfizio, di deformare quel viso tanto odioso, che celava tutta la cattiveria del mondo.

Si trovò a sperare che, al momento del confronto, Natasha mantenesse la promessa e l’autocontrollo. Troppo importante era quella giornata per loro, per tutti loro.

La soddisfazione di veder sfaldarsi la maledizione, ben più gratificante di quella che prendersi la vita di quell’uomo avrebbe potuto darle.

Avvicinò una serie di vesti da novizi appese alla parete di fondo e ne rubò una, infilandosela. Tirò su il cappuccio così da celare i lunghi capelli neri e cominciò a muoversi attraverso la chiesa, fra monaci e prelati.

Scostò le guardie sistemate in punti strategici della struttura e raggiunse la porta, inosservata.

Armeggiò con la serratura che chiudeva il portone per quella che le parve un’eternità e quando sembrò sul punto di arrivare a una qualche conclusione, sentendola cedere, sentì su di sé lo sguardo insistente di una delle guardie.

La vide arrivare con passo calibrato dall’altra parte della navata e si costrinse a lavorare con rinnovata urgenza.

“Forza, forza, dannata porta! Forza…” esalò sentendo lo stomaco contorcersi per l’ansia. La serratura scattò ed ora non restava che spostare la maledetta asse. Lo sforzo dei muscoli delle braccia, già provati dalla precedente scalata, imploravano per una tregua che Kate proprio non era in grado di concedersi.

“Ehi…” sentì pronunciare alla guardia, che ormai non era che a qualche passo.

Poteva sentire su di sé già la forza sua presa quando, con uno strattone più energico riuscì a smuovere quella maledetta asse. Come inspirata dal glorioso risultato dell’operazione, la porta si spalancò, lanciando all’interno un grosso cavallo nero.

La guardia venne investita dalla porta che si apriva, cadendo a terra tramortita.

“Natasha!” esclamò Kate che capitolò a sua volta a terra, mentre il vescovo interrompeva i lamenti della sua omelia e il canto dei monaci si estingueva in un silenzio di tomba.

Natasha avanzò, solo il rumore degli zoccoli ad echeggiare fra le mura della chiesa, a scandire passo dopo passo, l’orrore che lentamente andava formandosi sul volto del vescovo.

“Tu…” esalò questi in un soffio. Gli occhi sbarrati, atterriti, il sentore che la predizione del disastro fosse pronta a diventar concreta.

Poi, racimolando quel poco coraggio che gli era rimasto, riuscì a farsi avanti, dando le spalle alla croce.

“Guardie! Prendetela!” ebbe la forza di esclamare, puntandole contro il suo lungo bastone.

Le guardie scattarono dalla loro postazione, facendo sciamare via monaci e prelati. Alcuni accostati alle pareti, altri fuori dalla chiesa, a cercare una rapida e sicura fuga.

La guerriera vermiglia riuscì ad atterrare tre delle guardie senza nemmeno scendere da cavallo, ma la quarta con cui si trovò a dover fare i conti altri non era che Sitwell.

“Lady Natasha, ci si rivede…” ebbe il coraggio di esordire, andando a colpire senza remore, a spada sguainata, una delle zampe del grosso animale.

“Golia!” esclamò Natasha, scendendo di sella con un salto e andando a finire in mezzo alla navata.

La spada già in mano andò a incontrare la lama di Sitwell che non aveva perso un solo istante per attaccare.

La donna gli elargì la peggiore delle sue occhiate prima di scivolargli di lato e colpirlo di nuovo, aprendo così il duello.

Kate, che nel frattempo si era rimessa in piedi, raccolse da terra l'arma di una delle due guardie a terra. Cercò febbrilmente la quinta, senza trovarla.

Solo quando alzò lo sguardo la vide accanto alla torre con il campanile, ad osservare lo scontro dall’alto.

Si disse che non avrebbe certo potuto restare con le mani in mano. Di prendere anzi, con quelle stesse mani, il coraggio che le era sempre mancato per affrontare certi brutali scontri: corse letteralmente attraverso la chiesa e su, fino a quelle scale che l’avrebbero condotta all'uomo del vescovo. Non avrebbe permesso che lo scontro di Natasha venisse interrotto, o peggio.

Come avrebbe fatto a sbarazzarsi della guardia, almeno tre piedi più alta di lei, questo era ancora tutto da stabilire; per ora si godeva lo slancio positivo delle sue buone intenzioni.

Giunse in sordina, mentre ancora il rumore dello stridio delle lame in duello riecheggiava senza tregua qualche metro sotto di lei.

La guardia teneva fra le mani quella che sembrava la corda della campana, come fosse intenzionato a calarsi da basso, nel caso qualcosa fosse andato storto.

Così vulnerabile e distratto, Kate pensò bene fosse il momento buono per attaccare.

Alzò la spada, senza aver preso bene le misure, né tantomeno aver calcolato il peso specifico dell’arma. Aveva scordato il patetico tentativo di sollevare quella di Natasha la sera in cui aveva incontrato Clint. Venne sbilanciata all’indietro e se non cadde fu un miracolo.

L'uomo non si sarebbe nemmeno accorto del movimento se, nell’inciampare, la lama pesante non fosse andata a cozzare con una delle vetrate laterali dell’abbaino.

La finestra esplose in frantumi producendo un rumore infernale. Guadagnandosi le occhiate di chi, per un attimo, aveva osato distogliere lo sguardo dallo scontro in corso dabbasso.

“Ops…” mormorò Kate e si scostò rapidamente, trascinandosi dietro quell’enorme spada.

Si fermò solo per rendersi conto che un coro di oooh aveva finito per riecheggiare per la chiesa e poi un grido a decretare, forse, la fine di Sitwell.

Natasha sovrastava l’uomo che si teneva lo stomaco trafitto dalla lama. La fissava con sguardo vacuo, mentre la vita gli scivolava via di dosso.

“Se s-solo… non fossi stato f-ferito…”

“Saresti morto comunque.” Lo liquidò lei, estraendo la spada dalle carni con un suono disgustoso.

Quando alzò la testa per capire cosa stessero guardando tutti quanti, scorse ciò che la finestra distrutta stava svelando: una luce del tutto innaturale rischiarava il mattino, mentre il sole veniva riempito da una voragine di tenebra.

“Una notte senza il giorno…” sussurrò di nuovo Natasha.

E lo stesso fece Kate, cominciando a comprendere di cosa parlasse la profezia del monaco: un miracolo, la provvidenza… qualsiasi cosa fosse, era davvero giunto il momento.

Abbassò lo sguardo scorgendo Natasha percorrere ora la navata, libera da ogni impedimento, pronta ad affrontare il vescovo. La spada era abbassata e, di questo, Kate fu sollevata: forse l’aver visto compiersi quel miracolo diurno l’aveva placata. Forse avrebbe solo parlato al vescovo, aspettando l’arrivo di Clint.

Kate si rese conto della leggerezza che aveva appena commesso, nel momento in cui realizzò che la guardia abbarbicata al parapetto si stava muovendo.

Si era aggrappata alla corda della campana per scendere e raggiungere Natasha per svolgere il suo ultimo compito: proteggere il vescovo e vendicare la morte del suo capitano.

“Oh, merda…” esalò solo. Si trascinò dietro la spada, lasciando che il pensiero di come avrebbe fatto a sollevarla le ronzasse solo per un istante fra le pareti del cranio.

L'uomo cercò di farsi scivolare lungo la corda mentre, a scandire il suo gesto, la campana emise un poderoso rintocco.

Kate lo raggiunse aggrappandosi a lui con tutta la forza rimastale, strattonandolo nella sua direzione; ma questi determinato e in forza, tirò di nuovo la corda, intenzionato ad atterrare di sotto.

Natasha inorridì quando fu il terzo rintocco a riecheggiare per la chiesa e il villaggio tutto.

Lo sguardo andò a cercare il vescovo che era arretrato fino all’altare.

Seguì un quarto e poi un quinto rintocco. Al sesto, Kate era probabilmente riuscita a spintonare la guardia, perché la vide scivolare oltre la balaustra e cadere al suolo con un tonfo sorto.

Natasha, ancora ferma sul posto, dovette cominciare a fare i conti con la realizzazione di ciò che era appena successo.

Ricordava ancora la promessa che era riuscita a strappare al monaco.

 

“Se la funzione terminerà in modo pacifico, sentirai le campane suonare… e allora saprai che ho fallito.”

 

 “Fury… a-aspetta…” esalò febbrilmente in una scarna preghiera, sperando di frenare la mano del monaco prima che commettesse l’atroce delitto sul falco, mentre l’eco dell’ultimo rintocco ancora rimbalzava fra le pareti di pietra.

La vita del falco e i rintocchi delle campane erano stati indissolubilmente legati e il destino più tragico era in procinto di compiersi.

Un verso strozzato le uscì dalle labbra. Un dolore sordo al centro del petto le bloccò il respiro.

Le mani le tremarono per un solo istante. Il ghiaccio le scivolò nello stomaco, lo stordimento, la rabbia, la frustrazione. Cercò di congelare quelle sensazioni, di indurirle abbastanza da usarle come arma.

L’unica che le restava per compiere quella sua ormai inutile vendetta.

“Fallo alla svelta… Fury”, mormorò cercando di passare all’accettazione in modo freddo, rapido, distaccato. Il tempo della disperazione sarebbe arrivato. Ma non in quel momento.

Rialzò sul vescovo uno sguardo di fuoco, proiettandogli addosso due interi anni di odio.

“Muori.” Sibilò fra i denti, rialzando la spada.

“Non puoi uccidermi!” esclamò il vescovo, ormai così addossato all’altare che si sarebbe detto volercisi nascondere dentro. “La maledizione continuerà per sempre”, cercò in tutti i modi di farla desistere, di placare la furia di quella sua guerriera così determinata… e fiera. Nemmeno in un momento del genere riusciva a disprezzare tutte le sensazioni che la donna gli scatenava dentro.

“Dovresti pensare a Barton…”

“Barton è morto.” la dichiarazione lo colpì come uno schiaffo. “Che tu sia dannato per sempre!”

La donna gli si fece incontro, pronta a rilasciare il fendente.

Ma qualcosa frenò la sua mano. Un grido. Una sola voce.

“Natasha!”

Alle sue spalle, qualcuno era appena entrato dalla porta rimasta aperta dopo il suo ingresso.

Le mani le tremarono di nuovo, il blocco di ghiaccio che aveva nello stomaco si incrinò improvvisamente e se per un attimo la spada non le sfuggì dalle mani fu solo per fortuna.

Osservò solo per un altro istante il viso tremebondo di orrore del vescovo a un passo da lei, prima di arretrare e voltarsi. Proprio nella direzione in cui quella voce provvidenziale aveva fermato il colpo mortale.

Kate scese le scale ad una velocità impressionante. Si trovò di nuovo nella navata ad assistere a quel miracolo di cui Fury non aveva fatto altro che vaneggiare per ore.

Clint Barton stava lì. In piedi e più vivo che mai, in carne ed ossa… umano quanto poteva esserlo lei. Natasha gli stava di fronte e lo guardava, come se non avesse mai visto niente di più strabiliante in vita sua.

La vide portarsi la mano alle labbra, rilasciare di nuovo quel gemito che aveva sentito solo qualche minuto prima, ma stavolta non le fece accartocciare lo stomaco per la pena, bensì per qualcosa che, improvvisamente, associò alla gioia.

L’ex capitano delle guardie venne avanti, incredulo, emozionato. Assaporando ogni passo che lo conduceva a lei.

Si incontrarono a metà strada, storditi, quasi intimoriti dall’incontro. Persino ritrosi a sfiorarsi, come avessero paura che improvvisamente quel prodigio potesse spezzarsi, lasciandoli inerti ad abbracciar pulviscolo solare.

Fu solo uno sguardo a incitare entrambi a concludere la faccenda, per concedersi più tardi il tempo di un degno ricongiungimento.

Natasha si volse, prendendogli la mano, fronteggiando il vescovo. Lo sguardo fiero e forte di chi ormai non ha più paura di niente.

“Guarda!” esclamò. La sua voce tonante, robusta, in quel silenzio inviolabile. “Guardalo”, indicò Clint, spronandolo a fiancheggiarla, “e guarda me…”

Lo lasciò andare solo per tornare incontro al vescovo che non si era mosso, che si parava di nuovo il viso, come fosse stato investito da un'improvvisa luce, un fastidioso raggio di sole.

Natasha gli prese il braccio, scrollandolo, fra il disgusto di doverlo toccare e la liberazione di averlo, finalmente, piegato al suo volere.

“E adesso… guardaci!” gridò, lasciandolo andare, mentre il raggio luminoso che entrava dalla finestra rotta, illuminava il trio di un chiarore rarefatto, innaturale.

“È fatta…” Kate si volse, solo per trovare Fury al suo fianco, “La maledizione è spezzata. Finita.”
Sentì qualcosa agitarlesi in petto, mentre con un braccio andava a cercare le spalle del monaco che nonostante l’aspetto coriaceo e granitico, sembrava aver piegato le labbra in quella smorfia innaturale che precede il pianto.

Vederli insieme le regalava un’immagine per la quale mai si sarebbe detta di trovarsi a gioire.

Vide Natasha voltarsi di nuovo. A cercare, adesso, il suo innamorato.

L’incontro rimandato per troppo tempo, troppi anni. Le mani si cercarono e trovarono in una presa febbrile, incredula.

Ma una sensazione di gelo parve pervadere la chiesa l’istante successivo. Come se l’atmosfera si fosse fatta troppo densa per lasciare che la maledizione si sfaldasse senza ripercussione alcuna.

E fu solo in quell’istante che Kate vide. Un’ombra alle spalle del vescovo, farsi grande, enorme. Proiettarsi sull’altare e l’abside tutto, a prendere una forma indefinita che non sembrava altro che l’ombra dovuta al fenomeno del sole e della luna. Quando divenne nitida, e inquietante quanto i demoni nei dipinti del giudizio universale, Kate poté avvertire un sibilo, che si concretizzò in quella che le parve una risata.

E nel momento cruciale, prima che quel brivido sulla pelle, il formicolio alla nuca si impossessassero di lei, l’anticamera dell’orrore, ecco che scorse il vescovo sollevare il suo bastone come arma d’offesa. Mentre il suo corpo tutto si lanciava in direzione dei due innamorati al centro della chiesa.

“Nessun uomo mai…” esalò con la voce che si era fatta un sibilo, mentre l’eco della risata, di quella risata demoniaca andava a confondersi con le sue parole.

“Clint! Natasha!” gridò Kate, trovando la forza, vincendo l’orrore che le aveva frenato le lacrime, congelato la commozione.

Clint fu rapido come un battito d’ali. Le mani si agganciarono all’arco che teneva a tracolla, due frecce a seguire. Posò un braccio sulla spalla di Natasha e in una scoccata, colpì il vescovo, frenando la sua disperata corsa.

Lo vide assorbire il colpo, venir trascinato all’indietro dalla forza quasi sovrannaturale della spinta dei due dardi e accasciarsi ai piedi dell’altare, in ginocchio, in una definitiva preghiera.

Gli occhi vibranti d’odio si spensero lentamente sui due innamorati segnati dalla sua ingiusta maledizione, fino ad appannarsi del tutto, chiudendosi per sempre su quell’ultima immagine.

Nel momento in cui morì, un’onda oscura sembrò far fremere il pavimento della chiesa, il pulviscolo solare, fattosi nero, andò a sollevarsi dalle spalle del vescovo in un mulinello rarefatto che si sollevò fino a svanire, oltre la vetrata rotta.

L’eclissi era passata. La luce inondava di nuovo la chiesa, intrisa del tiepido calore del sole d’inverno.

Il silenzio statico del momento perdurò per qualche istante, come a permettere ai presenti di assimilare l’evento. Nessuno gridò all’orrore di quell’avvenimento. Nessuno sembrò pronto a piangere il vescovo. I pochi esponenti del clero rimasti a guardare, adesso aspettavano che la scena si sciogliesse di nuovo. Pronti, al contrario, ad accantonare il terrore e lo sgomento.

La fissità venne interrotta dal rumore dell’arco di Clint che rovinava a terra e del fruscio delle vesti che videro finalmente i due innamorati stretti in un abbraccio che avevano atteso per due lunghi, estenuanti anni.

“Natasha…” mormorò Clint, scostandosi, per guardarla in viso, ritrovare i suoi occhi, la sua pelle d’alabastro, i suoi capelli color del rame. Che adesso accarezzava, delicatamente, come se avesse a che fare con un sogno che da un momento all’altro poteva sfaldarsi, “li hai tagliati…”

La donna sorrise, godendosi il tepore della sua mano sul viso, la sensazione di essere di nuovo baciata da quello sguardo che le regalava il calore del sole estivo.

Le guance accese di vita, gli occhi ardenti di chi vuole inebriarsi di tutto ciò che sta osservando.

“Mi sei mancato… così… tanto”, mormorò sfiorandogli il mento, ruvido di barba, il viso, ad andare a passar le dita fra i capelli sconvolti dal vento di migliaia di voli.

Le sfuggì una risata, liberatoria, vivace. Un singhiozzo che Clint andò a coprire con le sue stesse labbra, ad eliminare definitivamente la distanza di quel lungo addio.

Se Fury distolse lo sguardo, Kate nemmeno si rese conto, così commossa com’era, di non riuscire più nemmeno a distinguere le due figure al centro della navata, baciate dalla luce di quel nuovo giorno. Si fondevano in un turbine di colori liquefatti, come fossero ora una cosa unica.

“Voi due!” trasalì solo quando la voce di Clint, andò a disintegrare il silenzio e lo scalpiccio dei pochi monaci che cercavano una via di fuga alla chetichella.

Kate si indicò, scotendo Fury per la manica della tunica. L’ex capitano delle guardie, ancora stretto alla sua innamorata, li richiamava con un ampio cenno della mano: “Venite qui…”

La risposta dei due non si fece attendere. Li raggiunsero, ancora frementi di emozione e Kate zuppa di lacrime nemmeno fosse passata sotto un acquazzone.

“Che la benedizione del Signore scenda su di voi… da questo giorno in poi.” Pronunciò Fury, la voce solitamente burbera e greve, animata adesso da qualcosa che Kate non riuscì inizialmente a comprendere. Ma si strinse a lui, cercando un abbraccio o forse fornendogli la forza per continuare a mantenere la sua aria imperturbabile.

“Io invece lo ringrazio per il giorno che ha deciso di rimetterti sulla nostra strada…” gli disse Clint, posandogli una mano sulla spalla. L’errore perdonato. L’involontario torto dimenticato. E poi, rivolgendosi a Kate: “Mentre tu… ragazzina…”

“Affettuosamente parlando, vero?” articolò lei, passandosi una mano sul viso, per cancellare il disastro di scie nere che andavano a svelare la sua commozione.

“Kate…”

“Ragazzina va benissimo, davvero…”

Natasha intervenne prendendole la mano, stringendola appena. Un gesto che non si era attesa più di quando le aveva detto, solo due giorni prima, dell’amore che provava per Clint Barton.

“Sei la migliore amica… che ci potesse capitare, Kate…” le disse, guardandola dritta in viso, con quello sguardo sincero e diretto che non ammetteva repliche, che non lasciava adito a dubbi.

Se sentì montare di nuovo quel groppo in gola, cercò di cacciarlo di nuovo indietro, a costo di inghiottirlo tenacemente, per dimostrare che no, non era una fragile contadinella di campagna che si faceva infinocchiare da una storiella romantica.

Ma quando Natasha si chinò su di lei, per il bacio d’addio, sentì le dighe straripare di nuovo e le ci volle l’abbraccio di entrambi gli innamorati e di Fury che si unì, suo malgrado, per arginare la dirompente follia del momento.

 

Lasciarono Clint e Natasha al centro della navata, a consumare di baci, sussurri e risate tutto il tempo perduto.

Kate la ladra e Fury il monaco, si affiancavano l’un l’altro, uscendo dalla chiesa, teatro di un miracolo più grande di quanto i suoi costruttori si fossero mai attesi.

Più grande di quanto Kate, in tutta una vita, si sarebbe mai attesa di vedere. Un’avventura che prima dell’infausto giorno della sua cattura, ancora non sapeva avrebbe mutato per sempre il corso della sua esistenza.

O… quasi.

“Mi aspetto di rivederti davanti ai cancelli del paradiso, piccola ladruncola. Non mi deludere…”

“Ci rivedremo lì, padre. A costo di doverne scassinare la serratura.”

 

___

 

Note:

E questo, signore e signori, era l’ultimo capitolo ufficiale della storia! Romantico ma spero non eccessivamente melenso. Però che diamine! Di tanto in tanto divertirsi con le storie d’amore con un lieto fine non fa mica male, no? Lo so, la storia così come si conclude sembra mozza, mancano un paio di spiegazioni, ma non temete, esiste un epilogo (non presente nella storia originale, ma una mia modesta aggiunta) e conto di pubblicarlo la prossima settimana. Perciò chiunque credeva di essersi sbarazzato di me… sbaglia (risata malefica di sottofondo).

Intanto mi sento di tirare un po’ le fila del discorso, ringraziando chi, in questi due mesi ha commentato la storia. E vado ad elencare: Frau Blucher, Hermione Weasley, missgenius, Divergente Trasversale, Ragdoll_Cat, _Atlas_. A tutte davvero grazie e spero di rivedervi per un ultimo saluto next week. Come sempre ringrazio la mia beta socia Sere, e le dedico questo capitolo in particolare perché se lo merita. Dall’inizio alla fine fluffosa. Perché #stupidjosswhedon, regna. E per altri moviti.
Per quanto mi riguarda lascio il discorso di commiato al prossimo capitolo. Per ora vi rimando alla prossima settimana!

  
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